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Autore: _Niente_Paura_    24/05/2020    4 recensioni
Ero in viaggio dalla città in cui frequentavo l'università per ritornare a casa, ma come ogni viaggio ecco riaffiorare i pensieri.
Questa storia partecipa al contest indetto da Ile_W sul forum di EFP 'il contest autobiografico'
Genere: Drammatico, Introspettivo, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Non-con, Tematiche delicate
- Questa storia fa parte della serie 'Pensieri frammentari'
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https://www.youtube.com/watch?v=NVi82wB1_Is

Si consiglia di ascoltare la canzone, anche se a volume basso, durante la lettura.

Cosa mi manchi a fare
 

Mi è sempre sembrata una fesseria che i colori cambiassero durante il corso della vita, così come i luoghi. Come diavolo è possibile che un luogo è diverso? Non è possibile che sia cambiato, o quantomeno non così drasticamente. Allora mi sorge spontanea la soluzione, sono io a cambiare e crescere.
Cristo. Questa non volevo saperla,ma la verità subdola ormai s'era insinuata nell'orecchio e cominciava ad urlare che io non ero più quella di prima. Ma non ero solo io, anche gli altri. I sorrisi amici delle persone a me amiche, divennero i sorrisi sgangherati degli empi demoni dell'inferno.
L'immagine che s'era parata dinanzi a me era terrificante, quello che stavo facendo non era un viaggio di ritorno a casa, ma la commemorazione del mio calvario.


Ero in viaggio da Palermo al mio cazzo di paesello. Il bus sfrecciava sulla Palermo-Agrigento, inghiottito dal buio pesto ed illuminato saltuariamente dalle luci rosse e verdi dei semafori. Questi provavano in tutti i modi di bloccare la mia discesa verso l'inferno, ma quella morsa mi tirava saldamente.
Da quando ero a Palermo, all'università, l'erba era verde, come quando ero bambina. Respiravo a pieni polmoni l'aria salata del Foro Italico. Ripensavo a quel posto, all'albero secco che si contorceva verso l'alto, il mio cane che correva per il prato mangiando il terriccio. Un sorriso si disegnò sul volto dal nulla. Illuminato dalla penombra vi era quella bestiola rannicchiato a me. Dormiva beatamente, ed anch'io dormivo sonni tranquilli da quando c'era lui.
Sentii lo squillo del cellulare, lo schermo indicava chiaramente 'Anzia'.
-Ma?- Risposi con un tono stanco ed a tratti seccato.
-Valè, cosa vuoi per cena?- Mi presi qualche attimo per rispondere
-Gli arancini Ma.-
-Eh non ho il riso.- Sbuffai, ma me ne pentii immediatamente, non era colpa sua.
-Dii a quella grandissima Troia di andartelo a comprare.- Risposi con profonda rabbia. Ogni volta che m'avvicinavo al mio paese, la rabbia ed il risentimento impregnava la mia pelle.
Sentimenti che non svanivano una volta a casa, ma stavano lì a marcire e puzzare, fino a quando non ritornavo a Palermo.


