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Autore: iron_spider    07/05/2020    1 recensioni
La sua mente è un caos infernale, ma ricorda il momento: ricorda la propria morte, ricorda il dolore rosso e scottante e Peter che urla, Rhodey che accorre al suo fianco. Ricorda di aver saputo che non avrebbe rivisto Pepper… ma ce l’avevano fatta. Avevano aggiustato il mondo, cancellato il tempo perso, risolto le cose. E il ragazzino era tornato. Piangeva, quel ragazzino che lo odiava per ciò che aveva fatto, ma era tornato. Era vivo.
E Tony Stark era morto. Ma adesso respira di nuovo mentre cerca di pensare, annaspando, con le mani che tastano le pareti che lo circondano, che lo racchiudono, che lo soffocano.
È in una bara. È sottoterra. È sottoterra, cazzo.

[Traduzione // Hurt-comfort // What If? // Tony&Peter // scritta pre-Endgame // Completa]
Genere: Angst, Sovrannaturale, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Pepper Potts, Peter Parker/Spider-Man, Tony Stark/Iron Man
Note: Traduzione, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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Capitolo 7



Non appena le parole vengono pronunciate e il sangue tocca terra, gli anni vengono sottratti. È questo, il fulcro di tutto. Tony se lo ripete in testa non appena gli viene riferita, lo gira e rigira nei meandri della propria mente finché le parole non perdono forma e significato, assumendone un altro. Devi salvare Peter Parker.

“Strange, dobbiamo andare,” dice, tornando in salotto di gran carriera con Natasha alle calcagna. “È Peter. È stato Peter.”

“Cosa?” abbaia Happy.

“No, ha detto–”

Strange ha chiaramente appena finito di spiegare quella sequela di assurdità al resto del gruppo, e tutti prendono a parlarsi l’uno sopra l’altro come ormai tendono a fare spesso. Ma Tony scuote la testa. È nelle grinfie del panico, è come se ci fosse un’incudine da cento chili sul suo petto. E la sua testa è in tumulto, colta dal terrore, con ogni pensiero ricoperto da un velo rosso e dalla consapevolezza che non hanno tempo. “Non so cosa vi abbia detto, ma Peter ha intenzione di provare a riportare in vita la sua famiglia,” annuncia. “Non funzionerà, perché suo zio è morto da quattro anni e i suoi genitori da dodici, e sta gettando via sedici anni della sua vita–”

“Ventotto,” dice Strange, cereo in volto. “Dovrebbe – non può sommarli – dovrebbe lanciare l’incantesimo tre volte.”

Tony lo fissa. Tutti smettono di parlare. Si sente informe, come se si stesse sfaldando nel nulla: non crede di aver mai visto un simile orrore sui loro volti. “Cazzo,” esala, con un senso di vertigine nonostante i suoi piedi siano ben piantati a terra. “Cristo, io– cazzo– perdo il senso della matematica quando non– non sono lucido–” si artiglia la gola, non respira, e si fionda oltre tutti loro in direzione della cucina, vomitando poi nel lavello.

Peter non conosce le regole non scritte. Non si comporterebbe così, se le conoscesse. Non sa che il suo sacrificio incalcolabile non servirà a nulla. Servirà a evocare l’inferno, a scatenare un dolore incommensurabile, a dare il via a un contraccolpo che potrebbe distruggerlo. Ci sono fin troppi eventi che Tony deve fermare, adesso. Non può permettere che il ragazzo veda la propria famiglia ridotta in quello stato. Strange ha descritto delle cose orribili, e non le ha nemmeno descritte nel dettaglio. La sua mente gli suggerisce immagini che non vuole vedere, che gli inviano brividi su e giù lungo la sua spina dorsale, e quasi rimette di nuovo. Non può permettere che Peter subisca tutto ciò – non accadrà.

Ventotto anni. Ventotto anni, maledizione, vanno oltre la sua comprensione. Sedici erano già fin troppi, assolutamente troppi, e quel calcolo era frutto del suo cervello perso nel panico che ha sparato numeri a caso... ma ventotto anni sono più di quelli che Peter ha adesso. È un pezzo incalcolabile della sua vita, è come invitare il tristo mietitore alla propria soglia in largo anticipo. È come se si stesse uccidendo da solo.

È… è proibito. Non gli è concesso. È l’ultima cosa che Tony vorrebbe mai permettere.

Deve aiutare il ragazzo. Adesso.

“Al cimitero?” sente Clint porre quella domanda. “Lo farebbe davvero in pieno giorno?”

“È disperato,” replica Natasha. “Si è già comportato così, prima, è come se mettesse dei paraocchi.”

“Dobbiamo andare,” dice Tony. Si ripulisce alla svelta la bocca, si asciuga il volto e torna davanti a Strange. “Saint Mary’s Cemetery, settore ventuno… se non è lì, metto all’opera la mia tecnologia, appositamente pensata per quando Peter mi ignora, e traccerò il cellulare, che ce l’abbia acceso o meno. Adesso ci vuole troppo per farlo, dobbiamo andare… dobbiamo andare, adesso.”

“Tony, stai attento,” dice Pepper, trattenendolo per un braccio e premendogli un lungo bacio sulla guancia. “So che starà bene, lui… lui ha te.”

Tony annuisce, lasciandosi sostenere da lei. Sa che prima, quando tutti sono stati informati, si saranno messi a discutere del ruolo del fato in questa situazione. Ovvero, che il tempismo è stato buono, che tutto è andato bene... ma non può assolutamente dirlo a Peter. Nessuno vorrebbe sentirselo dire, se costretto a fronteggiare morti e perdite simili.

Si volta verso Strange, facendogli un cenno col capo. Non riesce a guardare in faccia gli altri perché è terrorizzato, perché non vuole vedere nei loro occhi la paura che lui possa fallire. Perché pensa che potrebbe spezzarsi sotto il peso di altre rassicurazioni. Niente può davvero calmarlo, adesso, non di fronte a questo. È una delle prove più grandi che abbia mai affrontato in vita sua. In entrambe le sue vite.

“Andiamo,” dice. Volta le spalle agli altri e vede Strange che apre un portale in mezzo al salotto. Vede dall’altra parte il cimitero dove è stato con Peter in più di un’occasione, ma non ha nemmeno un momento per recuperare l’orientamento che già si getta in avanti, perché Peter è lì. È lì, in piedi di fronte alla tomba di Ben.

