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Autore: DanceLikeAnHippogriff    09/05/2020    1 recensioni
Una normalissima gita in mezzo alla natura condurrà quattro studenti universitari in uno strano anfratto di mondo, fin troppo vicini a una realtà che non dovrebbe poter esistere nella nostra dimensione.
Genere: Angst, Comico, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Come tutte le gite che proponeva Rachele, anche quella aveva avuto un piccolo intoppo.

Eppure, la gente continuava a imbarcarsi nelle imprese che proponeva. Non era certo una novità, d’altronde il suo entusiasmo era riuscito a trascinare per ben tre anni di fila il gruppo fino in Val Rosandra, amena località montana poco fuori Trieste, con l’obiettivo di cercare la strada per la famosa quanto mitica cascata che scrosciava a fine valle. Li aveva ammaliati come Cortés con i conquistadores, solo che il loro obiettivo non era la distruzione di intere civiltà bensì raggiungere la fine di un sentiero. Inutile dire che non erano mai riusciti nel loro intento soprattutto perché, come adorava puntualizzare Silvia, non avevano mai seguito un vero e proprio sentiero; amava dirlo di fronte alla biforcazione della strada che sapeva avrebbe portato solo dolori ai suoi piedi, indicando cocciutamente il cartello che segnalava il Sentiero dell’Amicizia, che si snodava ameno tra il boschetto. Chissà come però, probabilmente causa entusiasmo e scelte sbagliate, Rachele riusciva sempre e comunque a trascinarli dalla parte opposta, tra le frasche, facendoli incespicare tra radici sporgenti e sassi aguzzi, guidandoli lungo un sentiero che si apriva palesemente passo dopo passo verso dove voleva lei. Almeno potevano dire di essere diventati un gruppo di abili stambecchi. Chi ci aveva rimesso più di tutti, però, era il povero Matteo, caduto da eroe nell’adempimento del proprio dovere: scalare un infame ghiaione. E va bene, non tutti uscivano entusiasti da una giornata simile, ma ogni brontolio si spegneva nel refrigerio delle pozze, e la nuotata era immancabilmente accompagnata dalle domande di Francesca e Giulia per risolvere le definizioni delle parole crociate estive da cui non si separavano mai.

Dunque, con queste premesse, il trio di amici non fu affatto sorpreso di scoprire che il Castello di Duino, meta della loro gita, era chiuso. Giustamente, Rachele aveva scelto l’unico giorno della settimana in cui l’attrazione non era aperta al pubblico: il giovedì.

Gabriele fece spallucce, dicendo che non importava poi così tanto, e si avviò lungo la stradina per scovare soggetti ignari per la sua mefistofelica macchinetta. Federica, stoica, non batté ciglio di fronte al portone chiuso e disse che in fondo era una bellissima giornata e non aveva senso abbattersi per un piccolo incidente di percorso. Vedi: motivo principale della loro gita per il quale avevano passato due ore in un autobus di linea. Già, perché il viaggio, che a detta dell’organizzatrice sarebbe dovuto durare mezzora, si era rivelato due ore tonde ed erano arrivati

Antonia e Federica proruppero in un ululato di gioia alzando le braccia al cielo: “Esplorazioneeee!”

Detto questo, si affrettarono dietro a Gabriele, che aveva l’adorabile tendenza di sparire nei luoghi più impensati. Nonostante tutto, Federica aveva ragione: la giornata era stupenda e non aveva senso rimanere inchiodati davanti a un portone chiuso. Inoltre, era uno degli ultimi giorni di un periodo che uno studente della SSLMIT aspetta tutto l’anno. No, non la fine della sessione, non questa volta; parliamo delle due settimane di sessione straordinaria a febbraio! Quindi, non potevano né dovevano sprecare neanche un minuto del prezioso sole che baciava loro la pelle.

L’esplorazione del borgo non durò molto. Si infilarono in tutti gli angoli in cui era possibile infrattarsi, esplorarono tutte le Slepa Ulica[1] che poterono trovare e fecero foto perfino ai cartelli per combattere la noia. Alla fine, però, dovettero cedere all’evidenza: nonostante il loro entusiasmo smodato, quelle quattro case in croce non erano il massimo del divertimento. Quindi, si avviarono lungo la strada principale, cercando spunti per una nuova avventura.

Quando ormai iniziava a serpeggiare a ogni passo la sensazione che forse avrebbero dovuto cercare un autobus per tornare in città con la coda tra le gambe, Gabriele si defilò su per una stradina, seguendo il richiamo della natura.

“Ma per di qua c’è il Rilke!” Esclamò, sparendo dietro i cespugli. “Ormai siamo qui, dai, tanto vale…!”

