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Autore: lightvmischief    20/05/2020    0 recensioni
Una ragazza.
Un gruppo.
La sopravvivenza e la libertà.
Le minacce e i pericoli della città, delle persone vive e dei morti.
Prova a sopravvivere.
Genere: Azione, Drammatico, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: AU | Avvertimenti: Violenza
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CAPITOLO 30

CALUM

Sono passate tre settimane. Questa notte segna l’inizio della quarta. Kayla si è quasi completamente ripresa fisicamente, ha ripreso a mangiare - non perché avesse fame, ma perché doveva per mantenersi in forze - e riesce a stare in piedi per un tempo prolungato. La ferita si è rimarginata, lasciando spazio a una brutta cicatrice. Man mano che i giorni passavano, la realizzazione di ciò che era successo scendeva su di lei come una coperta di piombo; era più silenziosa, passava gran parte del tempo dentro alla sua testa, ai suoi pensieri. Era difficile riuscire ad estrapolarle più di una frase compiuta al giorno. Ci sono stati giorni più difficili, quando anche solo farla uscire da quella specie di stato di trance era quasi impossibile: il giorno lo passava dormendo e la notte fissava la parete davanti a sè rinchiusa nella gabbia dei suoi pensieri.

Ho letto i libri almeno una dozzina di volte ciascuno, ho riempito almeno tre quaderni di scritte, pensieri, scarabocchi. Avevo sempre qualcosa da fare, che fosse svuotare il secchio e disinfettarlo, costruendo un piccolo falò al di fuori della nostra abitazione, sciogliendo la neve, fare dei piccoli percorsi di corsa ed esercizi fisici per mantenermi in forma. Sono dovuto andare in ricognizione nelle case del vicinato quando stavamo finendo i viveri.

Non è stato facile. 

Non lo è stato l’essere in pensiero per Kayla, gestire lo stress di rimanere senza provviste, la paura che Kayla potesse morire quella notte in cui mi ero scordato di cambiarle la benda e la ferita stava iniziando a fare infezione, i Vaganti dall’altro lato della porta che di tanto in tanto ci venivano a trovare, provando a gettare a terra la porta.

Domattina partiremo. Kayla si è detta pronta ad affrontare il viaggio alla ricerca del gruppo, alla ricerca della mia famiglia. Abbiamo racimolato abbastanza provviste e qualche arma tagliente per poterci proteggere al meglio. 

Non abbiamo mai parlato di Ebony. Lei non era pronta ad affrontare una ferita così grande per la seconda volta e non lo ero nemmeno io. Ci sono stati momenti in cui ho pensato: e se l’avessi potuta salvare? Ci sono state notti in cui il senso di colpa veniva a trovarmi, ma non ho ceduto. Non potevo. Non posso.

Mi sfilo la maglietta dall’alto, gettandola ai miei piedi. Intingo lo straccio nel secchio di acqua calda e lo passo sulle braccia, sul collo e sul volto, strofinando bene. Lo passo sul torace e sull’addome, lo porto fino alla nuca, cominciando a fare fatica per pulirmi bene la schiena.

«Lascia, ti aiuto.» La voce di Kayla mi fa sobbalzare. Non tanto perchè non me l’aspettassi, più che per il tono di voce che ha usato: delicato. La osservo esitante, cercando qualche ombra di dubbio tra i suoi occhi e alla fine lasciandole lo straccio tra le mani. «Siediti.»

Bagna lo straccio, lo strizza e comincia a passarlo sulla schiena. Il mio corpo viene assalito dai brividi quando appoggia sulla parte appena bagnata l’altra sua mano, fredda rispetto all’acqua. Poi, lentamente i muscoli della mia schiena si rilassano e mi lascio prendere cura dalla ragazza. 

«Cosa significano?» Giro il viso verso di lei, vedendola solo con la mia vista periferica. «I tatuaggi, intendo.» 

Accolgo la sua richiesta sorpreso. «Da quale vuoi iniziare?» le chiedo con un sorrisino sulle labbra. È la prima possibilità di parlare a lungo che mi si pone in settimane e la accetto senza troppi indugi; farei di tutto pur di non continuare a pensare a domani. E credo lei cominci a stancarsi di continuare a rivivere la morte di sua sorella, pensando a tutti i possibili scenari che avrebbero potuto salvarla.

«Credo- No, scegli tu.» Mi prendo qualche istante per osservare l’inchiostro sulla mia pelle, come se non li vedessi da anni. 

«Okay, allora...» Passo l’indice sul primo tatuaggio all’interno del braccio sinistro: il piccolo geco riempito di nero con al di sotto una data in numeri romani. «Questo è il primo che ho fatto: è la data di nascita di Mali e il geco è il suo animale preferito. Sì, è strana, lo so» dico ridacchiando, strappando un sorriso anche a Kayla. Mi si riscalda un po’ il cuore nel vederlo.

