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Autore: Xay    12/05/2020    1 recensioni
Tratto dalla prefazione: "..Cala il silenzio, e il rumore della ghiaia sotto le nostre infradito bagnate accompagna il suo respirare faticosamente, quando si arrabbia ed è con me cerca sempre di calmarsi, non vuole trasformarsi e lasciarmi da sola, è sempre stato il più protettivo nei miei confronti, dopotutto avevamo sono undici anni quando mio padre e mia madre sono morti, lasciandomi a zio Billy e Harry, zia Sue e nonno Quil, che non sono altro che amici d’infanzia, ma nonostante ciò mi hanno allevata come una figlia biologica..."
Genere: Azione, Drammatico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Edward Cullen, Isabella Swan, Jacob Black, Nuovo personaggio, Quileute
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Più libri/film
Capitoli:
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final

Nota: mi son fatta prendere dalle insicurezze perché non so quanto possiate apprezzare,
ma questa è la sola fine che riesco ad immaginare e sento che in nessun altro modo sarebbe potuta andare.
Grazie sempre e per sempre, vi abbraccio forte.

Per qualsiasi dubbio sono a vostra completa disposizione.

Capitolo 42

Che matassa del cazzo le nostre vite

La grande sala vetrata di casa Cullen è stata privata dal suo consueto mobilio, lasciando il posto a maestosi tavoli finemente apparecchiati, le luci soffuse e la piacevole musica di sottofondo completano il quadro, semplice e raffinato. Rabbrividisco e sistemo meglio la stola sulle spalle mentre mi rendo conto quanto la cosa più difficile per esseri insensibili alle temperature sia regolare il termostato e accetto con un sorriso un flûte di champagne dal vassoio d'argento che un addetto del catering mi porge affabile. Jacob e Nessie si trovano all'ingresso, salutano cordiali tutti gli avvenuti alla festa, stretti in un abbraccio dolce, mi fermo a guardarli e passo energicamente una mano sulla spalla di zio Billy quando si si ferma al mio lato, il viso vagamente corrugato dalla preoccupazione.
«Tutto bene, figlia mia?» indirizzo il mio sguardo verso di lui e con un gesto gentile gli tolgo il cappello, annuendo. I suoi occhi mi rendono fiera di me stessa, per un attimo dimentico la conversazione avuta con Emmett e sento di essere unicamente una brava figlia, forte e responsabile. Integra e intera.
«Dovrai fare a meno del tuo fidato amico stasera» dico, porgo il copricapo a Esme, che sparisce dopo aver detto a Billy che l'avrebbe riposto in un luogo dove nessuno avrebbe potuto appiattirlo e rovinarlo. « E comunque dopo stasera sarà tutto in discesa» commento con un tranquillità, tornando a guardare il duo e sorseggiando dal bicchiere. Bella scende le scale in quel preciso istante e non posso non attestare quanto l'immortalità le stia d'incanto. Nessuna traccia era rimasta del suo essere impacciata e ritrosa. Una dea dal portamento felino incede con leggiadria un gradino alla volta dentro un lungo abito blu notte di seta lucida. Edward alle sue spalle la segue litigando concitatamente con i gemelli del polsino destro. Ripenso alle parole di Emmett e scelgo di allontanarmi da lì, dicendo a zio Billy che sarei andata alla ricerca di Seth e gli altri. Non so come sia plausibile un tale numero di invitati, mi rendo conto di non conoscere neppure la metà della gente elegantemente vestita che schivo con l'intento di approdare alla grande vetrata che dà sul giardino. Noto in un cantone poco distante dal tavolo degli entrée Ronnie e zia Sue che mangiucchiano delle tartine con l'aria di chi preferirebbe un hamburger e sollevata mi avvicino a loro con passo più sicuro. Ronnie non perde neanche un istante e dopo avermi salutata mi bisbiglia all'orecchio:
«Bella è una top-model, non sapevo che trasformarsi in vampira equivalesse al diventare la sorella minore di Afrodite.» una risatina nervosa è l'unica maniera in cui riesco a replicare e per eludere la conversazione sostituisco il mio bicchiere vuoto con uno colmo e ci tuffo la faccia.
Devo solo riuscire a non essere completamente ubriaca a fine serata, andrà tutto bene.
«Meg, che bello vederti finalmente!» la voce suadente di Bella mi accarezza l'orecchio, zia Sue e Ronnie si defilano in un batter d'occhio ed io mi volto nella sua direzione e mi apro in una specie di sorriso.
Andrà tutto bene il cazzo.
«Bella, ciao!» mi sporgo per un abbraccio imbarazzato, che lei ricambia con la sue inedite arie da regina delle sceneggiate.
