Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: ValeAck    12/05/2020    1 recensioni
| Ereri | Mini-Long | Modern!Au |
«Se avessi la capacità di riavvolgere il tempo, tornerei ad un anno fa, solo per cercarti e dirti queste stesse parole.»
«Mi dispiace essere arrivato in ritardo.»
Genere: Angst, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Eren Jaeger, Levi Ackerman
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Si era ripromesso che avrebbe provato a riparlargli l'indomani, magari iniziando una conversazione con delle scuse. D'altronde, quanto poteva risultare doloroso per lui percepire come nemesi l'unica persona che non ignorava la sua esistenza? Ma Eren Jaeger non si fece vivo quel giorno, né tantomeno quello successivo. Passarono intere settimane, il tempo cominciò lentamente a mutare, lasciando spazio alla stagione più fredda, ma di lui non vi fu traccia, né sul tetto, né in classe, né per i corridoi. Svanito nel nulla.

Quei giorni furono scanditi da un'alienante monotonia e l'unica cosa che beneficiò di essa fu il suo rapporto con Mikasa. Dopo lo sfogo di quel pomeriggio non le aveva più permesso di isolarsi, imponendole la sua presenza e cercando nella sua compagnia stralci di quello che un tempo era stato Eren. Si rifugiavano il più delle volte nella camera della ragazza, lei puntualmente seduta al pianoforte, lui che passava dal leggere steso sul suo letto, all'ammirare tutti quegli oggetti che puntualmente richiamavano la sua passata presenza. Fotografie delle vacanze, cartoline scritte dal castano di suo pugno, vasetti di sabbia raccolta in tutte le spiagge che visitavano assieme.

E quante cose scoprì di lui in quel modo, a partire dal suo incondizionato amore per il mare fino ad arrivare al profondo odio che nutriva per l'inverno. Era ovunque e Mikasa non risparmiava di narrargli i dettagli con quella solita malinconia nella voce. Era nei vestiti che aveva dimenticato in quella casa che aveva frequentava così assiduamente, nell'angolo smussato del posacenere che aveva fatto cadere al suolo facendo puzzare di fumo l'intera camera per giorni, nella statuetta a forma di gatto che da bambino aveva fatto con la creta assieme alla sua migliore amica e poi ancora nella sciarpa rossa che le aveva regalato senza nessun apparente motivo e dalla quale Mikasa non si separava per nessuna ragione al mondo.

Quelli erano i momenti migliori, in cui riusciva quasi a sentirlo vivo e vicino, dai quali traeva una parvenza di sollievo, almeno per il pomeriggio. Poi, puntale come un orologio svizzero, la realtà gli si scagliava contro ogni mattina, alla vista del suo banco vuoto, omaggio a quella vita che si era spenta prematuramente, segnando indelebilmente i cuori che negli anni aveva sfiorato fino a diventarne una parte integrante.

Jean, probabilmente influenzato dalla costante presenza di Mikasa al suo fianco, non gli aveva più rivolto la parola, né tantomeno lo sguardo. E Levi non riuscì a non provare empatia per la persona che probabilmente era stata colpita più di chiunque altro da quella perdita e che, evidentemente, ancora si colpevolizzava. Ma esisteva davvero qualcuno contro cui puntare il dito quando quel tragico epilogo altro non era stato che la concatenazione di eventi e decisioni prese da una moltitudine di persone?

Se Levi non avesse fatto quel live.

Se Eren non avesse avuto una cotta per lui.

Se Mikasa fosse stata più permissiva e comprensiva.

Se Jean non lo avesse assecondato.

Se i suoi genitori gli avessero impedito di uscire

Se fossero partiti di casa appena un minuto prima.

Se il conducente di quell'auto contro cui erano andati a scontrarsi non fosse uscito di casa.

Nessun carnefice, una vittima. Forse la coscienza umana non sarebbe mai stata pronta ad avvenimenti di quel tipo. D'altronde, non era forse naturale cercare un colpevole su cui sfogare la frustrazione di una perdita tanto atroce? Levi per primo non era esente da quel circolo vizioso e proprio come tutti i coinvolti, non riusciva a darsi pace. E quando ci si rendeva conto che quella forsennata caccia all'uomo non avrebbe condotto ad alcun risultato soddisfacente, all'arrendersi all'ineluttabilità del destino si preferiva addirittura addossarsi la colpa di quanto accaduto.

Qualunque cosa, pur di condannare un responsabile.

...

