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Autore: adamantina    11/05/2020    3 recensioni
Cominciò tutto una mattina qualunque, quando Sam, nel mezzo di una colazione come mille altre in un diner di Pine Grove, Louisiana, chiese:
«Allora, com’è andata con quella cameriera bionda? Sei rientrato tardi stanotte.»
Nella sua testa, aveva già in mente la risposta del fratello, qualcosa sulla falsariga di Mi ha fatto salire a casa sua e le ho fatto dimenticare persino come si chiamava, o in alternativa, Mi stai rinfacciando gli orari a cui torno la sera come se fossi mia moglie, Sam, fatti una vita.
«Non è successo niente. Mi ha proposto di farci una sveltina in bagno, ma non ne avevo voglia. Sono andato a fare un giro in macchina da solo per farti pensare che ero con lei.»
Sam sollevò gli occhi dal suo piatto di uova e fissò il fratello, apparentemente intento a dissezionare una fetta di bacon. Per diversi secondi regnò il silenzio. Poi Dean sembrò rendersi conto di quello che aveva appena detto e impallidì.
«Cazzo,» disse. «Fottutissime streghe.»
(Storia partecipante al Contest "Tarocchi Narranti" indetto da _Vintage_ sul forum di EFP)
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Dean Winchester, John Winchester, Sam Winchester
Note: nessuna | Avvertimenti: Incest | Contesto: Prima stagione
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CAPITOLO 1

 

Cominciò tutto una mattina qualunque, quando Sam, nel mezzo di una colazione come mille altre in un diner di Pine Grove, Louisiana, chiese:

«Allora, com’è andata con quella cameriera bionda? Sei rientrato tardi stanotte.»

Nella sua testa, aveva già in mente la risposta del fratello, qualcosa sulla falsariga di Mi ha fatto salire a casa sua e le ho fatto dimenticare persino come si chiamava, o in alternativa, Mi stai rinfacciando gli orari a cui torno la sera come se fossi mia moglie, Sam, fatti una vita.

«Non è successo niente. Mi ha proposto di farci una sveltina in bagno, ma non ne avevo voglia. Sono andato a fare un giro in macchina da solo per farti pensare che ero con lei.»

Sam sollevò gli occhi dal suo piatto di uova e fissò il fratello, apparentemente intento a dissezionare una fetta di bacon. Per diversi secondi regnò il silenzio. Poi Dean sembrò rendersi conto di quello che aveva appena detto e impallidì.

«Cazzo,» disse. «Fottutissime streghe.»

 

In realtà, era abbastanza facile fare due più due e capire cosa fosse successo. Il pomeriggio del giorno precedente, i Winchester avevano concluso una caccia piuttosto complessa che aveva incluso due insegnanti delle superiori con diversi arti rotti, un giornalaio con un naso che sanguinava ininterrottamente da una settimana, una famiglia il cui figlioletto di un anno aveva improvvisamente perso la capacità di emettere suoni, e un consigliere comunale la cui casa era semplicemente scomparsa nel nulla da un giorno all’altro, lasciando il terreno deserto.

Si erano imbattuti in quella caccia per caso, mentre si riprendevano da quella precedente, ben più sanguinosa, e avevano impiegato parecchi giorni per ricollegare tutti quegli avvenimenti bizzarri a un elemento comune, una gentile signora che aveva ricevuto degli sgarri più o meno gravi da tutti i protagonisti della vicenda.

Sam e Dean avevano suonato il campanello di Agnes Bayes, una strega sulla sessantina, e le avevano dato una strigliata, facendole presente che l’avrebbero tenuta d’occhio e che al primo segnale di attività sospette in quell’area avrebbe ricevuto qualcosa di ben peggiore di una ramanzina. Agnes si era scusata profusamente, aveva raccontato in grande dettaglio gli sgarri dei suoi compaesani (che variavano da un clacson suonato senza motivo a vicini troppo rumorosi), aveva promesso di far tornare tutto alla normalità e li aveva congedati con un ringraziamento “per il servizio che svolgevano per la loro comunità”.

Evidentemente, però, si era premurata di lasciar loro un piccolo regalo d’addio.

