Giorno
7: Mostri
“Non
mi aspettavo di
rivederti nel mio regno, Quetzacoatl” commentò il
signore del Mictlan. E non
mentiva. L’ultima occasione in cui il serpente piumato si era
presentato a lui
con la sua questua, agli albori del Quinto Sole, non lasciava presagire
un
eventuale ritorno al suo cospetto, e l’atteggiamento
nervoso di Xolotl
confermava la perplessità di Mictlantecuhtli. Seduta accanto
allo scranno, la
sua sposa Mictlancihuatl sembrava pensare la stessa cosa ma manteneva
il
silenzio.
Solo
Quetzacoatl non
tradiva alcun timore, lui che più di tutti avrebbe dovuto
averne. Era
inginocchiato, come si conviene quando si è in visita a un
sovrano, ma il suo
portamento non era affatto quello di un postulante: i suoi occhi
fissavano la
figura di Mictlantecuhtli.
“Sono
venuto a chiedere
conto delle ossa di giada che mi hai tenuto nascosto” disse
con voce ferma.
“Non
ci sono altre
ossa. Le hai portate via tutte”
“Questo
era l’accordo”
convenne il serpente piumato “ma quando
l’umanità ha preso vita da quelle ossa,
qualcosa mancava”
“Hai
danneggiato le
ossa: è normale che gli esseri umani non somiglino
più a quelli che sono periti
nel declino del Quarto Sole”.
“Sono
state le quaglie
della Vostra Signora a rovinarle, se vogliamo esser franchi. Ma non
è questo il
punto. Sapevo che gli esseri umani sarebbero stati diversi, e questo ha
reso la
mia ricerca più difficoltosa. Ma adesso è stato
chiarito il motivo: le ossa di
Malintzin non sono mai uscite dal tuo regno”.
“Nessuna
delle ossa di
giada, e di conseguenza nessuna delle anime a esse legate, è
rimasta nel
Mictlan. Ne avevo io la responsabilità, so quello che dico.
A meno che tu non
osi insinuare che stia mentendo”.
Quetzacoatl
la guardò
con minor severità rispetto a quella riservata al suo sposo
“Signora, vi credo.
Voi avete avuto cura di tutte le ossa. Tutte.”
“Quindi,
sei qui a
parlare di niente” tagliò corto Mictlantecuhtli.
“Le
ossa di Malintzin
non erano ai vostri piedi e
non sono sulla Terra” argomentò
il serpente piumato “Una cosa è certa: Malintzin
fu sacrificata in vostro
onore, quindi di sicuro è stata portata qui da mio fratello
Xolotl.”
“Quella
donna non è
perita nel cataclisma, ma a seguito di un sacrificio in mio onore. Cosa
scelgo
di fare con ciò che mi appartiene non è affar
tuo”
“Le
ossa di giada
appartenevano anche ai morti prima del cataclisma, per non dire
soprattutto!”
protestò Quetzacoatl “La maggior parte degli umani
è stata trasformata in
pesci, quella affogata si trova da Tlaloc. Dei sacrifici ci si
interessa
soltanto al cuore e al sangue: l’anima e le ossa restano qui
senza problemi e
non interessano a nessuno. Quindi… le ossa di Malintzin
sarebbero dovute
tornare a me!”
“Quetzacoatl…”
Mictlantecuhtli parlò lentamente ma con tono spaventoso
“sei davvero qui a
reclamare per la morte della donna che ti sei preso nel Quarto Sole?
Sul serio?
Siamo nel bel mezzo del Quinto Sole! Il popolo che ci venera
è sul punto di
estinguersi per le nuove malattie portate dagli stranieri – e
questo si traduce
in lavoro extra per il sottoscritto e per tuo fratello - e TU sei qui per una donna
umana?” . Il tono
aumentava progressivamente mentre polemizzava con il serpente piumato,
facendo
desiderare a Xolotl e a Mictlancihuatl di essere da
tutt’altra parte, ma
Quetzacoatl non cedette.
“Voglio
il posto che
avrebbe avuto Malintzin nel Quinto Sole”
“Cosa?!”
Sbottarono i
due consorti e Xolotl. Erano allibiti.
“Voglio
avere la vita
che Malintzin non ha potuto vivere per colpa vostra”
spiegò meglio Quetzacoatl
“E non voglio sentir parlare di pagamento. Non ho avuto
l’intero ammontare
delle ossa. E tu
mi hai tolto più di quanto ero disposto a
dare! Salda il tuo debito”.