I suoi capelli setosi e ondulati, di un acceso castano ramato mi svolazzano sul viso, hanno una fragranza celestiale e mi ritrovo ad essere in grave disagio per il suo splendore. La percezione di lei come di un bradipo inetto si è dissolta nel nulla e fatico a credere che sia mai esistita.
«Non tornavi al nido da anni, grazie per la tua presenza. Immagino ti sia costato molto, lo apprezzo.»
Le sue parole sono sincere, la sua intonazione lo è, la sua espressione lo è; ciononostante qualcosa, un piccolo ed insignificante sesto senso, mi fa pensare a quanto questi convenevoli siano mirati ad adempiere un dovere, propri di una cortesia di facciata da padrone di casa. Assottiglio la bocca nell’ennesimo sorrido insicuro, rispondendole quanto per me sia un piacere prendere parte alla felicità dei ragazzi. Lei sorride di rimando e mi poggia una mano sulla spalla, poi - con mia infinita gioia - si scusa dicendomi di dover raggiungere Nonsochinonstavoascoltando e signora.
Mi rendo conto, quando vedo la sensuale schiena scoperta di Bella allontanarsi, di non aver respirato per la maggior parte del tempo e quasi mi affogo con il mio stesso fiato mentre, prendendo una grande boccata d’aria, incontro gli occhi di Edward. Dura poco quel suo scavarmi intimamente, poi torna a osservare le sue dita che scivolano sui tasti del pianoforte, vicino a lui Esme lo ammira oscillando a tempo, non distanti Jacob e Renesmee ballano stretti, con due larghi sorrisi. Mi rilasso e poggio la guancia surriscaldata sul mio flûte di nuovo vuoto. Socchiudo appena gli occhi appagata dalla temperatura del cristallo, la quiete dura poco perché Alice passando lo sostituisce velocemente con il suo bicchiere pieno, borbottando alcune cose della serie “se berrò ancora questa merda darò di stomaco”.
Non sapevo che i vampiri avessero il riflesso del vomito, ma in fondo cosa me ne importa?
Emmett, già scarsamente distante, si avvicina del tutto e mi dice all’orecchio quanto fossi stata brava e che adesso con i discorsi agli sposi e la cena più di mezza serata sarebbe andata per il verso giusto senza troppi sforzi. Adagio la tempia sul suo braccio e mi concedo un secondo, già stremata e tesa, eppure determinata e motivata dalle sue notizie.
In effetti i discorsi filano lisci, proprio come aveva detto lui; parole, lacrime e abbracci dopo il mio nodo allo stomaco mi permette di piluccare a malapena il primo e rimandare indietro il secondo praticamente intatto, neanche il dolce riesce a suscitarmi appetito. La bottiglia di Merlot al centro del tavolo è più ammaliante di ogni altra pietanza o beveraggio, ma la ignoro vista la quantità di champagne ingurgitata durante gli antipasti. Finito di sgretolare il dessert con la forchettina dorata mi chiedo se non sia già l'ora di andare a casa, ma purtroppo l’orologio non segna neanche le 23.
Se non avessi quasi ventisette anni comincerei a piangere e a pestare i piedi in terra infastidendo zio Billy.
Il mio incontro con Bella era stato insoddisfacente sotto qualsiasi punto di vista, nulla di quello che c’eravamo dette era anche lontanamente riconducibile ad una conversazione che si potesse definire tale: nessun riferimento alla sua vita o alla mia, nessun “scusami se ti ho detestata” uscito dalle labbra di una delle due, ovvero nulla che non fosse composto da convenevoli o banalità.
Forse avrei preferito se mi avesse urlato che ero una puttana per essermi ripassata suo marito dopo aver fatto il pieno di tequila.
Un colpo di tosse mi fa girare in direzione del tavolo dei festeggiati, incontro di nuovo gli occhi di Edward che mi inchiodano, questa volta duri e consapevoli, rimproverandomi per i miei iniqui pensieri.
Cosa vuoi?
Aggrotta le sopracciglia, infastidito dalla mia domanda retorica e scuote la testa, passandosi una mano a sfregarsi il collo. Alzo gli occhi all'aria e torno a guardare davanti a me, decisa a non dargli possibilità di replica, nessuno avrebbe intaccato il mio umore apaticamente di merda, non stasera. Sto già esagerando pensandole soltanto determinate cose, sarebbe imperdonabile da parte mia qualsiasi tipo di reazione, devo limitarmi a mantenere un profilo così tanto basso da rasentare il pavimento, uno sbaglio adesso manderebbe in vacca un'intera serata di muta e sofferta presenza. Mi perdo in sproloqui del genere fin tanto che la serata scorre blanda, sottotono e senza che me ne renda conto comincia ad arrivare al mio tavolo gente che dice di volermi salutare prima di fare ritorno a casa.
