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Autore: Son of Jericho    09/05/2020    3 recensioni
Sequel di "How can I know you, if I don't know myself?"
Sono trascorsi due anni da quando il sipario è calato sullo spettacolo alla Hollywood Arts. La vita per i ragazzi sta andando avanti, tante cose sono cambiate, e sta arrivando per tutti il momento di affrontare responsabilità, problemi e sorprese.
E mentre impareranno cosa significa crescere, si troveranno faccia a faccia con il tormento più profondo: i sentimenti.
Genere: Introspettivo, Romantico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Andre Harris, Beck Oliver, Cat Valentine, Jade West, Tori Vega
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Bade - Cuori tra le fiamme'
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XIX – December 10th


 

La mattina del 10 Dicembre, Freddie entrò a lavoro un paio d’ore dopo.

Si era giustificato con i superiori inventando un leggero malessere, anche se l’impressione che aveva avuto per telefono, era che a nessuno importasse un granché.

La notte quasi del tutto insonne aveva avuto un effetto devastante sul corpo e sulla lucidità della mente, che appariva ancora avvolta in un banco di nebbia.

Ogni gesto, ogni operazione gli comportava il triplo di fatica, per cui la mossa migliore per lui era stata mettersi di fronte allo schermo del suo computer e non staccarcisi più per le successive due ore. Con le palpebre pesanti come bandoni, si era dedicato ad aggiornamenti, sviluppi e report. Tutta roba inutile, ma perlomeno non impegnativa.

A mezzogiorno, poi, abbandonò l’ufficio per uscire per la pausa pranzo. Stava per varcare il portone principale, quando l’abbagliante figura di Sam si interpose tra lui e il parcheggio.

Lo sguardo della bionda era sul punto di perforarlo.

- Stai per caso cercando di evitarmi? – gli domandò a bruciapelo.

Freddie si pietrificò sul posto e, per reazione, alzò un sopracciglio. – Perché dovrei? –

Sam replicò il gesto, sarcastica. – Non lo so, dimmelo tu. –

Il ragazzo si passò nervosamente la mano sulla faccia. – Fai sul serio? Vuoi davvero parlarne qui e adesso? –

- Perché no? – fece spallucce. – Cosa c’è di meglio di una bella chiacchierata davanti a una pizza? –

Freddie continuava a fissarla stranito. Era reale o stava sognando? Sam voleva veramente proseguire quel discorso con lui? E per giunta lo stava invitando fuori a pranzo, solo loro due?

Si chiese perché tutto questo stava accadendo proprio ora. Ma alla fine, accettò e salì in macchina con lei verso la pizzeria più vicina.

- Sono sicura che tu abbia qualcosa da dirmi. – lo provocò, mentre forchetta e coltello si avventavano su una margherita fumante. Adulta, fidanzata o incinta che fosse, la fame di Sam Puckett non sarebbe mai sparita.

Freddie tagliò un trancio della sua capricciosa e gli diede due morsi consecutivi, seguiti da un lungo sorso di birra. Qualunque cosa avesse a disposizione era utile, pur di prendere tempo.

Era in enorme difficoltà persino a guardarla negli occhi. - Cosa te lo fa pensare? –

Sam evitò la contro-domanda, buttò giù il boccone e accennò un sorriso. – Vuoi sapere perché sei stato il primo a cui l’ho detto? Perché ero sicura che avresti reagito così. –

Lui trovò il coraggio di rialzare la testa, ma la sua espressione smarrita non fece altro che divertire ancora di più Sam.

- Bravo, è esattamente di questo che stavo parlando. Puoi mantenere quella faccia da pesce lesso anche tutto il pomeriggio, ma così la tua pizza si fredderà e finirai per rientrare tardi dalla pausa pranzo. –

Freddie cercò allora di ricomporsi. Insomma, che cosa si aspettava? Che facesse finta di niente?

- E quindi… non lo hai ancora detto a nessun altro? –

- Nessuno nessuno. – ripeté.

Gli interrogativi che affollavano la mente del giovane Benson erano molteplici, e banalmente, quello gli sembrò il momento giusto per spararli tutte.

- E’… è di Gabriel, vero? –

- No, è del macellaio dall’altra parte della strada. – gli lanciò un’occhiata storta. – Ma certo che è di Gabriel! –

- Scusa, domanda stupida, ma ero obbligato a farla. Di quanto saresti? –

- Quasi quattro settimane. –

A dire il vero, lei sembrava addirittura avere più voglia di lui, di parlare.