Tony ha fronteggiato innumerevoli pericoli, incluso il gigante viola che gli ha portato via Peter, ma la linea solenne delle spalle del ragazzo, viste da dietro, lo pietrifica in un modo che non ha mai sperimentato prima. Non riesce a vedere se si sia già tagliato il palmo. Non sa se ha dato inizio a qualcosa che non potrà più arrestare. Si sente di nuovo sul punto di vomitare. Il sole di metà pomeriggio picchia sulla sua testa e lui si sente un nervo esposto, sensibile, messo a nudo di fronte alle sue peggiori paure per esserne annientato. Non ha la squadra a coprirgli le spalle, adesso. Deve farlo da solo: se tutti gli altri fossero qui, annichilirebbero Peter nel giro di un secondo. Peter, però potrebbe farlo prima da solo.

La forte brezza che spazza il cimitero minaccia di farlo cadere.

Sente il portale chiudersi dietro di lui e Peter si volta lentamente. Porta una delle sue felpe, e sembra sul punto di scattare via. Tony abbassa lo sguardo e, decisamente, sta per rimettere di nuovo: Peter ha già iniziato a scavare nella tomba. C’è una pala poco più in là, ha le scarpe coperte di terra e c’è un buco piccolo ma abbastanza profondo alla base della lapide. Tony barcolla appena, con la vista che gli si oscura di macchie gelide e orripilate e non riesce a pensare in modo lucido: tutto ciò che riesce a registrare è che Peter è qui, a scavare nella tomba di suo zio. Se quella non è una prova di devozione totale alla causa, non sa cos’altro potrebbe esserlo. Crede di vedere lì per terra anche il libro, ma non ne è certo perché il suo cervello non funziona correttamente. Niente sembra reale.

Sente il cuore che precipita. Peter sta tremando, si stringe la mano e trema: Tony vede il taglio, il sangue. I suoi occhi corrono ad esaminare il terreno di fronte alla lapide: non vede sangue, lì, non ancora, sta andando fuori di testa ma non c’è sangue né per terra né nel buco né sul terriccio smosso, o almeno non ne vede.

Deve concentrarsi. Devi salvare Peter Parker.

Riporta in alto lo sguardo, deglutendo a fatica, e tende una mano in direzione di Peter. “Ragazzo,” mormora. “Non puoi farlo.”

“Devo,” dice Peter, e il suo volto è arrossato, con le lacrime che già minacciano di uscire. C’è una famiglia, in lontananza, radunata attorno alla lapide di qualcuno di amato, e non hanno idea di cosa stia accadendo quaggiù. Di cosa potrebbe accadere, Ma Tony li esclude. “Tony,” lo chiama Peter, con occhi grandi e fissi su di lui. “Non vedo l’ora che tu li conosca,” dice. “Ben era fantastico, era proprio come te, era bravo coi computer e– e si arrabbiava con la TV ogni volta… è stato solo grazie a lui se ero alla Expo la prima volta che ti ho visto–”

“Peter,” lo interrompe Tony, prendendo un cauto passo in avanti. “Anch’io voglio tanto conoscerli, ragazzo, ma c’è… questo incantesimo, ci sono delle regole che non conosci…”

So che sacrificherò molto tempo,” risponde Peter, con voce spezzata, e si sta ancora artigliando la mano. Tony non riesce a smettere di guardarla, terrorizzato che il sangue possa versarsi. Non sa se abbia già pronunciato le parole. “So che sei… che non vuoi che io lo faccia–”

“Pete, devo– devo dirti una cosa–”

“Tony, ti prego,” dice Peter, con le lacrime che gli inondano il volto. “Ti prego, lasciami… posso farcela, posso finalmente… riavere tutti indietro, posso farlo, posso sceglierlo e– Dio, a malapena ho avuto dei genitori, e Ben– posso restituire Ben a May. E adesso tutti– tutti loro, tu… anche tu– sarete con me e sarebbe come se– se finalmente la mia famiglia fosse completa–”

È strenuamente deciso a farlo. Tony glielo legge negli occhi.

“Devo farlo,” ripete Peter, scuotendo la testa. “Devo–”

“Peter, non funzionerà,” dice Tony. Gli alberi che li circondano oscillano al vento come fiaccole, e il resto del mondo sembra ammutolire – il traffico in strada, le conversazioni distanti, tutto. Niente è più importante che rendere chiaro questo concetto. Niente conta più di questo ragazzo, adesso.

“Perché?” chiede Peter, tirando su col naso. “Ha funzionato con te, tu sei–”

“Funziona solo col sette,” spiega Tony, cercando di controllare il respiro. “Sette giorni, sette mesi, sette anni… è l’unica ragione per cui con me ha funzionato. È per questo che l’incantesimo è così pericoloso: ci sono molti dettagli che non sono esplicitati di proposito. Con me hai avuto fortuna, davvero tanta, tanta fortuna, per via del tempismo.”

Peter fissa un punto alle sue spalle, mordendosi il labbro inferiore.

Tony sa che non deve mollare adesso. “Quando non ci si affida al sette… la persona torna indietro sbagliata. Strange mi ha raccontato dei casi specifici–”

“No,” ribatte Peter, negando col capo. “No, non può essere. Deve funzionare.


Tony sente il cuore che accelera un poco. “Peter…”

“No,” lo tronca lui, spostando il peso da un piede all’altro e guardando la tomba e il lavoro compiuto finora. “No, non– no, guarda, ora lo faccio, poi aspetto e alla fine uscirà fuori – tutti loro, perché farò tutto stanotte – prima Ben, poi i miei genitori... avranno bisogno d’aiuto, perché non hanno un guanto con un propulsore come te, è per questo che ho voluto cominciare in anticipo…”

“Peter…”

“… e li farò uscire, e saremo insieme. Avranno una seconda opportunità per vivere, saranno– potranno ricominciare, fare ciò che non hanno potuto fare, e la cosa degli anni non importa, insomma, non davvero… ventotto anni? Non sono niente, in confronto ad averli di nuovo vivi, ne vale la pena perché torneranno, torneranno tutti e tre, saranno qui e–”

“Peter, cazzo, diventeranno degli zombi,” sbotta Tony, probabilmente a voce troppo alta, ma deve scioccarlo, deve riportarlo indietro, deve convincerlo. Peter fa silenzio. “Non saranno vivi. Saranno malformati, ancora in decomposizione, saranno dei maledetti morti viventi, e sarà– sarà un incubo. E questo incantesimo, questo dannato incantesimo, ti porterà comunque via quei ventotto anni, solo per ricambiarti col nulla. Se non sofferenza,” conclude. Anche i suoi occhi stanno lottando contro le lacrime, adesso, specialmente nel vedere l’espressione sul volto di Peter. C’è così tanto dolore e rimorso, là sopra, e vorrebbe solo strapparglieli via. Non vuole dire queste cose orrende, non vuole sconvolgerlo, ma deve fermarlo. La sua mano sanguina ancora. Potrebbe cambiare il mondo intero da un secondo all’altro, con un semplice, piccolo gesto.