Riesco a malapena a pensare vittoriosa al fatto che sono sopravvissuta, quando un rumore sordo mi fa capire di aver esultato ancora troppo presto e mi fa puntare lo sguardo sul fondo della stanza, dove la sedia di Bella si è furiosamente spostata per finire malamente a sbattere contro la parete alle sue spalle, gli occhi sgranati dei presenti la guardano increduli mentre lei elegantemente raccoglie la sua borsetta e gira i tacchi, camminando verso le scale che portano al piano superiore. Seguendo ancora una volta la sua schiena lungo il salone mi rendo conto di essermi persa nelle mie elucubrazioni mentali talment
e tanto da non notare di essere una degli ultimi ospiti rimasti in casa Cullen. Nessie sta impalata a pochi metri da me a piedi scalzi, con le sue decolté in mano e l’aria annoiata di chi sta assistendo a qualcosa che si sarebbe con piacere evitata.
«Okay dolcezza, ti porto a casa!» mi dice Emmett, precipitatosi accanto a come una scheggia, Alice segue Bella su per le scale, tirandosi dietro anche Jasper e Renesmee.
«cosa ca...?» non riesco neanche a finire la frase che Jacob mi si para davanti, avvolgendomi tra le sue braccia. Il contatto così profondo, imprevisto mi fa tremare e il mio primo istinto e quello di scollarmelo di dosso, facendo forza con le mani sul suo torace, una serie di ringhi gutturali mi rendono costantemente più confusa.
«Ragazzi, rimaniamo lucidi. Ci penso io» dice Emmett, cercando di mantenere un tono pacifico, scandendo bene le parole, ha le braccia spalancate e i palmi aperti. «Insomma, non avete già fatto abbastanza? Non è meglio che non ci pensiate più per qualche ora?» sono sconcertata e perplessa, l’altra persona con cui Emmett parla è Edward, che ha dietro di sé i suoi fratelli. Derek mormora delle parole che non sento, Amelia mi studia contrita. La mia sopportazione a quel punto giunge al termine, mi divincolo malamente dalla presa di Jacob e reprimo un urlo, furibonda.
«Io non voglio neanche sapere quello che sta succedendo e perché mi trascinate sempre nella vostre faccende!» si fermano tutti, paralizzati dal mio sfogo. So di avere un'espressione tutt'altro che sicura di sé e inflessibile e mi rendo conto di quanto la cosa non mi agevoli nel apparire decisa e autoritaria, ma non sono disposta a sopportare e subire i loro atteggiamenti. Mi rivolgo prima di tutto a Jacob: «non è qui con me il tuo posto, vai di sopra.» suona come uno degli ordini più autoritari che mi sia mai venuto fuori dalle labbra. Lui indietreggia appena, tra l’amareggiato e l’infastidito, ma fa come dico. Liberatami così dal primo ostacolo mi avvicino a Billy e gli afferro la mano per tranquillizzarlo dopo quello scatto d’ira. «Emmett, puoi accompagnare mio zio a casa sua? » vedo che il vampiro sta per aprire bocca ma io assottiglio gli occhi, come se qualunque sua replica potesse in qualche modo ferirmi irreparabilmente «ti prego» sussurro, lo vedo cedere e acconsentire. Do un bacio sulla guancia a mio zio prima che Rosalie lo prenda in custodia e che i tre si dirigano verso l'ingresso. La porta si chiude, Derek non si muove di un centimetro dalla sua posizione mentre Amelia si fa vicina a me, sfiorandomi una spalla.
«dobbiamo fargli risolvere questa cosa da soli» sussurra lei, il suo tono è deciso quanto lo era il mio pochi minuti fa, ma è più pacato. Ancora uno scambio di parole tra fratelli e Derek si allontana riluttante da Edward, mi punta addosso uno strano sguardo e in un battito di ciglia siamo da soli, dopo un mio cenno in altrettanto poco tempo siamo fuori dalla casa.
Mi copro le spalle con la stola, prendo coraggio e gli chiedo l'unica cosa possibile da formulare per il mio cervello in panne:
« Ed, cosa vuol dire tutto questo? » con un gesto indico me e lui, incapace di assegnare una definizione allo spazio che ci divide. La sua faccia è deformata in una maschera di dolore e ansia.
