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Autore: adamantina    11/05/2020    4 recensioni
Cominciò tutto una mattina qualunque, quando Sam, nel mezzo di una colazione come mille altre in un diner di Pine Grove, Louisiana, chiese:
«Allora, com’è andata con quella cameriera bionda? Sei rientrato tardi stanotte.»
Nella sua testa, aveva già in mente la risposta del fratello, qualcosa sulla falsariga di Mi ha fatto salire a casa sua e le ho fatto dimenticare persino come si chiamava, o in alternativa, Mi stai rinfacciando gli orari a cui torno la sera come se fossi mia moglie, Sam, fatti una vita.
«Non è successo niente. Mi ha proposto di farci una sveltina in bagno, ma non ne avevo voglia. Sono andato a fare un giro in macchina da solo per farti pensare che ero con lei.»
Sam sollevò gli occhi dal suo piatto di uova e fissò il fratello, apparentemente intento a dissezionare una fetta di bacon. Per diversi secondi regnò il silenzio. Poi Dean sembrò rendersi conto di quello che aveva appena detto e impallidì.
«Cazzo,» disse. «Fottutissime streghe.»
(Storia partecipante al Contest "Tarocchi Narranti" indetto da _Vintage_ sul forum di EFP)
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Dean Winchester, John Winchester, Sam Winchester
Note: nessuna | Avvertimenti: Incest | Contesto: Prima stagione
Capitoli:
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CAPITOLO 3

 

Mancavano due giorni al momento in cui finalmente avrebbero potuto convocare la strega, e Dean aveva avuto una pessima idea.

«È davvero una pessima idea,» reiterò Sam, fermandosi davanti alla porta del bar.

«L’hai già detto, Sammy,» replicò allegramente Dean. «Nessuno ti obbligava a venire.»

«Lasciarti andare da solo sarebbe stata un’idea ancora peggiore,» sospirò Sam, e aprì la porta.

Si sistemarono a un tavolo e ordinarono due birre, studiando la situazione in silenzio. Ai tavoli da biliardo, un gruppetto di ragazzi in età da college giocava e rideva rumorosamente; accanto a loro, dei biker grossi e tatuati facevano lo stesso, ma con meno baccano.

«Prede facili,» annunciò Dean a bassa voce.

«Dean, lascia che vada io,» lo supplicò Sam.

«Ti prego, non voglio perdere gli ultimi cinquanta dollari che ci sono rimasti.»

«Sono almeno bravo quanto te.»

«Sei fuori allenamento,» lo contraddisse Dean.

«Dì che non è vero che sono altrettanto bravo,» lo sfidò Sam con un sogghigno.

Dean aprì la bocca, ma non ne uscì nulla. Irritato, alzò il braccio per ordinare qualcosa di più pesante e iniziare il proprio gioco.

Tre whiskey più tardi, la maggior parte dei quali aveva finito per bere Sam, Dean si alzò in piedi.

«Dean, davvero, lascia perdere. Non abbiamo così tanto bisogno di soldi.»

«Il motel non si paga da solo, Sammy,» replicò lui, lanciandogli un occhiolino prima di avviarsi verso i tavoli da biliardo con un’andatura da ubriaco evidentemente falsa – almeno all’occhio allenato di Sam.

Ovviamente, siccome suo fratello sapeva essere la persona più testarda dell’universo, Dean non raggiunse i ragazzi del college, ma i motociclisti.

Fottuto idiota, pensò Sam, osservando la situazione da lontano.

Nonostante la sua diffidenza, Sam non poté evitare di notare che Dean era molto più silenzioso del solito e non aveva praticamente aperto bocca dopo l’iniziale Ehi, volete fare una partita? Evidentemente l’esperienza recente con il sensitivo pazzo gli aveva insegnato che la maledizione non andava sottovalutata.

La strategia stava funzionando bene, Dean aveva perso una notevole quantità di denaro, e Sam – in una mossa ripetuta innumerevoli volte negli anni, da ben prima di avere una vera carta d’identità che attestasse la sua maggiore età – si alzò per dare corda al fratello quando questi mise sul tavolo tutti i soldi che gli erano rimasti.

«Tutto o niente,» disse Dean, assicurandosi di biascicare quel tanto che bastava da risultare credibile.

«Dean, basta così. Hai bevuto troppo,» intervenne Sam.

«Non puoi dirmi cosa devo fare, Sammy,» rispose automaticamente Dean.

«Già, Sammy, non puoi dirgli cosa deve fare,» gli fece eco in tono canzonatorio uno dei bikers.

«Lascialo fare, Sammy,» aggiunse ridendo l’uomo che stava giocando in quel momento, un tizio basso e pelato, pieno di tatuaggi.

«Come vuoi, sono i tuoi soldi,» si arrese facilmente Sam, alzando le mani.

Non appena tutti i soldi furono sul tavolo – ed era davvero un bel gruzzoletto – Dean sembrò trasformarsi: abbandonò l’atteggiamento da ubriaco per concentrarsi sul gioco e mise a segno un colpo dopo l’altro.