“Per
quale motivo
dovresti desiderare di diventare un mortale? Ammazzati no? È
meno complicato!”.
La sorpresa aveva mandato l’aplomb del signore del Mictlan
completamente
sottoterra.
“Ho
i miei motivi”
tagliò corto il serpente piumato.
“E
cosa ci ricaverei da
questa richiesta? Ciò che chiedi è troppo
esoso” ribatté, chiaramente
intenzionato a rispedire quel deficiente fuori dal suo regno il prima
possibile
e dimenticare le sue assurdità.
“Ci
ricaveresti in
dignità” il commento della sua consorte fu
l’ennesima assurdità che le povere
orecchie scorticate del dio fu costretto a sentire.
“È
vero quello che
dice? Abbiamo dei debiti? Questo è disdicevole!”
esclamò Mictlancihuatl per
giustificare la sua precedente affermazione.
“Questo
è troppo!”
tuonò il signore del Mictlan. “Xolotl, porta tuo
fratello fuori dal mio regno!
E se oserai riportarlo al mio cospetto… te la
farò pagare cara”
Xolotl
colse l’occasione
“Fratello, per favore, andiamo… per il bene di
entrambi!”
Fu
solo per
l’incolumità del suo gemello che Quetzacoatl si
lasciò guidare fuori dal mondo
sotterraneo. Fosse dipeso da lui, si sarebbe battuto con
Mictlantecuhtli. Cosa
aveva da perdere?
I mesi erano
passati veloci a Esqueleto e Mordecai aveva
cominciato a esser teso: mancava poco alla scadenza del patto fatto con
Emanuel. Quante altre calacas avrebbe dovuto recuperare ancora per
liberare
tutti? Non lo sapeva, anche se sapeva di averne liberate parecchie,
nell’ultimo
anno. E le anime liberate si erano rivelate essere tutte
divinità prigioniere,
più o meno potenti, più o meno consapevoli della
loro condizione divina. Le
sfide di Emanuel erano diventate progressivamente difficili e
rischiose, eppure
avevano reso Mordecai sempre più forte. Questo, ma anche
l’aiuto dei suoi
amici, era riuscito a salvarlo dalle sfide successive, ulteriormente
pericolose. Artemisia e i suoi fratelli sembravano sereni, seppur
comprensivi
verso le paranoie del biondino: secondo loro, infatti, non dovevano
mancare
molte calacas all’appello. In ogni caso, erano le sfide di
Emanuel a scandire
la frequenza con cui Mordecai poteva intervenire nel loro recupero. I
suoi
amici lo avevano rassicurato, e conoscendolo meglio se ne era convinto
anche
Mordecai stesso: per quanti difetti il moro potesse avere, era anche
una
persona leale e giusta, e non avrebbe mai posticipato qualche sfida a
dopo il
2012 per indurre la sconfitta a tavolino di Mordecai.
Per
l’anniversario del suo arrivo a Esqueleto, Mordecai era
rimasto a sistemare e ripulire il Pavo con Mattie, Thomas e Franklin,
alla
chiusura del turno serale. Gli sembrava poetico essere dove tutto era
iniziato,
e quasi nella stessa situazione: Franklin e Mattie stavano ancora
battibeccando
e Thomas cercava di mettere la pezza tra i due litiganti.
Poi vennero il
buio e il familiare ticchettio
dell’orologio-medaglione che scandiva la convocazione al
cospetto di Emanuel. Riprese
i sensi sulla cima di una piramide azteca, con bracieri ai lati a
illuminare la
notte senza luna. Non era un luogo spaventoso, e nemmeno insolito, se
si
tralasciava il fatto che solo una magia avrebbe potuto trasportarlo,
fisicamente o oniricamente, così lontano dal Pavo de Corral.
“Bentornato,
Mordecai” esordì Emanuel. Ecco, erano arrivati
al punto. Quale nuova sfida avrebbe richiesto stavolta quella
divinità così
ambigua e imperscrutabile?
“Niente indovinelli per
oggi, Mordecai. Ciò che ti
chiedo di fare è una scelta”. Quasi che fosse
stato dato un comando invisibile,
entrarono nel suo spazio visivo altre presenze. C’erano
Mattie e Thomas,
svestiti, pallidi e resi muti dalla paura e
dall’incredulità. Erano legati e
trattenuti da un’altra figura, di statura troppo alta per
essere umana, con
dipinti blu sul corpo e una corona di piume del medesimo colore in
testa, ma
dai tratti del viso inequivocabili: era Franklin, apparentemente
dimentico del suo
compagno e del di lui fratello, e in attesa del comando di Emanuel.