« Non lo so » è tutto quello che gli sento dire, in un soffio. Rimaniamo in silenzio, ma capisco che ha intenzione di proseguire a parlare quando accenna dei movimenti con le mani. Sta solo cercando i termini adatti. «Io e Bella ci siamo lasciati. Già da qualche tempo, in realtà.» non nascondo la mia sorpresa, poggiandomi al tronco dell’albero dietro di me, percepisco la ruvidità della corteccia sui polsi e quella piccola sensazione mi fa capire che è la realtà quella in cui mi trovo, per quanto mi appaia tutto sottosopra, sbagliato e guasto.
«So che Emmett ti ha già raccontato per grandi linee. Ti basti sapere che quella volta tra noi a Londra non è stata altro che una goccia nell’oceano. Ed è colpa mia se è finita nel peggiore dei modi, quello che immaginavo sarebbe successo si è verificato: Bella insoddisfatta della vita ai limiti della normalità che ho potuto darle, la sofferenza di tutti quelli che ci stanno intorno, le discussioni, la noia.» dà un piccolo calcio a qualcosa di inesistente, le mani in tasca, lo sguardo basso.
«Poi vedo te, la donna che sei diventata andando via da questo posto.» All'improvviso mi si avvicina e posso far finta di volermi allontanare, consapevole del fatto che il tronco dietro di me finirà per bloccarmi. «Sei cresciuta, Meg. Con il tempo ho cominciato a pensare che non rappresentavi soltanto quello che avrei voluto per Bella ma anche quello che avrei voluto per me stesso.» mi viene meno il fiato quando una carezza artica mi solletica il viso e il collo. Una parte di me sapeva già da tempo che questa situazione si sarebbe potuta verificare, per quanto mi sembrasse irreale, eppure trovarmici dentro mi rende totalmente scombussolata ed esterrefatta. Ascolto ogni vocabolo con uno stupore che non appartiene ad una come me, che ha subito e sopportato l'inverosimile, il surreale.
«Forse abbiamo sbagliato tutto, magari no. Pensi mai che quel giorno, al campo di grano... Non lo sapremo mai cosa sarebbe successo se... » stringe le labbra e sospira «adesso è troppo tardi» avvicino il mio viso al suo in un gesto d’impulso, non so che intenzioni avessi e mai lo saprò perché le sue mani scattano sulle clavicole e mi bloccano al tronco ruvido con delicatezza. «Non ti chiederò niente, Meg. Non voglio fare parte della tua vita, questo ho bisogno che sia chiaro prima di qualsiasi altra cosa tu decida di dire o fare. Non farò due volte lo stesso errore.» annuisco, credo di non essere in grado di fare altro. Una risata gli scappa dalle labbra e mentre riecheggia macabramente nella mia testa la sua fronte si poggia alla mia, «so che mi hai odiato durante questi ultimi giorni, ma sappi che ti ho ascoltato. Non volevo che mi parlassi, non volevo che facessi i conti anche con me. Ero divorato dal terrore di quello che sarebbe successo appena finito di spiegare, avevo bisogno di tempo per riflettere, per fare prima i conti non me stesso.»
Colgo quello che intende, il motivo che aveva spinto entrambi ad evitare il confronto fino ad ora è lo stesso ed è inevitabile che prima o poi uno dei due ne parli:
«Sei arrivato a qualche conclusione?» mi stupisco nel sentirmi pronunciare quella domanda, con intonazione ferma e vagamente scherzosa.
«Molte, in realtà. Nessuna che sia anche lontanamente accettabile, ovviamente» annuisco con vigore e mi lascio scappare un mezzo sorriso amaro, la mia fronte è di nuovo sulla sua «Che matassa del cazzo le nostre vite.»

day6

Alice ha fatto degli aggiustamenti dell’ultimo minuto al mio vestito, per “renderlo adatto al nuovo ruolo” o almeno, così mi ha detto questa mattina, quando con la scusa di consegnarmelo è venuta a ispezionare giudicante i miei occhi contornati di occhiaie per via della nottata in bianco passata con Edward a parlare senza sosta.
«Sai che questa situazione non porterà a niente che sia anche lontanamente una cosa buona, non c’è alcun bisogno che te lo dica.» esordisce all’improvviso, mentre mi sistema la lunghezza della sottana per farla cadere addosso nel modo giusto.
«Alice, non esiste nessuna situazione. Sappiamo entrambi benissimo quanto sarebbe complicato ed io mi rifiuto di ficcare di nuovo la testa così tanto in profondità dentro il pozzo senza fondo che è la vostra vita qui, e comunque anche se volessi lui non mi asseconderebbe mai.» tutto quello che fa è annuire, soddisfatta un po’ dalla mia risposta, un po’ dal lavoro fatto sull’abito.