Sam si concesse di osservare il fratello all’opera. Rapido, capace, Dean era precisamente nel suo ambiente. Involontariamente, a Sam venne in mente la sera in cui Dean gli aveva insegnato a giocare a biliardo. Sam era ancora troppo giovane anche per una carta d’identità falsa, ma il motel in cui papà li aveva lasciati per qualche settimana aveva una saletta con un tavolo e delle stecche, ed era sempre deserta.

Sam ricordava come se fosse successo ieri quanto gli fosse sembrato grande Dean, coì esperto nel mettere in buca una palla dopo l’altra. E poi si era piazzato dietro di lui e gli aveva fatto vedere come impugnare la stecca, e Sam aveva sentito una cascata di brividi scivolargli lungo la schiena nel percepire il respiro del fratello sul collo, le sue mani sulle proprie, il petto contro la sua schiena…

«Ci hai presi per il culo, stronzo?» ringhiò il biker tatuato, e Sam tornò bruscamente alla realtà.

«Sì,» rispose genuinamente Dean.

 

Dieci minuti più tardi, i fratelli erano nell’Impala e ridevano senza riuscire a smettere.

«Oh, Dio, le loro facce,» esalò Sam, le lacrime agli occhi.

«I duecento dollari meglio guadagnati della storia,» esultò Dean, sventolando le banconote stropicciate.

«Abbiamo rischiato di essere linciati, ma ne è valsa la pena.»

«Oh, ti prego. Non avevano speranze contro i fratelli Winchester.» Dean si voltò verso Sam e aggrottò la fronte. «Ti ha colpito,» disse.

Sam alzò istintivamente una mano verso il proprio sopracciglio, dove uno dei motociclisti era riuscito a far atterrare un pugno maldestro che Sam non aveva schivato solo perché nel frattempo ne stava tirando uno lui, ed erano pur sempre sei contro due.

«Non è niente,» cominciò, interrompendosi quando Dean spostò la sua mano per metterci la propria.

Sam batté le palpebre e trattenne il fiato quando le dita di Dean passarono dal sopracciglio alla sua guancia e si fermarono lì. In un istante, sentì tutto l’alcol che aveva bevuto quella sera andargli alla testa e offuscargli la vista. Alzò gli occhi e incontrò quelli di Dean, incerti, sospesi in quel momento, appena prima del salto.

«È passato così tanto tempo, Sammy,» mormorò Dean.

Sam si immobilizzò, senza respirare e incapace di rispondere, e quando Dean si avvicinò cautamente, i suoi occhi si chiusero spontaneamente. La sensazione delle labbra che premevano contro le proprie fu… come tornare a casa. Un misto di familiarità, calore e senso di giusto che fecero domandare a Sam, fugacemente, come avesse fatto a vivere senza per più di quattro anni.

Rispose al bacio e scivolò più vicino a Dean, una mano che d’istinto andava a stringere la sua nuca, l’altra che si appoggiava sul suo fianco, le dita che si intrufolavano sotto alla maglietta per sentire la pelle a contatto con la propria. Sentì Dean rabbrividire e stringerlo ancora di più a sé, mentre un bacio diventavano due, e tre, e –

Il trillo allegro di un cellulare li congelò entrambi. Sam riaprì gli occhi; Dean esalò un respirò tremante e appoggiò la fronte a quella di Sam per un momento.

Al terzo squillo, si riattivò ed estrasse dalla tasca il telefono.

Sam vide il colore defluire dalle guance del fratello, che fece per premere il tasto verde ma sembrò ripensarci all’ultimo momento, uno sguardo di panico negli occhi.

«Rispondi tu,» disse, spingendogli in mano il cellulare.

Sam lo guardò con aria interrogativa, per poi soffermarsi sul nome che lampeggiava sullo schermo. Papà.

Oh.

Sam deglutì e rispose.

 

«Dean, devi davvero darti una calmata,» ringhiò Sam, guardando il fratello che camminava avanti e indietro per la stanza.

«Vaffanculo,» rispose Dean in automatico, ma si fermò e si sedette su uno dei due letti.

«È solo papà,» insistette Sam, cercando di essere ragionevole.

«Lo so.»

«E vuole darci una mano a risolvere questo casino.»

«Lo so.»

«Non hai motivo di essere nervoso.»

«Sono nervoso solo perché non chiudi quella dannata bocca, Sam,» scattò Dean.

Scese il silenzio per un paio di minuti. Sam guardò l’ora: John sarebbe stato lì a momenti. Un controllo di routine si era trasformato in un’offerta di aiutarli, visto che aveva appena concluso una caccia e che il demone dagli occhi gialli non aveva più alzato la testa né dato alcun segno della propria presenza nelle ultime settimane.

«Sam, se mi chiedesse…» cominciò Dean all’improvviso, per poi tacere di nuovo.

Sam alzò gli occhi e li posò sul fratello, che stava tamburellando nervosamente le dita sul proprio ginocchio.

