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Autore: Red1701    18/05/2020    2 recensioni
Ogni uomo prima o poi nella vita pronuncia quelle quattro fantomatiche parole: dovremmo comprare un bar.
E loro alla fine l’avevano davvero comprato.
One shot ambientata nella Los Angeles degli anni '80.
[Team7-Sasusaku]
Genere: Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Naruto Uzumaki, Sakura Haruno, Sasuke Uchiha | Coppie: Sasuke/Sakura
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun contesto
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Kintusgi.
Ovvero la rappresentazione di come un vaso riparato con l’oro dia vita a qualcosa di molto più resistente.

 
 

 
Ogni uomo prima o poi nella vita pronuncia quelle quattro fantomatiche parole: dovremmo comprare un bar.
E loro alla fine l’avevano davvero comprato quel bar all’angolo in fondo alla loro via e dopo giorni passati a litigare avevano trovato una soluzione al nome: Kintsugi. Era un nome che ben spiccava in confronto a quelli di qualsiasi locale nato negli anni ’80 in quella città in cui si erano trasferiti per amore dell’unica cosa che riusciva davvero a legarli: la musica.
Sakura se n’era uscita con quel termine verso le tre di notte, dopo un’intera serata passata a litigare con gli altri due coinquilini. Aveva guardato Sasuke che se ne stava infossato nel divano grigio con un braccio sugli occhi e con la voglia di prendere a pugni quell’idiota del suo amico che continuava a proporre nomi improponibili e aveva avuto l’idea perfetta.
«Kintsugi» aveva esclamato con una luce negli occhi.
«Sakura-chan, è almeno una parola che ha senso?» le aveva chiesto il biondo sdraiato a pancia all’insù sul tappeto del salotto.
«Si dobe. È l’arte di riparare gli oggetti rotti con l’oro colato» gli aveva risposto il moro salvandola da un probabile embolo.
Erano nati tutti e tre negli Stati Uniti -a Portlan per la precisione- ma tutte e tre le famiglie erano di origine giapponese. Se Sakura e Sasuke avevano comunque imparato qualcosa del loro Paese d’origine, Naruto non ci aveva provato neanche per idea.
«Sai che non è poi così una cattiva idea?» aveva proseguito levandosi il braccio e guardandola negli enormi occhi verdi.
Lo sapeva benissimo che era la migliore delle idee per un semplice motivo: era successo loro la stessa cosa. Erano nati e cresciuti nello stesso quartiere ed erano rimasti loro tre, insieme, fino a quando ad un certo punto Sasuke aveva deciso di abbandonarli senza salutare. Era sparito da un giorno all’altro causando nel team 7 -soprannome che un insegnante aveva affibbiato loro alle elementari- un danno irreparabile. Naruto aveva iniziato a saltare le lezioni e le poche volte che andava a scuola attaccava briga con chiunque mentre Sakura si era chiusa a riccio e passava tutto il suo tempo nella sala prove del negozio di dischi del padre.
Poi all’inizio dell’ultimo anno Sasuke era comparso nuovamente a scuola senza però trovarsi i suoi migliori amici. Sapeva di aver fatto una stronzata ma era dovuto scappare improvvisamente per un impegno famigliare che aveva trascinato tutta la famiglia in Giappone, dai nonni. Non aveva avuto il coraggio di dire addio alle uniche due persone a cui voleva bene, perciò la fuga fu l’unica soluzione a cui aveva pensato.
Inutile dire che Itachi gli aveva fatto pesare la cosa per i tre anni in cui erano stati lontani.
Naruto era stato trasferito presso un altro istituto nella speranza che riuscisse almeno a finire l’ultimo anno e Sakura poteva saltare la maggior parte delle lezioni perché era talmente brava che si sarebbe potuta diplomare l’anno prima, ma aveva deciso di tirarla lunga solo per non dover decidere del suo futuro.