«Bella come sta?» farfuglio, intimorita e costernata.
«Non lo so, credo che neanche lei riesca a concepire quello che sta accadendo. Era fino a tal punto convinta che la sua eternità, programmata nei minimi dettagli, sarebbe stata una lietissima non-fine che ora si ritrova spaesata e con in pugno neanche un paio di mosche.»
Per l’ennesima volta in questi pochi giorni non riesco a trovare termine adatto per proseguire la conversazione, quindi mi limito ad abbassare lo sguardo sull’orlo del vestito, guardando le mani di Alice lavorare più rapidamente di quanto fosse umanamente fattibile e mi accorgo che sulla sedia in cui ha poggiato il cuscinetto con gli spilli è adagiato un altro vestito e aggrotto la fronte, dubbiosa.
«Non torni a casa?» lei non solleva neanche lo sguardo, si limita a denegare con la testa, abbozzando che le faceva piacere passare del tempo con me. Inutile dire che la cosa mi puzza e mi lascia pensare di essere stata additata come persona da tenere d'occhio, ma accenno una stretta di spalle e decido di farmi andare bene la cosa, perdurando nel silenzio per il resto delle modifiche ad abito, trucco e capelli; mi guardo allo specchio estasiata e scioccata contemporaneamente quando ha concluso: gli strati velati color cipria dell’abito cascano morbidi sul mio corpo e si intonano alla piccola ghirlanda di fiori fermata sulla chioma che Alice ha provveduto rendere lucida e articolata in grandi onde, l’insieme mi conferisce un’aria quasi botticelliana. Distolgo lo sguardo da me e lo indirizzo su di lei mentre indossa il suo abito alla velocità della luce per poi scavalcarmi davanti allo specchio per dedicarsi al trucco. Frastornata mi siedo sulla prima superficie orizzontale a disposizione, realizzando che queste saranno le ultime ore passate in questo posto, con tutti loro, per chissà quanto tempo. Penso alla mia vita a Londra e ad un tratto mi sento colta alla sprovvista dal modo in cui mi si sarebbe srotolata davanti non appena tornata: il mio lavoro, i miei amici al pub, la vecchia Wendy. Come avrei fatto a disabituarmi di nuovo alla loro presenza? Cosa potrà succedere se cominciassi a non sentirmi a casa neanche a Londra? In tal caso dove sarebbe casa mia?
Prendo fiato bruscamente e lotto energica contro me stessa per non arrendermi alle lacrime, rovinando il trucco che Alice mi aveva fatto con tanta cura. Lei pare accorgersi del mio stato, ciò che fa è scrutarmi dal riflesso dello specchio mestamente, annuendo a stento quando i nostri sguardi si incontrano. Prendo quel cenno come un autorizzazione a lasciarmi andare e comincio perciò senza parlare a riversare ogni goccia trattenuta fino ad ora. La cerimonia si svolge nel migliore dei modi: commovente, romantica, piacevole, oserei. Fare da bambina spara-petali non mi è poi pesato e lo sguardo grato di Renesmee e Jacob mi ha riempito il cuore fino all'orlo. Il rinfresco procede con calma, la musica accompagna armoniosamente risate, chiacchiericci e tintinnii di bicchieri come fosse stata composta di proposito per l'evento. I fiori, presenti ovunque su cose e persone sono intonati al bouquet di Ness e in qualche modo la cosa mi infastidisce, facendomi percepire la maggior parte di noi come fossimo un suo stiloso accessorio. Le note del primo ballo si propagano nell'aria e tutti ci riuniamo ad ammirare la coppia. Carlisle decide di chiedermi un ballo con un profondo inchino, arrossita per quella premura d'altri tempi curvo appena il capo per accettare l'invito e mi lascio condurre sulla pista, che nel frattempo si popolava di coppie danzanti. So che vuole dirmi qualcosa, glielo leggo negli occhi, ma ci limitiamo ad ondeggiare e sorridere per l'intera durata della prima canzone.
«Ho paura, Meg» lo ascolto senza scompormi, ma intristendomi quando capisco dove arriverà. «Mio figlio mi terrorizza. Non voglio perderlo, la sua vita si sta svuotando così tanto da farmi pensare possa compiere qualche stupidaggine, non so cosa abbia in mente.» condivido il suo dolore e le sue paure, ma non posso far altro che mordermi le labbra con fare nervoso. Fino a quel punto non una volta il suo nome era uscito dalla mia bocca, nessuno dei miei sguardi si era intrecciato al suo neanche per errore. Di comune accordo il giorno prima avevamo deciso di limitare ogni contatto per il bene degli altri e nostro, quindi la confusione albergante nella mia testa sentendone parlare apertamente per poco non mi procura un capogiro. Come siamo arrivati a questa situazione così diversa in soli pochi giorni?