“Mordecai…”
si poteva leggere la paura negli occhi di
Thomas. Il fratello aveva altri modi per dimostrarla.
“Lo sapevo, LO SAPEVO che
saresti stato un problema
fin dal primo giorno!”
“La sfida che ti propongo
è molto, molto semplice.
Soprattutto, non ci sarà alcun rischio per la tua
vita” proseguì il moro
ignorando i prigionieri. Franklin
non
aveva ancora battuto ciglio e continuava a tenere saldamente le corde
che
stringevano i polsi delle sue vittime. Mordecai era molto teso ma
rimase a
sentire quanto aveva da dire Emanuel. Sarebbe andato tutto bene come
sempre, o
almeno lo sperava.
“Per liberare tutti,
ho bisogno di molte energie, e immagino che, dopo i mesi trascorsi a
Esqueleto,
sarai venuto a conoscenza di qualche tradizione delle antiche cerimonie
azteche”.
Per sottolineare il concetto, snudò un pugnale di ossidiana
di pregevole
fattura, ma che appariva senza tempo.
Mordecai impallidì
“N-non starai dicendo quello che
penso tu stia dicendo?”
“Non saprei: cosa stai
pensando che io stia dicendo?”
lo canzonò il moro con l’accenno di un sorriso
beffardo.
“Non dirlo più
e torniamo a casa?” azzardò con vocetta
tenue.
“In questo caso il
contratto cesserà”
Giusto….
“Allora”
Emanuel si avvicinò e mise in mano a Mordecai
il pugnale e lo prese di spalle per voltarlo verso il terzetto.
“La tua sfida
consisterà nel consegnarmi il cuore pulsante
di uno dei due fratelli”
I suddetti fratelli, come ovvio che
fosse,
sussultarono, e lo stesso fece Mordecai.
“Tu scherzi!”
“Non sono mai stato
più serio di così” replicò
l’altro,
ed era vero.
“Emanuel, non esiste che
io faccia… ciò che tu mi
chiedi” esclamò inorridito.
Non riusciva nemmeno a nominare
l’atto che era stato
chiamato a fare. Mordecai non riusciva a credere che il moro fosse
giunto ad
ordinargli una cosa del genere! Aveva quasi sperato di aver sentito
male! Erano
passati tanti mesi, aveva vissuto brutte esperienze, eppure era la
prima volta
che realizzava quanto la divinità davanti a lui
fosse… un mostro. Non era vero,
lo aveva pensato anche durante la prima sfida, ma ancora non lo
conosceva… e
ora si rendeva conto di non averlo mai conosciuto davvero.
Con espressione algida, la
divinità continuò il suo
discorso “Quale sacrificio porterai al mio
cospetto?” alzò il braccio verso
Mattie, e Franklin espose il prigioniero alla luce della torcia
“Un cuore
giovane, fiero e impulsivo”
“NO, NO, LASCIALO! SCEGLI
ME, MA LASCIA VIVERE MIO
FRATELLO” gridò Thomas.
Emanuel non diede segno di averlo
sentito, Franklin
non batté ciglio.
“Oppure un cuore saggio e
protettivo, che ha
conosciuto sia il dolore che l’amore?” fu il turno
di Thomas di essere esposto.
“NON OSARE! NON OSARE
TOCCARLO! TI UCCIDERÓ EMANUEL,
FOSSE L’ULTIMA COSA CHE FACCIO!”
minacciò il più giovane dei fratelli. Ma
sapevano tutti che erano parole a vuoto, uno sfogo del tutto impotente,
frutto
della disperazione.
“Scegli la vittima
sacrificale, per la libertà di tutti”
sentenziò crudelmente la divinità.
Mordecai scosse la testa quasi
convulsamente.
“Non posso
farlo… non posso…” era quasi
sull’orlo
delle lacrime. Artemisia, perché non interveniva? Avrebbe
saputo dirgli cosa
fare!
“Allora moriranno
entrambi” decretò Emanuel.
“Cosa..?”
sussurrò Mordecai orripilato.
“Puoi scegliere se
uccidere una persona – e salvare
l’altra – oppure cedere a me il compito, e io
sacrificherò entrambe le vite.