In effetti, non aveva torto. Da quello che ricordavano – e dopo una veloce ricerca su Google – il percorso non era neanche così lungo, poco meno di due chilometri, e sembrava l’alternativa perfetta per far combaciare una gita fuori porta in mezzo alla natura con un orario di rientro in città tutto sommato accettabile, lasciando spazio anche ad altri piani per la serata. Arrivati all’inizio del sentiero, la vista che si presentò loro davanti fu spettacolare: il sentiero si snodava lungo una scogliera a strapiombo sul mare che, illuminato dal sole, restituiva una sfumatura blu intenso, confondendosi con il cielo all’orizzonte. Non c’era neanche una nuvola e le fronde degli alberi si muovevano carezzati da una brezza gentile, refoli di vento che si intervallavano al piacevole tepore di quella bella giornata di febbraio. Il sentiero non era neanche così affollato, quindi avrebbero potuto godersi la passeggiata in santa pace.

“Dobbiamo immortalare il momento, facciamoci una fóto!” Propose Gabriele, stringendosi addosso alle altre vicino al parapetto che dava sul mare, e sollevò la macchinetta, pronto a colpire.

“Guarda che secondo me non viene mica bene così.” Borbottò Federica, schiacciata tra Gabriele e Antonia. “Sei tutto storto.”

“Poi vediamo, intanto falla.” Propose Rachele, già in posa con un sorriso a trentadue denti.

“Ma non gli verrà bene comunque!” Ribatté Fedo, allungando il collo per cercare di mettersi nella stessa inclinazione della macchinetta.

“Gaaaab, muoviti che il sole mi acceca!” Gemette Antonia, con un sorriso tiratissimo e gli occhi seccati dal sole.

“Ma Fedo dice che viene male…! Uffa.” Abbassò la macchinetta, guardandosi intorno, e il suo sguardo si illuminò quando notò un arbusto contorto che cresceva lì vicino. “Ferme lì!” Intimò, armeggiando con l’apparecchio per posizionarlo in perfetto equilibrio in modo che li prendesse tutti e quattro.

“Se ti cade, rido.” Disse Rachele, in tono piatto.

“Correrò il rischio.” Premette il bottone per far partire l’autoscatto e sfrecciò di nuovo in mezzo a loro. “Sorridete!” Le strinse a sé in un abbraccio, e rimasero lì, fermi, di fronte alla macchinetta, sorridendo come dei polli fino a quando la macchinetta non fece lo scatto. Una coppia di vecchietti passò lì vicino con i loro bastoni da camminata nordica, guardandoli perplessi.

Gab trotterellò fino alla macchinetta, guardando soddisfatto il suo ultimo scatto. “Ne ho fatte più di una, poi giuro che le carico su Facebook…!”

“Gna, non so quanto ci tengo…” Ridacchiò Fedo, probabilmente ripensando alle mille e passa foto che l’amico aveva caricato, ognuna che racchiudeva un prezioso momento imbarazzante di ogni persona del gruppo. “Intanto direi di incamminarci, che ne dite?”

Di comune accordo, il gruppo si avviò lungo il sentiero, fermandosi di tanto in tanto per scattare foto stupide, ammirare il paesaggio e scalare con sprezzo del pericolo le guglie appuntite che, al minimo passo falso, avrebbero potuto farli precipitare verso la loro morte. Ma nessuno di loro ci badò e continuarono a saltellare come dei capretti lungo il sentiero e fuori, fregandosene dei cartelli di avvertimento. Poi, complice il fatto che non ci fosse nessuno nei paraggi, si fermarono a metà percorso, dopo neanche un’ora di camminata, e tirarono fuori il loro pranzo al sacco, divorandolo con gusto e concedendosi una meritata sosta per spalmarsi su quelle rocce scaldate dal sole, perdendosi nel baluginio delle onde.

“Ma secondo voi quello laggiù è il faro?” Indicò Fedo, sporgendosi dal sasso che si era scelta come trespolo.

“Ed è stra lontano!” Strizzò gli occhi Rach, schermandosi la vista con la mano.

“Beh, ci siamo fatti due ore di autobus, dopotutto, mi stupirebbe se fosse più vicino, no?” Sogghignò Gab.

Rach si limitò a sbuffare, ma le sue parole non le cancellarono il sorriso dalle labbra. Avevano ancora un sacco di tempo e un sentiero da esplorare, dopotutto. Si rimisero in marcia, zaini in spalla, un po’ di malavoglia per aver abbandonato il tepore del sole ed essersi rituffati all’intero della rada boscaglia.