«Non ha alcun motivo di chiederti nulla, Dean,» rispose Sam, cercando di mostrare almeno lui la calma che il fratello sembrava aver perso. «Non penso abbia mai avuto sospetti, no?»

Sam cercò di ricordare l’atteggiamento del padre nel periodo in cui lui e Dean avevano veramente avuto qualcosa da nascondergli, ma era tutto molto confuso. Di quei due o tre anni ricordava fondamentalmente solo Dean, e tutte le interazioni che aveva chiare in mente con John avevano incluso litigate furiose e porte sbattute.

«Non lo so,» rispose Dean a bassa voce.

«Dean, ti prometto che se dovesse fare delle domande scomode per qualunque motivo ci penserò io a cambiare argomento, ok?»

Dean non sembrava convinto, ma in quel momento qualcuno bussò con forza alla porta della stanza, e lui respirò a fondo.

«Ok,» rispose, alzandosi in piedi con decisione. «Facciamo questa cosa.»

 

«Ciao, ragazzi,» disse John con un sorriso quando Sam aprì la porta.

«Ciao, papà,» rispose Sam, e fece un passo avanti per abbracciarlo.

John li strinse entrambi e poi si chiuse la porta alle spalle. Sam studiò il viso scavato del padre. Non lo vedeva da qualche settimana, e sapeva soltanto che era sempre più immerso nella caccia al demone dagli occhi gialli, alla quale non voleva assolutamente che i figli si avvicinassero, ma che ultimamente era giunta a un punto morto.

«Dean, cos’è successo?» chiese John, lasciandosi cadere su una sedia.

Sam sentì un brivido di fastidio nel notare che il padre si rivolgeva direttamente a Dean ed ebbe quasi la tentazione di rispondere, ma si ricordò subito che Dean sarebbe stato costretto a farlo in ogni caso.

«Credo di aver fatto incazzare una strega,» cominciò questi, per poi raccontare per filo e per segno tutti i dettagli.

 

La prima reazione di John, naturalmente, fu quella di fare una ramanzina a Dean per aver provocato la rabbia di una strega, e il figlio la subì in silenzio. La seconda fu quella di testare la portata dell’incantesimo, mentre gli occhi di Dean saettavano verso il fratello alla ricerca disperata di una via di fuga.

«Ci hai davvero messo due settimane a cacciare quel rugaru, l’anno scorso?»

«No, ci ho messo due giorni e ho passato il resto del tempo a casa di una ragazza.»

«Hai imparato a memoria l’esorcismo che ti ho mandato per quel caso a Duluth?»

«No, l’ho dovuto leggere. Papà…»

«È vero che non sei mai stato a trovare Sam a Stanford?»

«Ci sono andato due volte.»

«Papà, credo che basti così,» intervenne fermamente Sam, percependo l’avvicinarsi a un territorio potenzialmente pericoloso.

John spostò lo sguardo sul figlio minore e annuì, un’espressione poco soddisfatta sul volto.

«Il discorso non è chiuso, Dean,» disse severamente. «Ma ora parlatemi di questo incantesimo.»

Dean guardò Sam con malcelata gratitudine mentre quest’ultimo si lanciava in una descrizione dettagliata della procedura che avrebbero dovuto svolgere quella notte. Avevano già radunato tutti gli ingredienti e li avevano dosati e mescolati, ma l’ultimo ingrediente, il sangue della persona che era stata incantata, sarebbe stato aggiunto all’ultimo momento, quando la luna avrebbe raggiunto il punto più alto nel cielo.

«E una volta che avremo convocato la strega, come la convinceremo a spezzare la maledizione?» domandò John, corrugando la fronte.

Seguì un momento di silenzio.

«Le parleremo con grande gentilezza?» suggerì Dean alzando le spalle, per poi abbassare la testa quando il padre lo fulminò con un’occhiataccia.

«Questo è il tipo di leggerezza che potrebbe farvi uccidere,» sbottò John. «Pensavo di avervi addestrati meglio di così.»

«Addestrati?» ripeté Sam, incredulo. «Parli come se fossimo dei fottuti soldati.»

«Sam,» disse Dean in tono d’avvertimento.

«Siamo tutti dei soldati, Sammy,» ribatté John.

«Non chiamarmi Sammy.»

«Andiamo in guerra ogni singolo giorno e non possiamo farlo impreparati,» proseguì John, ignorando la protesta.

«Siamo sopravvissuti abbastanza a lungo senza di te, papà, non ci servono i tuoi consigli.»

«Sam!» ringhiò di nuovo Dean, frapponendosi fisicamente tra lui e John. «Finiscila!»

«Tu sei sopravvissuto nascondendoti in California per quattro anni, Sam. Non è esattamente la stessa cosa.»

«Forse sì, ma hai lasciato Dean a cacciare da solo per tutto questo tempo, quindi evidentemente ti dovevi fidare abbastanza delle sue capacità, oppure semplicemente non te ne fregava un cazzo?» sbottò Sam tutto d’un fiato, la furia che gli faceva perdere il controllo, come gli succedeva sempre quando c’era di mezzo suo padre.