- E come avete… cioè, voglio dire, come… -

Sam scoppiò a ridere fragorosamente. – Mi stupisci sempre di più, Benson! Sul serio tua madre non ti ha mai spiegato come funzionano certe cose? Insomma, sapevo che era una tradizionalista, ma pensavo ti avesse raccontato qualcosa almeno sulle api e sui fiori… -

Freddie la seguì, ridendo imbarazzato e scuotendo il capo.

- Ma se ciò che volevi chiedermi è se era programmato… - proseguì lei. – Allora la risposta è: assolutamente no. –

Lui annuì, serio e comprensivo. – E Gabriel come l’ha presa? –

– Beh, ecco, sai com’è… - Stavolta, fu Sam a comportarsi in maniera evasiva.

Entrambe le sopracciglia di Freddie balzarono in alto. – Non lo hai detto neppure a lui? -

Lei negò con la testa, gettandosi di nuovo sulla pizza.

- Devi farlo. Di certo, prima o poi non potrai più nasconderglielo. Anzi, lui avrebbe dovuto essere il primo. –

- Lo so. –

- E hai già pensato a qualcosa? Voglio dire, cosa farai? –

Sam indugiò, facendo roteare la forchetta tra le dita. – Sinceramente? Non ne ho idea. –

 

*****

 

Gli occhi spenti fissavano lo schermo immobile del portatile.

Un foglio bianco, un mixer disattivato, uno spartito muto. Non importava quante volte cambiasse videata, la mente non riusciva a vagare al di fuori di quelle mura.

Andre si era rifugiato nello studio di registrazione, come un lupo che trova nella solitudine la sua pace.

Inutile insistere con le prove. Cat, qualsiasi cosa le fosse capitata, non sembrava essere in condizione di fare nulla. Meglio lasciarla a casa, piuttosto che assistere al suo ennesimo crollo nervoso. Avrebbe voluto aiutarla, Dio solo sapeva quanto, ma purtroppo non aveva idea di cosa fare.

Ecco, c’era una cosa che avrebbe potuto fare. La sera prima. Chiamare Tori e dirle di andare ad aiutare la sua migliore amica nel momento del bisogno. Ma Tori non c’era, e lì era finito il suo potere.

Non le aveva rivolto nemmeno la parola, quella mattina. L’aveva incrociata in cucina, mentre faceva colazione prima di andare al supermarket. Era volata un’occhiata, una sola, confusa, enigmatica e dolorosa.

L’aria che si respirava non era cambiata. Lui era rimasto lì solo per il tempo di versarsi una tazza di caffè, per poi afferrare lo zaino e uscire.

Silenzio per silenzio, preferiva stare in un posto che non gli facesse venire il mal di testa.

E adesso, galleggiando nel suo disagio, si trovava come di fronte a un muro.

Lo chiamano “blocco creativo”. Quando il cervello vorrebbe fare, sperimentare, e invece si ritrova fermo, incapace di incanalare anche una sola idea diversa dal solito.

Quel videoclip si stava trasformando in un incubo. I tempi si stavano stringendo, e di questo passo, avrebbe presentato appena il titolo e un pezzo di coro.

Per quanto lo riguardava, avrebbe potuto anche chiudersi in quel modo.

Ripensò a quanto si era impegnato, a ciò che aveva scritto, a chi lo aveva dedicato. Ripensò all’opportunità che credeva di aver colto, e di poter condividere con le persone vicine per lui.

Poi risentì la voce di Jade. E una domanda che aveva odiato.

Sicuro di non aver mai desiderato qualcosa di più, dalla tua amicizia con Tori?”

No, non era così, ne era sicuro.

Tutto quello che aveva fatto, tutte le dure parole che aveva usato, era stato solo per lei. Per proteggerla, perché Thomas non la meritava.

Ma era la sua vita, e allora era libera di infischiarsene, di mentire al suo migliore amico e di andare a sbattere la testa contro l’ennesima valutazione sbagliata.

Ed era andato tutto al diavolo.

Andre lanciò un’occhiata alla scrivania. Il telefono continuava a suonare a vuoto, tra i messaggi di Beck e le chiamate di Jade. E ogni tanto, nel mezzo, uno squillo di Tori.