«Qual è la tua marca di auto preferita?»

«…Chevrolet?»

«Ok, evidentemente funziona soltanto su di me,» sbuffò Dean.

«Devi ammettere che sei stato decisamente poco gentile con lei.»

«Dovevamo convincerla a smettere di maledire le persone, Sam, non a offrirci una tazza di tè.»

«Sì, infatti vedo com’è stata efficace la tua strategia del poliziotto cattivo.»

«Vaffanculo.»

«Propongo di andare a trovare Agnes prima che tu riveli accidentalmente la tua cantante preferita.»

«Madonna. Sam

 

Dieci minuti dopo, l’Impala era parcheggiata davanti a una casa completamente vuota, con un cartello ben in vista che proclamava “vendesi”.

«Merda.»

Dean reclinò la testa contro il sedile dell’Impala, stancamente.

«E adesso come la rintracciamo?» sbuffò Sam. «Avrà preso tutte le precauzioni per evitare di essere trovata.»

«Sam,» disse Dean, e il suo tono era molto più serio del solito, al punto che il fratello si voltò per guardarlo negli occhi. «Devi promettermi che non userai questa cosa contro di me.»

Sam batté le palpebre, confuso dall’improvviso cambio di tono della conversazione.

«Cosa?»

Dean scosse la testa e prese fiato, evidentemente infastidito dal dover approfondire l’argomento.

«Non voglio che questa storia della verità diventi la scusa per parlare delle nostre emozioni o altra merda del genere. Ti conosco e non ho intenzione di stare al gioco.»

Sam rifletté per un momento su quell’affermazione, ma alla fine concesse:

«Va bene. Promesso.»

 

Tornati nella stanza del motel che era attualmente la loro dimora, Sam si piazzò alla scrivania con il suo portatile, mentre Dean accese la TV a basso volume, sintonizzata su un vecchio film di Jackie Chan.

Sam si sforzò di rimanere concentrato sulla ricerca, ma non poté evitare che la sua mente vagasse su ciò che era appena successo e sulle possibili ripercussioni. Senza contare che la richiesta di Dean di non approfittare della situazione, per quanto sensata, aveva smosso la sua curiosità. Cosa aveva da nascondere?

Sam non si era ancora del tutto abituato alla presenza del fratello, che per quattro anni era stato mediamente a centinaia di miglia di distanza da lui. A Stanford, Dean era passato dall’essere una delle uniche due costanti della sua vita ad essere una figura del suo passato, onnipresente nei suoi ricordi ma totalmente assente dalla sua vita quotidiana.

Finché, sei mesi prima, era ricomparso. Sam aveva visto la sua fidanzata prendere fuoco sul soffitto della loro camera da letto, e Dean gli aveva impedito per un soffio di fare la stessa fine.

Durante i primi giorni di apatia totale, Dean lo aveva guidato con delicatezza ma fermamente, trascinandolo in un motel, assicurandosi che mangiasse, che parlasse al telefono con i genitori di Jess, che si facesse una doccia, che comprasse dei vestiti per il funerale (“Non è colpa mia se sei un gigante, altrimenti ti avrei anche prestato uno dei miei completi da agente federale, ma non ne ho di taglia Yeti”). Poi era giunta la fase della rabbia, e Dean aveva fatto da punching-ball, prendendosi tutte le urla del caso, e a volte anche i pugni. Passato anche quello stadio, Sam sentiva di essere quasi tornato a uno stato emotivo stabile, eccezion fatta per il tumulto di sensazioni contrastanti che ancora provava quando pensava a Dean, tornato ad essere l’unico punto fermo nella sua vita disastrosa, quasi come se quei quattro anni di distanza non fossero serviti a niente.

«Penso di aver trovato un incantesimo per rintracciare Agnes,» annunciò Sam, distratto dalle proprie riflessioni da un sito web particolarmente promettente.

«Sento che c’è un però

«Gli ingredienti non sono difficili da recuperare, ma dobbiamo aspettare la prossima luna piena.»

«Che è?»

«Fra diciotto giorni.»

Dean imprecò e spense la televisione con un gesto nervoso.

«E cosa dovremmo fare per diciotto giorni in questo buco dimenticato da Dio?» chiese, acido.