A fermarlo furono le mani del fratello sul petto, che lo spinsero fermamente indietro di due passi.

«Basta così, Sam!»

«Io ero in prima linea con lui, Sam. Tu dov’eri, invece?»

«Basta, tutti e due!» urlò Dean, alzando abbastanza la voce da zittirli entrambi. «Cristo, pensavo che dopo tutto questo tempo fosse in grado di controllarvi, almeno quando c’è il lavoro di mezzo.»

Sia Sam che John tacquero.

«Sammy, vieni con me. Andiamo a prendere le armi in macchina. Papà, sulla scrivania c’è il libro con l’incantesimo, se vuoi dargli un’occhiata.»

Dean spinse Sam verso la porta senza alcuna delicatezza, afferrò le chiavi della macchina e uscì senza guardarsi indietro.

Solo quando furono entrambi nel parcheggio, con le teste dentro al bagagliaio dell’Impala, Sam si azzardò a parlare.

«Scusa, Dean. Hai ragione. È che mi manda fuori di testa, lo sai.»

Dean prese fiato mentre sollevava due fucili diversi e li soppesava nelle mani.

«Lo so, Sam, ma prima o poi dovrai deciderti a crescere e a comportarti da adulto. Sai che papà è fatto così.»

«Sì, lo so.»

«Fammi il favore di controllarti, almeno tu. Dovresti essere il mio alleato in questa cosa, ma se mentre papà mi fa il terzo grado sei troppo impegnato ad essere incazzato con lui, sinceramente non so cosa… Cosa potrebbe uscire fuori.»

Sam alzò lo sguardo e incontrò quello preoccupato del fratello. L’impulso di afferrarlo e baciarlo fino a fargli perdere la testa lo stordì per un secondo, prima di ricordarsi che erano perfettamente visibili dalla finestra della stanza e che John avrebbe potuto tranquillamente chiedere a Dean cosa avessero fatto per tutto quel tempo nel parcheggio. Oh, niente di che. Abbiamo scelto le armi, preso le munizioni e limonato come due ragazzini del liceo.

«Hai ragione,» ammise, e afferrò la propria Glock preferita, controllando che fosse carica con gesti rapidi ed esperti. «Andiamo a spezzare questa fottuta maledizione.»

 

Quella notte, si ritrovarono tutti e tre di fronte alla casa in vendita che era appartenuta ad Agnes Bayes. In silenzio, controllarono tutta la proprietà, accertandosi che fosse deserta come sembrava. Poi Dean manomesse la serratura in pochi secondi e si riunirono nel soggiorno buio.

La luce era stata staccata, perciò Sam accese le candele che si erano procurati per il rito e le posizionò intorno all’elaborato disegno che John stava copiando con un gesso sul pavimento in legno opaco. Era una trappola che, a quanto sosteneva il più esperto tra i Winchester, avrebbe dovuto trattenere la strega e ridurre i suoi poteri.

«Ok, ci siamo,» annunciò Dean, guardando fuori dalla finestra. «La luna è alta, possiamo cominciare.»

Fu John a prendere in mano la situazione, afferrando il libro e cominciando a leggere l’incantesimo. Sam provò l’impulso irrazionale di strapparglielo di mano dicendo qualcosa tipo L’ho trovato io questo maledetto incantesimo, ma si ricordò dell’ammonizione del fratello e si trattenne.

Dean si chinò sulla ciotola in ceramica con gli ingredienti mescolati, estrasse dalla cintola il proprio pugnale e con un gesto veloce si procurò un taglio lungo l’avambraccio, facendo gocciolare il proprio sangue all’interno del contenitore.

Per un lungo minuto non accadde nulla, l’unico suono nella stanza la voce di John che continuava a leggere le parole in latino; poi, un soffio di vento spense una delle candele e una figura comparve al centro della stanza, prima semitrasparente e poi, mentre John pronunciava l’ultima frase, del tutto solida e reale.

Scese il silenzio.

Poi Agnes sorrise, le rughe sul suo volto che si distendevano e i denti ingialliti che venivano scoperti.

«La famiglia Winchester al completo,» osservò. «Che onore!»

«Hai lanciato un incantesimo su mio figlio, strega,» disse John gravemente. «Spezzalo e ti lasceremo andare senza colpo ferire.»

Agnes sollevò le sopracciglia.

«Mi lascerete andare?» ripeté. «Non mi ero accorta che mi steste trattenendo.»

E come se niente fosse, allungò un piede per cancellare con tranquillità una delle linee disegnate col gesso.

Sam sbiancò e sollevò d’istinto la pistola. Vide che, agli altri lati della stanza, Dean e suo padre stavano facendo lo stesso.

«Cacciatori,» sospirò la donna. «Così prevedibili.»

Agnes sollevò le mani con un gesto imperioso. Sam si sentì sollevare e andò a sbattere con la schiena contro il muro alle proprie spalle; due tonfi contemporanei lo informarono che John e Dean avevano subito lo stesso destino. Un altro movimento delle mani rugose della strega, e le dita si Sam si aprirono contro la sua volontà, lasciando cadere a terra la sua arma.