Che siano uno o due, non fa differenza, ma nessuno uscirà da
questa dimensione
fino a che non avrò un cuore umano in sacrificio”
spiegò il moro.
“Ma in questo modo, raggiungere il mio
obiettivo non avrebbe più alcun significato”,
pensò il biondo in presa
all’ansia. Si trovava in una posizione di stallo.
Cosa fare… cosa?!
“Allora,
Mordecai?” incalzò il dio. Non aveva tempo da
perdere. “Chi scegli?”
Mordecai fissava il vuoto. Non
voleva vedere, non
voleva sentire. “Thomas” sussurrò, ma
venne udito da tutti i presenti.
“NOOOOOO,
BASTARDO!” Mattie riprese a gridare a
squarciagola e a dimenarsi mentre la corda, con cui era legato, veniva
assicurata a un anello. Franklin trascinò il
rassegnato Thomas su una lastra
di pietra. Un comune mortale non avrebbe potuto fare quel lavoro da
solo, ma Franklin non lo era
– oh, proprio no – e
Thomas sembrava fin troppo mansueto nel suo ruolo di prescelto. Forse,
era
grato che tale destino non fosse toccato al suo amato fratellino, o
forse era
contento di contribuire alla salvezza di tutti, anche se non ne avrebbe
mai
beneficiato.
Fu solo dopo che Franklin
ebbe finito di fissare le corde del prigioniero alla lastra,
assicurando che il
corpo fosse inarcato a offrire il petto, che Mordecai si
avvicinò all’altare,
mettendo spazio tra sé e il mostro.
Teneva
stretto a sé il pugnale.
“Mi dispiace
Thomas” mormorò, alzando il coltello
d’ossidiana.
Le grida di Mattie si fecero
più isteriche quando, al
calar della lama, tacquero all’istante.
Mordecai non fu in grado di
trattenere i rantoli
spezzati e le lacrime di dolore mentre affondava la lama tra le sue
carni,
cercando di aprire un varco verso il suo cuore.
“U-un cuore umano,
Emanuel… p-per liberare tutt…”
crollò a terra. Se il mostro
voleva
così tanto un cuore umano, avesse avuto la decenza di
prendere quello che
ancora pulsava nel suo petto da solo, visto che il dolore era diventato
a tal
punto intenso da esserne paralizzato.
“Mordecai…”
mormorò Thomas.
Emanuel, dal canto suo, non
sembrava minimamente
turbato dalla scena. Si fece subito vicino al biondo, guardandolo negli
occhi
febbrili. Non aveva bisogno di vedere dove affondare i lunghi artigli
per
estrarre il cuore e mostrarlo al morente.
L’ultima cosa che
Mordecai percepì fu il sangue che
gli bagnava il volto e il cuore caldo appoggiato alle sue labbra;
rivoli
abbondanti di sangue scendevano nella sua gola, soffocandolo.
“Non mi sarei aspettato
nulla di diverso dalla più
misericordiosa tra le divinità azteche”
mormorò Emanuel.
Infine giunse il buio.
“Ora
sei
libero, Quetzacoatl. Torna da me”.
“Il
mio sposo può
tollerare il peso di un debito, ma io no. Benché sua
consorte, non sono certo priva
di potere. Avrai ciò che hai chiesto, Quetzacoatl:
possano i tuoi
desideri realizzarsi, in questa vita o nelle prossime”.
Mordecai si risvegliò al
Pavo sussultando
violentemente. Come sempre, al termine delle sfide, sembrava aver
vissuto solo un
incubo. Era la prima volta tuttavia che l’esito della sfida
era stata la sua
morte, quindi tutto poteva credere il biondo tranne che si sarebbe
risvegliato
in un posto che non fosse l’Aldilà.
E invece si trovava al locale,
rimasto come lo aveva
lasciato. Ma mancavano… dove erano finiti Thomas e Mattie?
“Mordecai”
Artemisia, Ebenezer, Thomas e Moravich
erano inginocchiati accanto a lui e lo guardavano con attenzione. Ma
era
strano… erano loro? Mordecai strinse gli occhi, senza
rispondere al richiamo.
Li vedeva… ma allora perché intravedeva anche la
loro forma di divinità, alta eppure
impalpabile? Anche Ebenezer, bellissima come sempre ma…
aveva una figura eterea
alta, dipinta e vestita con penne e fiori che lasciavano poco spazio
all’immaginazione… ma Mordecai era troppo turbato
per imbarazzarsene;
oltretutto, trovava il suo aspetto stranamente familiare.