“E, Peter,” continua Tony, facendo un altro passo avanti, “loro non vorrebbero mai, mai e poi mai che tu rinunciassi a così tanti anni della tua vita. Mai. Per nulla al mondo. Ti amano, non vorrebbero che tu rinunciassi a un momento – a un solo momento prezioso della tua vita. Anche se funzionasse. Sette mesi per me… Peter io detesto il fatto di averteli rubati. Farò tutto ciò che posso per restituirteli, metterò a soqquadro ogni angolo della galassia per capirci qualcosa, come ho fatto quando quel bastardo ti ha portato via da noi.”

Peter si limita a fissarlo, gli occhi lucidi, e sembra un bambino sperduto. A Tony si sta spezzando il cuore, e non capisce se lo stia davvero ascoltando.

“Tony, ne– ne varrebbe assolutamente la pena,” dice poi, sembrando troppo piccolo. “Per– per riaverli. Ne è valsa la pensa, per riavere te… sono così contento che tu sia di nuovo qui, non puoi immaginarlo, non puoi saperlo–”

“Ventotto anni non dovrebbero mai valerne la pena,” ribatte Tony. “Pete, sono… Cristo, mi sento male solo a pensarci,” mormora, fissando la mano di Peter. Il sangue. “Sei troppo importante.”

Anche Peter abbassa lo sguardo sulla sua mano, adesso. “Sei– sei sicuro che non– non funzionerà?” chiede. “Sei sicuro?”

“Sono sicuro,” conferma Tony. “Dal modo in cui l’ha descritto Strange… sarebbe un’agonia, per te e per loro. Non vuoi vederli ridotti così, Peter, far loro passare… qualcosa del genere. Te ne pentiresti per sempre. Potrebbe ucciderti, non dice. E se uccide te, uccide anche me.

Peter flette le dita della mano ferita. La luce del sole sembra diventare più forte prima che due nuvole dense e scure lo coprano, e una brezza più tesa passa in mezzo a loro. Peter sta tremando, e Tony non sa se stia soffrendo, o se abbia freddo o paura, o tutte quelle cose insieme. Si sente come se fossero sul cornicione di un grattacielo. È terrorizzato.

“Io volevo…” sussurra Peter. Fissa la tomba di Ben, ciò che le ha fatto, e poi riporta gli occhi su di lui. “Volevo solo– pensavo di poterli riportare qui. Quando ha funzionato con te è stato un miracolo, ero così– così contento e pensavo solo– pensavo di potercela fare. Tutti coloro che amo insieme, finalmente…”

“Lo so, Peter,” dice Tony, col cuore che gli duole. “Lo so. Mi dispiace. Mi dispiace.” Ripensa ai marchi sul petto di Peter. A come e dove apparirebbero le ferite dei suoi genitori. Lo sfigurerebbero, come la strada che ha dilaniato i loro corpi. Una ferita da arma da fuoco, quella di Ben. E ventotto anni di vita persi. Per niente. Per l’inferno. Per un incubo di portata cosmica. “Non hai– non hai ancora cominciato, vero? Con l’incantesimo?” gli chiede, la voce che traballa. Non crede, dal modo in cui sta parlando, ma deve esserne certo.

“No,” risponde lui. “Mi sono… solo tagliato la mano.”

“Bene,” esala Tony, rilassandosi appena.

Il volto di Peter crolla del tutto, con le lacrime che rotolano più rapide. “Dio, ero– non posso– non– non– Dio, mi dispiace, mi– mi dispiace– mi dispiace– così tanto–”

“Non devi,” dice Tony, avvicinandosi cautamente, temendo di spaventarlo. “Non devi, ragazzo, lo capisco, capisco il voler… volere così tanto qualcosa da pensare che tutto ne valga la pena, e cavoli, credimi: se trovassimo un modo che non includesse tutte queste regole distorte e oscure, ti aiuterei all’istante, davvero, ci metterei tutto me stesso. Ma questo… non funzionerà, ragazzino, e mi dispiace…” abbassa lo sguardo, con ogni respiro spezzato di Peter che gli fessura un po’ di più il cuore. “Mi dispiace che… che abbia funzionato solo per me e non per loro–”

“No, no,” singhiozza Peter, e sta tremando a dismisura, stringendosi così forte la mano che diventa bianca in modo preoccupante attorno alla punta delle dita. “Ti prego, mi– mi dispiace, non– non voglio–” Sta piangendo, singhiozzando, e Tony non è certo che non abbia davvero ancora pronunciato le parole e non può permettere a quel sangue di toccare terra, non può, non può rischiare…

“Pete, vieni qui,” gli sussurra, andandogli incontro con slancio, e Peter fa lo stesso spezzandosi del tutto, rotto dai singulti. Lo sostiene un attimo prima che cada. Lo sorregge come Howard non ha mai fatto con lui; non c’è mai stato in quei momenti in cui niente sembra reale, niente possibile, e tutto ciò di cui hai bisogno è tuo padre. Howard non c’è mai stato, per lui, non mentre era in vita. E Peter non può avere suo padre, non può avere Ben per colpa del destino così dolorosamente ingiusto che gli è stato assegnato, e adesso anche le sue ultime speranze sono state infrante. Ma se Peter non può avere un padre, di certo può avere lui. Ogni volta che ne avrà bisogno. Ogni singola volta. “Vieni qui…”

“Mi dispiace,” piange Peter.

Tony prende rapidamente un fazzoletto dalla tasca e lo avvolge attorno alla sua mano insanguinata non appena è abbastanza vicino, ma Peter quasi non glielo consente perché gli crolla addosso, aggrappandosi a lui mentre piange convulso, più di quando stava morendo di fronte a lui. Gli assicura velocemente il fazzoletto alla mano e lo avvolge tra le braccia, portandolo via di peso dalla tomba per sicurezza. Poi Peter si accascia contro di lui, scosso da singhiozzi e respiri spezzati, ed entrambi scivolano a terra.

“Sono qui,” gli dice, stringendolo forte e scostandogli i riccioli madidi dalla fronte. “Shh, shh, sono qui.”

Peter emette un respiro interrotto, premendogli il viso contro la spalla e tenendosi al petto la mano ferita. È scosso da brividi, si aggrappa a Tony e lui gli si aggrappa di rimando, chiudendo gli occhi mentre cerca di non pensare a quanto siano andati vicini all’incubo. Stringe Peter con più fermezza, strofinandogli la schiena. Sospira, concedendosi un briciolo di sollievo.