«Basta così,» disse fermamente Dean da un punto imprecisato alla sua sinistra. «Spezza l’incantesimo e lasciaci andare. Nessun cacciatore ti disturberà più.»

Agnes scoppiò in una risata roca e sguaiata.

«Oh, bambino mio,» disse, «Non sei riuscito a capirlo? Ti ho già aiutato al massimo delle mie possibilità.»

«Basta enigmi, strega,» ringhiò John. «Annulla la maledizione, oppure…»

«Oppure?» gli fece eco bruscamente Agnes, ogni traccia di ilarità svanita. «Cosa credi di potermi fare?»

Strinse una mano a pugno e John ansimò, portandosi le mani alla gola mentre il flusso d’aria nei suoi polmoni veniva inesorabilmente bloccato.

«Lascialo stare, stronza!» urlò Dean, lottando per liberarsi dai legami invisibili che lo tenevano immobilizzato.

«Dean, Dean, Dean,» sospirò la strega. «Pensavo che avessi imparato la lezione, a questo punto. Devi sempre riflettere su quello che dici, sulle parole che usi… perché altrimenti potrebbero non piacerti le conseguenze.»

«Lascialo… per favore,» intervenne Sam, sperando di aver capito cosa desiderasse la strega, visto che suo fratello sembrava deciso ad ignorarla.

«Vedi, Sam, tu sì che sei un ragazzo a modo. Tuo fratello, piuttosto…»

Agnes scosse la testa e lasciò andare il pugno. John ansimò e riprese fiato, boccheggiando. La donna si avvicinò a Dean, ancora bloccato contro la parete, e si piazzò di fronte a lui.

«Sarebbe stato così semplice spezzare la maledizione,» sospirò. «Tutto quello che dovevi fare era dire la verità sui tuoi sentimenti alla persona che amavi, e sarebbe andata via da sola. E invece tu hai combattuto inutilmente e hai preferito attirarmi qui. A questo punto non penso che te la caverai così facilmente, ragazzo mio.»

«Lasciami stare, maledetta…» cominciò Dean.

Sam percepì con chiarezza il momento in cui Agnes decise di concentrare tutto il proprio potere nell’attaccare Dean. Se ne accorse perché sentì la presa che lo spingeva contro il muro allentarsi, e non perse un istante per approfittarne. La sua mano corse alla pistola, la sfoderò e la puntò contro di lei; con la coda dell’occhio intravvide John fare esattamente lo stesso.

Il tempo parve rallentare. Agnes si voltò verso Sam, puntò gli occhi su di lui, e con un grido di rabbia gli scagliò addosso un’ondata violenta di magia che lo sollevò in aria.

Per un lungo, interminabile istante, Sam sentì il proprio corpo sollevarsi, essere strattonato violentemente di lato, e la parete in pietra alla sua sinistra avvicinarsi sempre di più. Poi un tonfo, un dolore violentissimo al capo, in lontananza quello che sembrava uno sparo, e infine il buio.

 

«Sam! Sammy, ti prego, ti prego, apri gli occhi. Sam!»

La voce di Dean era così imperativa che Sam si trovò costretto ad obbedire, anche solo per istinto. La luce delle candele, per quanto flebile, gli provocò immediatamente una fitta violenta alla testa e gli sfuggì un mezzo gemito.

«Sammy! Stai bene?»

Sam provò a parlare ma non riuscì ad articolare alcun suono. Tutto sembrava attutito e davanti ai suoi occhi danzavano macchie nere che offuscavano la figura sfocata di Dean.

«Sam, ti prego. Rispondimi. Come ti chiami?»

Che domanda idiota. Sam provò a rispondere, ma dalla sua bocca non uscì nulla.

«Sam! Apri gli occhi!»

Sam non si era neanche reso conto di averli chiusi, ma si sforzò di riaprirli e provò a mettere a fuoco qualcosa, inutilmente. Tutto era una distesa di macchie indefinite.

«Dean, probabilmente è un trauma cranico. Tienilo sveglio, io vado a recuperare il kit del pronto soccorso in macchina.»

Questa era chiaramente la voce di papà. Cosa ci faceva qui?

«Papà, non dovremmo chiamare un’ambulanza?»

«No, figliolo, non serve. Tienilo sveglio, chiudiamo la ferita e vediamo come procede nelle prossime ore. Vedrai che migliorerà.»

«Papà, si tratta di Sam. Non possiamo aspettare le prossime ore.»

«Dean…»

«Non me ne frega niente. Se non la chiami tu lo faccio io. Non possiamo correre rischi.»

Un attimo di silenzio. Sam pensò che probabilmente doveva avere le allucinazioni, perché Dean non rispondeva così a papà. Mai.

«Va bene. Chiamo io.»

Un rumore di passi che si allontanava e un sospiro accanto a sé, una mano che stringeva la propria. Sam si sforzò di riaprire gli occhi: non ricordava neanche di averli chiusi.

«Sammy,» sussurrò Dean, appoggiandogli una mano sul viso. «Andrà tutto bene, vedrai. Tra poco arriveranno i soccorsi.»