Le spiego della scritta Kia kaha in maori sulla clavicola, che significa sii forte, per ricordare la provenienza dalla Nuova Zelanda di mia nonna; la piuma sull'altra clavicola non ha significato, volevo solo farmi un altro tatuaggio. Le dico anche che non la rifarei un’altra volta. Una piccola rosa, disegnata veramente male era la prima prova di tatuaggio della mia seconda ex ragazza, che avrebbe voluto fare, appunto, la tatuatrice. Un veliero stilizzato sulla parte esterna del braccio perchè mi ricordava l’infanzia. 

«E le cicatrici?» sussurra dopo minuti in cui era calato il silenzio, lasciando cadere lo straccio nella bacinella e tracciandone una sulla mia schiena con il suo dito. 

«La maggior parte colpa di Jordan,» rispondo, abbassando la mia voce a un mormorio. Cambio posizione, avendola adesso faccia a faccia. «preferisco non parlarne» le confido abbassando lo sguardo. Quelli sono stati dei momenti bui, non voglio riviverli adesso che non hanno quasi più significato. Sono solo dolore. 

Kayla scruta il mio viso per qualche istante, poi la sua vista viene catturata da qualcos’altro sul mio addome, allungando il dito per toccarlo con delicatezza. Seguo il suo dito, ricordandomene solo ora. 

«Oh, no, quella è la cicatrice di quando sono stato operato di appendicite» le dico ridendo, smorzando un po’ la tensione che si era venuta a creare. «E qui mi sono bruciato mentre provavo ad aggiustare la moto.» Le sposto la mano dalla mia pancia per prenderla tra la mia, facendo lo stesso con l’altra.

«Hai pensato che potremmo non trovarli, vero?» mi chiede tutt’un tratto, cambiando argomento bruscamente. Ecco cosa le stava frullando per la testa per tutto questo tempo.

Annuisco sconfitto, abbassando lo sguardo. Ci ho pensato così tante volte a questa terribile possibilità. Travis mi aveva detto che sarebbero andati ad Ovest, ma c’erano così tanti casi possibili per cui hanno potuto cambiare piani, direzione e quant’altro. Domattina saremmo potuti partire verso il nulla, un vicolo cieco. 

Kayla mi prende il viso tra le mani e mi accorgo solo ora che ha dimezzato la distanza che ci divide. Mi prende alla sprovvista annullandola, baciandomi lentamente, facendola quasi sembrare l’ultima volta. Faccio scivolare le mani al di sotto dei suoi vestiti, risalendo la sua schiena e scendendo di nuovo. Una mano si appoggia sulla sua nuca, per avvicinarla ancora di più a me, mentre le sue si intrecciano tra i miei capelli. Poi Kayla mi lascia andare per togliersi maglione e maglietta e riprendere con più fervore il bacio interrotto. Si lascia spostare sul mio bacino, il suo petto che aderisce contro il mio, facendomi arrivare mille scosse elettriche per il corpo.

Forse è sbagliato. Forse non è il momento adatto. Ma entrambi ci lasciamo andare e facciamo la cosa più simile all’amore che io conosca.

***

Piego la foto stropicciata e la metto nella tasca posteriore dei miei pantaloni mentre Kayla finisce di sistemare il suo zaino; so che al momento la cicatrice è ancora aperta e non vuole nemmeno sentire nominare sua sorella, ma quando farà i conti con ciò che è successo e con sé stessa vorrà avere qualcosa che possa ricordarla, oltre ai suoi ricordi. 

La cosa divertente è che dopo un po’ che non vedi più una persona - anche se quella più importante della tua vita intera -, te ne dimentichi il volto. Tutti quei piccoli particolari che erano così importanti, andati in un secondo: il colore degli occhi, le sue espressioni, le piccole rughe d’espressione… E poi la voce, il suono della sua risata, tutto ciò che lo rende familiare a te.

Rimangono le frasi, i piccoli gesti d’amore… tutto il resto scompare come uno schiocco di dita: un giorno c’è e l’altro non c’è più, così, d’improvviso.

Raccolgo il giubbotto di Kayla e glielo passo: lei lo afferra, evitando il mio sguardo e senza dire una parola. La fisso per qualche istante confuso, anche se mi sta dando la schiena: ho fatto qualcosa di male? Oppure è solo uno dei giorni brutti?

Faccio spallucce tra me e me, non prendendola troppo sul personale.