«Credo che non lo sappia neanche lui» finisco per dire, in un sussurro lieve, dopo aver aleggiato nel silenzio per ancora qualche minuto. « Posso assicurarti però che non farà niente di quello che pensi, ho parlato molto con lui ieri e ti posso assicurare che è molto cambiato, troverà una soluzione.»
Il suo viso latteo si avvicina al mio e le labbra gelate mi scoccano un bacio sulla guancia mentre accenna un grazie con voce incrinata, nell'istante in cui la canzone finisce un altro inchino e con un grande sorriso mi accompagna al mio tavolo, dove si ferma a conversare con Charlie Swan, stranamente a suo agio più di me in quello strano mondo conosciuto da relativamente poco.
Un sorso d'acqua mi basta a riacquistare il controllo totale dei miei pensieri e per cedere ad Embry che tenta di trascinarmi di nuovo con una risata sulla pista da ballo.
Quando il ricevimento giunge al termine è già il crepuscolo, so di dover andare a casa a preparare la valigia ma rimango per qualche tempo in compagnia di Jacob e Seth, che tira fuori dalla un angolo nascosto delle birre scadenti e mi convince a salutarci così, farneticando che mai più sarebbe stato lo stesso ora che uno di noi si era sposato. Lo sguardo addolorato che in sincrono lega i miei occhi a quelli di Jacob ci convince a non interrompere il suo discorso per precisare che niente era più neanche lontanamente come un tempo.
Forse è stato meglio sia finita così – penso e mi siedo sull'erba con un tonfo attutito dagli strati del vestito, afferro la birra che mi porgono e con l'altra mano provo a disfarmi della corona di fiori sulla testa, ormai appassita e sgualcita.
Da piccolissima la figura di Bella si fa vicina e con la stessa agilità si adagia per terra, a chiudere il nostro cerchio. Sorride, con una punta di amarezza; so che potrebbe facilmente ridurmi ad una poltiglia umana, eppure il mio petto è schiacciato dalla preoccupazione che possa cadere in frantumi da un momento all'altro, come fosse fatta del più fragile dei cristalli. «Di che parlate?» chiede, Seth sembra seccato ma alla fine si apre in un sorriso e le spiega la sua teoria sulla fine di un'epoca.
«Sono assolutamente d'accordo con te. Sta per cambiare tutto, io domani partirò per Denali.» ne parla con tranquillità e in seguito si volta a guardarmi, inaspettatamente i suoi occhi risultano dolci quando si posano su di me. «Meg, volevo solo parlarti prima che partissi. Non sarò prolissa o drammatica, volevo dirti che non ha colpe. Io non sono arrabbiata con te, non riesco neanche a capire come sia possibile che prima provassi tanta rabbia nei tuoi confronti.» La sua mano si allunga e trova la mia, la stretta che le do io è energica, felice. Jacob ci guarda estasiato e mi rendo conto che per lui deve essere una conquista guardarci mentre ci vogliamo così bene forse per la prima volta e nonostante tutto. Seth solleva la birra e noi lo imitiamo, perfino Bella afferra una bottiglia.
«Alla nostra!» esclamiamo e in quel minuto esatto finalmente mi sento in pace e con la sicurezza che ogni cosa si sarebbe risolta per il meglio.

📍  Londra, 8 mesi dopo

«Dobbiamo darci un taglio.» si sistema meglio il cuscino sotto la testa e il suo petto nudo si alza e si abbassa, sembra assonnato e affannato ma non lo è, non può esserlo. I suoi capelli arruffati fanno pensare a chi si è appena svegliato, mi perdo in questa fantasia poggiandomi alla cornice della porta del bagno, spazzolandomi vigorosamente i denti e alternando occhiate a lui che mi studia accorto e alla finestra appena sopra di lui.
Credo che pioverà tutto il giorno oggi.
«Lo credo anche io, puoi prendere il mio ombrello.» increspo le labbra in un sorriso, ringraziandolo mentalmente e mi volto per sputare il dentifricio nel lavandino, ben consapevole di aver ignorato la sua frecciatina iniziale.
