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Autore: ChiiCat92    04/05/2020    1 recensioni
"Era stanco. Quel tipo di stanchezza ti entra nelle ossa, si insinua sotto la pelle strisciando dentro i tendini, sui nervi, affoga l’ossigeno nel sangue.
Era stanco, e anche se il suo corpo si ostinava a tenerlo in piedi la sua testa diventava sempre più pesante, minacciava di fargli perdere l’equilibrio della vita.
Stanco, stanco, stanco.[...]"
Genere: Angst, Malinconico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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04/05/2020

 

Sex Worker 


Era stanco. Quel tipo di stanchezza ti entra nelle ossa, si insinua sotto la pelle strisciando dentro i tendini, sui nervi, affoga l’ossigeno nel sangue.

Era stanco, e anche se il suo corpo si ostinava a tenerlo in piedi la sua testa diventava sempre più pesante, minacciava di fargli perdere l’equilibrio della vita. 

Stanco, stanco, stanco.

 

Brillantini e ombretto metallizzato facevano sembrare la sua pelle cangiante come la corazza di uno scarabeo, sotto le luci al neon era un pezzo di carbone travestito da diamante. 

L’aria era satura di fumo, quello acre di sigarette e sigari, e quello dolce della marijuana. Con il naso all’insù cercò di aspirarne quanto più possibile, stirandosi il muscoli del collo teso.

Avrebbe dato qualsiasi cosa per potersi fermare un attimo, scendere dai tacchi, dal piedistallo, dalla vetrina, sdraiarsi in un cantuccio e finalmente dormire.

Non era il sonno a mancargli ma il dolce oblio simile alla morte che portava con sé. 

Ad un certo punto, non capiva quando e non capiva come, aveva dimenticato perché aveva cominciato a fare quel lavoro. C’erano nella sua testa diverse, ragionevoli motivazioni.

Del suo corpo faceva quello che voleva.

Aveva bisogno di soldi. 

Essere indipendenti non era così facile quando lavoravi come cameriere.

Avrebbe potuto scegliere da solo clienti ed orari.

Ragionevoli, no? 

E allora perché si sentiva tanto disgustoso?

Nessuna polvere d’oro poteva coprire il petrolio che gli ungeva l’anima, né trucco né abiti riuscivano a coprirlo, eppure aveva la sensazione di essere l’unico a vederlo. 

Abbagliati dalle luce e dalle trappole che lui stesso aveva piazzato, i clienti vedevano solo quello che lui voleva che vedessero: un corpo snello, giovane, tornito, in salute, androgino e ammiccante avvolto in abiti troppo stretti e insieme troppo larghi, abbastanza da far perdere il nord alla bussola morale della sessualità e del buon senso. 

Era quello il suo personaggio, l’essere che aveva sostituito gradualmente e costantemente il suo vero io, coprendolo strato dopo strato sotto un ammasso di spazzatura olografica. 

Al suo datore di lavoro piaceva che fosse così giovane, ma soprattutto gli piaceva che fosse legale. Gli piaceva che la Natura, o il Demonio, gli avesse regalato quel corpo così difficile da capire, con la pelle candida senza segni, liscia e priva di peluria se non vaghe ombre sottili. 

Gli piaceva che sembrasse un ragazzino. 

Avrebbe dovuto capire subito quanto fosse osceno quel piacere, ma si era fatto prendere in giro, si era fatto comprare. Aveva firmato un contratto. 

Le puttane avevano diritto ad un sindacato? 

Avevano diritto e basta? 

La musica era un ritmo tribale, i bassi risuonavano dentro il petto al posto di un cuore fermo da ormai troppo tempo e il suo corpo reagiva a quegli impulsi elettrici muovendosi, lentamente, le mani che andavano a lasciare impronte sul vetro, l’unico e ultimo scudo di difesa dagli sguardi affamati dei passanti.

Su quella strada si affacciavano diverse vetrine, che fossero donne o uomini a ballare nei piccoli spazi cubici non aveva importanza: il fascino rosso che emanavano attiravano la folla come la luce attira le falene la notte. 

Non c’era una vera e propria competizione tra loro, tra quelli che mettevano in mostra la propria merce, ma la soddisfazione di vedere un piccolo capannello di persone di fronte alla propria vetrina era l’unico vero motore di quelle notti tutte uguali. 

Gli occhi avevano sempre la stessa espressione, le bocche erano sempre piegate allo stesso angolo, le mani si muovevano come a voler afferrare e strappare la carne. 

E lui era stanco. 

Il tempo aveva un modo bizzarro di scorrere quando si trovava in vetrina, a volte passava così in fretta che dovevano riscuoterlo come da una trance, altre sembrava melassa fredda, che colava una stentata goccia dopo l’altra fino a svuotare il barattolo. 

Lasciò che gli occhi cercassero un orologio sulla parete alle sue spalle quando si volse per mostrare la schiena alla vetrina. Come in tutti i posti in cui la legge dell’uomo è sospesa anche lì non c’erano orologi. Non era il tempo la valuta del bordello, e le puttane non avevano diritto di sapere quanto mancasse prima della fine del turno. Nonostante lo sapesse l’attaccamento alle cose terrene lo fece comunque cercare, speranzoso. Forse stavolta avrebbe trovato le lancette ticchettare gli ultimi secondi, forse stavolta sarebbe stato diverso. 

L’illusione era una timida compagna, parente della speranza, ma più dura a morire. 

Il ragazzo si volse di nuovo, a passo di danza, le gambe che mandarono una fitta di dolore.
La notte là fuori sembrava avvolta da barbigli di luce bianca, l’alba era vicina, e quello era quanto di più simile al sollievo potesse provare.

Ancora qualche ora, ancora un po’ di pazienza. Doveva fingere ancora per un po’ di divertirsi e amare il suo lavoro, di essere uno dei pochi eletti ammessi nell’enorme frantoio che era l’industria del sesso.

Il lavoro più vecchio del mondo. Piacere e morte: due cose che avrebbero sempre dato da mangiare all’uomo. 

Chiuse gli occhi e lasciò che il corpo facesse quello che sapeva fare meglio, mentre la mente ondeggiava in bacini d’acqua più calma e i pensieri scivolavano verso il sonno. 

 

Un giro intorno alla galassia dopo la musica si spense, la strada deserta illuminata dai raggi del sole sgridava i pochi ritardatari, le vetrine erano silenziosi come loculi. 

Il ragazzo si fermò, le orecchie ronzavano ancora al ritmo frenetico di quella notte. 

Trovò la forza di scendere dalla vetrina e tornare in mezzo ai comuni mortali.

Gli sguardi dei colleghi erano affranti tanto quanto il suo, le mani prudevano per il bisogno di togliersi di dosso sudore e trucco. 

Rimase in fila, educatamente, mentre il capo dava agli altri la paga di quella notte e comunicava i turni e i clienti per quella successiva.

Prese i suoi soldi sentendoli bruciare tra le dita. Avrebbe voluto strapparli, ridurli in cenere, ma da qualche parte dentro di sé sperava ancora di poter acquistare fama e ricchezza.

Intanto, però, la metà di quei soldi gli servivano per mangiare. 

Avrebbe potuto ricomprare la propria vita la prossima notte.

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The Corner 

Solo un giorno di ritardo ma sono riuscita a concludere la Writing Week, quasi non ci credo. Queste challenge mi tengono a galla, è bello parteciparvi. Chissà quali altri spunti posso prendere...

Chii
   
 
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