Una volta che entrambi siamo pronti, usciamo veloci dalla finestra, lasciandoci alle spalle tanto dolore e sacrifici. Lasciando indietro tutti i quaderni che ho riempito durante queste tre settimane: se qualcuno dovesse mai trovarli, saprà che esiste ancora un ragazzo di ventun’anni di nome Calum e che, assieme all’altra ragazza Kayla, dopo giorni infiniti e pieni di discorsi interiori, andranno alla ricerca del loro vecchio gruppo.

Vi troveremo.

***

Mentre camminiamo in questa nuova città mi diverto a giocherellare con i sassolini che trovo sull’asfalto dove la neve si è già sciolta. Il sole riscalda la pelle del mio volto, regalandomi una piacevole sensazione di calore. Non vedo l’ora che finisca l’inverno.

Siamo diretti ad Ovest: non che sappia esattamente dove sia, visto che siamo sprovvisti sia di una mappa che di una bussola, ma almeno abbiamo il sole ad indicarci la via. Sarà più difficile quando pioverà o sarà nuvoloso. 

Dopo queste tre settimane sento l’energia scorrere dentro di me al massimo: sono determinato a trovare di nuovo Mali, mia madre e tutto il resto del gruppo. Sono fiducioso in loro, sono sicuro che ce l’hanno fatta. Devono avercela fatta. Non mi importa se impiegheremo settimane per trovarli.

«Vuoi fare una pausa?» chiedo a Kayla, alzando lo sguardo dall’asfalto. Non è stata di molte parole questa mattina, come non lo è nemmeno ora. 

«No, mangiamo mentre camminiamo» risponde brusca, non rivolgendomi nemmeno uno sguardo.

«Dovremo fermarci, prima o poi.» Aspetto istanti infiniti una sua risposta che non arriva mai. Decido di lasciare perdere per una seconda volta. Quando questa sera ci fermeremo per accumulare qualche ora di sonno, potremo parlarne tranquillamente.

Non sono preoccupato di incontrare dei Vaganti: forse è tutto questo spirito positivo che è entrato dentro di me stamattina e forse dovrei sapere che sottovalutare i possibili rischi non porta a niente di buono, ma mi sembra una zona tranquilla. Per una volta voglio godermi l’aria fresca e i raggi di sole senza dover continuamente assillare la mia mente con paranoie inutili.

***

«Faccio io il primo turno» dice Kayla - o meglio, ordina -, sistemando meglio le sue cose sull’asfalto. Annuisco senza troppi indugi, ho già provato a controbattere prima di arrivare qui ma non ho avuto molto successo.

Mi sdraio, piegando il braccio sotto alla testa per usarlo come cuscino, mentre ho lo zaino ancora sulle spalle in caso di pericolo imminente; io e Kayla non siamo riusciti a trovare un rifugio sicuro, quindi ci siamo dovuti adattare ed accamparci in mezzo ad una ex strada che collega la città da cui siamo appena usciti ad un’altra, per cui da ogni parte abbiamo campi, campi e ancora campi.

Ho provato più volte a convincere Kayla che ci saremmo dovuti fermare tempo fa, così ora non ci troveremmo qui al freddo e al gelo, vulnerabili ad ogni pericolo ed intemperia, ma è stata troppo testarda ed orgogliosa per ascoltarmi. 

Il buio è calato da qualche minuto, abbiamo costruito un falò abbastanza grande da tenerci al caldo con i libri che ho portato via da quella stanza angusta - per fortuna che ho deciso di prenderli con me - e abbiamo deciso di fare a turni per fare da guardia.

Durante la giornata, passata per la maggior parte in silenzio, istanti della nottata precedente mi balzavano in testa, facendomi rabbrividire al ricordo delle nostre mani sui corpi dell’altro, delicate come se non volessimo rischiare di spezzarci, i baci scambiati dopo istanti persi ad ammirare l’uno i dettagli dell’altra…

Eppure qualcosa è cambiato.

E non riesco a chiudere occhio. Non riesco a capire il senso del suo silenzio e della sua freddezza improvvisa dopo l’ultima notte. 

Mi rigiro un paio di volte su me stesso, strizzando gli occhi quasi con violenza pur di riuscire a prendere sonno. 

«Potresti fare un po’ meno baccano?» mi riprende Kayla sottovoce, irritata. Mi volto così da poterla guardare in volto con un sopracciglio alzato. «Cosa?» mi chiede alzando entrambe le sopracciglia. Poi distoglie lo sguardo sbuffando e ritornando ad appuntire un ramo con il coltellino svizzero.

«Vuoi dirmi che ti prende?» le chiedo, rimettendomi seduto e abbandonando l’idea di provare ad addormentarmi. Prima ho bisogno di chiarire alcune cose con lei.