“Mi– mi dispiace,” balbetta Peter, aggrappandosi alla sua spalla. “Mi dispiace, mi– mi dispiace… volevo– volevo solo–”

“Lo so,” ripete Tony. “Lo so, lo so, va tutto bene.” Sa che avrebbe fatto lo stesso. Per sua madre. Per Peter. E se mai fosse accaduto a Pepper o Rhodey o Happy, farebbe quella follia. Natasha aveva ragione, riguardo ai paraocchi. Solo a pensarci, sente il cervello che va in corto. È difficile allontanarsi da quel baratro.

“Oddio, avrei potuto– avrei potuto…” Peter scuote la testa e Tony riesce a malapena a comprendere ciò che dice mentre piange. “Degli zombi, avrei potuto– avrei potuto–”

“È tutto a posto,” sussurra Tony. “Non è successo. Non l’hai fatto, stai bene.” Tony non sa cosa fare, adesso. Il ragazzino sta ancora tremando, piange disperato, e si limita a stringerlo, pettinandogli i capelli con le dita e desiderando solo di potergli risparmiare quel dolore. Vorrebbe, più di ogni altra cosa, aver potuto salvare Ben, e i suoi genitori, e risolvere tutti i suoi problemi. Vorrebbe poter curare la morte, per aiutare quel ragazzo. Vuole fare tutto ciò che è in suo potere.

Gli stringe la spalla, cercando di convincersi che lui è qui, e che l’ha fermato in tempo. “Cristo, mi hai spaventato,” mormora poi. “Avevo paura di non fare in tempo.”

“Mi dispiace,” ripete Peter, stavolta piano, annaspando un paio di volte per rincorrere un respiro. “Mi dispiace, non– non– non ci ho pensato–”

“Non fa niente,” lo ferma Tony. È tentato dal fare promesse che non può mantenere. Una parte di lui è terrorizzata al pensiero che Strange scopra altre regole non scritte di questo maledetto incantesimo, delle regole che potrebbero strapparlo di nuovo via da Peter, dopo tutto ciò che hanno passato. Ma si costringe a non pensarci: non accadrà, è proibito. Ci sono troppe persone che non può abbandonare, soprattutto non ora che gli hanno dimostrato il loro affetto. La sua vera portata, nascosta in vita e rivelata solo quando avevano pensato che se ne fosse andato per sempre.

Non può oscurare questi fatti. Non più. Non quando è consapevole di ciò che può accadere e di cosa c’è in gioco.

“Ti voglio bene, Pete,” mormora, premendo la guancia sulla sua testa. “Non ti lascerò mai più, promesso. Quando ti ho detto che sei come un figlio, per me, era vero, è sempre stato vero e lo sarà sempre. Sei il mio ragazzo, lo sai. Farei qualunque cosa per proteggerti.”

Peter si stringe di più a lui, afferrandolo con la mano ferita. “Anch’io ti voglio bene,” risponde, ancora più piano. “Mi dispiace, mi dispiace.”

“Non dispiacerti,” ribatte Tony. Lancia un’occhiata alla lapide. Ben Parker. Sa che era una brava persona perché anche Peter lo è, e vorrebbe averlo conosciuto. Ora nota tutto ciò a cui non aveva fatto caso prima, troppo accecato dalla paura di cosa stava per accadere. Ai piedi della lapide di Ben c’è chiaramente il libro, seminascosto sotto alla terra smossa, vicino a una dozzina di rose rosse e a una busta di plastica con dentro quello che sembra un plaid. Le tombe di Richard e Mary Parker sono lì accanto, e anche lì c’è una busta di plastica, ma non riesce a vederne il contenuto. Anche lì ci sono dei fiori: un mazzo di margherite e qualche girasole.

Ci è andato così vicino. A perdere tutto.

Si muove appena sul posto in modo da far appoggiare Peter al suo petto: si sta finalmente calmando, anche se ha il singhiozzo e continua ad annaspare. Prende il telefono di tasca e manda un messaggio a Pepper, digitando con una mano sola.

È qui con me. Stiamo bene. May è lì? Ho bisogno di Strange qui entro cinque minuti.

Ripone il telefono e reclina un poco il collo per guardare meglio Peter. Il sole, sopra di loro, tenta di far breccia tra le nubi.

“Ehi,” lo chiama Tony, a bassa voce. Gli scompiglia delicatamente i capelli. “Ragazzo, riesci a seguirmi? Per tornare a casa? May ci aspetta e possiamo riposarci, calmarci, parlare un po’… va bene?”

Peter si copre gli occhi con la mano. “Lei– May sa che–”

“Non nel dettaglio,” dice lui, strofinandogli una mano sulla nuca. “Puoi dirle ciò che vuoi, la scelta è tua.”

“Lo verrà a sapere,” sussurra Peter, accartocciandosi. “Lo capirà non appena– non appena ci vedrà tornare da qui.”

“Peter,” Tony gli inclina il mento per guardarlo negli occhi. “May… capirà. Sarà comprensiva, e tu sei qui, non– non l’hai fatto. È tutto ciò che conta. Sarà solo felice di vederti, come tutti gli altri. Sai che sei il preferito di tutti noi, Pete, almeno quanto vorrebbe esserlo Clint.” Forza un sorriso ma lo sente dolorosamente triste, con la paura che ancora gli vibra nel sangue e gli ricorda che cosa avrebbe potuto affrontare se fosse arrivato solo poco più tardi. “Forza, ragazzo, andiamo a casa. Andiamo.” Gli passa un braccio attorno alla vita e lo issa in piedi, sollevandolo da terra fino a riportarlo sulle proprie gambe. Lui tira su col naso, con gli occhi rossi, e si appoggia di peso a lui.

“Mi dispiace, Tony,” bisbiglia. “Mi dispiace, mi dispiace–”

“Niente più scuse,” lo ferma lui, e alza lo sguardo quando sente aprirsi il portale, a preannunciare l’arrivo di Strange. “Basta così, stai bene. Stai benissimo. Andiamo, ci sono io. Andiamocene di qui.” Guida un Peter molto instabile attraverso il portale, e rivolge un cenno a Strange tentando di comunicargli l’ho fermato, sta bene, perché non vuole esprimere ad alta voce la portata della follia che l’ha colto quando hanno realizzato cosa stava per accadere. Non vuole spaventare ancora di più Peter.