«Non lo so, Dean, ma non possiamo allontanarci troppo. L’incantesimo deve essere fatto in un luogo in cui è stata la persona che vogliamo trovare.»

«Merda.»

Sam sollevò le spalle, sconfitto, e chiuse il portatile.

«Penso che andrò a correre,» annunciò.

 

Diciotto giorni potevano non essere così tanti, ma a Sam sembravano infiniti. Non avere nulla da fare lo rendeva nervoso e gli dava decisamente troppo tempo per pensare. Il più frequente di questi pensieri era perché diavolo Dean fosse così insopportabile. Nel giro di ventiquattr’ore aveva già ripulito e ricaricato ogni singola arma dell’arsenale contenuto nel bagagliaio dell’Impala, aggiornato il diario del padre con i dettagli delle ultime cacce, corso per un’ora e mezza ed esplorato l’intero paese (non che ci fosse molto da vedere).

All’ennesimo sospiro rumoroso che giungeva dall’altro lato della stanza, Sam perse la pazienza.

«Dean, cosa c’è che non va? Sei ancora più fastidioso del solito.»

«Questa storia dell’incantesimo mi rende nervoso,» rispose lui.

Sam fece in tempo a sorprendersi per la risposta sincera e la mancanza di sarcasmo prima di realizzare di essere stato lui stesso a porre una domanda a cui Dean aveva dovuto rispondere con sincerità. Trattenne a stento un perché?, ma solo per lo sguardo assassino che gli lanciò il fratello.

«Alleniamoci,» propose, per alleviare la tensione e trovarvi un possibile sfogo.

«Finalmente un’idea intelligente, Sammy,» approvò Dean, saltando in piedi.

Pochi minuti dopo erano all’esterno, nel parcheggio del motel, deserto nell’aria tiepida del primo pomeriggio. Mentre saltellava sul posto per scaldarsi, Sam studiò furtivamente il fratello, che era certo stesse facendo lo stesso. Indossava soltanto un paio di pantaloni della tuta, ampi e morbidi, bassi sui fianchi, e Sam non poté evitare di notare quanto Dean fosse cambiato dall’ultima volta che avevano combattuto così, in pieno giorno, al solo scopo di tenersi allenati. Sulla sua figura non c’era un filo di grasso, ma muscoli tesi e pronti a scattare. Sul petto e sull’addome, una serie di cicatrici che Sam conosceva a memoria (molte di esse le aveva ricucite lui stesso, essendo stato proclamato da tempo miglior infermiere fra i tre Winchester) erano adesso accompagnate da altre, non familiari, alcune storte, forse chiuse da Dean stesso nelle occasioni in cui aveva cacciato da solo. Sam sentì lo stomaco stringersi spiacevolmente al solo pensiero.

«Se hai finito di ammirare lo spettacolo, magari diamoci una mossa prima che faccia notte,» disse seccamente Dean, distogliendo la sua attenzione.

Sam sentì il sangue scaldargli le guance e decise di evitare ulteriori indugi avvicinandosi a Dean e sferrando il primo pugno. Lo fece quasi senza pensare, d’istinto, e Dean lo schivò con una facilità che sarebbe stata quasi imbarazzante se Sam non avesse avuto la scusante di essere fuori allenamento.

Ben presto, ritrovarono il ritmo che era loro familiare quanto respirare. Le loro tattiche erano simili: dopotutto entrambi avevano imparato da John Winchester. Tuttavia, nel tempo avevano perfezionato le loro strategie. Sam conosceva a memoria quelle di Dean: cercare di attirare l’avversario il più vicino possibile, prima di tutto, perché se a distanza era pericoloso, nel corpo a corpo Dean era letale. Le tecniche che usava più frequentemente derivavano per la maggior parte dal Muay Thai, e Sam sapeva perfettamente che mettersi nella traiettoria di una sua ginocchiata o gomitata sarebbe stata la mossa peggiore possibile. D’altra parte, sapeva anche che Dean tendeva a favorire il lato destro; che il suo ginocchio sinistro era sempre stato più vulnerabile dopo che se l’era rotto in una caccia quando aveva diciassette anni; e che il suo punto debole più grande di tutti era Sam stesso.