Il ragazzo si adagiò contro il comodo schienale della poltroncina, incrociando le mani dietro la nuca.

Sarebbe uscito di lì quando sarebbe stato pronto.

 

*****

 

- Quindi io sarei il secondo in assoluto a saperlo? – chiese esterrefatto Beck, posando la tazza di caffè sul tavolino.

Freddie allargò le braccia e le lasciò ricadere sul divanetto. – Così pare. –

Il giovane canadese non era tipo da impressionare facilmente, ma stavolta c’era riuscito. – Ma nemmeno… -

- No, nemmeno Gabriel. – abbassò la voce e si sporse verso l’amico. – E preferirei, a questo punto, che il passaparola si fermasse qua. –

Beck scosse ripetutamente il capo e si voltò ad osservare il locale. Il Franklin era piuttosto affollato, quel pomeriggio. Alcuni uomini d’affari, in giacca e cravatta, avevano monopolizzato il bancone con noiose chiacchiere e aperitivi analcolici. Dall’altra parte, una mezza dozzina di studentesse si stava scambiando foto e pettegolezzi tra le risate generali.

- Come vuoi, fratello. –

Freddie annuì. – Grazie comunque per essere rimasto ad ascoltarmi. –

- Figurati. Non ti avrei certo lasciato fuori, sotto l’acqua, alle due di notte. Sembravi messo piuttosto male. –

- Inutile negarlo. E se devo essere sincero, non è che adesso vada molto meglio. –

- Ma sai che, da quando te ne sei andato, non ho più dormito nemmeno io? – disse Beck, riprendendo il caffè. - Avresti dovuto vedermi stamattina, in biblioteca. Sembravo uno zombie affamato di carne umana e copertine di enciclopedie. –

Entrambi scoppiarono a ridere, e ancora una volta, Freddie fu felice di poter condividere questi momenti con qualcuno.

- Ma a parte tutto. – riprese il canadese. – Com’è andato alla fine il pranzo con lei? –

Il giovane Benson mosse un sopracciglio, dubbioso. – Non saprei. Quello che ho capito, è che Sam non ha ancora deciso cosa fare con quel bambino. –

Beck aggrottò la fronte. – Intendi… se tenerlo oppure no? –

- Esatto. –

- Io penso che non dovresti farti di questi problemi. Insomma, ok, sei innamorato pazzo di lei, e certo, ti disturba che lei sia rimasta incinta di un altro che non sei tu. Ma io, fossi in te, mi accontenterei del fatto che è venuta da te, prima ancora che dal suo ragazzo. –

- Mi stai dicendo di lasciar perdere? –

- Diavolo, no, altrimenti non staremmo avendo questa conversazione. Però non è possibile che questa sia l’unica cosa a cui riesci a pensare. Una decisione del genere non è affar tuo. –

- Sam non ne sarebbe in grado. E Gabriel… -

- Gabriel lo conosciamo a malapena. Non puoi saperlo. -

- Sono convinto di sì, invece. –

- Andiamo, adesso stai dando i numeri. La cosa ti ha sconvolto, è chiaro, ma non puoi pretendere di ragionare così su tutto. –

Non era questo, il Freddie Benson che aveva conosciuto a Seattle. Non era mai stato obiettivo quando si trattava di Sam e dei suoi sentimenti per lei, doveva ammetterlo. Ma quella discussione, forse provocata dalla notte insonne e dalla traumatica notizia, sembrava quasi irreale.

In quel momento, Jade fece il suo ingresso al Franklin. Prese qualcosa da mangiare al bancone, poi, nel voltarsi, vide i due amici.

- Ciao, ragazzi. – esordì, andando a sedersi sul divano accanto a Freddie. – Allora, che avete di bello da raccontare? –

I ragazzi si scambiarono un’occhiata interrogativa, non solo per il doversi inventare qualcosa, ma anche per quella strana cordialità. Molto strana, trattandosi di Jade.

- Niente di che, sempre le solite cose. – fece Freddie.

Lei gli batté una pacca sul ginocchio, gesto che lo rese ancora più perplesso. – Sempre qui a non far nulla, voi due, eh? –

Ma quando si voltò verso Beck, quell’espressione affabile mutò sensibilmente. – Tu, per esempio, non dovresti startene in biblioteca? –

Il canadese si sentì colto alla sprovvista. Non seppe spiegarsi il motivo, ma era come se lo sguardo di Jade stesse cercando di forargli il cranio per entrarvi. Aveva già visto quello sguardo, ma ogni volta si preoccupava come fosse la prima.