«Mi sembra di averlo appena fatto-»

«Non parlo di questo,» inizio, osservandola. Smette di raschiare il legno e per la prima volta della giornata mi rivolge lo sguardo. «è tutto il giorno che mi tratti come uno zerbino. Capisco quello che stai passando, ma non è una scusa per il tuo cazzo di comportamento, soprattutto non dopo ieri sera.»

«Non era nulla di serio-»

«Oh, sì, certo, se dirlo a te stessa ti fa sentire meglio,» cerco di modulare il mio tono di voce, ma sono troppo alterato dalla sua risposta per potermi controllare. Ci sono già i campi a farlo. «credevo avessimo già superato da tempo questa fase.»

«Non prenderla troppo sul personale.»

«Io non- Ma ti senti?» praticamente urlo, gesticolando. «Credevo di essere io quello a reprimere i propri sentimenti-»

«Volevo solo provare qualcosa di diverso dal dolore, terrore e sensi di colpa!» sbotta, interrompendomi ed alzando la voce. «Hai una minima idea di come mi senta in questa cazzo di situazione? È l’unico cazzo di motivo per cui ho fatto quello che ho fatto ieri sera!»

«Incredibile» lascio sfuggire una risata amara dalla mie labbra, scuotendo la testa deluso. Non so se lo sono più per ciò che mi sta dicendo o per il fatto di esserci cascato. 

«Credo-credo che dovremmo separarci» riprende dopo alcuni istanti schiarendosi la gola. Per un attimo mi sembra di percepire la sua esitazione nel pronunciare quelle parole, ma poi capisco di averla solo immaginata.

«Quindi non te ne frega niente nemmeno del gruppo?» ribatto fumante. «Dei tuoi amici?»

«Non è più la mia battaglia.»

«Sì, certo, come no. Facile tirarsi fuori quando diventa dura, eh?»

«Lo dici come se mi conoscessi-»

«Perchè è così, Kayla, cazzo!» Mi sento l’intera faccia andare a fuoco e non perchè sono imbarazzato. Com’è possibile che da un giorno all’altro abbia deciso che tra noi non c’è mai stato niente, nemmeno una semplice intesa? Come può solo dire che non le interessa che fine faccio io o Wayne o Mali o i bambini? Non è possibile, mi rifiuto di crederle. «Ascolta, a questo punto non posso obbligarti a fermarti. Se è veramente ciò che vuoi, sei libera di andartene-»

Alzo immediatamente lo sguardo al cielo, illuminato a giorno nonostante sia notte fonda. 

Non è possibile. 

I miei occhi rimangono fissi sulla sagoma incendiata dell’aereo che è appena passato sopra alle nostre teste e che sta per precipitare rovinosamente al suolo. 

Mi metto in piedi senza pensare oltre, seguendo con lo sguardo questa falsa meteorite, fino a quando uno scoppio enorme mi fa capire che è atterrato. E che è impossibile che ci siano dei sopravvissuti. Boccheggio senza motivo, o forse perchè sento i polmoni contorcersi, togliendomi l’aria dal corpo. 

Quell’attimo di speranza provata nel vedere ancora un aereo volare sopra la mia testa, segno che c’è ancora civiltà, che ci sono ancora delle persone al mondo, sparisce in un batter d’occhio. Mi lascio cadere al suolo deluso, sconfitto. 

Passano minuti di silenzio incredulo, interrotto solo da sporadici scoppi lontani provenienti dalla carcassa del mezzo. 

«Alzati,» ordino a Kayla. «raggiungiamo l’aereo.» 

Forse c’è ancora speranza. Forse qualcuno del gruppo ha visto lo stesso aereo precipitare - il che non sarebbe molto difficile, dato il rumore e la luce che ha diffuso a notte fonda - e forse manderanno qualcuno a perlustrare l’area. 

Di sicuro anche tutti i Morti e Vaganti nel giro di parecchi chilometri avranno sentito l’impatto e chissà chi altro. Ma se c’è anche una minima possibilità che io possa riuscire a ritrovare la mia famiglia e tutti i miei amici, beh, allora la colgo al volo.

Comincio a camminare senza aspettare Kayla, del resto ha appena detto che questa non è più la sua battaglia. Non sono pronto a lasciarla andare, ma non posso obbligarla a rimanere con me, non posso obbligarla a fare un bel niente. La scelta deve essere sua ed ora ha la possibilità di prenderla. 

Camminare tra i campi mi rallenta a causa del terreno morbido e fangoso, ricco di acqua, oltre che a uno strato rimanente di neve a coprirlo, ma non mi interessa. Sono determinato a raggiungere quell’aereo, anche se mi ci vorranno ore o giorni. 

Questo è il mio biglietto di sola andata verso la speranza.

   
 
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