Sam fece uno sforzo mostruoso per aprire la bocca e mormorare, con un filo di voce:

«Dean?»

Il fratello sembrò illuminarsi e si avvicinò ancora di più; il volto di Dean iniziò a mettersi a fuoco.

«Sammy,» sussurrò. «Oh, grazie a Dio. Come stai?»

Ma Sam aveva esaurito le energie: si limitò a stringere per quanto possibile la mano che ancora era avvinghiata alla propria. Dean ricambiò la stretta con vigore, gli passò con estrema delicatezza una mano sui capelli e si chinò per sfiorare le sue labbra con le proprie.

«Andrà tutto bene,» sussurrò.

Sam avrebbe voluto rispondere Lo so, ma non gli fu possibile. Non solo perché non aveva le forze per farlo, ma anche perché entrambi sentirono l’inconfondibile suono di qualcuno che si schiariva la voce.

Dean si allontanò di scatto.

«L’ambulanza sta arrivando,» disse stancamente John.

Una parte del cervello di Sam, quella ancora razionale, decise in quel preciso momento di non essere nelle condizioni per affrontare quella particolare situazione. Lasciò che gli occhi gli si richiudessero e scivolò nuovamente nell’incoscienza.

 

Sam riprese coscienza lentamente e la prima cosa che notò fu la pesantezza del proprio corpo, che affondava nel materasso troppo morbido e sembrava impossibilitato a muoversi. Aprire gli occhi sembrava un’impresa impossibile, quindi non si preoccupò neanche di provarci.

Un bip costante lo informò che con ogni probabilità doveva trovarsi all’ospedale.

Fluttuava in uno stato a metà tra sonno e veglia, e le voci basse che sentiva potevano essere reali tanto quanto frammenti della sua immaginazione. Si sforzò di dare un significato alle parole che gli giungevano alle orecchie.

«…starà bene.»

Questo era papà: Sam avrebbe riconosciuto la sua voce profonda ovunque.

«Sì, lo so.»

Questo invece era chiaramente Dean. Aveva appena mormorato, ma Sam aveva praticamente una laurea nell’interpretare il fratello, e poteva decifrare nel suo tono ansia, preoccupazione e sicuramente un po’ di sollievo.

«E starai bene anche tu.»

«Lo so.»

«Sai già da chi andare per spezzare la maledizione?»

Silenzio. Nella sua mente, Sam poteva vedere Dean chiaramente come se lo stesse guardando davvero. Accigliato, forse seduto su una sedia accanto al suo letto, i gomiti poggiati fermamente sulle ginocchia. John dietro di lui, che teneva sott’occhio entrambi i figli.

«Sì,» rispose alla fine Dean, probabilmente perché era costretto a farlo.

Sam riusciva a sentire la tensione nella sua voce, un sentimento che nelle ultime settimane aveva imparato ad associare ai momenti in cui Dean temeva che qualcuno gli facesse una domanda a cui veramente non voleva rispondere con sincerità.

Ma John non fece la domanda più ovvia.

«Da quanto tempo va avanti questa storia?» chiese invece, il tono cupo ma al tempo stesso rassegnato. Non c’era rabbia nella sua voce.

Sam poteva immaginare il sussulto di Dean, il suo desiderio di implorare il padre di non chiedergli cose del genere, ma non l’avrebbe mai fatto. Dean non avrebbe mai discusso con John per nessun motivo, o almeno per nessun motivo che non andasse direttamente a beneficio di Sam. Questo lui lo sapeva fin troppo bene: Dean era di natura il soldato perfetto che Sam non sarebbe stato mai.

«Da sempre,» fu la risposta di Dean, enunciata chiaramente, senza esitare.

John prese fiato.

«Perché?» domandò.

Dean rise. Una risata roca e senza speranza, sempre a basso volume per non svegliare il fratello che credeva addormentato.

«Perché? Perché no, piuttosto?» ribatté. «Papà, è sempre stato Sammy, dal momento in cui sono corso fuori da casa nostra con lui in braccio. Tutto quello che ho fatto l’ho fatto per lui. Non c’è mai stata neanche l’ombra di qualcuno che potesse avvicinarsi a lui. Ci ho provato –» la voce di Dean si spezzò, un singulto represso con rabbia, «Ci ho provato con tutto me stesso, te lo giuro. Non volevo… non volevo che fosse sbagliato come lo ero io. L’ho lasciato andare. Anche se avevo il cuore a pezzi l’ho lasciato andare perché speravo che almeno lui potesse uscirne.»

Se Sam avesse potuto alzarsi per abbracciare il fratello, lo avrebbe fatto esattamente in quel momento.

«E scommetto che non sei stato tu a cominciare questa…. cosa,» sospirò John.

Non era una domanda.

«Papà…»

«Puoi dirmi sinceramente di aver fatto tu il primo passo, Dean?» Silenzio. «Come immaginavo. Vi conosco troppo bene.»