- Ho staccato un’ora fa. –

- E sei sicuro di non avere altri impegni? –

- Di che parli? –

Il sorriso di Jade, soddisfatto, sembrava volerlo prendere sonoramente in giro. – Che il nostro bel canadese ci sta nascondendo qualcosa! –

Beck sbatté le palpebre confuso. – Non ti seguo. –

- Andiamo, il tuo nuovo passatempo! – quando non ottenne replica, decise di proseguire. – Ti ho visto ieri mattina, con quella biondina. Quando ce la presenti? –

Beck capì dove voleva arrivare, mentre Freddie si portava mestamente una mano alla fronte.

- Hai visto solo una studentessa che aveva problemi con Shakespeare. –

- Shakespeare, eh? – continuava a canzonarlo, ma adesso il ghigno era più minaccioso. – Sempre con i grandi classici, tu. –

- Aveva bisogno di una mano. –

- E tu gliel’hai data, vero? – gli ammiccò. – Le hai dato anche qualcos’altro? –

Il canadese era evidentemente a disagio. – Smettila, non sei divertente. –

- Dici? A me invece pare proprio di sì. – si voltò un secondo anche verso Freddie. – Però, insomma, anche tu dovresti scegliere più attentamente. Sembra quasi tua figlia! –

- Ok, adesso stai proprio esagerando. – si spazientì Beck. – A parte che non è così giovane, ma cosa dovrebbe essere questa, la brutta copia di una scenata di gelosia? –

La ragazza incrociò le braccia e strinse le spalle. - Perché no? –

- Perché stai ficcando il naso negli affari miei. –

- Quindi è di questo che si tratta? Ci sono ancora degli affari nella tua vita che non mi devono riguardare? –

Mentre Beck si adirava, Jade riusciva a mantenere una calma olimpica piuttosto irritante.

- Non hai più il diritto di fare così. –

- Già, forse hai ragione, non ho il diritto di dirti cosa devi fare. – Si alzò e fece due passi verso la porta, per poi girarsi di nuovo verso di lui. – Sei già abbastanza bravo a fare tutto da solo. –

Beck sostenne duramente il suo sguardo. – Ti ricordo che sei stata tu a volere che andasse a finire così. –

Jade scosse la testa e, con un sorriso plastico dipinto in volto, abbandonò il locale.

Freddie richiamò l’amico. – Beck, tutto ok? –

Il canadese abbassò gli occhi sulla tazza di caffè, ormai fredda. – Come no, non hai visto? –

Freddie lasciò scorrere alcuni secondi, prima di ripartire. - Ascolta, so di avertelo già chiesto, ma credo che questo sia il momento giusto per riprovarci. Mi spieghi che diavolo è successo tra te e Jade? –

– C’è un motivo per cui non l’ho ancora fatto, ma non prenderla sul personale. Nessuno del nostro gruppo conosce la storia per intero. Sanno solo quello che io e Jade abbiamo voluto raccontare. Lei, lo sai com’è, tende a non esternare assolutamente nulla. E io… mi sarei trovato in difficoltà per le scelte che ho fatto. - Si lasciò andare a una risata, nervosa e malinconica. – Però, ripensandoci bene, se la gente viene da te a rivelarti che aspetta un bambino, forse è il caso che, prima o poi, anch’io faccia un’eccezione. –

 

*****

 

- Mi spieghi perché le hai detto quelle cose? –

Lo sguardo di Stefan stava incenerendo le lenti degli occhiali del giovane Shapiro.

- Quali? – fece finta di nulla.

- Ci è rimasta molto male, lo sai? –

- Non so a cosa ti stia riferendo. –

- Non serve che cerchi di nasconderti. Kendra mi ha raccontato quello che è successo tra voi. E se devo dirla tutta, non ne sono nemmeno troppo sorpreso. –

Robbie lo fissò impietrito. – Sul serio? –

Stefan sollevò un sopracciglio e sorrise. – Avanti, sbaglio o ero stato io il primo a dirtelo? Evidentemente me ne ero accorto prima di tutti e due. –

– Accorto di cosa? Eravamo ubriachi e ci siamo lasciati prendere dal momento. – rispose contratto.