Sam incassò una gomitata ben piazzata nello stomaco e si lasciò sfuggire un umph soffocato. Dean esitò per una frazione di secondo prima di infliggergli il colpo successivo (come volevasi dimostrare), e Sam colse l’occasione per trovare la sua guardia abbassata e fare leva sulla sua gamba sinistra per gettarlo a terra. Dean cercò in tutti i modi di evitarlo, perché sapeva perfettamente che, se lui era letale nel corpo a corpo, Sam lo diventava quando riusciva a portare l’avversario sul pavimento.

Rotolarono insieme sull’asfalto per un po’, entrambi cercando di dominare la situazione. Sam notò immediatamente una cosa che fino a quel momento non aveva realizzato: rispetto all’ultima volta in cui si erano trovati in quella posizione, lui aveva guadagnato diversi centimetri di altezza e anche parecchi muscoli. Nel giro di un paio di minuti, Sam riuscì a sfruttare questo vantaggio per bloccare il fratello sotto di sé, tutto il proprio peso sulle sue gambe e le mani che inchiodavano con forza i polsi di Dean all’asfalto. Dean si divincolò per un po’, ma senza risultati.

«Da quando sei diventato un fottuto gigante, Sammy?» chiese, senza fiato.

Sam si prese ancora un minuto per godere della propria vittoria. C’era qualcosa, nell’avere il fratello completamente sotto il proprio controllo, che gli causava una scarica di adrenalina a cui non era abituato. Le ultime volte in cui si erano scontrati, Sam era molto più mingherlino, e aveva da poco raggiunto Dean in altezza, dopo anni passati a guardarlo dal basso verso l’alto; adesso la situazione si era ribaltata a suo favore.

«Sei solo arrabbiato perché sai che non riuscirai più a battermi,» disse allegramente, sistemandosi meglio sul fratello per impedirgli di sfuggire alla propria presa.

Impiegò un attimo per rendersi conto che Dean si era completamente immobilizzato.

«Ehi, cosa…» cominciò, e vide il panico salire negli occhi del fratello, che si divincolò con tale forza da cogliere Sam di sorpresa e fargli lasciare la presa, finendo col sedere sull’asfalto.

Dean schizzò in piedi e fece tre passi indietro, riprendendo fiato. Sam lo guardò, confuso.

«Cosa–» riprovò.

«Non. Chiedere,» intimò Dean, il tono così perentorio che Sam chiuse subito la bocca.

Si voltò e si avviò velocemente verso la loro camera. Sam scosse la testa senza capire e si rialzò lentamente prima di seguirlo, lasciandogli un po’ di tempo per sbollire.

Quando rientrò nella stanza, Dean non c’era più. Il panico iniziò subito a salirgli in gola, ma dopo un momento vide il biglietto che gli aveva lasciato sul tavolo (Sono andato a bere qualcosa. Non sclerare. –D) e si tranquillizzò.

Certo, andare a bere qualcosa alle tre di pomeriggio non era un comportamento ammirevole, ma se non altro Dean non era scappato per il resto di quei diciassette giorni che ancora mancavano al termine della maledizione.

 

Quattro giorni passati, due settimane mancanti, e Sam stava impazzendo, chiuso in camera tutto il giorno. Dean si era rifiutato di allenarsi di nuovo, impedendo a Sam di provare anche solo a domandargliene la ragione, e dopo un po’ Sam aveva smesso di insistere.

Aveva, invece, ripreso l’abitudine di andare a correre che aveva mantenuto per tutti gli anni del college; il ritmo della musica nelle cuffie e quello del suo cuore che batteva rapido avevano l’effetto di calmarlo e di distrarlo dalla situazione corrente.

Gli incidenti non erano stati frequenti, ma qualche inciampo c’era stato: una mattina Sam, ancora mezzo addormentato, aveva chiesto a Dean dormito bene? E si era sentito rispondere No, non ho chiuso occhio fino a un’ora fa. Dean gli aveva lanciato un’occhiata stizzita ed era uscito sbattendo la porta.