Gabriele si esibì nella sua migliore imitazione di una capra di montagna, scalando un’altura a quattro zampe con una velocità sorprendente, e Antonia dimostrò una volta per tutte che era fatta di gomma riuscendo a passare tra i pali orizzontali della staccionata che separava il sentiero dallo strapiombo sul mare. Gab decise di rispondere alla sfida implicita e iniziò ad attorcigliarsi sugli alberi dando il meglio di sé come contorsionista con Fedo che documentava il tutto con l’immancabile macchinetta.

Tra soste, foto e cazzate varie, completarono il sentiero in un’ora e mezza invece che nei canonici quarantacinque minuti che millantava la guida su Google, ritrovandosi comunque con un intero pomeriggio da occupare davanti a loro: erano arrivati a Sistiana intorno alle 15:00.

Gironzolarono svogliatamente per i dintorni, scendendo fino alla zona del porto, e poi ritornarono in quota raggiungendo la strada principale. Rachele tirò fuori il telefono per controllare la loro posizione, cercando di raccapezzarsi con le fermate e gli orari degli autobus. Avrebbero potuto tornare a Trieste e decidere sul da farsi per la serata nel mentre, magari avrebbero potuto passarla tutti insieme e mangiare qualcosa di buono, unendo il tutto a un bel film spaparanzati sul divano. Si prese un momento per ammirare il paesaggio prima di proporre agli amici la lista di orari che aveva trovato, quando lo sguardo le cadde su una rientranza nella costa, come se qualcuno avesse scavato dei gradoni nella roccia per creare un enorme anfiteatro aperto sul mare. Aguzzò la vista, e notò tutta una serie di costruzioni a cubo bianche che, a primo acchito, pensava dovessero ricordarle qualcosa perché le sembrava di averle già viste da qualche parte…

“Ragazzi!” Esclamò. I tre si girarono, interrompendo il loro chiacchiericcio. “Quello laggiù è Portopiccolo! Mio padre ci è stato, mi ha detto che è davvero bello come posto! Dato che abbiamo ancora un po’ di orette davanti che ne direste di andare a guardare il tramonto da lì? Poi prendiamo un autobus e torniamo in città per la cena!” Rivolse loro un sorriso a trentadue denti. “Non penso che ci voglia neanche troppo a raggiungerlo a piedi, che ne dite?”

I tre si scambiarono uno sguardo che la ragazza non seppe decifrare. Antonia si limitò a scrollare le spalle ed emettere un “Meh” di rassegnazione: poteva valere come un “sì”.

“Non è che poi ci mettiamo due ore come con l’autobus?” Azzardò Fedo, inarcando un sopracciglio.

“Possiamo vedere dove sono le fermate e poi decidere per strada, magari, ma non penso che ci si metta più di una mezzoretta.” Fedo assottigliò lo sguardo. “Mezzoretta abbondante.” Aggiunse Rach, esitando appena. Fedo inclinò leggermente la testa, guardandola severa. “Okay, forse un’ora? Possiamo guardare GMaps, però…!” Borbottò lei, sconfitta. “E Anto ha detto che va bene.” La indicò, cercando di trascinare dalla sua parte l’amica, che alzò le mani guardandosi intorno con gli occhi sgranati, fingendo di non saperne niente.

“Se ci mettiamo un tempo decente allora a me va bene.” Rispose Fedo lentamente, tenendo ancora gli occhi socchiusi per il sospetto.

“Che bello, passiamo tutto San Valentino insieme! Yeeeeh!” Disse Gab, imitando lo scoppio di fuochi d’artificio con le mani. Tre paia di occhi lo fissarono sgranati e il ragazzo venne investito da un coro di: “Oggi è San Valentino?!”. Gab sbatté le palpebre, confuso. “Oggi è il 14 febbraio, no? Pensavo che lo sapeste. Infatti ero felicissimo che voleste passare una giornata fuori tutti insieme. Non che a me interessi della festa in sé, ma mi sembrava bello passare la giornata con qualcuno tanto per cambiare.”

“Ti giuro che non ci avevo neanche pensato.” Disse Anto. “E a questo punto, dopo la passeggiata, possiamo anche decidere di cenare insieme, no?” Lanciò un’occhiata a Rach, che era raggiante per le parole ‘dopo la passeggiata’. “E sì, sto dando per scontato che arriveremo a Portopiccolo. Insomma, guardatela.”

“Ti stai lasciando corrompere, Anto, non cedere…!” Sussurrò Fedo con fare cospiratorio. “Lei è il male!”

“E se ti dicessi che per cena potremmo avere...?” Si intromise Rach, dondolando le sopracciglia con fare ammiccante.