L’amico scosse il capo. – Robbie, non sei stupido, per cui non comportarti come tale. Avrai finto di non ascoltarmi allora, ma non commettere lo stesso sbaglio anche stavolta. Perché credi che Kendra non si sia più fatta vedere da ieri? –

- Non saprei… - si accigliò. – Sarà stata in imbarazzo. Mi sembrerebbe anche logico, no? –

- L’imbarazzo l’aveva superato già ieri, venendo qui e cercando di parlarti, nonostante sapesse perfettamente cosa stavi passando. Non hai pensato a questo? –

Robbie non replicò. Onestamente no, non lo aveva fatto.

Stefan andò a sedersi accanto a lui. – Ascolta, nonostante tu non ne abbia mai voluto parlare, abbiamo visto chiaramente che c’è qualcosa che ti porti dietro da Los Angeles. Qualcosa che ti segue, che ti fa male, che magari ha pure direttamente a che fare con il tuo trasferimento. Non lo so e, francamente, non lo voglio neanche sapere. Ma se dovessi tirare a indovinare… te ne stai spesso per i fatti tuoi, e vedendo la tua reazione ad un bacio, sono sempre più convinto che abbia a che fare con una ragazza. – studiò gli occhi dell’amico. – Dimmi che mi sto sbagliando. –

Robbie lasciò che fosse l’altro a immaginare la risposta.

Stefan si rialzò e s’incamminò assorto verso la porta.

- Io non voglio fare l’ambasciatore di nessuno. – proseguì, voltandosi di nuovo. – Ma il modo in cui Kendra ti guarda… non lo ritroverai così facilmente. Posso capire che il tuo cuore stia ancora correndo dietro al passato, ma ti assicuro che qui hai trovato altre persone che tengono a te. E Kendra… non credi che sarebbe giusto, per entrambi, darvi una possibilità? –

 

*****

 

- Sapevo che saresti venuta. – Jade fronteggiò l’amica sulla soglia. – A questo punto, però, stavo iniziando a chiedermi quando. –

Tori si rifiutò di raccogliere la provocazione e aggrottò la fronte. - Mi fai entrare? –

- Potremmo anche restare qui. - strinse la presa sullo stipite. – Per quanto mi riguarda, se non fosse per Cat, avrei smesso di aspettarti da un pezzo. –

- Sarebbe stato difficile credere il contrario. So cos’è successo. Fammi entrare, per favore. –

Jade sollevò un sopracciglio con diffidenza, prima di scansarsi e lasciare che Tori accedesse al suo appartamento.

- Ho fatto prima che ho potuto. – disse la giovane Vega, mentre adagiava borsa e soprabito sul divano.

Jade richiuse la porta e, continuando a darle le spalle, scosse lievemente il capo. – Già. –

Tori si voltò di scatto. - Lo giuro. Stamattina avevo il turno al supermarket. –

La mora sorrise. Si leggeva nel tono di entrambe, il senso di superiorità e la presunzione di giudicare l’altra, in qualsiasi momento.

- Vieni con me. – la invitò, attraversando il soggiorno.

- Dov’è Cat? –

- Nello stesso posto da ieri sera. Chiusa in camera sua. –

Jade la guidò in silenzio fino alla stanza di Cat. Ma con un cenno della mano, la fermò prima che potesse bussare. Avvicinò l’orecchio alla porta. Dall’interno proveniva solo qualche rumore sommesso.

Si voltò nuovamente verso Tori, studiandone lo sguardo preoccupato. – Che cosa sai? -

- Poco, in realtà. Andre mi ha soltanto accennato qualcosa al volo. Non aveva molta voglia di parlare. –

Jade annuì. Forse era il caos che si stava creando tra i suoi amici, a tirare fuori quel lato di lei spesso nascosto. – Ascolta, non so neanche se ha smesso di piangere, da ieri notte, o se alla fine è crollata per lo sfinimento. Per un po’ sono rimasta qui fuori, sentivo ogni lacrima che versava e ogni singhiozzo che faceva. Poi, quando ho provato ad entrare per starle più vicina, ho scoperto che aveva chiuso a chiave. Credo non sia più uscita. –

Tori sospirò. Dopotutto, apprezzava ciò che Jade aveva fatto con Cat. – Lascia provare me. –

Posò la mano sulla maniglia e provò a spingere. Niente da fare.

