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Autore: DanceLikeAnHippogriff    05/05/2020    2 recensioni
A volte, convivere con i coinquilini non è sempre rose e fiori. A volte, le incomprensioni capitano e pesano sulle tue giornate, solidificandosi in una cappa di piombo, costringendoti a vedere il mondo attraverso delle lenti opache.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Dorks being dorks'
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Leo chiuse il computer sbuffando. Inutile continuare a fissarlo, il cursore intermittente di Word avrebbe continuato a sbeffeggiare lui e la sua utopica speranza di riuscire a colmare quelle frazioni di secondo di vuoto con una parola di senso compiuto.

Scrollò lentamente le spalle, gustandosi quello scricchiolio soddisfacente che solo una schiena incurvata per troppo tempo sapeva produrre. Forse avrebbe dovuto continuare il disegno che aveva lasciato inerte sul tavolo di fianco al mouse. L’ennesima bocca sorridente da laureando lasciata inchiostrata a metà. Si mordicchiò distrattamente il labro. Le lancette dell’orologio della cucina scandivano i battiti del suo cuore; metodici, inarrestabili, lenti. Si sorprese a pensare quando sarebbe rientrato Andrew. Non che gli mancasse – quello stupido canadese era una presenza costante nella sua vita, soprattutto ora che condividevano la stanza – era solo che gli era capitato di pensare a lui, tutto qui. Inspirò lentamente e cercò con le dita il manico della tazza. I suoi polpastrelli incontrarono la superficie liscia e fredda. Si maledisse mentalmente per aver preparato una tisana che non aveva fatto in tempo a gustarsi bollente come comandavano i santi patroni delle tisane; tutto perché aveva perso tempo davanti a quella maledetta pagina bianca di Word. La stessa pagina che, con sua grande stizza, continuava ad accecarlo dallo schermo.

Ingollò un sorso di tè alla cannella e si costrinse a deglutire nonostante la bevanda fredda andasse contro tutti i suoi principi. Non avrebbe di certo sprecato una delle sue bustine preferite così; le sue seghe mentali non avrebbero avuto questa soddisfazione.

Fece una smorfia al nulla. Era da solo in casa. No, non era vero, ma da quando i suoi vecchi coinquilini se n’erano andati era come se lo fosse. Come a voler smentire questa sua convinzione, delle urla indistinte si propagarono nel corridoio fino a rimbombare nel soggiorno. Ah, come ignorare la presenza di Rosario in casa? Da quando era arrivato, Leo aveva optato per uno stile di convivenza civile. Chiaramente non erano sulla stessa lunghezza d’onda ed era talmente palese per entrambi che nessuno dei due aveva mai fatto un vero e proprio sforzo per dimostrare all’altro il contrario. Le loro interazioni si limitavano agli occasionali saluti di cortesia adattati al momento della giornata e a eventuali momenti in cui ci si raccontava della propria giornata. Oltre a questo, Rosario preferiva di gran lunga infestare la casa con ululati e starnazzi degni delle guerre puniche rimanendo al sicuro nella sua stanza in fondo al corridoio.

Si alzò e trascinò i piedi fino in cucina, troppo svogliato perfino per accendere la luce. Frugò la cucina con lo sguardo, cercando di individuare la silhouette del bollitore. Trovato. A noi due, tisana. Non avrebbe fallito al secondo round. Sciabattò controvoglia in soggiorno, lasciandosi cadere sulla sedia e tornò a fissare lo schermo. Al sottofondo delle lancette ora si era unito il sibilo morbido e costante del fornello a gas. Forse avrebbe dovuto darsi per vinto, chiudere il computer e dirsi che un altro giorno si sarebbe sentito più ispirato. Che forzare la sua scarsa creatività alle 22:36 significava chiedere uno sforzo immane ai suoi neuroni. Nonché un certo sottile lavoro di autoanalisi su se stesso che era sollevato di dover rimandare.

Si concentrò sui latrati di Rosario fino a quando non decise che non meritavano così tanto la sua attenzione. Chissà quando era degenerata la situazione tra loro? Forse l’incidente dell’aglio? Nah, sicuramente era successo qualcosa molto prima. In quell’occasione quella scimmia urlatrice aveva detto chiaro e tondo che aveva sopportato come un martire i soprusi e le angherie dei due ragazzi anche più del necessario e li aveva piantati in asso in mezzo alla strada alle dieci di notte dopo aver sbraitato all’intera città quanto loro due fossero delle teste di cazzo. Fece un lungo silenzioso sospiro, accasciandosi sullo schienale. Se ci ripensava, non si era sentito minimamente in colpa per l’accaduto. Forse era per questo che era una testa di cazzo? Le parole di Rosario gli erano scivolate addosso come acqua fresca. No. Non era quello che aveva detto che lo feriva, ma il tono con cui l’aveva detto. Come se gli fossero dovute delle scuse o degli applausi per aver sopportato in silenzio chissà cosa, poi.