“INDIANO?” Dissero Anto e Rach all’unisono, con un sorriso da un orecchio all’altro.

“Siete proprio inquietanti quando fate così.” Disse Gab, facendo una smorfia inorridita. “Però ci sto.”

“Orrore a parte, a me l’indiano va un sacco! Sono curiosa di provarlo, basta che ci siano alternative vegetariane…!” Disse Fedo, pensierosa.

“Oddio, Fedo, non ti preoccupare, ci sono i samosa…” La rassicurò Anto con aria sognante. “E, in ogni caso, ci sono un sacco di opzioni vegetariane, quindi vai tranquilla.”

“Gna, allora va bene.” Disse lei con un sorriso beato, alzando leggermente le spalle. “A questo punto, direi di andare a vedere com’è questo posto, no?”

“Se proprio dobbiamo…” Gab le rivolse un’occhiata seccata per niente convincente.

E quindi, come ogni buona gita proposta da Rachele, il quartetto sbagliò strada per colpa del navigatore, dovendo camminare pericolosamente vicino al ciglio della strada per un bel pezzo ritornando sui loro passi. Si fermarono davanti al bivio galeotto, leggermente spaesati. La strada che avrebbero dovuto prendere – più stretta di quella principale – scendeva ripida giù per la costa, addentrandosi nel bel mezzo di un bosco. Almeno era asfaltata, indice che sicuramente veniva usata ogni tanto, ma era altrettanto vero che era chiusa da una sbarra. Decisero all’unanimità che si trattava di un ostacolo facilmente aggirabile e si avviarono lungo la stradina scavalcando la sbarra, scendendo sempre più verso il mare mentre i raggi del sole venivano inghiottiti dalle fronde.

Si erano ormai fatte le 16:00 inoltrate.

Il boschetto sembrò attutire il traffico della strada, lasciando che l’unico rumore ad accompagnare i loro passi fosse lo scricchiolio degli aghi di pino e il rimbalzo delle pigne che Gabriele si dilettava a calciare, osservandole mentre rotolavano all’impazzata giù per la discesa. Fedo si mise a canticchiare canzoni di Battiato e Rach si unì a lei, dando vita a un piccolo coretto spensierato che riecheggiava nel nulla di quel posto. Anto continuava a tenere gli occhi sulla strada che, a mano a mano, si faceva sempre più stretta.

Ad un certo punto della discesa, il pendio si aprì su un largo spiazzo costellato da albero radi e puntellato qua e là da bidoni di ferro e piccole capanne tirate su alla buona. Sembrava stranamente vuoto nonostante i chiari segni di attività. Il carbone all’intero dei bidoni sembrava recente e, nonostante non fosse un residence a cinque stelle, sicuramente gli oggetti personali di chiunque dormisse lì non avevano l’aspetto di essere stati trascurati. Sporchi sì, ma non abbandonati. Lì vicino c’era addirittura una sorta di chiesetta.

Mossero qualche passo nella radura, quasi all’erta, e si misero a esplorare un po’ i dintorni, mossi dalla curiosità.

“Sembra un accampamento di barboni.” Notò Gabriele, occhieggiando i dintorni come per assicurarsi che non ci fosse nessuno pronto ad assalirli per aver sconfinato in territorio proibito.

“A me sembra più un rifugio post-apocalittico.” Disse Anto, guardandosi in giro. “Se ti concentri abbastanza,” continuò, schermandosi le mani dal sole improvviso che li aveva colti uscendo dal riparo degli alberi, “puoi vedere un’orda di zombie che si trascina verso di noi da quei cespugli. È l’ambientazione perfetta!”

“Cervelliiii!” Ululò Fedo, alzando le braccia al cielo e accogliendo gli ultimi raggi di sole, rivolta verso il mare.

“Uhm, reghi, sono quasi le 17:30… Se vogliamo vedere il tramonto dobbiamo sbrigarci e non siamo neanche arrivati al mare…! Rischiamo di perdercelo!” Borbottò Rach, controllando l’ora sul telefono. Ci avevano decisamente messo più del previsto, la strada su GMaps sembrava più corta. Non era una novità. Inoltre, ora che il sole stava per calare, la temperatura non era più così piacevole come quella mattina.

Si avviarono di nuovo lungo la strada, a passo svelto, e non avrebbero saputo dire in seguito se fosse per la paura di perdersi lo spettacolo del sole che si spegneva nel mare o se per una strana sensazione, un certo formicolio alla base della nuca, una tensione alla base della schiena, che faceva muovere le loro gambe più veloci, come a volerli allontanare da quel posto stranamente vuoto.

 

[1] Strada a fondo cieco in sloveno.

  
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