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Autore: saraclove    18/05/2020    0 recensioni
C'era una guerra in corso nel continente tra il Regno di Raven e l'impero dell'Ishdon, una guerra che dura ormai da tre anni e non da segno di cessare. Anastasia Wyatt è stanca di questa situazione, perché sua madre sta male e ha bisogno di cure, ma la guerra impedisce a lei e a suo padre di guadagnare il necessario dalla loro piccola attività di caccia nel bosco sulle colline ai confini dell'impero. Così decide di partire, nonostante l'opposizione e gli avvertimenti del suo vecchio, per partecipare lei stessa a quella guerra a fianco dei soldati imperiali per vincerla e poter finalmente porre fine a quel caos. Ma una volta fuggita di casa e raggiunto l'accampamento militare, si accorge di quanto la sua idea di guerra fosse sbagliata, perché incontrerà soldati dalle capacità incredibili, quasi sovrumane e scoprirà di doversi scontrare con esseri mostruosi in grado di spazzare via da soli un intero reggimento.
Genere: Azione, Fantasy, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il carro arrivò all’alba del secondo giorno di attesa e fu una benedizione perché aveva praticamente finito le provviste, un po’ per la fame, un po’ per la noia, un po’ per il dolore. Anzi, non era un carro solo, ma ben tre vagoni, pieni zeppi di grano, verdure e qualche spezia. Gli uomini che li trasportavano furono incredibilmente riluttanti a caricarla con loro, ma dopo che li seguì per un bel pezzo di strada a mo’ di morta di fame, cedettero, forse per la compassione, e acconsentirono a farla sedere sul retro del carro centrale assieme ad un carico di patate. Le diedero anche un pezzo di pane scarso e un po’ d’acqua di cui fu molto grata.
Fu un viaggio estenuante. Continuava a dondolare a destra e a manca, mentre zigzagavano per evitare le buche sulla strada e a rimbalzare su e giù quando le centravano in pieno. Gli uomini, cinque in tutto completamente armati, erano incredibilmente taciturni e a tratti paranoici. Ogni volta che si allontanavano dai centri abitati si irrigidivano temendo di essere assaliti da chissà quale banda di briganti delle colline o animali inferociti. Alla fine, la cosa più grave che successe e che richiese la loro forza, fu la ruota di un carro affondata in una pozza di fango particolarmente profonda e dovettero spingere tutti insieme per riportarlo sulla strada. Nessuno di loro le fece domande, così come non risposero alle sue e la mancanza di un orologio le rese quelle tre ore di viaggio ancora più lunghe.
Si stava per appisolare quando notò una distesa di filo spinato in lontananza: erano arrivati. Balzò giù dal suo posto dalla gioia e percorse il resto della strada a piedi impaziente. Ce l’aveva fatta davvero!
Le guardie al cancello ispezionarono svogliatamente i carri e lasciarono passare gli uomini, ma lei venne brutalmente abbandonata, considerata da loro come un’estranea dopo tutto quel viaggio insieme. A quanto pare non avrebbe dovuto sperare in un loro aiuto.
Per un po’ restò ferma sulla porta a fissare e analizzare ogni centimetro di ciò che vedeva, stupefatta. C’erano tende e capanne disposte in modo ordinato ma poco uniforme e un discreto edificio in cemento che sembrava diviso in due sezioni, ristrutturato e curato nella parte più grande e decadente nella più piccola.
«Ragazzina, che cosa ci fai qui? Questo è un campo militare, non un campo di beneficenza e non facciamo elemosina.» sentì qualcuno brontolare al suo fianco.
«Cosa?» si girò a guardare il soldato in divisa dall’espressione contrariata «Ah, sì. Io...volevo-» Si bloccò intimidita dal suo sguardo indagatore.
«Appoggia prima il fucile» le ordinò.
«Sì», si affrettò ad obbedire.
«Che succede qui?» Un’altra guardia li raggiunse fumando una sigaretta.
«Ah, caporale. Questa ragazzina sembra essersi persa. È arrivata qui coi rifornimenti»
La guardò inclinando la testa «Be’, potremmo ospitarla per un po’, le donne non bastano mai» scherzò in tono arrogante, anche lui squadrandola da capo a piedi. Stacy si sentì avvampare.
«Io… non mi sono persa, volevo arruolarmi.» cercò di tenere ferma la voce e di sembrare sicura di sé.
I due si guardarono un secondo e poi scoppiarono a ridere.
«Ho detto qualcosa di divertente?» chiese quasi in tono di sfida.