Il buio delle cinque di pomeriggio non è mai stato d'aiuto per il mio umore, e con questa chiamata ho avuto la mazzata. Rieccomi al mood perenne e stantio della vecchia me.
Riaprii le chat che non dovevano essere aperte, ho la curiosità di Pandora a volte. Credo a questo punto di aver sviluppato una certa affinità al dolore. Un piacere masochista nel farmi male fisico e psicologico.
Le rilessi velocemente, ma non riuscii a completare la lettura. Tutto sfocato dalle lacrime, vedevo nero con chiazze di luce. Cercavo di produrre il meno rumore possibile, anche se ad una certa il naso arrossato s'era tappato e non riuscivo a respirare bene. Ma nonostante tutto, riuscii a starmene in silenzio. Neanche il cagnolino s'era svegliato, che stava lì a dormire beatamente.
I ricordi riaffioravano in maniera convulsa nella mia mente, mentre dolorosamente assistevo a quelle scene. Tutta la mia vita passò dinanzi ai miei occhi.
Trattenni le lacrime, le narici si chiudevano ed io cercavo di prender aria con la bocca, annaspando come una persona in mezzo al mare in tempesta.
Poi il respiro calmo e tranquillo della bestiola mi calmò. Il mio amato cane stava sulle ginocchia, raggomitolato come una ciambella. Sorrisi verso Leon, gli dovevo molto.
Così mi feci forza e strizzando gli occhi cercai di mandar via i brutti pensieri, o almeno d'affrontarli una volta per tutte.
D'improvviso sentii i polsi stretti in una presa, si stagliava dinanzi a me la scena che tante volte s'era parata davanti per tantissimo tempo. Eppure in quel frangente non provavo nulla, complice il fatto di aver quel cane con me, la consapevolezza che non ero più una bambina d'otto anni e neanche una ragazzina di quattordici anni.
Avevo vent'anni, ero grande e vaccinata per capire cosa fosse successo ed accettarlo.
Il mio viso disteso come uno specchio d'acqua, si rifletteva nello stesso viso ma di una me d'otto anni.
Povera bambina, gli occhi sbarrati di chi non capisce ma vorrebbe andare via. Era paralizzata sotto il peso d'un cugino di qualche anno più grande di lei.
Il fiato era affannoso, il petto si gonfiava per poi sgonfiarsi, ma sembrava non voler andare via quell'enorme peso. Non riusciva a muoversi, neanche a chiudere gli occhi o dire una sola sillaba semplice, quale fosse il NO. Poi vi fu solo il nero e l'assordante silenzio.
-Era una cosa tra bambini.- Riconobbi quella voce nella mia testa. Era stata fin troppo cara a me per potermene dimenticare nel giro di qualche mese.
Quella era mia zia, non la madre del cugino, ma l'altra sorella di mio padre. La frase echeggiava nelle orecchie come un tamburo. Portai una mano all'orecchio, cercando di attutire il fastidio che provavo.
-Come è possibile una cosa di questo tipo ad essere una cosa tra bambini?- Chiesi io tra i miei pensieri, interpellando quella che era la figura 'materna' che avevo in testa.
-DIMMI PER QUALE CAZZO DI MOTIVO FAI COSÌ .- Esclamai improvvisamente nei miei pensieri, ma lasciandomi scappare qualche sillaba anche nella dimensione terrena. Gli occhi li riaprii improvvisamente e lì dinanzi c'era solo il finestrino nero. Sospirai, mi soffiai il naso e poi ritornai ai miei pensieri, cercando di fronteggiarli con coraggio.
-La colpa è tua se tua nonna sta male.- Altra frase, altra pugnalata. Ricordai la giornata, avevo già la mia bella gatta da pelare … eppure lei ebbe il coraggio di chiamarmi e darmi la colpa di cose che non avevo. Era lì che qualcosa s'era rotto. Lei non mi ha mai voluto bene, era solo una facciata. Era questo che mi faceva ancora sanguinare il cuore.
Non le è mai fregato un cazzo che io sia stata stuprata, non importa se io avessi la depressione. Bisognava salvaguardare la facciata, altrimenti le persone cosa avrebbero pensato? Perchè le lacrime in quel momento non volessero scendere non ne avevo idea. Sembrava che non avessi più le energie per loro. Non ne valeva più la pena. Riaprii gli occhi e sorrisi.
Digitai il logo di istagram, aprii la parte per creare una storia. E fu lì che inflissi una mortale ferita a tutti loro, ma in particolare a lei, lei che di nome si chiama Angela, ma col cazzo che è un angelo.

“Cosi nutuli, mancu boni ad aiutare lu vostru sangu siti,
ma tantu lu Signuri granni è, e chiddu chi v'aspetta v'ava dari.”


“Cose inutili, non siete neanche buoni ad aiutare il vostro sangue,
ma tanto il Signore è grande, e quello che vi spetta vi deve dare”
 
Dopo aver inviato la storia fu lampante che il colpo era andato assegno, non avendo taggato nessuno, la figlia, quella che consideravo mia sorella, venne in soccorso della madre e mostrò i denti digrignati.
Fui triste, ma sollevata, avevo smascherato le bestie ed adesso non avevano più potere sulla mia vita.


 
   
 
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