«Portland Records, sono Sakura come posso aiutarla?» aveva risposto al telefono del negozio verso metà mattina del 10 novembre e la voce della sua compagna di classe le aveva quasi trapanato un timpano.
«Nora calmati, non capisco una parola se urli e parli di fretta» le aveva detto stringendosi le tempie con la mano libera. Non capiva perché la stava chiamando a metà mattina di un giorno scolastico, e soprattutto con tutta quell’enfasi.
«Sasuke. C’è Sasuke a scuola»
Il cuore per un attimo aveva smesso di battere. Non era possibile che fosse tornato e che non avesse fatto sapere niente, ma dopotutto fare le cose senza avvisare era una cosa che aveva già fatto.
«Arrivo» le disse mettendo giù il telefono e afferrando lo zaino dal ripostiglio. Era passata vicino al padre di corsa e gli aveva urlato che andava a scuola.
Quando aveva raggiunto Nora che impaziente l’aspettava al cancello d’ingresso le aveva immediatamente chiesto dove fosse e l’aveva indicato dalla parte opposta alla loro, seduto su quella panchina che una volta era stata solo di loro proprietà.
A passo sostenuto lo aveva raggiunto e gli si era parata davanti puntando bene i piedi a terra e con il peggior sguardo che avesse nel repertorio.
«Mi dispiace» le aveva detto appena aveva alzato gli occhi dal libro che stava leggendo. Non era così sicuro di sé stesso ora che si era trovato davanti la sua migliore amica incazzata da morire.
«Mi dispiace? Tutto quello che sai dire è “mi dispiace”? Come diavolo hai potuto lasciare tutto per tre anni senza neanche avvisare?» gli aveva urlato. Per fortuna erano lontani dal cortile principale e c’erano solo loro due.
«Non sapevo come dirvelo» ammise sconfitto. Ci aveva già pensato suo fratello a tormentarlo, pensava che almeno lei lo potesse perdonare dal primo istante in cui l’aveva visto.
Si sbagliava di grosso.
«Sei un’idiota, Uchiha. Tu non puoi neanche immaginare quanto abbia fatto male» aveva continuato abbassando il tono e con un groppo in gola. Si era promessa che non avrebbe pianto lungo il tragitto negozio-scuola ma che l’avrebbe conciato per le feste.
Il moro si alzò e fece un passo verso di lei prendendosi un pugno potente sullo zigomo. Gli aveva fatto un male assurdo, ma in fondo sapeva di meritarselo.
Era diventata più bella Sakura; tanto bella quanto pericolosa.
E durante un paio di imprecazioni rivolte al cielo se l’era trovata tra le braccia. Non era un tipo da abbracci -non era un tipo da contatto fisico in generale- ma dovette ammettere che quella nube di capelli rosa gli era mancata tantissimo.
«Hai già avvisato Naruto?» gli chiese con la faccia sepolta nel petto, ma lui aveva scosso la testa.
Uscirono da scuola e andarono a recupera il biondo, che alla vista del suo migliore amico era saltato fuori dalla finestra della sua classe e gli si era lanciato contro, letteralmente.
Finirono il liceo e decisero di trasferirsi insieme nell’unica città che davvero poteva sopportare tutti e tre: Los Angeles. Fecero alcuni lavori per un paio di anni, poi appena visto il cartello vendesi avevano deciso di buttarsi in quell’impresa titanica.
Appesero l’insegna fuori da quel locale nel giorno in cui aveva avuto più senso farlo, il 10 novembre, e mentre stretti l’uno all’altro la osservavano risplendere nel buio a Sakura era anche scesa una lacrima.
 
Così quattro anni dopo si erano ritrovati proprietari di quel locale che aveva un discreto successo nel panorama musicale. Naruto stava al bancone a spillare birre, Sasuke si occupava dei rifornimenti e di tutta la parte burocratica della cosa e Sakura si occupava del giro di musicisti che ogni weekend invadeva quel piccolo palco che avevano fatto costruire al lato opposto del bancone. Era lei l’unica che conosceva a fondo ogni particolare della musica, quindi era l’unica che aveva voce in capitolo su quella zona del bar e su chi far suonare o meno nel loro locale.