«Jean non parla con me. – quelle parole lo fecero sobbalzare. Come tutte le mattine dal loro ultimo incontro, ad ora di pranzo si era trascinato sul tetto della scuola e seduto su quel pavimento polveroso. Chitarra alla mano, non si era permesso di suonare un singolo accordo, nella speranza che quei gesti così ripetitivi, potessero richiamare Eren a lui. Ed ora eccolo lì, a pochi passi, quando ormai aveva perso ogni speranza. – Prima che me lo dicessi non ci avevo fatto caso, ora invece non riesco a pensare ad altro.»

E che reazione avrebbe dovuto avere alla sua improvvisa ricomparsa? Una parte di sé aveva pensato (aveva sperato) che Eren fosse semplicemente evaporato via, ricongiungendosi a ciò a cui apparteneva di diritto. Eppure, il Levi egoista, quello che avrebbe sfidato finanche le leggi della natura per il proprio tornaconto, aveva pregato che non fosse andata in quel modo. E quel desiderio viscerale che gli aveva sedotto la mente, era riuscito unicamente a farlo sentire un mostro, incapace di distinguere ciò che era giusto da ciò che non lo era. Razionalmente sapeva che in quel malefico mondo a cui apparteneva non vi era spazio per i non viventi, addirittura lo accettava, ma Eren... come poteva non considerare umano quell'essere che era riuscito a scavargli la pelle per insidiarvisi al di sotto? E così era rimasto lì nel mezzo, in attesa di una risposta che lo aiutasse ad affrontare quella sfida, troppo grande per un uomo insulso come lui.

Un grande eroe non avrebbe avuto dubbi sul da farsi, avrebbe messo da parte i sentimenti e sacrificato se stesso pur di regalare la pace alla controparte amata. Ma lui non si sentiva un eroe, né tantomeno reputava la sua persona così valorosa da affrontare il tutto senza fare una piega.

E poi la consapevolezza: avrebbe sofferto a prescindere dalla decisione. L'ago della bilancia, in nessuna occasione, avrebbe potuto pendere in suo favore.

Se Eren Jaeger fosse rimasto, sarebbe stato costretto a vederlo relegato in quell'istituto, vagabondo per le aule, invisibile a chiunque. Un'anima la cui infelicità non avrebbe fatto altro che crescere. Certo, così avrebbe potuto godere della sua compagnia, ma mai sarebbe potuto essere suo in quanto uomo e questo, altro non avrebbe fatto che incrementare la sofferenza di entrambi. Non subito, ma con il tempo. E quanto sarebbe durata? Cosa sarebbe accaduto alla fine di quell'anno se avesse optato per la decisone sbagliata? Nulla di buono.

Allora doveva arrendersi alla realtà dei fatti, non per valore o per principi morali solidi, bensì per aspra accettazione. I loro destini, seppur incrociati, non prevedevano alcun futuro. Il tempo di quel ragazzo era ingiustamente scaduto mentre il suo continuava inesorabilmente a scorrere.

«Non ti ho visto in classe. – si costrinse a rispondere, una smorfia a contorcergli le labbra e lo sguardo basso, incapace di cercare quello dell'altro. Il paradossale terrore che, se l'avesse guardato negli occhi, non vi avrebbe trovato quella vitalità spensierata che inizialmente l'aveva attratto. – Non ti ho visto affatto, in realtà.» percepì un suo sospiro ad accompagnare i passi leggeri. I passi... una persona inesistente poteva davvero produrre un rumore del genere, interagendo con l'ambiente circostante? Levi si portò una mano tra i capelli, stringendoli forte in un pugno e sentendo gli occhi inumidirsi a quel pensiero. Che crudele realtà quella che stava vivendo.

«So rendermi invisibile e... ti evitavo di proposito. – confessò, senza riuscire a celare una nota d'imbarazzo. – Scusa. – quella parola gli fece sgranare gli occhi, dunque, finalmente si permise di guardarlo. Studiò i movimenti del suo corpo mentre, con le mani nascoste nelle tasche del calzone blu, si calava per affiancarlo. – Qualcuno si è preoccupato per la mia assenza? – chiese ancora, mozzando il fiato a Levi con quel quesito. Cosa avrebbe dovuto rispondergli? No, Eren. Non ci hanno fatto nemmeno caso. Non avrebbe potuto essere così brutale neppure volendolo. – Era una domanda retorica, Levi. Conosco già la risposta. – la sua voce risuonò amara, eppure al contempo delicata quanto i petali di ciliegio che cadevano al suolo in primavera, impregnando l'aria di quella fragranza unica. – Mi dispiace, mi sono comportato da idiota.»

