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Autore: lagertha95    09/05/2020    7 recensioni
La morte è sempre complicata da affrontare, anche se ognuno la affronta a modo suo.
Qualcuno consuma i sentieri che conducono alle tombe, altre non li calcano mai, altri ancora aspettano precise occasioni. La morte è una questione privata, qui c'è il modo in cui Laila cerca di affrontarla.
Dal testo:
"Piove.
Ho sempre amato la pioggia, estiva, invernale, fine e incessante o a scrosci rumorosi, accompagnata da tuoni e lampi. Forse è stupido, ma quando piove mi sento libera di lasciar scorrere le lacrime sulle mie guance come le gocce di pioggia scorrono sui tetti delle case e tra i rami degli alberi e per le strade."
"Ogni tanto ti sogno e spesso guardo i capotreni che incontro nella speranza di rivederti, perché fare un viaggio in compagnia tua era un po' come quando viaggio con babbo: era sentirsi a casa anche se casa la stavi lasciando, era non essere sola per quel paio d'ore che mi ci volevano per raggiungere Firenze o Siena. Era bello."
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Anniversario
(di una morte)




“Piove.
Ho sempre amato la pioggia, estiva, invernale, fine e incessante o a scrosci rumorosi, accompagnata da tuoni e lampi.
Forse è stupido, ma quando piove mi sento libera di lasciar scorrere le lacrime sulle mie guance come le gocce di pioggia scorrono sui tetti delle case e tra i rami degli alberi e per le strade.
Ci manchi. Manchi a me e manchi a babbo.
Il primo ricordo che ho di te risalirà a, anno più anno meno, una ventina d'anni fa.
Eri uno degli amici del lavoro di babbo, ma eri anche molto di più.
Eri il buonumore e le risate. Eri una specie di zio, anche se non condividevamo il sangue.
Non mancavi mai di farmi gli auguri di compleanno, e qualcuno potrà dire che è una cosa stupida, perché gli auguri di compleanno li fanno una marea di persone, spesso prive di significato. Ma tu non eri così.
Ricordo i tuoi capelli neri che sono poi diventati brizzolati e poi grigi, ma che non diventeranno mai più bianchi.
Ricordo i tuoi occhi sempre sorridenti, sempre.
Ricordo la tua faccia sporca di olio di motore quando venivo a trovare babbo in officina.
Ricordo le foto fatte a culo nudo quando andavate all'Elba tutti insieme.
Ricordo le foto di quando andavate in montagna, quelle delle migliaia di cene che avete fatto, sempre le stesse facce anche quando i primi di voi iniziarono ad andare in pensione.
Te, babbo, Osso, Dentino, Dita d’acciaio, Maratona…tutti voi, ma te in particolare.
Ricordo quando sia te che babbo avete lasciato l'officina, la Denti di Sega, per diventare capotreni. Mi ricordo la tristezza di lasciare quel posto dove avevate passato tanti anni a vedervi tutti i giorni, a ridere e a faticare, a fare scherzi e ad essere seri.
Mi ricordo quando con l'asilo di Giacomo venimmo a visitare l'officina: ci issavate sulle motrici come fossimo piume, ci spiegavate tutto quello che si poteva spiegare a dei bambini della meccanica dei treni.
Mi ricordo di quando ho iniziato l'università e il treno era diventato la mia seconda casa. Ti trovavo spesso e mi salutavi sorridendo, abbracciandomi, baciandomi e chiedendomi come stessi, come andasse l'università, come mi trovassi a vivere fuori casa. Facevi battute, mi dicevi che con quanto ero intelligente non avrei avuto problemi, che sarei diventata un ottimo medico e mi facevi ridere, tanto, perché avevi una fiducia in me che io non avevo, simile a quella di un genitore. Mi conoscevi da sempre.
Mi ricordo anche quando babbo ci disse che eri malato. Non ci credevo, perché non si pensa mai alle persone a cui vogliamo bene come intaccabili da cose brutte come la malattia.
Però continuavi a sorridere, a pensare positivo, che si sarebbe risolto tutto e io ci credevo.
Non sei stato la prima morte della mia vita e non sarai l'ultima, ne sono cosciente.
Ma vederti dimagrito, portare tutti i segni di quell'orrendo male, i capelli ingrigiti di colpo, la debolezza in ogni gesto, la fatica nel combattere…mi ha fatto un effetto orribile.
Poi c'era stata la ripresa e non mi era passato per la mente che potesse essere qualcosa di effimero, a cui sarebbe seguita una ricaduta. Stavi meglio e quindi per me, che comunque ero già grande, che studiavo e studio queste cose, saresti guarito e avresti continuato a far parte della nostra vita come sempre, con una nuova forza e una nuova speranza. Tutto si sarebbe risolto.
Che idiota eh? E sì che io, che quelle materie le studiavo, avrei dovuto saperlo che c’erano alte probabilità di ricaduta. Ma no, perché io ti amavo come uno zio e non c’era verso di farmi entrare in testa che le cose sarebbero potute andare diversamente da come pensavo.
E infatti la vita, si sa, non va mai come pensiamo. La vita ti colpisce dura e impietosa e così è stato per te.
Ti ha portato via un mercoledì di metà maggio di un anno fa e con te ha portato via anche un pezzettino del mio cuore.
Ogni tanto ti sogno e spesso guardo i capotreni che incontro nella speranza di rivederti, perché fare un viaggio in compagnia tua era un po' come quando viaggio con babbo: era sentirsi a casa anche se casa la stavi lasciando, era non essere sola per quel paio d'ore che mi ci volevano per raggiungere Firenze o Siena. Era bello.
Oggi piove e io scrivo perché mi fa male pensare che non ti rivedrò più nelle foto delle cene di babbo o che non verrai più a casa a mangiare o che non ti incontrerò mai più nei miei viaggi in treno.
Però voglio sorridere e pensare che sei in un posto migliore, perché è quello che spero con tutto il cuore e la cosa che mi impedisce di imprecare e arrabbiarmi e piangere.
Perché andarsene a 50 anni è ingiusto, perché la malattia è ingiusta.
Oggi piove e tu avresti compiuto 52 anni, babbo ha voluto dedicarti una torta di mele, come quella che ti piaceva tanto.
Mi manchi, Laila."

Piove anche oggi che con babbo siamo venuti a trovarti.
La tua foto sul marmo bianco ti ritrae felice e sereno, più giovane, meno mangiato dal male.
Babbo non ce la fa. “Ti aspetto in macchina” mi dice e io annuisco con la testa.
“Gli manchi, sai? Non è più la stessa cosa da quando non ci sei più.” Faccio una pausa, mi guardo un po’ intorno: non c’è nessuno. Tiro fuori la busta dalla tasca della giacca verde militare, quella che ti piaceva tanto vedermi indossare. “La lascio qui.” Sorrido dolcemente e nello scrosciare della pioggia sento l’eco della tua risata sguaiata e allora sorrido un po’ di più. “Spero tu sia in un posto migliore.”

   
 
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