Senza contare i tre diversi Come stai e Come va che Sam si era fatto sfuggire. Stava iniziando a capire perché Dean sembrava avere i nervi a fior di pelle.

Quando rientrò dalla sua corsa, sudato, trovò il fratello al telefono con qualcuno.

«Mm-hmm. E poi cos’è successo?»

Sam gli lanciò un’occhiata interrogativa, ma Dean si limitò a stringersi nelle spalle.

«Sì, ok, mi sembra il mio tipo di situazione. Ripetimi l’indirizzo… ok. Posso essere lì fra tre o quattro ore. Ok. A dopo.»

«Che succede?» domandò subito Sam, ricordandosi di nuovo in ritardo della maledizione.

Dean gli lanciò un tipo di occhiataccia che ormai gli era familiare e che comunicava chiaramente Davvero, Sam? Di nuovo?

«Mi hanno contattato per una caccia. Un tizio che conosco. È a poche ore da qua.»

«Oh, ok. Partiamo subito?»

«No… no, Sam, vado da solo. Tu non vieni. E non provare a chiedermi perché,» lo interruppe prima che potesse protestare. «È così e basta.»

«Non ti lascio andare da solo,» dichiarò Sam.

«Si dà il caso che me la sia cavata egregiamente a cacciare da solo fino a poco fa, Sam,» disse bruscamente Dean. «Non voglio che tu venga e la questione è chiusa.»

Sam cercò un modo per obiettare che non includesse costringere Dean a dirgli la verità tramite l’incantesimo, ma mentre ragionava, il fratello aveva già afferrato il borsone e le chiavi dell’Impala.

«Ci vediamo presto. Se hai bisogno chiama.»

E gli chiuse la porta in faccia. Sam sbatté con rabbia il pugno sul tavolo, sentendo il motore dell’Impala che prendeva vita e si allontanava in fretta.

Al ritorno del fratello, decise, se ne sarebbe fregato della sua sensibilità delicata e avrebbe preteso delle risposte, maledizione o meno.

 

«Non chiedere,» furono, ovviamente, le prime parole di Dean quando rientrò nella stanza. Erano passati tre giorni, che per Sam erano durati almeno il doppio. Aveva chiamato Dean in più occasioni, almeno per assicurarsi che tutto stesse andando bene, ma naturalmente ogni chiamata era andata direttamente alla segreteria telefonica. Sam si era premurato di lasciare più di un messaggio in cui diceva al fratello esattamente cosa pensasse di quella fuga, e lo avvisava che se entro la sera seguente non si fosse fatto vivo, Sam sarebbe partito per cercarlo, in un modo o nell’altro.

Quando si aprì la porta, Sam, seduto davanti al computer, alzò gli occhi immediatamente, senza riuscire a trattenere un sussulto.

«Dean! Cosa–» cominciò nel vedere il viso tumefatto del fratello. Aveva un occhio gonfio, il labbro inferiore spaccato e una varietà di graffi e tagli che proseguivano sul collo e oltre lo scollo della sua t-shirt.

«Non chiedere, Sam,» lo interruppe Dean, dirigendosi verso il bagno.

Sam sentì un fremito di rabbia e si alzò di scatto, infilando il piede nella porta nel momento in cui Dean stava per richiudersela alle spalle.

«Cosa cazzo vuoi?» sbottò con furia quest’ultimo.

«Voglio solo che tu mi dica la verità,» replicò subito Sam.

«Ironico, no?» sbuffò Dean.

«Cosa è successo?»

Sam vide il lampo di furia negli occhi del fratello prima che l’incantesimo lo costringesse a rispondere a denti stretti:

«Un cazzo di poltergeist mi ha sbattuto qua e là. Sei soddisfatto?»

«No,» rispose Sam. «Dov’eri?»

«Gillburg, Mississippi. Sam, smettila,» Dean ringhiò, tentando di passare oltre al fratello per uscire dalla stanza, ma Sam stava bloccando la porta del bagno e non sembrava intenzionato a lasciarlo passare.

«Chi ti ha chiamato?» insistette Sam.

«Dave Crawford.»

Dean non perse altro tempo prima di indirizzare un pugno deciso verso il fratello, che lo bloccò senza difficoltà e lo spintonò indietro, verso il muro del bagno.