«Papà, ti giuro che non gli ho mai fatto del male. Te lo giuro su quello che vuoi.» La voce di Dean era rotta e Sam, inchiodato al letto senza potersi muovere, sarebbe stato pronto a scommettere che il fratello stava piangendo.

«Lo so, figliolo. Lo so. Su questo non ho mai avuto dubbi. E sul resto… beh, ho iniziato ad averli probabilmente prima che li aveste voi. E ho provato a separarvi, ma immagino fosse troppo tardi. Suppongo che alla fine sia anche colpa mia.»

«No, papà, non –»

«Sono stato io a metterti nelle mani una responsabilità che era troppo grande per te, Dean.»

«Sammy non è mai stato una responsabilità!» protestò Dean. «Non mi è mai pesato –»

«Lo so, lo so,» disse John in tono conciliatorio. «Come ho detto, vi conosco troppo bene.»

Scese di nuovo il silenzio, e durò così a lungo che Sam iniziò a scivolare di nuovo nel sonno. Quando risentì le voci, gli sembrarono molto, molto lontane.

«Io devo andare, figliolo.»

«Ma papà, Sam…»

«Non ho tempo di aspettare che si svegli. Salutalo da parte mia. Vedrai che starà bene.»

«D’accordo.»

«E Dean…» un’esitazione, «Prenditi cura di tuo fratello.»

«Sai che lo farò.»

 

Sam si risvegliò che fuori era buio. Batté le palpebre contro la luce della lampada al neon sulla propria testa e la girò lentamente per cercare Dean.

Era seduto su una sedia accanto al letto, esattamente come lo aveva immaginato durante la conversazione che aveva origliato; però si era finalmente addormentato, piegato su se stesso con la testa appoggiata alle braccia, sul bordo del letto ospedaliero di Sam. A Sam venne in mente un ricordo lontano in cui lui stesso era nella medesima posizione, con Dean ferito nello stretto letto della sua camera, a Stanford. Sembrava passata un’eternità.

«Dean,» mormorò, e quando non ebbe risposta si schiarì la voce e lo ripeté più forte.

Dean si svegliò di soprassalto, e come sempre quando gli succedeva, in una frazione di secondo era in piedi e in posizione d’attacco, una mano alla vita per cercare una pistola che non c’era. Poi mise a fuoco la stanza bianca e Sam che lo guardava e si rilassò.

«Sammy! Stai bene?»

«Sì, sto bene,» rispose Sam, mettendosi cautamente a sedere.

Dean si precipitò al suo fianco e si sedette sul letto accanto a lui.

«Ci vedi bene? Hai mal di testa?»

«Sì, ci vedo e no, sono solo un po’ indolenzito.»

Sam fece un rapido controllo delle proprie funzioni vitali. La testa gli doleva un po’, ma era sopportabile; i muscoli erano tesi e doloranti, ma c’era da aspettarselo. Probabilmente, in ogni caso, in quel momento era imbottito di antidolorifici, come dimostrava l’ago che aveva fastidiosamente infilato in un braccio.

«Papà è andato via,» osservò dopo essersi guardato intorno per un attimo.

«Uh, sì,» rispose Dean. «Aveva una caccia che lo aspettava.»

Sam annuì. Guardò il fratello per un istante e un pensiero gli balenò nella mente. Esitò per un momento e poi gli chiese:

«Allora… di cosa avete parlato mentre ero fuori gioco?»

Vide chiaramente il lampo di ansia di Dean, la sua esitazione, seguita da una risposta incerta:

«Uhm… niente di importante.»

Sam batté le palpebre e gli sfuggì un mezzo sorriso. Dean sembrò non accorgersene e si affrettò a cambiare argomento.

«Sammy, per quanto riguarda la maledizione, penso…» si bloccò per un attimo, valutando come proseguire, e Sam ne approfittò:

«Dean… mi hai appena mentito riguardo a papà.»

Dean alzò la testa di scatto e corrugò le sopracciglia.

«Cosa? No, non l’ho fatto.»

«L’hai appena fatto di nuovo.»

Dean aprì la bocca, per poi fermarsi per riflettere.

«La mia macchina preferita è la Prius. Adoro l’insalata. Sammy, è vero!» esclamò con entusiasmo. «Posso mentire di nuovo!»

Sam rise per l’evidente gioia del fratello.

«Non pensavo che ne sarei stato così felice, ma pare proprio di sì.»

Dean rilasciò un respiro che probabilmente conteneva una gran parte della tensione che aveva accumulato nelle ultime settimane.

«Grazie a Dio,» mormorò. Poi un pensiero sembrò passargli per la mente. «Come facevi a sapere che stavo mentendo? Su papà, intendo.»

Sam si passò una mano sul volto, vagamente imbarazzato.

«Uhm… potrei aver sentito la vostra conversazione, prima.»

Dean lo guardò con gli occhi sbarrati.

«Cosa?»

«Ero più nel mondo dei sogni che in quello reale, però ho sentito le parti salienti.»

«Quindi sai che papà… merda

«Non mi sembra che l’abbia presa troppo male.»