Un venerdì notte piuttosto afoso di agosto tornarono a casa verso le due del mattino felici di aver chiuso prima del solito. La maggior parte della gente se ne stava in spiaggia in quel periodo e loro potevano chiudere prima senza dover cacciar via qualcuno.
«L’unico motivo per cui mi manca Portland» aveva esclamato Sakura buttandosi a peso morto sul divano. Lei odiava il caldo, e ancor di più odiava il fatto che in quella casa c’era un solo ventilatore e che quella sera non toccava a lei averlo in camera.
Naruto si era seduto appena la rosa aveva alzato le gambe e le aveva fatte ricadere sulle cosce del biondo.
«Credo che le nostre pelli si siano appena fuse assieme» le disse passandosi una mano sulla fronte imperlata dal sudore.
Non poteva far così caldo alle due di mattina, cavolo.
Sasuke era comparso in salotto una decina di minuti dopo con indosso solo un paio di pantaloncini della tuta e i capelli ancora bagnati e la ragazza aveva prima sgranato gli occhi e poi aveva ricacciato giù la saliva. Nonostante lo conoscesse da quando avevano sei mesi non si era ancora abituata a quella versione rilassata e perfetta del moro.
«Teme mettiti una maglietta, credo che Sakura abbia appena preso fuoco» aveva detto prendendola in giro come faceva tutte le volte in cui uno dei due girava per casa senza maglia. La cosa che Naruto però non sapeva era che lei lì trovava davvero perfetti, entrambi.
Si alzò dal divano e gli tirò un pugno sul braccio dopo averlo insultato. Era corsa sotto la doccia gelata e si era lavata via ogni traccia di caldo che aveva addosso, poi in pantaloncini e canotta aveva raggiunto i due idioti intenti a bersi un paio di birre.
«Sono quelle che ho messo in frezzer prima di andare al lavoro, vero?» aveva chiesto con gli occhi lucidi alla vista di quelle bottiglie ghiacciate.
«Vado in doccia anche io. Non vi azzardate a bere le mie» aveva detto il biondo puntando entrambi. Il moro l’aveva guardato con un ghigno malefico e l’altro era corso in bagno per lavarsi il più in fretta possibile e tornare.
«Si però che palle. Perché voi due ve ne andate in giro per casa sempre mezzi nudi?» aveva chiesto la rosa alla vista di Naruto senza maglia e con i capelli bagnati.
«Perché siamo maschi, e ci divertiamo a vederti sbavare per noi» le aveva risposto sedendosi al suo fianco e schioccandole un bacio veloce su una guancia.
Senza dire nulla si era alzata dal divano ed era corsa in camera sua. Se volevano giocare sporco allora tanto vale lo facesse anche lei.
Si tolse gli indumenti e si mise addosso solo quella maglietta dei Guns ‘n Roses più grande di due taglie e si era sciolta i lunghi capelli rosa ancora bagnati. Aveva tolto anche il reggiseno, tanto per fargli capire che stavano giocando con la ragazza sbagliata.
Era tornata in salotto con un ghigno vittorioso -lo stesso che aveva Sasuke quando vinceva qualche discussione contro il dobe; passava decisamente troppo tempo con quei due- ed era tornata al suo posto. Aveva afferrato la sua birra dal tavolino ed aveva incrociato le gambe apposta per far notare loro che quella era solo una maglia leggermente più grande e non un vestito.
«Sakura-chan» aveva esclamato dopo aver sputato un po’ della sua birra sul tappeto. Il suo sguardo era involontariamente finito sullo spazio vuoto e si era bloccato sulla stoffa rossa delle sue mutandine. Non era scandalizzato da quella cosa, dopotutto non era la prima volta che la vedeva in intimo, ma qualcosa dentro di lui reagì per conto suo.