“MORDECAI!!!”
la voce di Franklin irruppe in tutta la
sua esuberanza e andò ad abbracciare il biondo da dietro,
sollevandolo di peso
e facendolo urlare dallo spavento. Sembrava essere come al solito, ma
eccessivamente felice di vederlo.
“Bentornato, fratellone!
Sono così contento che tu sia
tornato” ok, se aveva ricordato la stessa terrificante
esperienza che aveva
vissuto lui, allora aveva senso tutto quell’entusiasmo; ma da
quando in qua lo
chiamava fratellone? E quell’eterea corona di piume blu sulla
testa?!
Qualcosa stava combattendo per
arrivare alla sua
coscienza, ma l’istinto gli impose di non occuparsene.
“Franklin, dove sono
Thomas e Mattie?”
“Siamo qui” i
fratelli erano defilati poco distanti, e
per la prima volta da quando lo aveva conosciuto, Mattie non lo
guardava più
con il solito astio. Questo cambiamento allarmò Mordecai
più del dovuto. Ma ciò
che più lo destabilizzava… erano le figure
eteree, ma più luminose, che
emanavano i loro corpi. Quindi anche loro erano…
divinità?
Quetzacoatl
non avrebbe dovuto sentire quella conversazione.
“Anticipare
la fine dell’Era del Quinto Sole? Non sarà
azzardato?” chiese Itzlapapalotl.
“Sangue
ne
avremo in abbondanza, con le carneficine degli umani, e il sole non
correrà certo
il rischio di fermarsi. Ma i Mexica stanno soccombendo. Presto saremo
dimenticati e, a quel punto, perché mai dovremmo continuare
a fornire loro i
nostri doni?” ragionò Huitzilopochtli.
Mordecai si scansò da
tutti. L’inquietudine cresceva
dentro di lui, assieme alla consapevolezza.
“Se non serve altro, io
tornerei a casa. Sono molto
stanco”.
“Ma
come…” Franklin aveva iniziato a protestare ma
venne interrotto da Moravich.
“Ti
accompagniamo” disse prontamente quest’ultimo,
seguito da un cenno silenzioso del gemello al suo fianco.
“Non serve. Vorrei stare
da solo”
“E perché mai?
Viviamo vicini”.
“Già, viviamo
vicini…” si arrese il biondo.
Salutati Franklin, Mattie e Thomas,
il gruppetto era
sul punto di partire.
A un passo dalla strada, Mordecai
esitò. Gli altri lo
osservavano. Doveva ignorarli. Nulla accadde quando mise il piede fuori
dalla
zona sicura del Pavo. O meglio, qualcosa era accaduto: camminava ancora
sulle
sue gambe umane. Ma aveva paura a guardarsi.
“Mordecai…”
“Andiamo a
casa” interruppe il biondo. Non. Voleva.
Parlarne.
“Ma..”
“No!”
E si avviarono, in silenzio.
“E
Quetzacoatl ce lo lascerebbe fare?” chiese Xipe- Totec.
“Ha
poco da
fare, se le altre divinità non lo appoggeranno”
ribatté Tezcatlipoca.
“E
comunque
si ritornerà al punto di partenza, se Quetzacoatl
vorrà ripopolare -
di nuovo! – la Terra in un’eventuale Era
del Sesto Sole. Ammesso che la vogliamo veramente”
commentò Huitzilopochtli.
“Non
accadrà”
disse Itlazcoliuhqui-Ixquimilli “Mi avete detto di tenerlo
lontano dalle
faccende degli umani, perché se ne dimenticasse, e
così ho fatto”
“Che
fratello
fortunato” commentò sarcastico Tezcatlipoca
“Ha trovato un amante così
appassionato da fargli dimenticare l’umana che Xochipilli ha
spedito dritto nel
Mictlan”.
Itlazcoliuhqui-Ixquimilli
non replicò.
“Vanificando
la mia vendetta” brontolò Xochipilli.
La tensione si poteva tagliare con
un coltello.
Mordecai sentiva tutti gli occhi carichi di aspettativa su di lui. Loro
sapevano. Loro hanno sempre saputo.
Mancavano pochi metri alla sua
casa. In lontananza,
poteva vedere le lucine del cimitero.
“Quando
avrai
bisogno di stare da solo per un po’, potrai venire
qui”.
Alma…
…Mictlancihuatl…
… Malintzin?