Finisce sempre così, ogni volta che viene a trovarmi. Ci giuriamo che nulla sarebbe successo e ci riusciamo perfino abbastanza bene per i primi tempi, ma inevitabilmente e per le più svariate ragioni finiamo col perdere il controllo e farci prendere la mano, cediamo, incespichiamo nel sesso ogni singola volta. Subito dopo o con una tolleranza di poche ore di stordimento comincia la fase conclusiva, una via crucis fatta di confronti spigolosi e analisi di coscienze che ci spingono a non vederci né sentirci per settimane, mesi. Un giorno poi lo trovo a aspettarmi sul pianerottolo o fuori dal mio ufficio e si parte con un altro ciclo di amicizia-passione-penitenza.
In un attimo è dietro di me, mi cinge la vita, mentre le mie mani armeggiano con la spazzola. Il suo viso finisce tra la mia scapola e il mio collo e rimane lì, guarda il mio riflesso e resta assolutamente immobile.
«Megan.» lo pronuncia dopo un silenzio interminabile, in cui la mia ansia comincia a montare e nell'aria non si sente altro che i colpi di spazzola con cui torturo fin troppo violentemente i miei ricci.
Cosa Edward? Che cosa vuoi?
Faccio un giro su me stessa e posso constatare direttamente quanto il mio pensiero lo ferisca, tuttavia non osa allentare la presa su di me e fa sfiorare i nostri nasi, chiudendo gli occhi. Comunicare con lui tramite pensieri è diventata un' intimità a cui mi sono riabituata con più facilità di quanto credessi fattibile.
«Odio anche io discuterne, ma non possiamo continuare così.» come sottolineando il carattere d'incoerenza in cui aleggia la nostra non-conversazione mi sollevo sulle punte dei piedi scalzi e lo bacio con prepotenza, lui accetta di buon grado quel contatto e mi alza di slancio facendomi sedere sul bordo del lavandino per approfondirlo. Sa cosa sto facendo, sto fuggendo al confronto.
A turni quasi perfettamente alterni uno dei due vuole sbattere in faccia all'altro la realtà dei fatti, ottenendo come risposta un muro talmente alto e robusto da risultare invalicabile. I tentativi di corruzione sono le prime armi sfoderabili e sono soltanto una voce della lunga lista di atteggiamenti tossici e controproducenti che assumiamo.
Spogliarsi visto le condizioni casalinghe risulta fin troppo facile, ma la parte dell'assennato risvegliatore di coscienze oggi la interpreta Edward e quando tocca a lui il “sesso da vigliacchi” non va mai in porto, infatti quando le mie dita raggiungono i suoi boxer si stacca non senza un certo sforzo, scuotendo la testa e ridacchiando sommessamente, io dal canto mio sono la rappresentazione del cattivo umore e dell'immaturità. Lo so, ne sono ben consapevole.
«Per una volta possiamo non parlarne? Il tuo aereo per la Cambogia partirà tra due giorni.» la sua espressione non cambia, la sua mano prende la spazzola e comincia a prendersi cura dei miei i capelli con piacevolezza, facendomi tornare con il viso verso specchio. Non parla, entrambi studiamo le sue mani candide che si tuffano tra i miei capelli scuri con un meccanismo ripetitivo, di una dolcezza disarmante.
«Mi sento umano qui, adoro questa sensazione.» mi confessa, adagia la spazzola al suo posto e comincia ad intrecciare le ciocche tra loro. Chiudo gli occhi e capisco che ha finito quando lo sento frugare nella ciotola degli elastici per capelli. «Sai perché sono tornato?»
Perché lo fai sempre.
La sua risata sibillina mi stordisce, mi allontano da lui e apro fiacca l'armadio in cerca di qualcosa da indossare per la giornata di lavoro. Come niente fosse passa a sedersi sulla piccola sedia accanto la porta e mi osserva mentre svogliatamente salto dentro i pantaloni.
«Meg, sono venuto a dirti addio.» mi gelo e mantengo gli occhi bassi, sulla chiusura dei pantaloni.
Non si era mai parlato di addii.
«Lo so ma questa volta è diverso, Alice ti ha vista.» riesco a guardarlo, nel frattempo con una mano tasto il piccolo comò, in cerca del cellulare. Gli faccio cenno di aspettare, lui socchiude la bocca e alza gli occhi al cielo. Non si muove, diventa una statua di cera durante tutto il tempo della telefonata in cui informo che a causa di una necessità personale mi sarei dovuta assentare e che avrei completato il lavoro urgente da casa. Riattaccata la chiamata con un solo gesto mi sfilo i pantaloni e mi trascino verso il letto, lui mi segue e le sue braccia mi circondano in un abbraccio.
«Sputa il rospo.» sussurro, sollevando il viso da suo stomaco, le sue labbra mi colgono impreparate e mi distendo su di lui in uno scatto, assaporando appieno il bacio, che adesso è agrodolce. Questa volta tocca a lui scappare.