«Non avrebbe mai dovuto saperlo!»

«Sei stato tu a farci scoprire, non guardare me!»

«Stavi morendo, Sam, scusami se non ero esattamente padrone delle mie azioni!»

Sam scosse la testa, divertito.

«A quanto ho capito, lo sospettava da ben prima di ieri sera.»

«Il che è ancora più preoccupante.»

Scese il silenzio. Dean giocherellò per qualche secondo con il bordo sfilacciato del lenzuolo bianco, per poi alzare lo sguardo su Sam.

«La maledizione si è spezzata.»

«Già.»

«Come è successo?»

Sam guardò il fratello negli occhi e fece un mezzo sorriso.

«Hai detto a papà la verità su quello che provi per me, e io ho sentito. Non serviva altro.»

È sempre stato Sammy...

Tutto quello che ho fatto l’ho fatto per lui…

Non c’è mai stata neanche l’ombra di qualcuno che potesse avvicinarsi a lui…

L’ho lasciato andare.

I fratelli sembrarono ripercorrere insieme, in silenzio, le parole che ancora aleggiavano nell’aria.

«Dean… sai che per me è sempre stato lo stesso, vero?» chiese Sam a bassa voce, cercando inutilmente di incrociare il suo sguardo.

«Te ne sei andato,» mormorò Dean, senza alzare gli occhi dalla stoffa tra le proprie dita.

«Dovevo andarmene, Dee,» disse Sam in tono implorante, e Dean finalmente alzò gli occhi, probabilmente sorpreso dall’uso del nomignolo che non sentiva da anni. «Io e papà avremmo finito per ucciderci. E dovevo dimostrare di essere cresciuto, di poter essere indipendente, di non essere più il piccolo Sammy che doveva essere protetto e tenuto al sicuro. Tu avevi la caccia, Dean, è sempre stato il tuo mondo… io dovevo trovare il mio.»

«Senza di me,» replicò Dean con amarezza.

«Se avessi pensato anche solo per un secondo che saresti venuto con me te lo avrei chiesto, Dean. Ma sai bene quanto me che non avresti mai lasciato la caccia.»

«E adesso?» replicò Dean bruscamente. «Adesso sei libero, perché non te ne vai? Magari non a Stanford, ma da qualche parte dove puoi avere una vita normale, trovarti una fidanzata, un lavoro…»

«Quel capitolo è chiuso per me. Adesso so dov’è il mio posto, ed è qui. Sulla strada, nell’Impala, con te.»

Il tono di Sam era così definitivo che Dean sembrò quasi credergli, per un attimo.

«E Jess?» chiese, in tono di sfida.

«Amavo Jess,» concesse Sam a bassa voce, senza distogliere lo sguardo da quello del fratello. «Ma non era a lei che pensavo quando andavo a dormire. Non era lei che chiamavo quando ero ubriaco. Non era a lei che pensavo quando –» si interruppe e arrossì, scuotendo la testa.

Dean fece un mezzo sorriso divertito.

«Beh,» sospirò, facendo per alzarsi, «Non so te, ma io ne ho avuto abbastanza di conversazioni da pigiama party. Che ne dici se chiamiamo un’infermiera, ci facciamo confermare che sei ancora tutto intero, e poi alziamo le tende e lasciamo questo paesino di merda una volta per tutte?»

Sam sorrise e gli mise fermamente una mano sul ginocchio, impedendogli di alzarsi.

«Solo un altro momento da pigiama party,» propose, e si sporse per baciarlo.

Dean si irrigidì per un secondo, ma quasi subito la sua mano si alzò d’istinto e si portò sul collo del fratello, attirandolo a sé. A differenza di quando si erano baciati nell’Impala dopo il biliardo, ubriachi e disinibiti, e di quando Sam aveva ripreso conoscenza a casa di Agnes, e Dean era carico di adrenalina e aveva agito puramente d’istinto, questa volta era calcolato. Lento, pieno di così tanti significati che probabilmente se si fossero fermati a rifletterci ancora sarebbero scappati, e pienamente desiderato.

Fu il bacio della riscoperta, del reimparare come muoversi l’uno insieme all’altro, del ricordarsi il sapore e il respiro e il tocco delle mani e di chiedersi come avevano fatto a pensare di poter sopravvivere senza.

Si separarono dopo minuti che sembravano ore, le fronti appoggiate, i respiri che rallentavano lentamente e i battiti che tornavano regolari.

Sam vedeva già in lontananza un futuro che era così simile al passato da dargli l’impressione di chiudere un cerchio. Lui e Dean, l’Impala, le immense strade dell’America, una caccia in programma, le pistole cariche e la musica al massimo. E poi baci furtivi, notti in motel, bisticci e litigate vere e proprie e una serie di conseguenze che aveva il potenziale di rovinare tutto.

Eppure, realizzò Sam, per la prima volta nella vita sentiva di avere davvero tutto quello di cui avrebbe mai avuto bisogno. Ed era ironico rendersi conto che era l’unica cosa – l’unica persona – che aveva avuto fin dal primo momento.

   
 
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