«Vuoi arruolarti? Se vuoi c’è una fabbrica di proiettili poco lontano da qui. Se cerchi lavoro, lì ti assumeranno» la derise il secondo arrivato, ostentando una falsa gentilezza «Poi se vuoi possiamo incontrarci qualche sera...» espirò il fumo.   
Fu una fortuna l’aver appoggiato il fucile a terra, perché se ce l’avesse avuto ancora in mano gli avrebbe sparato. Lanciò un’occhiata alla sua arma.
«Io non-».
Lui sembrò accorgersi del suo sguardo. «Ah però, bel fucile!» si abbassò e fece per prenderlo.
«Non toccarlo!» le uscì in un tono quasi isterico di cui si pentì subito.
«E’ tuo? Dove l’hai rubato?».
«Non l’ho rubato» s’indignò «era di mio padre e ora è mio».
Un terzo uomo accorse. Da lontano vide che aveva un’andatura familiare.
«Ragazzi, c’è qualche prob-» si bloccò vedendola e trattenne il respiro.
Anche lei fece lo stesso per la sorpresa.
«A-Aron?» chiese incerta. Era quasi irriconoscibile in uniforme.
«Stacy!» gridò lui incredulo «Com’è possibile, Stacy? Che ci fai qui?».
L’abbracciò. Ricambiò l’abbraccio stringendolo forte a sé. Era da un anno che non si abbracciavano così e per la prima volta dopo tutto quel tempo provò la gioia della bambina spensierata che era quando non aveva ancora conosciuto gli orrori della vita. Sembrava che il destino le avesse fatto un dono facendolo incontrare con lui in quel campo tra mille altri.
«Aron, mi sei mancato!» esclamò quasi senza fiato.
«Anche tu!».
«Dio, mi sta venendo da vomitare. Chi è, la tua fidanzatina?» la voce sprezzante del caporale li interruppe e Stacy arrossì.
«Non sono...».
«E’ un’amica d’infanzia» spiegò Aron al posto suo. «Si chiama Anastasia. Stacy, loro sono Dave e Gillian» la presentò.
Dave fece un sorriso sbilenco «Ha detto che vuole arruolarsi».
«Davvero?» esclamò Aron rigirandosi verso di lei, ma era più felice che sorpreso. «Sapevo che il vecchio alla fine avrebbe ceduto! Sei una dannata testarda!» rise «Bene, lascia fare a me, ti accompagno allo sportello per le reclute. Guarda, ora sono anch’io un caporale!» indicò i suoi gradi, gonfiando fieramente il petto.
Gli sorrise. Non se la sentiva di rovinare il momento rivelandogli di essere scappata di casa.
«Ah, vedo che hai portato il fucile da caccia» notò l’arma ancora a terra «Qui non serve, almeno per le reclute, te le forniscono loro le armi. Ti possono dare il permesso di usare un’arma personale quando avrai imparato ad usare tutte le altre in modo accettabile. E-» a quel punto sembrò sentire il peso dello sguardo delle altre due guardie su di loro. Sorrise a Gillian invitandolo a parlare.
«Piacere di conoscerti, Anastasia» disse il soldato. Sembrava più amichevole dell’altro caporale arrogante di nome Dave. «Scusa per prima…Non pensavo dicessi sul serio.» Si portò una mano dietro la nuca, un po’ in imbarazzo «E’ che sei un po’...» fece roteare un dito davanti alla propria faccia «...sporca».
Si portò una mano al viso e quando la ritirò vide che era ricoperta di uno strato sottile di fango.
«Credo che tu abbia ragione» sorrise. Non si era minimamente preoccupata dell’aspetto che doveva avere in quel momento, in effetti doveva proprio sembrare una mendicante.
«Vieni» la richiamò Aron «Ti aiuto a darti una ripulita».
Annuì. Raccolse il fucile da terra e lanciò un’occhiata di disprezzo verso Dave prima di seguirlo. Raggiunsero una specie di lavatoio dove si sciacquò il viso dal fango e dalla polvere, poi si rifece la treccia specchiandosi nella superficie dell’acqua. Quando fu soddisfatta, Aron l’accompagnò da un uomo dalla faccia squadrata dietro il bancone di una delle capanne che registrò i suoi dati e le diede un foglietto con un numero. Non fece altre domande. Erano tutti molto freddi e taciturni in quel posto e non era capiva se fosse un bene o un male. Perlomeno, nessun altro le diede fastidio da quel momento in poi. Forse avere al fianco un caporale aiutava davvero. Si sentì orgogliosa dell’amico.