«Cosa ha visto, Ed?» le sue labbra si assottigliano, inverte la posizione e poggia il mento sul mio sterno, fissandomi con attenzione.
«Un ragazzo. Una persona fantastica, l'ho tenuto d'occhio per un po' e...» le parole gli muoiono in gola quando si accorge che sono bianca come un cencio.
Non so cosa sto provando, non lo capisco, l'unica cosa che sento certa è che «Io non voglio.» balbetto, mi metto seduta e lo guardo con gli occhi stralunati. «Io non ti abbandono così.» farfuglio indignata e gli punto un dito contro con tutta la rabbia e la disperazione che mi stanno logorando «Non te lo lascerò fare.»
La sua espressione è annoiata dalla mia reazione, con poca grazia si libera del mio dito rabbioso e si siede incrociando le gambe. «Devi farti la tua vita, sapevamo che sarebbe successo presto o tardi. Io starò bene.» sono frastornata dalle sue parole, mi limito a sollevare un sopracciglio «Meg, se c'è una cosa che ho capito grazie a te è che sono in grado di amare ancora, un'infinità di volte, in modo sempre diverso ed è meraviglioso. Tu devi trovare la tua strada, i Cullen hanno lasciato Forks, si erano trattenuti fin troppo tempo e così possiamo più agevolmente... dirci ciao.» il suo discorso è logico e rincuorante, ma vedere quel bel viso, gli occhi buoni, la sua grande mano sopra la mia, mi sembra tutto inconcepibile e sbagliato.
«Ma io...» Edward separa la distanza tra noi scoccandomi un bacio sulle labbra e il suo sorriso è radioso, non c'è un velo di tristezza in lui.
«Anche io, Meg! Ma non basterà alla lunga, lo sappiamo.» annuisco, la sua posizione in merito non è mai cambiata, non ci sarebbe mai potuto essere un “vissero felici e contenti” per noi. Anche la mia opinione non è mai stata differente, non mi ero mai fatta chissà quali fantasie, ma vederlo finire – proprio qui, proprio ora - mi sta destabilizzando.
«Interferirà con il mio futuro chiederti di passare nel migliore dei modi questi ultimi giorni?» mentre lo dico gattono verso di lui, sedendomi sul suo grembo, mi rannicchio tra le sue gambe ed assumo una posizione quasi fetale.
«No, chiaramente sto lavorando con largo anticipo, ci diremo addio per bene.» annuncia fiero, solleticandomi la fronte con i suoi capelli, intento a poggiare le labbra sul mio naso. I nostri occhi si incastrano e mi apro in un sorriso, annusando il suo profumo.
«Perché l'hai seguito? È davvero inquietante.» parlarne mi mette a disagio, ma ormai la frittata è fatta.
«Volevo essere certo che fosse un bravo ragazzo e lo è, nessun altro dettaglio.» non dà peso alla risposta, sventola una mano davanti al suo viso, quasi a scacciare la mia domanda come una zanzara fastidiosa.
«Ma...» mi tappa la bocca e si lascia andare ad uno sbuffo sonoro.
«Nessunissimo dettaglio, ne ho già parlato fin troppo! Adesso vestiti, oggi non c'è un filo di sole e voglio passeggiare.» mi alzo controvoglia e di nuovo infilo i pantaloni, sempre osservandolo. Mi da la schiena, probabilmente è perso nelle menti dei passanti fuori o tra i miei pensieri. Lui sul mio letto sfatto, ogni angolo della stanza e lo scorcio fuori dalla finestra, tutto trasuda di una strana bellezza malinconica, disperata. Scatto una foto mentale prima di aprire il cassetto dei maglioni. La fine allora è giunta? Razionalmente non posso che dire di sì, ma i grandi legami forgiati in quegli anni come possono definitivamente abbandonarmi adesso che so conviverci pacificamente? La cieca consapevolezza che se non fossi forte abbastanza da sopportarlo non mi avrebbero mai detto addio mi rincuora. Alla fine dei giochi, per quanto profondamente, nessuno di loro mi mancherà più di un qualsiasi altro caro, vecchio amico d’infanzia e non ho intenzione di concentrarmi sui particolari che fanno di loro le creature leggendarie che sono, perché non importa, piuttosto li terrò nei miei ricordi nella loro accezione più umana, quando spensierati si perdevano nei loro gesti quotidiani.
Edward si volta, lasciandomi vedere il suo viso sorridente, i capelli scomposti, quella sua aria di superiorità beffarda, ma percettibilmente buona.
E sono sicura, so di volerlo ricordare esattamente così, come un ragazzo normale.



Fine.

  
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