Lanciò una rapida occhiata a Jade, prima di bussare. – Cat? Sono io, Tori. Sono passata per vedere come stai. –

Attese alcuni secondi, ma non ricevette riscontro.

– Che stia dormendo? – chiese sottovoce a Jade.

L’altra scosse il capo. – Improbabile. –

- Cat, per favore. – ci riprovò. – Sono qui per te. Che ne dici di uscire e fare due chiacchiere? –

Aspettò. Ancora niente.

Jade incrociò le braccia e si appoggiò con la schiena contro la parete. Era convinta che avrebbe funzionato.

Tori sospirò, apprensiva. - So che stai passando un periodo difficile, ma… -

- No, tu non sai proprio un bel niente! – eruppe, improvvisamente, la voce di Cat dall’interno.

L’amica sobbalzò sorpresa e mise le mani sulla porta. – Cat, perché non mi spieghi che succede? Rispondimi, ti prego. –

- E tu mi hai risposto, ieri sera? – il tono era squillante, i nervi ancora tesi come corde di violino. – Avevo bisogno di te, e tu non c’eri! –

- Ma sono qui adesso! Avanti, Cat, esci e parla con me. –

Il silenzio calò nuovamente da entrambe le parti. Cat sembrava non avere nessuna intenzione di abbandonare il suo personale rifugio, e tantomeno, di sprecare altro fiato.

Tori premette la fronte contro il legno e chiuse gli occhi. – Che cosa le è preso? –

– Ha a che fare con Robbie. - Lo sguardo impassibile di Jade nascondeva la menzogna. – Vi avevo avvertito di stare attente, ma non mi avete voluto ascoltare. –

L’amica le lanciò un’occhiataccia. – Non mi sembra il momento giusto per giocare a “te l’avevo detto”. -

Jade si schiarì la gola. Non avrebbe infierito, ma in fin dei conti, se l’era cercata.

– Cosa avevi raccontato ad Andre, ieri? –

Tori fu sorpresa da quella domanda, ma scosse il capo. – Lascia perdere. –

Sarebbe stata la prossima cosa a cui pensare. E proprio allora, la voce triste di Cat riemerse dalla stanza.

- Forse è meglio che tu te ne vada. –

Tori si riaccostò alla porta, sperando di aver sentito male. - No! Perché dovrei? Avanti, ci sarà pure un modo per risolvere tutto questo. –

- Lasciatemi sola. – suonava a un passo dal versare l’ennesima lacrima.

– Cat, ti prego… -

– Torna a casa, Tori. -

Mentre la giovane Vega rimaneva immobile e rassegnata, Jade si scostò dal muro. Si rivolse a Cat con modi decisi, forse per ricordarle la sua presenza. – Io torno di là. Se mi cerchi, sai dove trovarmi. –

Prima di tornare in soggiorno, andò a posare una mano sulla spalla di Tori. – A quanto pare, stavolta non sono io a volerti cacciare di casa. -

 

*****

 

Non era la prima volta che litigava con sua moglie, e sicuramente non sarebbe stata l’ultima. Urla e insulti riempivano la stanza, volavano i “non è possibile”, i “non ce la faccio più” e i “ne hai fatta un’altra delle tue”. Qualsiasi fosse il motivo. Ce n’era sempre uno buono per darsi addosso.

Thomas si teneva la testa tra le mani per cercare di attutire la voce stridula della moglie, mentre lei continuava a inveire rinfacciandogli errori presenti o passati. Dopo poco, le parti si invertivano e la situazione si faceva apocalittica.

Nonostante la porta chiusa, le grida non riuscivano ad essere trattenute dalle pareti. Passavano attraverso e inondavano tutta la casa, fino a raggiungere inesorabilmente anche la cameretta di Lisa.

Fin da piccola, quella povera bambina aveva sempre sentito litigare i suoi genitori. Che ricordasse, non era mai passata una settimana intera senza almeno una discussione. Non per lei, non per suo fratello, ma semplicemente perché non tutte le coppie sono fatte per andare d’amore e d’accordo. E crescere in un ambiente che era tutto tranne che felice, non era la cosa più facile del mondo.

Thomas e sua moglie cercavano di non farsi sentire, ma dopo tanto tempo, ormai non importava nemmeno più di tanto. Che le cose non stavano funzionando era lampante. Che stessero tenendo duro solo per le figlie, lo era altrettanto.