Lei aveva voltato la testa alla sua sinistra e aveva incrociato i suoi occhi verdi con quelli azzurri del suo migliore amico e gli aveva sorriso maliziosamente. Più volte avevano flirtato in quel modo ma era sempre stato uno scherzo.
«Si?» gli chiese portandosi la bottiglia alle labbra e bevendo un generoso sorso di quella bevanda ghiacciata. Si era poi asciugata un angolo della bocca con il pollice senza mai distogliere lo sguardo da quell’azzurro che si era fatto un po’ troppo liquido per essere l’effetto delle birre.
«Stronza» le aveva risposto passandosi una mano sul viso e tornando a prestare attenzione solo alla televisione di fronte a loro. Lei rise e si girò a guardare il moro alla sua destra.
Durante tutto il gioco Sasuke aveva sentito una sorta di gelosia montargli dal cuore al cervello. Li aveva visti comportarsi in quel modo un milione di volte ma per la prima volta voleva far parte di quella cosa anche lui. Si passò la lingua sul labbro superiore, abbandonò la bottiglia sul pavimento e mise quella mano gelata su una coscia nuda di Sakura pericolosamente vicino alla stoffa rossa.
Sakura sgranò gli occhi sorpresa da quel gesto e poi si strinse il labbro inferiore tra i denti continuando ad ammirare quel profilo di cui era innamorata da prima ancora che iniziassero il liceo.
«Geloso, Sas’ke?» gli aveva chiesto attirando la sua attenzione. L’aveva guardata con gli occhi neri pronti a divorarla al minimo segnale.
Si era reso conto di provare qualcosa per quella testa rosa dalla prima settimana in cui si erano trasferiti in quel loft dallo stile industriale ma non aveva mai fatto niente consapevole che anche il suo migliore amico provasse una sorta di sentimento per la stessa ragazza. Gli aveva così lasciato campo libero, permettendogli di provarci con lei in quel modo senza staccargli la testa dal collo come avrebbe fatto con qualsiasi altra persona sulla faccia della terra.
«Ho bisogno di un’altra doccia gelata» aveva annunciato il biondo alzandosi di scatto e mettendosi una mano in mezzo alle gambe per nascondere l’erezione che non ne voleva sapere di abbassarsi.
Appena sparì nel corridoio Sakura approfittò del momento e salì a cavalcioni sulle cosce di Sasuke appoggiandogli le mani su quei pettorali marmorei.
«Ho più autocontrollo del dobe» le aveva detto socchiudendo gli occhi per sfidarla. Quel gioco lo mandava su di giri più di quanto avesse voluto ammettere.
«O lo immagino visto che di solito non ti scomponi. Quindi dimmi Uchiha, hai appoggiato quella mano tra le mie gambe solo per errore o perché finalmente ti sei deciso a scioglierti?»
Si morse di nuovo il labbro inferiore e sbattè le ciglia un paio di volte; nonostante non lo desse a vedere Sakura si era accorta di come la guardava ogni qualvolta faceva quelle cose da quando erano arrivati in città. Più volte, quando al lavoro sentiva il suo sguardo incollato addosso, si era morsa intenzionalmente il labbro solo per godersi quella scintilla che passava nei suoi occhi neri come la pece.
Il moro le mise una mano alla base della nuca stringendole una ciocca di quei capelli dal colore bizzarro e le fece alzare la testa puntando lo sguardo sulle labbra rosse dai morsi.
«Ti piacerebbe eh?» le chiese a pochi centimetri dalle labbra.
Sakura si avvicinò tanto da far sfiorare i loro nasi. Aspettava quel momento da quando erano adolescenti.