«Quello è il tuo numero da recluta. Devi passare un esame per poter diventare a tutti gli effetti un soldato e iniziare l'addestramento. Sei fortunata ad essere arrivata in questo periodo di tregua, gli esami sono molto più frequenti. Il prossimo dovrebbe essere tra quattro giorni.» le spiegò Aron mentre passeggiavano per il campo.
«In che cosa consiste questo esame?» chiese.
«Solitamente sono test fisici e mentali. Nulla di impossibile. Serve solo a capire se hai i requisiti per diventare un soldato»
Annuì sollevata. Costeggiarono un tratto di filo spinato.
«Dove stiamo andando?».
«Ah, dimenticavo, devi allenarti un po’ per l’esame. C’è una foresta qui a nord allestita apposta per fare un po’ di pratica, ti sto accompagnando lì»
«Una foresta? Ma è perfetto!» si meravigliò di quanto l’amico la conoscesse bene.
Cominciarono ad apparire alcuni alberi solitari, poi l’intera distesa oscura. Era molto diversa dal bosco sulle colline dietro casa sua, quella sembrava molto più fitta e selvaggia, un luogo dove il sole non aveva accesso se non fra le rare e piccole fessure tra le foglie che l’autunno stava strappando dai rami. Dalle sue viscere provenivano odori e rumori sinistri.
«La chiamano la Foresta Nera, non potevano scegliere un nome migliore, vero?» osservò Aron al suo fianco «Li vedi quelli?» indicò i bersagli sui tronchi.
Lei fece di sì con la testa. Erano semplici croci disegnate con inchiostro rosso sul legno, molti dei quali consumati dai colpi.
«Ci sono anche delle trappole. Puoi allenarti fino tramonto e se hai bisogno di mangiare chiedi a un qualsiasi soldato, mostrandogli il tuo numero. Puoi andare dove vuoi, ma non superare la linea bianca e soprattutto il nastro rosso. Questa è praticamente la foresta più grande del continente l’altra metà si trova in territorio nemico. Oltre quel nastro c’è il territorio neutro. Potresti trovarci lupi e serpenti letali di ogni specie.»
«Serio?» stava per mettersi a ridere, pensando che fosse un’altra delle sue storie dell’orrore che raccontava per spaventarla, ma poi vide la sua espressione e la risata le morì in gola. Rabbrividì.
«Bene, io ti lascio qui. Vorrei restare, ma devo fare il prossimo turno di guardia» notò la sua espressione contrariata «Andrà tutto bene finché rimani entro la linea.» le sorrise cercando invano di rassicurarla, poi si allontanò in tutta fretta. Probabilmente era in ritardo a causa sua.
Dopo essere stata circa cinque minuti a fissare gli alberi, trovò il coraggio di entrare. Decise di cominciare cercando questa linea bianca per capire il terreno a sua disposizione. Durante il percorso non trovò anima viva. Si chiese perché mai un terreno al confine col nemico non fosse perlomeno sorvegliato.
Aveva percorso così tanto terreno che ad un certo punto pensò con orrore di aver già superato quella maledetta linea, quando la vide in lontananza davanti a lei, tracciata in modo perfettamente visibile sul terreno e sulle rocce.
Rassicurata dall’immenso spazio a disposizione, cominciò ad allenarsi, all’inizio sparando incertamente, poi velocizzando sempre di più la corsa e centrando ogni bersaglio in modo infallibile, fino a finire i proiettili. Riuscì anche ad accorgersi in anticipo di una trappola a corda e la schivò. Ricaricò il fucile e continuò a sparare, sentendosi ancora incredibilmente carica nonostante tutto quello che era successo in quei due giorni. Ci voleva proprio una corsa tra gli alberi.
«Sei brava».
Si fermò di colpo sentendo all’improvviso una voce dietro di sé. Si girò di scatto quasi terrorizzata e puntò il fucile contro chiunque fosse, ma tutto quello che trovò fu un altro albero.
Qualcuno rise. Sembrava la risata di una ragazzina. «Sono quassù»
Alzò la testa e finalmente la vide seduta sul ramo particolarmente alto del faggio con le gambe penzoloni. La ragazza balzò giù con un colpo e Stacy indietreggiò presa alla sprovvista. Era giovane, potevano avere la stessa età, forse lei di meno. I capelli neri le arrivavano fino alle spalle, leggermente mossi e due occhi sottili dello stesso colore la fissavano ancora divertiti. Era magra, ma con le curve al posto giusto. Sembrava incredibilmente agile, non si era fatta niente dopo tutti quei metri di volo.