«E chi è Dave Crawford?» continuò, implacabile.

«Un…» Sam vide Dean mordersi con forza il labbro già sanguinante. «Un ragazzo che ho conosciuto quando eri a Stanford.»

Sam prese fiato. Sapeva che c’era qualcosa che Dean gli stava nascondendo, e sapeva che era vicinissimo alla verità. Doveva solo fare le domande giuste.

«Sam, hai promesso che non l’avresti fatto,» disse Dean, la voce spezzata, le spalle al muro sia letteralmente che metaforicamente.

Sam immaginò di essere un’altra persona, più forte, più empatica, una persona che avrebbe lasciato stare Dean, che gli avrebbe permesso di fuggire di nuovo dal motel e di andare a nascondersi da qualche parte per salvare la faccia. Ma lui non era quella persona, e il suo desiderio egoistico di sapere, di capire cosa stesse succedendo a Dean era troppo forte per lasciarsi scappare quell’occasione. Senza contare la frustrazione accumulata in tre giorni senza alcuna notizia.

«Cosa è successo tra te e questo Dave Crawford quando io ero a Stanford?» enunciò lentamente Sam, guardando il fratello negli occhi. Vide chiaramente il tradimento lampeggiare nello sguardo di Dean, lo vide voltare la testa, stringere i pugni, combattere fino allo stremo l’impulso di parlare, ma alla fine la sua voce uscì, roca e graffiata per lo sforzo di oltrepassare la gola serrata.

«Siamo usciti insieme per qualche mese.»

Sam fissò il fratello. Non era la risposta che si aspettava.

«Usciti insieme?» ripeté stupidamente. «Nel senso che…»

«Nell’unico senso che c’è, Sam,» replicò Dean, la voce che tremava dalla rabbia. «Puoi levarti dalle palle, adesso?»

«Sei uscito con un ragazzo per qualche mese? Davvero?»

«Sì! Cristo, Sam, te n’eri andato!» urlò Dean, raddrizzandosi per spingere con furia il fratello. «Mi avevi lasciato da solo, quindi cosa cazzo te ne frega

«Io non –» cominciò Sam, incredulo, ma si interruppe prima di dire non me ne sono andato. Solo perché lui aveva conservato la sua capacità di mentire, non significava che dovesse farlo per forza.

«Sei contento, adesso? Hai risolto l’enigma, puoi levarti dai coglioni?»

«No,» rispose Sam in automatico. «Non sapevo ti piacessero gli uomini.»

Dean lo fissò con aria incredula.

«Seriamente? Sam, forse io e te abbiamo ricordi diversi.»

«Pensavo…» iniziò lui, annaspando alla ricerca delle parole giuste per esprimere il proprio sconcerto.

«Cosa? Pensavi di essere un caso a parte? L’eccezione alla regola?» rise Dean, la rabbia tramutata in cattiveria, in desiderio di usare l’arma della verità a proprio favore. «Beh, Sam, ho una grande notizia da darti: il mondo non gira intorno a te.»

Con una spallata, finalmente riuscì a uscire dal bagno. Afferrò le chiavi della macchina e uscì dal motel sbattendosi la porta alle spalle. Sam rimase lì, come un idiota, riascoltando mentalmente quella conversazione inaspettata.

 

Dean rientrò che ormai era notte fonda. Sam era ancora sveglio, disteso sotto le coperte ma senza riuscire a chiudere occhio.

«Mi dispiace,» disse subito, mettendosi a sedere. «Non avrei dovuto insistere.»

Dean non replicò, entrando in bagno e sbattendo la porta. Per un adulto, Dean ultimamente sbatteva le porte molto di frequente, pensò Sam, rimanendo in silenzio ad ascoltare il rumore dell’acqua che scrosciava nella doccia. Passarono lunghi minuti, e si era quasi assopito quando Dean riaprì la porta.

«Mi serve una mano,» ammise controvoglia.

Sam si ridestò immediatamente, tirandosi a sedere e guardando il fratello appoggiato allo stipite del bagno.

«Arrivo,» disse, chinandosi sul proprio borsone per tirare fuori il loro ben fornito kit di pronto soccorso.