«Scendi, sei ubriaca» le aveva detto quando finalmente era riuscito a ritrovare uno spiraglio di lucidità. Non voleva baciarla da ubriaca perché probabilmente se ne sarebbero pentiti la mattina dopo e soprattutto non voleva fare un torto a Naruto.
Perché non riusciva a mantenere quell’autocontrollo quando erano soli?
«Sasuke, quella sul tavolino è la prima birra che bevo in tutta la giornata e ne ho bevuto solo un sorso. Al lavoro ho solo bevuto acqua, quindi sono ben lontana dall’essere ubriaca» gli rispose allontanandosi il necessario per poterlo guardare dritto negli occhi.
Sasuke sentì il sangue liquefarsi; era vero, Sakura non aveva toccato alcool per tutta sera e poi si comportava in un modo completamente diverso quando beveva troppo -diventata insopportabile quasi quanto il biondo-, quindi stava facendo quello in piena coscienza delle sue facoltà.
«Ma non posso lo stesso» le aveva detto chiudendo gli occhi e buttando la testa all’indietro sullo schienale del divano. Se non fosse scesa al più presto avrebbe dato di matto, e c’era già qualcosa in lui che bramava di poter vedere la luce.
«Uchiha, non mi interessa se hai fatto qualche strano patto con Naruto. Sono stufa di aspettare»
Era tornato a guardarla con le sopracciglia aggrottate; cosa voleva dire che era stufa di aspettare?
«Sono dieci anni che ti aspetto, baka» confessò. Nessuno era a conoscenza del fatto che fosse ancora completamente presa da quel ragazzo, neanche Ino che era diventata la sua migliore amica appena avevano messo piede nella città degli angeli.
Spalancò gli occhi a quella frase. Vide la ragazza farsi più piccola e perdere tutta quella spavalderia di cui si era vestita poco prima e mandò al diavolo qualsiasi promessa fatta al suo migliore amico.
Lo sapeva che tanto avrebbero risolto l’indomani mattina con una ciotola di ramen gentilmente offerta dalle tasche dell’Uchiha.
Iniziò a baciarla lentamente, portando anche l’altra mano tra quei capelli che profumavano come Tokyo durante la stagione dei ciliegi e si perse in lei.
Kami, se solo lo avesse saputo si sarebbe risparmiato un bel po’ di pessime scopate e di ragazze psicopatiche che puntualmente si presentavano al locale il giorno successivo con la speranza di avere qualcosa di più e lui le mandava sempre poco elegantemente al diavolo. Non gli interessava avere una relazione, soprattutto non fino a quando quegli occhi verdi continuavano a fottergli il cervello in qualsiasi momento della giornata.
Lei rispose più che volentieri a quel bacio facendo scivolare la sua lingua in quella bocca che sapeva di tabacco. Sentì una fitta al basso ventre che quasi la mandò all’altro mondo e gli piantò le unghie sulla pelle della schiena per riuscire a sentirlo anche sottopelle.
Era come una droga; l’unica che avrebbe mai assaggiato e per cui sarebbe andata in overdose più che volentieri.
Sasuke la prese per le cosce e la sollevò portandosela in camera da letto e chiuse la porta senza mai staccarsi da lei. Stava facendo una cazzata, ma era meglio farla senza spiattellarlo proprio in faccia a Naruto.
Si era sdraiato lentamente sul letto con lei sopra, e mentre continuavano a divorarsi l’un l’altro aveva fatto passare le mani sotto alla maglia e l’aveva tolta in un sol colpo lanciandola dall’altra parte della stanza. Era sopra di lui, con solo le mutandine indosso e quei lunghi capelli rosa che le ricadevano su una spalla e il moro fu piuttosto sicuro di non aver mai visto nulla di più sensuale in tutta la sua vita.
Sakura si staccò dalla bocca per scendere al collo e tracciare una scia di baci che da dietro all’orecchio passava per quei pettorali scolpiti, per l’addome piatto fino ad arrivare al bordo dei pantaloncini. Dopo aver giocato un po’ intorno all’elastico -giusto per tirarlo più al limite di quanto già si sentiva- aveva alzato lo sguardo incrociando quegli occhi neri e aveva sorriso.