Si sente come se avesse corso una maratona. E deve ancora pensare alla faccenda dei sette mesi perduti. Stringe con forza il ragazzo, e fa un cenno sopra la propria spalla per indicare a Strange il libro e l’occorrente per l’incantesimo, oltre al buco per terra. Strange annuisce e li supera rapido, mentre Tony fa attraversare il portale a Peter facendoli sbucare in salotto, dove li attende May.

Fa un paio di passi avanti, spostando lo sguardo tra loro due, e Peter riprende a piangere quando registra chiaramente il suo volto. Tony lo affida alle braccia di sua zia, e lui le si accascia contro.

“Tesoro,” dice lei, sorpresa. “Piccolo, va tutto bene.”

“Bruce,” chiama Tony, trovandolo nel gruppo e facendogli cenno di avvicinarsi. “Vorrei che dessi un’occhiata alla sua mano, ha un brutto taglio.”

Bruce si limita ad annuire, con una sfumatura verde in volto nell’eseguire.

Tony tenta di imporre al suo cuore di non battere così veloce. Realizza solo in quel momento che non gli fa più male la mano. E nemmeno i marchi. Sospira, arruffando di nuovo i capelli a Peter e superandolo per avvicinarsi a Pepper, in piedi accanto a Rhodey. Gli prende la mano, attirandolo a sé.

“L’hai–”

“L’ho fermato,” sussurra lui. E anche se Peter è solo a pochi passi da lui, si sente cadere in pezzi nel non averlo di fronte a sé. Cede sotto il peso di quell’incubo. Di essere tornato dalla morte e aver dovuto affrontare tutto ciò.

“Tony,” lo chiama Rhodey, gentilmente. “Stai bene?”

“Sì,” si schiarisce la voce e Pepper porta una mano al suo volto, asciugandogli una lacrima. “Sì, sì, ho solo… ce l
ho fatta per un soffio.” Si copre il volto con le mani. Era morto fino a due giorni fa. Era morto. Peter ha trovato un maledetto incantesimo oscuro in un libro diabolico e l’ha riportato in vita. Peter ha sacrificato sette mesi della sua per farlo, e poi… merda, non riesce nemmeno a ripensarci. È folle. Lui è folle. Questo è il Purgatorio e lui è diventato pazzo.

Sente il portale che si chiude e si volta, vedendo Strange col libro tra le mani, e gli altri materiali che Peter aveva preparato sono poggiati sullo schienale del divano. C’è anche un coltello, ma è in una busta di plastica, il che fa pensare a Tony che Peter volesse impedire al sangue di colare a terra finché non fosse stato pronto. “Mi sono occupato io della tomba,” dice, a bassa voce.

Tony indica il libro. “Che ne dici di bruciarlo?” chiede. “Oppure… Thor, potresti, non so… portarlo da qualche parte nello spazio profondo? Tipo una… una remota prigione galattica fatta apposta per i libri? Non so, qualunque cosa va bene, ma lo voglio lontano da questo cazzo di pianeta.” Sta pensando al settimo anniversario della morte di Ben. Deve sbarazzarsi di quel libro. Vorrebbe incenerirlo del tutto, ma è certo che Strange si opporrebbe per via di tutti gli altri incantesimi che contiene, non proibiti e non intenzionati ad uccidere Spider-Man. Ma non gli importa. Al momento, quel libro è il suo nemico numero uno, anche se l’ha riportato in vita.

Forse è stato davvero destino. Ha avuto la sua dose di fortuna, in vita sua, e magari tutto ciò ne fa parte. Non vuole pensare al tempo che Peter ha ceduto come a una fortuna… ma risolverà anche quel problema. Fosse l’ultima cosa che fa.

“Me ne sbarazzo io,” conferma Thor, avvicinandosi a Strange e strappandoglielo dalle mani. Strange glielo permette, il che fa pensare a Tony che sia concorde con quella decisione.

C’è una pesante sensazione che preme addosso a loro, che emana un “e adesso cosa facciamo?” ed è particolarmente forte perché la maggior parte di queste persone hanno passato l’ultimo giorno e mezzo a parlare e divertirsi: adesso c’è solo silenzio, il pianto sconsolato di Peter e le parole rassicuranti di May che risuonano nella stanza. Tony si sente quasi il cattivo della situazione, perché ha rubato a Peter la possibilità di salvare la propria famiglia, mentre lui si è salvato senza pagare alcuno scotto; ma sa che nessuno, non una singola persona, avrebbe mai consentito a Peter di sacrificare tutti quegli anni di vita. Non i suoi genitori, non Ben, decisamente non May. Né nessuno in questa stanza. Né chiunque sia mai stato influenzato da Spider-Man. Di certo non lui stesso. Sacrificherebbe molte cose per ridare indietro a Peter quei mesi. E probabilmente lo farà.

Respinge indietro un attacco di panico guardando a lungo il volto di Pepper e lanciando un’occhiata agli altri: sono ancora qui, pronti a supportarlo. Si volta e si avvicina a Peter, Bruce e May, avvertendo il senso di colpa e il sollievo e tutte le emozioni esistenti al mondo, probabilmente. Preme le mani sulle spalle di Peter e lo guarda in volto, rigato dalle lacrime.

“Signor Stark, io–”

“Ma come, Underoos, stavi andando così bene con Tony: non cambiare di nuovo idea,” lo interrompe. “Uh, May, Bruce, che ne dite di portarlo in infermeria?” Evita nel modo più assoluto di parlare di cosa è successo. Ha detto a Peter che avrebbe lasciato a lui la scelta.

“Buona idea, devo… devo medicarlo,” concorda Bruce.

May fa un cenno d’assenso, ancora sotto shock. Tony li osserva allontanarsi in corridoio e verso le scale, poi si gira ad affrontare gli altri. Strange è ancora lì, accanto a Thor, col libro a separarli. Cerca di mettere a tacere le sirene d’allarme che gli risuonano in testa ogni volta che lo vede anche solo di sfuggita. Si pizzica il ponte del naso, scacciando un’ondata di vertigini. Ha mangiato solo un waffle, prima. E probabilmente l’ha anche vomitato. Una gamma infinita di emozioni lo sta assaltando, coprendo di colpo il distacco che aveva messo tra loro, e risucchia un respiro.

“Uh,” tossisce, schiarendosi la voce. “Uh… vi dispiace se, se…”

Gli si oscura la vista e sviene di schianto.
 

 
§

 
Torna in sé un paio di minuti dopo tra le braccia di Thor... il che, deve ammetterlo, è un’immagine che ha fatto già capolino da qualche parte nei suoi sogni. Gli altri sono già sul punto di richiamare Bruce per farlo visitare, ma Tony giura di stare bene. Vuole che lui rimanga col ragazzo. Si limita a mettersi disteso, con la testa in grembo a Pepper, e costringe tutti a comportarsi normalmente, anche se niente, non una singola cazzo di cosa, è normale, in questo momento.