Se non parli, coglione, come possiamo sapere cosa ti dà fastidio?

Si accorse di aver tenuto la fronte aggrottata per tutto il tempo. Non gli piaceva rimuginare su quei fattacci, non era nel suo stile, ma l’aria che si era creata in casa non era certo delle migliori. Rosario aveva optato per evitare il dialogo e gli incontri con loro. Era come se si fosse instaurato uno strano meccanismo per cui gli spazi comuni come la cucina o il salone erano di chi li occupava per primo; Leo provava una sorta di malata euforia che lo conquistava ogni volta che vedeva il corridoio deserto. Non era possibile doversi trincerare in casa propria. I loro orari non coincidevano neanche così tanto, quindi evitarsi era stato facile. Per quanto non fosse abituato a situazioni del genere, riusciva a darci il giusto peso senza lasciarsi schiacciare da continui replay dell’accaduto.

Andrew, però… Strinse i pugni e un moto di rabbia gli fece fremere le braccia, facendolo scattare in piedi come una molla. Era tutta un’altra storia con lui. Entrò velocemente in cucina, i suoi passi pesanti come piombo. Oh, se solo il pavimento fosse la sua stupida faccia saccente! Allungò la mano per spegnere la manopola del gas, il bollitore che fischiava come se volesse dargli ragione. Se avesse potuto, avrebbe sfiatato così la sua rabbia. Si sentiva ancora un idiota per essersi abbassato allo stesso livello di Rosario quella mattina.

Certo, come potevi sperare di batterlo sul suo stesso campo? Lui è allenato a urlare in faccia alla gente come un incivile e a calpestare le opinioni degli altri. Tu no. Tu sei lo scemo di turno che cerca di intavolare una discussione democratica. Tu sei la classica persona che ci prova e ci riprova per ritrovarsi sempre e comunque una porta sbattuta in faccia con malagrazia.

Mentre borbottava a denti stretti le peggiori imprecazioni che gli venivano in mente, uno scricchiolio proveniente dalle scale del condominio lo fece congelare con la tazza in mano, l’anta della credenza semi aperta. Deglutì a fatica. Non voleva accogliere Andrew in casa con il morale sotto i tacchi. La loro giornata era iniziata male di per sé, non aveva certo bisogno che Leo gli sbattesse in faccia ancora una volta che in quell’appartamento i rapporti civili erano stati disintegrati da una persona che sblaterava di rispetto cagando sopra agli altri. Aguzzò le orecchie, cercando di cogliere il rumore di passi che si stavano stancamente avvicinando al loro pianerottolo. Si fermarono davanti alla porta. Leo si era già rassegnato a stamparsi in faccia il suo sorriso di repertorio. Poi, come era arrivato, il rumore se ne andò, sparendo su per la tromba delle scale.

Rilasciò con sollievo il respiro che aveva trattenuto nel petto. Aveva ancora un po’ di tempo per commiserarsi e ripensare a tutto quello che avrebbe potuto dire quando invece si era lasciato trasportare dall’ira. Il tempo di rivedere il volto spaventato di Andrew, rassegnato, sconfitto, che cercava di mettersi in mezzo a loro due per farli ragionare. Leo sapeva cosa succedeva ogni volta che Andrew sentiva un litigio del genere. Gli ricordava troppi momenti vissuti fino alla nausea, troppe cause perse; la sua impotenza in quelle situazioni. E Leo, pur sapendolo, aveva caricato a testa bassa e si era lasciato abbindolare come un toro da corrida. Averne le tasche piene di quella convivenza non era un motivo valido per essersi abbassato a quel livello. Leo non era abituato a quelle scenate; lui discuteva, sì, si arrabbiava pure, ma il tutto nel rispetto del suo interlocutore perché dove c’è disaccordo si può anche trovare un compromesso.

Non con lui.

Sbuffò, versando l’acqua bollente nella tazza e mordendosi la lingua per soffocare l’ennesima imprecazione quando uno schizzo lo centrò sul dorso della mano. Quella serata prometteva davvero bene.


Note dell'autrice: Questo testo è un piccolo tentativo di auto-terapia perché gli eventi a cui fa riferimento il nostro Leo, mio alterego preferito, sono realmente accaduti. Ovviamente, tutto passa e le incomprensioni si risolvono, oppure si dimenticano di tacito accordo.

In quel momento, sentivo il bisogno di riversare quello che sentivo sulla tastiera, alle 22:36. E mi sono davvero bruciata con l'acqua della tisana ahahaha

 

  
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