Non poteva credere davvero di star baciando quel ragazzo e non uno di quei pochi idioti che si era portata a casa da quando si erano traferiti in città. Li aveva sempre scelti con un QI pari a quelli di una tartaruga e dopo pochi appuntamenti li scaricava senza rimorsi perché non aveva mai avuto la voglia di impegnarsi con qualcuno per cui valesse la pena.
«Ehi teme, dove diavolo è fini..»
Naruto entrò nella camera spalancando la porta e trovando Sakura, semi nuda, a cavalcioni sul suo migliore amico che nel sentire la porta aprirsi si era alzato di scatto. Ma il modo in cui li aveva trovati lasciava ben poco all’immaginazione.
«Sei un bastardo» gli aveva ringhiato contro prima di uscire
Sasuke appoggiò la fronte su una spalla della ragazza e sbuffò. Era ben conscio che non l’avrebbe mai presa bene, ma lui provava davvero qualcosa e alla scoperta dei sentimenti dell’altra aveva gettato nel tritarifiuti ogni briciolo di buon senso di cui disponeva.
«Cazzo» si era lasciato sfuggire.
«Ci penso io» gli disse prendendogli il volto con entrambe le mani e lasciandogli un bacio sulle labbra gonfie. Era stata lei quella in grado di risolvere i loro casini, quindi si sarebbe occupata anche di questo senza alcun problema.
Si alzò, recuperò la maglietta e raggiunse il suo migliore amico sdraiato sul divano intento a fissare il soffitto. Si sedette su quel poco spazio lasciato sul bordo e gli mise una mano sul petto.
«Ehi»
Aveva voltato la testa contro lo schienale e aveva grugnito. Non ce l’aveva con nessuno dei due, non per davvero, ma l’idea che lei avesse preferito quel pezzo di ghiaccio a lui -con cui aveva sempre flirtato e che era quindi consapevole di quello che provava- l’aveva lasciato con l’amore in bocca.
«Naruto, possiamo parlare?»
«Penso tu abbia altro da fare» le disse con la voce ovattata dalla spugna
«Ora voglio sistemare questa cosa»
La facilità con cui riusciva a sciogliere entrambi i caratteri dei ragazzi di casa era una cosa che aveva sempre affascinato chiunque. Potevano anche provare il peggior istinto omicida verso l’altro, ma se c’era lei si quietavano come il mare dopo la pioggia.
«Voi ragazze preferite sempre gli stronzi» aveva sbottato voltandosi verso lei.
Sasuke non era uno stronzo, e lo sapeva benissimo. Forse un po’ egoista -un po’ troppo- ma sicuramente non avrebbe mai fatto lo stronzo con l’Haruno. E anche se non aveva mai voluto ammetterlo a sé stesso, erano alcuni anni che aveva capito che era davvero innamorato di ogni piccola parte di lei. Naruto sapeva di provare della semplice attrazione sessuale; niente a che vedere con quello che vedeva negli occhi dell’Uchiha ogni qualvolta si perdeva a guardarla cantare sul loro palco quando il locale non era ancor aperto e lei poteva sistemare i volumi in santa pace e poteva divertirsi un po’ prima di tornare al lavoro.
«Noi ci innamoriamo sempre di quelli più idioti, se proprio» gli aveva risposto con la solita smorfia che le si dipingeva sul volto ogni qualvolta lo prendeva in giro.
«Allora dovrei avere la fila sia alla porta di casa che a quella del locale»
«Te l’ha promesso, non è vero?» gli chiese addolcendo lo sguardo
«Il giorno in cui abbiamo messo piede qui dentro per la prima volta» ammise.