«Smettila, Eren. – il castano spalancò gli occhi, indirizzandogli uno sguardo confuso. – Smettila di scusarti, smettila di dirmi che ti dispiace. Rendi tutto più difficile così.» il petto che batteva inferocito, succube della sua voce che, parola dopo parola, arrivava a renderlo sempre più schiavo.

«Mi disp... - si morse il labbro inferiore, gli occhi annacquati. – Non so cosa fare, sto morendo di paura. – sospirò affranto, poggiando il capo contro la ringhiera. – Ti ho mentito, ho freddo. Continuamente. Nemmeno starmene qui al sole mi è di aiuto. E sento un... non so nemmeno come definirlo. Una sorta di vuoto al centro del petto, come se avessi un enorme buco. E fa male. Fa dannatamente male. – tirò le ginocchia per poggiarvi la fronte. – Credo di aver cominciato a ricordare qualcosa.»

«Magari parlarne potrebbe farti bene.» le loro spalle si sfioravano appena, da quella vicinanza riusciva a vedere ogni suo piccolo dettaglio, a partire dalle ciglia lunghe e intinse di pianto mal trattenuto, fino al bagliore di quelle iridi che, lo sapeva, sarebbe rimasto impresso nella sua mente fino alla fine dei suoi giorni.

«Non voglio parlarne, voglio solo che finisca tutto e al tempo stesso voglio che non cambi nulla.»

«È lecito avere paura dei cambiamenti, ma non per forza questi dovranno essere negativi.» quanto gli costava dire quelle parole quando tutto quello che avrebbe voluto fare era stringerlo tra le braccia e impedirgli di compiere anche un solo passo lontano da lui.

«Come puoi dire una cosa del genere? Non vedrò più Jean, non ascolterò più la risata di Mikasa e non potrò più passare del tempo con te. Io non riesco a vedere nulla di positivo in tutto questo, non ora che ho avuto l'opportunità di conoscerti. – ma ciò che era successo ad Eren era tanto doloroso quanto irreversibile. – E so che per te non è la stessa cosa, che tu-»

«Ti sbagli. – lo zittì, ed Eren alzò di scatto la testa ritrovandosi a pochi millimetri dal suo volto. – Il solo pensiero di lasciarti andare mi dà la nausea. – un sorriso amaro a piegargli le labbra, mero scudo della distruzione che sentiva nel cuore. – Mi piaci, Eren. – le guance dell'altro s'imporporarono di conseguenza, gli occhi gonfi e le labbra tremanti. E vide nella sua espressione l'intento di ricambiare quelle parole, ma queste furono interrotte da un sibilo di dolore e con le dita andò a tastarsi il braccio destro, la cui mano era ancora nascosta nella tasca. – Che succede?»

«È iniziata dopo che abbiamo parlato l'ultima volta, quando ho cominciato a ricordare. – sussurrò, il viso ancora distorto da una smorfia mentre scopriva la mano, mostrandogliela. E quella vista lo spiazzò del tutto. – Non riesco a fermarlo.» concluse, tirando la manica fino al gomito, rendendolo partecipe di uno spettacolo raccapricciante. Le dita affusolate di quella mano erano evanescenti, appena se ne distinguevano i contorni. La stessa mano che Levi aveva raccolto tra le sue stava lentamente scomparendo e quando il corvino si protese per afferrarla, semplicemente vi passò attraverso, riuscendo a percepire unicamente il gelo.

«No. – scosse la testa più volte, provando nuovamente a far intrecciare le loro dita, fallendo per l'ennesima volta. – No. – ripeté, più a se stesso che al castano. – No, è troppo presto.» sentì il volto di Eren nascondersi nell'incavo del suo collo, freddo come il ghiaccio eppure ancora così reale, e le dita che ancora avevano una parvenza di sostanza, carezzargli la base del collo.

«Suoneresti per me?» quella richiesta, sussurratagli direttamente all'orecchio, rimase sospesa tra loro per infiniti attimi. Levi lo sapeva, aveva capito quale fosse il motivo per cui nessun altro eccetto lui, riuscisse a vedere il castano. Quel conto in sospeso, che impediva ad Eren di andare oltre, riguardava unicamente loro due. Da vivo non era riuscito a realizzare il desiderio di ascoltarlo e la sua anima non avrebbe trovato pace fino a quel momento. Sarebbe stato l'ultimo tassello, quello che una volta inserito avrebbe posto fine a tutto, lasciandosi dietro l'amaro retrogusto di una nostalgia che nemmeno sarebbe dovuta esistere. Lo sapeva. Lo sapevano entrambi.