Dean accese la luce della stanza per poi sedersi sul proprio letto con una smorfia e distendere di fronte a sé la gamba destra, un lungo taglio sanguinante che partiva da metà coscia e arrivava fino al ginocchio. Sam lo osservò preoccupato.

«Serviranno dei punti,» annunciò.

«Lo so, Sam, per questo te l’ho detto,» replicò Dean, stizzito, appoggiando la schiena ai cuscini.

Sam non replicò, limitandosi ad estrarre tutto il necessario e ad allungare a Dean due pillole di antidolorifico e un bicchiere d’acqua, che lui mandò giù senza fare storie. Mentre infilava il filo nella cruna dell’ago, Sam arrischiò un’occhiata al fratello. Per un attimo gli mancò il fiato. Stanco, pallido, i lividi delle ombre scure sul volto e sul petto, con i capelli bagnati e addosso solo dei boxer scuri, la testa piegata indietro e gli occhi chiusi, era così bello da lasciarlo senza parole. Sam scosse impercettibilmente la testa, deglutì e tornò a concentrarsi su ciò che doveva fare, appoggiando una mano sulla gamba di Dean e mettendosi al lavoro per ricucirlo con attenzione.

Proseguì in silenzio, meticoloso nel fare punti piccoli e tutti uguali e nell’essere il più rapido possibile per non prolungare inutilmente la sofferenza del fratello.

«Siamo usciti per tre mesi, dopo due anni che tu eri partito,» disse Dean dal nulla, a bassa voce.

Sam sussultò e quasi strappò il filo. Alzò lo sguardo sul fratello, che però non si era mosso e aveva ancora gli occhi chiusi. Cautamente tornò al lavoro, le orecchie tese ad ascoltare, timoroso di interromperlo.

«Io stavo di merda, davvero. Persino papà mi aveva lasciato a cacciare da solo perché non mi sopportava più,» proseguì Dean, amaramente autoironico, e Sam dovette mordersi la lingua per non intervenire. «Ho conosciuto Dave durante una caccia. Gli ho salvato il culo da un wendigo, mi ha offerto da bere e gli ho raccontato tutta la verità, tanto ormai aveva visto quello che si nasconde là fuori. Poi mi ha chiesto di uscire e mi sono detto, perché no. Sicuramente avevo bisogno di una scopata.»

Sam si rese conto di star usando l’ago con troppa forza dalla smorfia di Dean e dallo spasmo dolorante della sua gamba, e si costrinse ad allentare la presa.

«Mi sono accorto tardi che lui voleva di più di una scopata. Ci ho provato per un po’, poi papà mi ha chiamato per un’altra caccia e me ne sono dovuto andare da Gillburg. Quando l’ho salutato mi ha detto che andava tutto bene, che tanto aveva già capito da un pezzo che ero ancora –» Dean si interruppe, per poi correggere la rotta, «che pensavo ancora a qualcun altro.»

Sam terminò l’ultimo punto con la mano che tremava e alzò gli occhi. Dean lo stava guardando con un’espressione indecifrabile.

«Ed era così?» chiese Sam senza poterselo impedire.

Dean abbassò lo sguardo e per un istante Sam immaginò di averci visto un lampo di delusione.

«Sì,» rispose.

Scese il silenzio. La domanda successiva era già sulla punta della lingua di Sam, e sarebbe stato così facile porla. Pochi secondi e avrebbe avuto la risposta, avrebbe saputo con certezza qual era la verità.

Sam realizzò solo in quel momento che non avrebbe potuto fare questo a Dean, che strappargli quel genere di informazione sarebbe stata una vera e propria violenza. Per quanto desiderasse saperlo, non poteva costringere Dean a dirglielo.

«Ho finito,» annunciò. «Andiamo a dormire?»

Dean lo guardò con un’espressione sollevata.

«Sì, ok.»

Sam ripose il kit e si lavò le mani, per poi spegnere la luce e infilarsi sotto alle coperte. Il sonno sembrava svanito, e la domanda che era andato così vicino a porre gli lampeggiava nella mente, inevitabile. E adesso, ci pensi ancora?

   
 
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