Si sente esaurito. In bilico sul bordo di qualcosa che non avrebbe mai potuto prevedere, persino nel contesto del suo lavoro. Se ne stanno semplicemente seduti lì per circa un’ora, finché Bruce non torna da solo, per informarli che May e Peter stanno parlando per conto loro, com’è giusto che sia. Forza Tony a bere fin troppa acqua, e Rhodey si mette a cucinare una zuppa. Steve e Bucky tengono d’occhio Tony come falchi, e lui non è certo di cosa si aspettino che faccia.

Thor se ne va insieme a Strange per occuparsi del libro, e non rivelano a nessuno dove lo porteranno. A Tony sta bene così, e anche agli altri. Sa che Peter si chiederà su dove sia finito, e su cosa avrebbe potuto fare tra tre anni, e per questo Tony lo vuole lontano da lui. Vorrebbe quasi poter cancellare l’intero episodio dalla sua memoria.

Assurdamente, questa gli sembra la sua veglia funebre, visto che tutti rimangono raccolti attorno a lui per quasi tutto il giorno. Subito dopo la morte dei suoi, pensava spesso a cose del genere, a come sarebbe stata la sua veglia, nel caso avesse finito per morire anche lui. All’epoca, voleva appendere una sua foto di venti metri sulla facciata della villa. Voleva che ci fosse una modella per ciascuno degli astanti in lacrime, voleva cocaina gratis e fuochi d’artificio, e far sparare il suo corpo nell’Oceano Pacifico.

E poi aveva compreso di essere uno stronzo, e tutti quei pensieri gli avevano fatto ribrezzo. Non ha indagato su come sia stata la sua funzione, ma spera soltanto che fosse una stanza piena delle persone che ama intente a confortarsi a vicenda mentre brindavano alla sua memoria, esattamente come un normale adulto si figurerebbe la propria veglia. Diviene cosciente in quel momento, lì disteso con Pepper che gli accarezza la fronte, che forse si è davvero evoluto in un uomo adulto e normale.

Però, forse, la maggior parte degli uomini adulti e normali non pensa alla propria veglia funebre. E la maggior parte di loro, se mai ci pensa, non ne ha già avuta una.

Oh, insomma. C’era quasi.

Continua a desiderare di salire sul tetto per prendere un po’ d’aria, ma rimane in salotto, in attesa della ricomparsa di Peter. Ma lui non torna, e nemmeno May, e lui è costretto a mandar di nuovo giù l’ansia. Sa che ha progettato un’infermeria confortevole, ma entrambi hanno anche delle camere, quassù, e potrebbero parlare là dentro. Non sa se debba scendere al piano di sotto e tentare di ricongiungerli agli altri, né se debba andare a vedere che diavolo stia succedendo, ma proprio quando sta per cominciare a strapparsi i capelli, May risale di sua sponte. Il che rischia di spedirlo a rotta di collo verso un altro attacco di panico, perché non sa se Peter stia bene, o se non vuole vederlo. Si alza in piedi, avvicinandosi a lei.

Un nuovo tipo di paura gli emerge nel cuore. Una che, logicamente lo sa, è priva di fondamento, ma vi si infiltra comunque. Quel tipo di paura che distorce i volti nella sua testa e fa dire loro cose che non direbbero mai. E ci crede lo stesso, crede a quegli echi, alla voce dissonante nella sua testa che sembra quella di May e che dice è colpa tua, l’hai portato a questo punto.

“Mi dispiace,” dice quindi, faccia a faccia con lei. “Mi dispiace che sia arrivato a fare questo, non ho mai voluto che–”

“Tony,” lo blocca lei, incrociando le braccia al petto. “Ascolta… nulla di ciò che ho detto prima è cambiato. Non era tua intenzione, non eri nemmeno qui, e lo sai… lo sai com’è fatto.”

Tony si schiarisce la voce. “Sta… sta bene?”

May annuisce. “L’ho finalmente convinto a dormire. Ha paura di perderti, e che… beh, l’incantesimo gli ha nascosto delle cose, quindi teme che gliene stia nascondendo altre.”

Tony scuote la testa. Sa che dovrebbe preoccuparsi anche lui per quel motivo, e in effetti ha chiesto a Strange di portare avanti le ricerche, per vedere se salta fuori qualcos’altro. Ma, per qualche ragione, si sente sicuro di sé. Non ha paura per se stesso, ma solo per Peter.

“No, io… io non vado da nessuna parte, poco ma sicuro,” afferma. Si farebbe largo a tentoni dall’inferno fino a qui, per tornare da loro. Libro o non libro.

“Bene,” conclude May. “perché tu sei– Tony, fai parte della famiglia. Non vorrei mai… è difficile, perché darei qualsiasi cosa per riavere Ben, qualsiasi cosa… ma tu hai salvato Peter, fermandolo. Non sarei sopravvissuta, se fosse accaduta una qualunque delle cose che mi ha spiegato Strange. Quindi… semplicemente, grazie al cielo eri lì.”

Tony annuisce. Si sente un po’ sul punto di svenire di nuovo, ed è come se Bruce lo percepisse, perché si alza lentamente dal suo posto, ma lui gli fa cenno di non preoccuparsi. Non sa cosa dire a May, non sa come guardare questa situazione senza venire inglobato dal panico. Quindi si limita ad abbracciarla, e chiude gli occhi.


 
§

 
Tre giorni dopo, è sul tetto del Complesso con Peter. Il cielo è più scuro qua, non è inquinato e macchiato dalle luci cittadine, e si vedono più facilmente le stelle. È più semplice allungare un dito a tracciare le costellazioni, osservare la stazione spaziale in movimento, realizzare che sono qui, dove dovrebbero essere. Che forse, per un momento, sono in pace, anche se Tony si è rimesso l’alloggio per nanoparticelle così da poter usare la Bleeding Edge. [1] Insomma. Se mai ce ne fosse bisogno.

Sono seduti su un paio di sdraio da spiaggia rosa che Tony ha comprato d’impulso un paio d’anni fa, e hanno due bottiglie d’aranciata tra loro. Neo rotola avanti e indietro lungo il perimetro del tetto, e di tanto in tanto fa qualche commento, visto che Tony gli ha insegnato a parlare sempre più spesso di sua volontà. E forse si è anche divertito a usarlo per spaventare Steve e Rhodey quando meno se l’aspettavano. Magari sta facendo pure finta che Neo sia diventato senziente. E forse, fa tutto questo solo perché a Peter fa ridere.