Quindi erano sei anni che il moro provava qualcosa per lei e non l’aveva mai capito? Si prese le tempie tra le mani e fece un profondo respiro per evitare di prenderli a pugni entrambi.
«Voi due parlare direttamente con me mai eh? Tutte le volte arrivate a questo punto e devo sempre essere io quella che mette i cerotti. Senti Naruto, mi dispiace tantissimo e non ho alcuna intenzione di spezzarti il cuore, ma io provo qualcosa per lui da quando abbiamo quindici anni. Ho cercato di reprimere la cosa ma non ce l’ho mai fatta» ammise guardandolo. Si era sentita una persona orribile ma era arrivato il punto in cui doveva essere completamente onesta con lui.
«Pensavo almeno una volta di riuscire a venire a letto con te prima di lasciarti al teme» le disse sorridendo e portando una mano dietro alla testa. Si prese un pugno sulla spalla e diversi insulti che catturarono l’attenzione di Sasuke che decise di alzarsi e di osservare la scena dal corridoio senza intromettersi.
Naruto si era finalmente messo seduto tra le risate e i pugni di Sakura. Era stato decisamente troppo diretto, ma era la pura e semplice verità.
«Invece di pensare a farti la tua migliore amica prima di lasciarla agli altri dovresti aprire gli occhi e notare chi hai intorno»
«Cioè?»
«C’è qualcuno al locale che sarebbe molto contento di uscire con te, baka»
L’aveva guardata con gli stessi occhi che aveva la mattina di Natale poco prima di aprire i regali perché non se l’aspettava di certo una notizia del genere.
«Adesso è tutto risolto?» gli aveva chiesto, ma per una volta si era fatto furbo e aveva alzato un angolo della bocca in una sorta di ghigno.
«No, prima due cose»
Sakura aveva sbuffato e gli aveva chiesto cosa diavolo volesse. In realtà l’avevano già risolta dal momento in cui si era seduta vicino a lui, ma voleva dargliela vinta almeno per una volta e cosa più importante voleva tornare a riappropriarsi di quelle labbra che gli sorridevano dal corridoio di fronte a lei.
«Voglio sapere chi è»
«Ti dico solo che è molto più vicina di quanto pensi. La seconda cosa?» gli aveva risposto senza tradire l’amica che lavorava come cameriera da loro da poco più di un anno.
«Voglio un bacio» le aveva detto con quella faccia da idiota.
«Stai decisamente tirando troppo la corda, dobe»
Sasuke a quella domanda era scattato fuori dal suo nascondiglio senza pensarci due volte e Sakura aveva sorriso non pensando minimante di poterlo vedere geloso di lei.
«Oh andiamo teme, tanto sarà tua per il resto della vita. Ho diritto ad un bacio d’addio»
La vena sul collo del moro si gonfiò pericolosamente e si ritrovò a pensare che non averlo ucciso in tutti quegli anni non gli impediva certo di farlo ora.
«Un bacio, a stampo» aveva risposto lei di botto, giusto per finire in fretta e tornare in quella camera e il moro l’aveva fissata riducendo gli occhi a due fessure.
Si era avvicinata al biondo e aveva appoggiato le labbra alle sue e questo ne aveva approfittato facendo scivolare la lingua nella bocca della ragazza.
Lei si era staccata subito spingendolo lontano e il moro aveva ringhiato, letteralmente.
«Ora è tutta tua, Sas’ke» aveva riso verso l’amico. L’interpellato stava per fare il giro del divano per alzarlo dal collo e iniziare a prenderlo a pugni ma la rosa aveva reagito subito e l’aveva bloccato prendendogli il volto tra le mani.
«Abbiamo altro da fare» gli soffiò sulle labbra calmandolo.
«Prima o poi me la paghi sul serio»
Aveva minacciato l’amico e si era trascinato la sua ragazza in camera da letto chiudendo a chiave sia la porta del corridoio che quella della sua camera.
 
«Dove eravamo rimasti?»
   
 
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