Annuì piano, passandosi la manica della giacca sulle gote per asciugarle, prima di allungarsi ad aprire la cerniera della custodia ed estrarre la propria chitarra classica, precedentemente accordata. E quanto fu strana la sensazione di averla nuovamente stretta tra le braccia, il peso della cassa che poggiava tra le sue gambe incrociate e i polpastrelli che tastavano timorosamente il nylon delle corde, mentre il plettro stretto tra le dita gli pareva quasi inesistente. Quanti ne aveva rotti, quante volte si era graffiato le mani fino farle sanguinare, tutto per amore di quello strumento che adesso rappresentava il suo incubo più grande. L'aveva generosamente condotto ad Eren, che ora se ne stava lì in attesa, e con altrettanta perfidia gliel'avrebbe strappato via, riducendolo ad essere un passivo spettatore di quella natura matrigna che non si risparmiava di annientare i suoi figli con brutalità.

Sentì un brivido percorrergli la pelle fino a rizzargliela quando il plettro perlato carezzò con dolcezza le corde, assecondando il semplice giro di sol dettato simultaneamente dall'altra mano, dando il via a quella che a tutti gli effetti, percepiva come la colonna sonora della sua distruzione. Levò lo sguardo per alcuni istanti, puntandolo sul suo viso. Aveva gli occhi socchiusi puntati verso l'alto in un punto indefinito, una nota di sofferenza che gli scavava i lineamenti e le spalle che si muovevano velocemente sotto il respiro che usciva fuori a rantoli quasi agonizzanti. Continuò a suonare, componendo gli accordi con ferocia, sperando che il dolore del ferro che scavava nella sua carne riuscisse a distrarlo da quello insopportabile che gli dilaniava il petto.

E si ritrovò costretto a stringere gli occhi quando scorse anche l'altro braccio di Eren cominciare a perdere consistenza a partire dalle unghie e attraversando le vene dei polsi che passarono dall'essere bluastre al non essere nulla. Continuò a ripetersi che quella era la cosa giusta da fare, che in quella terra non esisteva alcun posto che avrebbe garantito la felicità di entrambi. E se quella era la crudele verità, che almeno Eren conquistasse quella serenità che tanto meritava. Continuò a far cantare quello strumento, mentre la chimera di quello che sarebbero potuti essere in un'altra vita e in un altro tempo lo abbandonava lentamente, lasciando spazio all'amara rassegnazione di dover continuare ad andare avanti lontano dal verde dei suoi occhi.

«Ciao, sono Eren Jaeger. Tu forse non ti ricordi di me, ma non importa. Da oggi in poi farò tutto ciò che è in mio potere per risultare indimenticabile. Cominciamo con il bere qualcosa insieme? – la sua voce era poco più che un bisbiglio sofferente, il suo corpo quasi del tutto trasparente, quando Levi immobilizzò le mani. – Se fossi riuscito ad arrivare ti avrei detto una cosa del genere, mi avresti scambiato per un folle?»

«Sicuramente. – annuì, gli occhi che bruciavano. – Ma non ti avrei respinto. Ho sempre avuto un debole per i folli.» Eren accennò una risatina, Levi avrebbe ricordato anche quella per sempre.

«Se avessi la capacità di riavvolgere il tempo, tornerei ad un anno fa, solo per cercarti e dirti queste stesse parole.» Levi lasciò andare la chitarra contro il pavimento, avvicinandosi al suo volto.

«Mi dispiace essere arrivato in ritardo.» lo vide provare ad allungare le dita per carezzarlo, ma tutto ciò che avvertì contro la pelle fu la fredda sensazione di uno spostamento d'aria che gli scosse i capelli.

«Ma sei arrivato. – si sporse nella sua direzione, facendo sfiorare le loro fronti, i nasi ad un soffio di distanza. – Grazie, Levi.» sussurrò, posando le labbra sulle sue in una collisione così irreale da causare del vero dolore fisico. E proprio non riuscì a non domandarsi che tipo di sapore avrebbe avuto quel bacio se fosse stato dato un anno prima: magari mentolo, magari alcol, sicuramente vita. Non chiuse gli occhi, lo guardò per tutto il tempo desideroso di imprimere quell'insipida dolcezza nel proprio cuore, conscio di aver superato uno dei confini invalicabili della realtà. Non durò che pochi effimeri attimi, una brezza leggera li avvolse ed Eren si miscelò ad essa, permettendole di cullarlo, per poi dissolversi definitivamente, lasciandogli in dono l'euforica consapevolezza che, in un modo o nell'altro prima o poi, l'universo li avrebbe fatti ricongiungere.
 

-Fine

 

   
 
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