Sprofonda un po’ di più nella sua sdraio, inalando un grosso respiro dal naso. Deve ancora ricordarsi ogni mattina che non è morto. Ma per ora sembra che non lo sarà per molto tempo. Lui e Peter stanno finalmente avendo la conversazione che avrebbero dovuto avere giorni fa, e Tony ascolta attentamente ogni cosa che ha da dire. Ogni singola parola su come si è comportato quando lui non c’era… le verifiche andate male, quella di spagnolo che ha passato per un punto, quella volta che un ragazzo ha fatto dei graffiti in corridoio durante trigonometria. I suoi tentativi di rileggere la saga di Harry Potter, che si sono arrestati con la morte di Sirius, e a quel punto ha lasciato stare. I film che ha visto, i criminali che ha fermato, molte storie riguardo a quel pazzo di Osborn, che sembra aver avuto su di lui molta più influenza di quanto avesse immaginato. Il fatto che ultimamente va matto per il formaggio Gouda, ed è quindi andato con Natasha a una degustazione di vino e formaggi usando il suo documento mal falsificato. Tony si fa un appunto mentale per ridurlo a brandelli.

“Per tutto il secondo mese non ho smesso di cucinare,” racconta, inclinandosi sulla sdraio. “All’inizio ero un disastro…”

“Bruciavi tutto?”

“Ho quasi servito a Ned e MJ del pollo ancora crudo all’interno,” spiega lui, stringendo i denti imbarazzato.

“Tremendo,” commenta Tony. “Ma è stata una battaglia valorosa, ne sono certo. Io non so cucinarlo, il pollo. Non saprei nemmeno da dove cominciare.

Peter soffoca una risata. “Sono sicuro che saresti capace,” replica. “Solo che ti ci vorrebbe molto tempo.”

“Ah, ci metto tre ore a fare un’omelette una volta e non se lo dimentica più nessuno,” sbuffa Tony, alzando gli occhi al cielo.

“È una delle storie preferite di Pepper,” dice Peter, sogghignando.

“Magari dovresti imparare il linguaggio dei segni, come me,” cambia argomento Tony, reclinandosi su un lato della sdraio. “Steve lo conosce già un po’, potrebbe diventare il nostro codice segreto. Potremmo sparlare della gente di fronte a loro e non se ne accorgerebbero nemmeno.”

“Ho iniziato la notte in cui l’hai imparato tu,” risponde Peter, sorridendo. “Non so come cavolo fai a fare tutto così in fretta. Io ci metterei… probabilmente due mesi, per saperlo usare.”

“È semplice: non riesco a spegnere il cervello, mai,” ribatte Tony. “Sono una specie di bidone della spazzatura per le informazioni, è ridicolo.”

“Credi di aver perso qualcosa?” chiede a quel punto Peter, a bassa voce. “Nel senso, quando sei, uh… tornato?”

Tony riesce a malapena a vederlo, qua fuori al buio, distingue solo i suoi occhi grandi, il profilo del suo volto, e i capelli leggermente smossi dal vento. “No, credo che sia ancora tutto qua dentro,” risponde poi. Inclina la testa da un lato e si dà un paio di colpetti sull’orecchio come se stesse cercando di farne uscire dell’acqua finita dentro per sbaglio, e Peter lo fissa socchiudendo gli occhi. Tony sorride. “Confermato: è tutto qua dentro.”

“Te la caverai alla grande, quando avrai un figlio,” commenta Peter. “Sei Iron Man, sei un nerd assurdo e–”

“Wow, Peter, ma grazie,” dice Tony, scuotendo la testa. “Beh, immagino che nerd non sia esattamente un insulto, al giorno d’oggi.”

“Non lo è,” gli conferma Peter. “Decisamente no.”

Rimangono in silenzio per un istante e Tony vede una stella cadente sfrecciare nel cielo e disegnare un arco effimero prima di sparire nell’oscurità.

“Io, uh… venivo spesso qui,” dice Peter, in tono esitante. “Molto spesso, all’inizio. Davvero spesso, perché lo facevi tu, eri sempre qui fuori e mi sentivo come… come se…” la sua voce si spegne, e si mordicchia il labbro.

“A volte ti sembra di poter, uh… essere più vicino a qualcuno, se vai in un posto dove andava spesso,” dice Tony. Con cautela.

“A volte mi mettevo sul cornicione, e mi spaventavo,” continua Peter, senza guardarlo. “Per questo sapevo che avrei spaventato te.”

“Peter…”

“Non ho mai voluto, insomma… non ho mai desiderato morire,” chiarisce Peter, adesso incrociando i suoi occhi per sottolineare quel fatto. “Giuro, è solo che… non lo so. Quella è stata la prima volta che l’ho fatto senza costume addosso, intendo quando tu eri qui. Non so perché lo facessi quando non c’eri, non… non lo so e basta. Per la maggior parte del tempo mi sentivo semplicemente intontito e… era difficile, tutto quanto: quello che mi era successo, vedere voi che ci riportavate indietro e poi… così, all’improvviso, pochi istanti dopo–”

“Stammi a sentire,” dice Tony. “Ti capisco, davvero… capisco il fatto dell’adrenalina, di spingerti verso i tuoi limiti ed escludere tutto il resto… ho fatto la stessa cosa quando ho perso i miei, in modi diversi, ma… sì, stesso concetto, stesse emozioni. Ma, come dicevo prima, non importa chi sia qui e chi no: tu sei troppo, troppo importante.” Molto più importante di quanto io sia mai stato. Per qualche strana ragione, in quel momento, gli diviene improvvisamente chiaro che sono entrambi orfani. Ma Peter ha avuto Ben e May, grazie a Dio. Solo che poi è scomparso anche Ben. Comprende la disperazione, il dolore inarrestabile, la rabbia e il bisogno di cambiare la mano che ci è stata assegnata nel gioco. È ingiusto, e lo detesta.

“Lo so, lo so,” replica Peter, allungandosi per prendere un lungo sorso d’aranciata, e sembra che non gli creda. “Però May… non potrei mai, mai abbandonarla.”

“Esatto.”

“Ma sono contento che tu sia qui,” continua, guardandolo. “Sei stato una parte importantissima della mia vita, per molto tempo. Mi hai reso migliore, sei veramente come– sono fortunato, grazie a te. Sette mesi, Tony, per riaverti… non sono nulla.”