«Ciao, mi chiamo Myra» le tese la mano.
Lei l’afferrò incerta e la strinse delicatamente. «Anastasia».
Non indossava nessuna uniforme, anche se la sua giacca e i suoi pantaloni avevano comunque un che di militare, larghi e con le tasche ai lati delle ginocchia. Ai piedi portava un paio di anfibi neri che riconobbe come gli stessi che indossavano anche Aron e gli altri soldati. Cercò di sorridere e rendere meno offensivo il fucile.
«Sei una recluta anche tu?».
Lei sembrò pensarci su. «Non esattamente» rispose in tono vago alla fine.
Aspettò che desse altre spiegazioni, ma la ragazza si limitò a fissarla con un sorriso indecifrabile sulle labbra.
«Ehm… in che senso non-».
«Come dicevo, sei brava a sparare, dove hai imparato?» la interruppe bruscamente.
Lei esitò, pensando di finire prima la sua domanda, ma poi l’orgoglio prese il sopravvento: «Mio padre è un cacciatore, andavamo nei boschi a catturare cervi».
«Capisco. A differenza dei cervi questi bersagli dovrebbero essere una sciocchezza per te vero? Non c’è gusto a colpire degli alberi fermi».
«In effetti sono più uno scherzo» fece spallucce per non sembrare vanitosa.
«Anche mio padre era un cacciatore» dichiarò poi, alzando la testa per guardare le cime degli alberi.
«Era?» non poté fare a meno di notare l’uso dell’imperfetto.
«È morto quando ero piccola» stavolta fu il suo turno di fare spallucce per sottolineare che non le importava.
«Mi dispiace».
«Non importa, non me lo ricordo neanche così bene. È passato tanto tempo» riportò lo sguardo su di lei.
«Che tipo di animali cacciava? Prede grosse? Predatori?» superato il momento di shock fu quasi felice di aver trovato qualcuno con cui parlare della sua passione. Non aveva ancora capito chi fosse quella ragazzina, ma già le stava simpatica. Chissà, magari sarebbero potute diventare amiche, conoscendosi meglio.
«Non cacciava animali» esitò guardandola un attimo, «Cacciava umani» la fece sembrare una specie di rivelazione teatrale. 
«Oh», esclamò in tono soffocato.
«Un cacciatore di taglie sai? Ce ne sono ancora, è un lavoro piuttosto lucroso» precisò alla fine.
«Ah, sì» nascose un impercettibile sospiro di sollievo dietro ad un sorriso nervoso. La sua mente stava già creando mostri sanguinari e cannibali. Maledisse la propria stupidità. In fondo si trattava di un lavoro come gli altri, utile alla società.
«Stavo pensando...» riprese Myra «potresti usare me come bersaglio».  
«Cosa?» squittì in un attimo di confusione.
«Sono un bersaglio mobile no? Così puoi allenarti meglio».
Si ricordò di come era iniziata la conversazione «Sei sicura? Potrei ferirti o.…» lasciò la frase in sospeso. Non aveva mai sparato alle persone e se l’avesse uccisa? Cosa avrebbe provato? Era come uccidere un cerbiatto? Si ricordò le parole del padre…
«Non ti preoccupare, sono veloce. Avanti, mettimi alla prova».
Dubbiosa, alzò il fucile e mirò alle sue gambe. Lo sparo partì e colpì le foglie sul terreno. Lei non si era mossa di un millimetro. Aveva capito che l’aveva mancata di proposito.
«Non devi andarci piano, puoi mirare anche alla testa, fai finta che sia un cervo» la incoraggiò.
Stavolta sparò un colpo senza preavviso verso la spalla sinistra. Lei lo schivò con un movimento fluido del busto.
«Troppo lenta» cantilenò scherzosa.
«Ora ti faccio vedere!» finse di indignarsi.
E si impegnò davvero per colpirla, ma lei schivava un colpo dopo l’altro con una facilità quasi irritante. Ad un certo punto si mise a correre e fu costretta ad inseguirla. Sembrava un’ombra fuggente creata dal vento: si muoveva così velocemente che faceva fatica a starle dietro, figuriamoci a prendere la mira. Non le dava nemmeno il tempo di ricaricare il fucile. Non era paragonabile ai cerbiatti che fuggivano per puro istinto di sopravvivenza e spesso finivano per andare loro stessi dal cacciatore presi dal panico, ogni suo movimento era preciso e logico, seppur imprevedibile. Quella ragazza doveva aver per forza ricevuto un addestramento speciale.