L’unico segreto che ancora resisteva in quella casa, era l’infedeltà di Thomas. Impossibile che sua moglie potesse sospettare qualcosa.

Quella sera, Lisa sentì il bisogno di uscire dalla sua stanza. Gli occhi arrossati e pieni di lacrime, di una bambina che non ne poteva più di sentire le persone che amava di più scannarsi a vicenda.

Si chiuse la porta della cameretta alle spalle, lasciando la sorellina stretta tra i peluche, e si avviò barcollando mentre la camera dei genitori. Più si avvicinava, più le loro voci si facevano chiare, distinguibili, arrabbiate. Facevano paura.

E faceva ancora più paura entrare. Ma si fece forza e premette la mano sulla maniglia.

- Basta! – in quell’istante, il grido disperato della bambina spense ogni altro rumore.

Thomas e la moglie si voltarono in gelido silenzio verso di lei, che dalla soglia li stava fissando con occhi lucidi.

Le espressioni furiose avevano lasciato il posto ad uno strano senso di soggezione. Era la prima volta che venivano interrotti dalla figlia. E adesso, non sapevano come comportarsi.

Lisa, invece, non aveva bisogno di pensarci troppo. – Basta, vi prego. – mormorò, in preda ad ancora più lacrime. Il cuore scoppiava nel petto. Sotto lo sguardo attonito dei genitori, tornò di corsa in camera e riprese a piangere sotto le coperte.

Thomas si sedette sul letto e si passò una mano sul viso. Non c’era quasi più traccia della voglia di urlare o di sfogarsi. In mezzo a tutto, questa non se l’aspettava.

Non poteva andare avanti così, non era giusto. Non lo era per nessuno.

 

*****

 

Erano le nove passate, quando Andre rincasò.

Cercando di fare piano, sistemò il giubbotto sull’attaccapanni e posò lo zaino col portatile, prima di chiudere con una mandata la porta d’ingresso.

Si guardò intorno. Le luci erano accese, segnale che, almeno quella sera, non sarebbe stato da solo.

Regnava un silenzio asfissiante.

Andre si avviò lentamente verso la cucina, dove si aspettava di trovare la sua coinquilina.

E infatti, seduta al tavolo con un bicchiere vuoto davanti a sé, Tori era lì ad aspettarlo. Aveva i capelli un po’ in disordine e l’aria appesantita.

- Pensavo che non saresti tornato, stasera. – esordì la ragazza, con tono pacato.

Andre si diresse al frigo. – Ho pur sempre una stanza qui, no? –

Cercava di ostentare indifferenza, mentre sentiva lo sguardo di Tori puntato sulla schiena.

- Hai già cenato? – gli chiese lei, in un tentativo di suonare conciliante. In realtà, non aveva ben chiaro come rivolgersi a lui, cosa inseguire, e nemmeno che tipo di reazione sperare di ottenere.

- Ho mangiato un panino per strada. – rispose inflessibile, afferrando una bottiglietta d’acqua.

Nonostante la distanza, l’amarezza che aveva colorato la sua giornata non si era affievolita. E adesso, per quanto provasse a combattere il suo stesso stato d’animo, non riusciva neppure a guardare negli occhi quella che avrebbe dovuto essere la sua migliore amica.

Sospirò, e in un dejà-vu della sera precedente, continuando a darle le spalle, fece per tornare nella sua stanza. – Sono stanco, vado a dormire. –

Stavolta, Tori trovò la forza di fermarlo. – Aspetta, Andre. –

Non gli avrebbe chiesto dove fosse stato tutto il giorno, o perché si fosse reso irraggiungibile, ma qualcosa andava fatto. Non avrebbe lasciato correre.

- Non possiamo continuare a ignorarci così per sempre. –

Lui si voltò, i loro sguardi finalmente si incrociarono. Non riusciva a mascherare in viso tutta la fatica che stava provando. Stavolta avrebbero tirato fuori tutto quanto.

– Dobbiamo parlare. –

 




 


N.d.A. Un ritorno inaspettato, da me per primo. Ma se c'è ancora qualcuno che ha voglia di leggere e seguire questa storia, ben ritrovati.
Grazie a tutti, di cuore.

S.o.J.

 
   
 
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