A Tony si contrae il cuore e scuote la testa. Quel problema gli si stringe attorno alla gola come un cappio. Mentre si preoccupava per Peter, si è messo alla ricerca di ogni modo possibile per annullare gli effetti collaterali del più bel regalo che il ragazzo avrebbe mai potuto fargli. “Sarò io a giudicare, piccoletto,” commenta poi, perché se si dovesse esporre sul serio al riguardo finirebbe per piangere di nuovo, come quando Peter gli ha mostrato le bozze del suo progetto finale su Iron Man.

Peter, tanto, lo sa lo stesso. Sa cosa ne pensa. Ma Tony non riesce a smettere di pensare al momento in cui accadrà, a quando la morte lo porterà via con sette mesi d’anticipo.

Non si fermerà finché non avrà trovato una soluzione.

“Quindi, adesso sai praticamente tutto,” dice Peter, sprofondando ancora un po’ nella sdraio e fissando il cielo trapunto di stelle. “Sai del Guerriero Ninja, sai dell’incidente al Gambero Rosso…”

Tony soffoca una risata, e deve decisamente chiedere a Pepper la sua versione dei fatti.

“… del cattivo che si ispirava a Star Wars, del problema con le frittelle… di quel cane adorabile–”

“Ti serve un cane,” lo ferma Tony, indicandolo. “Ti meriti un cane.”

“Certo che sì,” replica Peter, con un sorriso smagliante. “Sul serio.”

Tony sorride di rimando. Ci sono molte cose di cui non hanno parlato, come di cosa gli sia successo mentre era morto e cosa ricorda della morte, e ha intravisto quelle domande sulla punta della sua lingua più volte, da quando le cose si sono calmate. Tony non vuole parlarne con nessuno, perché non lo ricorda e ciò lo spaventa, lo fa preoccupare… si preoccupa così tanto che il panico riesce sempre a farsi strada in lui per inghiottirlo. Non hanno parlato del fatto che è alla ricerca di una magia su misura – cautamente – per tentare di restituire a Peter la sua famiglia. Non ha ancora trovato nulla, ma ha intenzione di organizzare dei viaggi portando con sé Strange. Forse è pazzo, ma lo sguardo negli occhi di Peter in quel cimitero lo perseguiterà per sempre, e vuole dargli ciò che si merita, se solo riuscisse a trovare un metodo che non si basi sull’occhio per occhio. Sa che deve esserci , da qualche parte.

Dopotutto, lui stesso è seduto qui, no? Dev’esserci altro, là fuori.

Ma eviterà di farsi male. Perché l’hanno già perso una volta. Non vuole che queste persone affrontino di nuovo qualcosa del genere, mai più. E l’ha promesso a Peter. Punto e basta.

“Hai addosso l
’armatura, ragazzo?”

Peter lo fissa di sbieco.

“Sì, me ne sono accorto per via della felpa gigante, non puoi fregarmi.” Peter sbuffa, roteando gli occhi. Tony fa un gesto verso l’alloggio nel suo petto. “Vuoi fare un voletto?”

A Peter si accendono gli occhi. “Cosa? Davvero? Ti– ti va? Vuoi essere Iron Man? Voglio dire, tu lo sei sempre, insomma–”

“Sì, lo sono, e sì, mi va,” dice Tony, prima che il ragazzo prenda a balbettare. “È la sola versione di ‘salto dal tetto’ che abbiamo il permesso di fare. Ovvero per un decollo.”

“Sì, decisamente,” concorda Peter. “È la mia preferita.


Tony soffoca una risata, mentre si alzano entrambi. Si preparano, e indossare di nuovo l’armatura per la prima volta da quando è tornato lo riempie di nuova determinazione. Lui è Iron Man. Adesso si sente davvero a casa.

“Sei pronto, Spider-Man?” chiede, avvicinandosi a lui.

“Oh, certo,” replica lui. “Saliamo fino ad arrivare quasi nello spazio. Perché posso andare nello spazio con questo costume, ma… beh, lo sai, l’hai costruito tu.”

“Evitiamo lo spazio,” ribatte Tony. “Non abbiamo esattamente dei buoni precedenti, con lo spazio.”

“Ho detto quasi.”

Tony è quasi rimasto morto per sempre. Peter ha quasi gettato via ventotto anni di vita per niente. Sono un bel paio di quasi, ma adesso sono qui, stanno bene. Stanno ricominciando. Tony, deve ammetterlo, ha degli ottimi precedenti con le seconde possibilità.

“E tanto per fartelo sapere, ho conservato l’incantesimo,” annuncia Peter. Indossa la maschera, e la sua espressione è nascosta.

Sembra farsi un po’ più buio, con un vento freddo che si abbatte sul tetto. “Uh… come, prego?”

“Non sono un idiota,” premette Peter, incrociando le braccia al petto. “E non ho intenzione di… di fare niente di stupido, mai più, per esempio per i sette anni… so che ci stai pensando. Ed è troppo, ho imparato la mia lezione. Ma non mi pento di averti riportato qui.
Non mi pentirò mai. E se muori, se Ned o May o MJ o Pepper o chiunque io ami muore o viene ucciso, aspetterò una settimana e poi agirò. Ti riporterei indietro.”

Tony si limita a fissarlo, e non riesce a capire se stia allucinando quell’intera conversazione. “Ragazzo,” dice, dopo un lungo momento, “mi farai venire un infarto.”

“Beh, se ti uccide, ti riporto qui.”

“Cristo,” sbotta Tony, sentendo un principio di mal di testa. “Okay, andiamo, prima di farmi cambiare idea. Mettiamo in pausa questo discorso, lo continuiamo nella sessione di terapia di gruppo.”

Non vede la sua faccia, ma ha la sensazione che stia sorridendo.

“Va bene,” risponde. “Voliamo.”

Tony afferra Peter più saldamente che può e decolla nella notte, ascoltando la sua risata e unendovi la propria.

Suonano entrambe piene di vita. E Tony non ha intenzione di lasciarsela sfuggire. Non questa volta.



 
F  i  n  e


 


Note:

[1] L’armatura che Tony usa in Infinity War è ispirata alla Bleeding Edge dei fumetti. In traduzione, ho il dubbio che l’autrice intendesse semplicemente “armatura all’avanguardia”, in quanto è il significato letterale dell’espressione, ma ho preferito optare comunque per il nome del modello.


Note della traduttrice:

Cari Lettori, eccoci giunti alla fine del viaggio, almeno per quanto riguarda questa traduzione. Spero che la storia vi sia piaciuta e che l'abbiate trovata tradotta in modo gradevole.
Grazie a tutti coloro che hanno letto, recensito e/o aggiunto la storia alle loro liste!
A presto, di nuovo su questi schermi con altre traduzioni,

-Light-

 
   
 
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