Passarono mezz’ora così, poi Stacy si sentì sfinita e dovette chiedere una tregua. Si sedettero ai piedi di due alberi, una di fronte all’altra e risero.
«È stato divertente».
«Si, hai un'ottima mira» di complimentò l’altra.
 «Scherzi? Non ti ho nemmeno sfiorata» si lamentò Stacy «Come fai ad essere così veloce?».
Myra alzò le spalle «Non sono molto veloce in realtà. La maggior parte delle persone qui è molto più forte e veloce di me. Te l’ho detto, sei tu quella lenta».
Si chiese che razza di mostri dovevano essere gli altri soldati per essere più veloci di lei. Forse anche Aron era migliorato.
«Sembra che tu conosca bene questo …» sentì un sibilo sinistro al suo fianco «…posto». Si girò lentamente e balzò in piedi sgranando gli occhi alla vista delle fauci nere del serpente. «No, no, no» cominciò a imprecare al ritmo di una mitragliatrice, sputando parole che non sapeva neanche di conoscere. «La linea...» si guardò intorno ma non la trovò. Al contrario, vide in lontananza un nastro rosso svolazzare tra gli alberi. «Abbiamo superato la linea bianca!» urlò in preda ad un panico mai provato. I sibili attorno a loro aumentarono.
«Abbassa la voce o ne attirerai degli altri» le sussurrò Myra con un tono fin troppo calmo per la situazione in cui si trovavano. Si coprì la bocca e si girò a guardarla.
Sgranò gli occhi.
I serpenti non la stavano attaccando, ma le giravano intorno formando un cerchio, mentre si alzavano e ondeggiavano in una specie di danza sinistra e sibilante.
«Ma cosa...».
Sentì qualcosa strisciare sui propri pantaloni e stringersi sempre di più. Tremò mentre si girava lentamente per guardare la propria gamba e vide un anello nero cingerle la coscia e salire a spirale. Gemette, ma si costrinse a stare zitta. Un altro suo compagno si stava avvicinando. Il suo cuore sembrò voler uscire dal petto dalla forza con cui batteva.
«Non muoverti» continuò Myra e lei annuì con le lacrime agli occhi mentre guardava quella cosa orribilmente viscida risalire il proprio corpo.
Sentì la ragazza avvicinarsi a lei. Per qualche motivo i serpenti si spostavano al suo passaggio, ritornando sotto il letto di foglie. Prese quello avvolto attorno a lei le lo lanciò via con forza. Per un secondo vide una strana luce sfrecciarle negli occhi. “Non partire, là fuori ci sono persone con occhi come i tuoi, forse ancora più inquietanti”
Scosse la testa, non era il momento di ricordare quelle parole, in fondo le aveva appena salvato la vita. Un altro sibilo. Stavolta scattò d’impulso e corse verso il campo, fermandosi solo quando raggiunse il limitare della foresta e la luce del sole quasi l’accecò. Si piegò sulle ginocchia per riprendere fiato.
«Dalle tue parti non ci sono serpenti?».
Sussultò. Non si era accorta che l’aveva raggiunta.
«No-» la sua voce tremava «Nel bosco dove viviamo ci sono solo animali innocui. C-come hai fatto?».
«Fatto cosa?».
«Far danzare i serpenti in quel modo».
«Ah, quello. Credo siano i serpenti, io non ho fatto proprio nulla» sorrise misteriosamente «Comunque non erano serpenti velenosi. Mai sentito parlare dei biacchi? Al massimo potevano ucciderti strozzandoti, non c’era motivo di urlare così tanto» la prese in giro.
In situazioni normali si sarebbe arrossita se qualcuno le avesse dato della vigliacca in quel modo, ma in quel momento la sua mente era ancora bloccata sulla prima parte del discorso. I serpenti danzavano in quel modo di fronte ad un umano? Non li aveva mai visti, ma era abbastanza sicura che non lo facessero.
«Comunque… grazie, per avermi salvato la vita».
«Oh ti prego, lo dici come se stessi per morire» sbuffò divertita «Be’, io devo andare, ci si vede in giro» e iniziò ad allontanarsi.
Avrebbe voluto fermarla e chiederle qualcos’altro, ma non trovò la forza. Solo allora, sentì la sua pancia brontolare. Guardò il sole e vide che era al punto culminante, perciò decise di andare a cercare qualcosa da mettere sotto i denti. Poi avrebbe continuato ad allenarsi, se mai avesse trovato il coraggio di ritornare lì dentro.
   
 
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