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Autore: alessandroago_94    24/05/2020    16 recensioni
Alex è un giovane uomo pieno di dubbi e di voglia di mettere in carreggiata la propria vita, che spesso gli appare senza senso. È infatti vittima di un’ossessione, quella riguardante una persona idealizzata, o forse un suo stesso personaggio inventato; il fantomatico G.
Alla ricerca costante di questa persona si aggiunge una ricerca interiore, quella riguardante sé stesso.
Nel frattempo, dall’altra parte del mondo, l’agente James Barley, prossimo al pensionamento, si ritrova immischiato in una vicenda quasi assurda. Immerso in una società dell’orrore dove regnano bugie e disonestà, e dove sono solo i soldi a fare la differenza tra gli esseri umani, indagherà a riguardo di una clinica privata in cui si effettuano strani e proibiti esperimenti.
Le due vicende si intrecciano, anche se non si incontrano mai definitivamente. Possibile che anche questo racconto sia tutta una grande bugia? Un Limbo, appunto. Un Limbo dei Bugiardi. Un luogo immaginario in cui regnano solo le maschere.
Genere: Azione, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: Lemon, Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Capitolo cinque

CAPITOLO CINQUE

 

 

 

 

 

 

“Dubitate di tutto,

ma non dubitate mai di voi stessi”.

André Gide.

 

“Nessuno può farti sentire inferiore

senza il tuo consenso”.

Eleanor Roosevelt.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

“Agente speciale James Barley” rispondo al citofono, per la prima volta attribuendomi quel pizzico di potere in più che mi è stato affidato solo questa stessa mattina.

Non ho avuto difficoltà a trovare la villa della figlia dell’ex senatore, che tra l’altro era stata di suo padre, prima che lo internassero.

Villa Stradford è circondata da un grande bosco, che la circonda e ne protegge le mura. Tuttavia la proprietà si nota già da discreta distanza, quando le rade ma ordinate case della periferia di Columbus all’improvviso si interrompono per lasciare spazio alla selva.

L’imponente cancello mi sovrasta e un paio di cervi in bronzo sembrano studiarmi, mentre una vocina stridula e distante mi invita ad accedere.

Quando i battenti si spalancano e il cancello si divide in due parti uguali per farmi entrare, quelle statue non mi sembrano nemmeno più così intimidatorie.

Guido la volante con sicurezza lungo il tortuoso sentiero ghiaiato che porta a una residenza di stampo ottocentesco.

Quando giungo al cospetto della grande villa, un signore vestito da domestico mi attende a mani incrociate all’altezza del basso ventre proprio di fronte all’ingresso. Ecco, adesso inizio a sentirmi in soggezione. Non sono mai stato abituato a certi stili di vita; per carità, ho sempre ben saputo che certi politici vivono in modo sfarzoso, ma io nella mia umiltà non sono mai venuto a contatto con tali realtà.

Il signore in mise si avvicina a me, lentamente, in modo posato. Allunga una mano guantata non appena lo raggiungo, andandogli incontro.

“Salve, agente” saluta, rispettoso, “sono il maggiordomo di villa Stradford. La signorina mi ha ordinato di condurla da lei immediatamente”.

“E’ proprio ciò per cui sono venuto fin qui. Parlarle, appunto” specifico, un po’ in imbarazzo. Il maggiordomo allora scioglie il contatto tra le nostre mani e sorride con fare accomodante.

“Prego, allora; mi segua”.

Mi fa strada, conducendomi all’interno della villa. Le pareti del largo corridoio d’ingresso sono tappezzate da bellissimi quadri, di certo pezzi d’antiquariato, poiché alcuni sono in uno stile ormai superato. Almeno secondo me.

Visi e volti si susseguono in queste opere retrò, mi sembra per un istante di essere all’interno di un film d’altri tempi. Nemmeno mi accorgo quando il maggiordomo si blocca, quasi gli finisco addosso.

“Prego” dice, indicandomi una stanza dalla porta spalancata. La padrona di casa evidentemente ha scelto di ricevermi il più vicino possibile alla porta d’ingresso.

Varco la soglia con un paio di toc-toc sulla porta, per avvisare il mio accesso, ma qualcuno già mi attende; la signorina Stradford è in piedi e mi fissa immediatamente con un’attenzione che mi mette subito in imbarazzo.

A mia volta osservo i suoi lineamenti dolci, la pelle candida e fresca, senza nemmeno una ruga. Il volto è contornato da dei bellissimi capelli mossi e biondi, gli occhi castani ma profondissimi.  Dev’essere sui trenta, massimo trentacinque anni, e mi ricorda molto mia moglie quando era più giovane.

“Agente speciale James Barley” mi presento d’istinto, rompendo il ghiaccio.

La donna a sua volta si scioglie e mi si avvicina, stringendomi la mano.

“Agente, ben saprà chi sono io, quindi bando ai convenevoli. Non voglio più perdere tempo, mio padre aspetta che gli venga restituito almeno l’onore” dice lei, categorica. La sua voce cristallina risuona tutt’attorno, quasi fosse un’eco di alta montagna.

Mi fa cenno di sedermi, indicandomi le poltroncine che circondano un tavolino antico ma ben restaurato, poi si siede a sua volta proprio di fronte a me. Solo il mobile a separarci.

“Da quando mio padre è stato internato, la mia vita è diventata un inferno. Gli affari di famiglia vanno bene e i soldi non mancano, ma non ho più voglia di fare nulla e tutto sta andando in malora, pure il giardino” inizia a raccontare senza che io le abbia chiesto niente, con un modo ferito e quasi rancoroso. Mi sento in dovere di arginarla, poiché le cose non sono iniziate nel migliore dei modi.

“Signorina, mi conceda” la interrompo, cercando di essere il più cortese possibile, “di certo ciò non è accaduto a causa mia. Sono qui infatti per ascoltarla e per esserle d’aiuto, quindi magari proceda per ordine e mi dia la sua versione dei fatti”.

Lei mi riserva una mezza occhiataccia, prima di indicare il corposo fascicolo che ho appena appoggiato sul tavolino.

“Le mie deposizioni le avete già, quindi non capisco perché devo ripetere tutto dall’inizio. Sono certa che lei ha letto ciò che i suoi superiori le hanno consegnato”.

Annuisco.

“E allora non ho altro da dirle, sa? Indaghi e torni con la verità”.

“Rappresento le Forze dell’Ordine, ora, signorina. Non le concedo di parlami in questo modo, o di liquidarmi. Lei ha chiesto aiuto, e ciò le è stato offerto; non lo rifiuti così” mi spiego, cercando di apparire autoritario. È vero quel che Ramsey mi ha detto qualche ora prima, poiché la mia trentennale esperienza mi sta aiutando molto.

La Stradford è una persona distrutta e nervosa, non vuole nessuno tra i piedi. Il mio compito principale è quello di ascoltarla di nuovo, quindi devo portare una pazienza che forse uno spocchioso novellino non avrebbe.

“Mio padre è stato ucciso, cosa dovrei dirle di più?” insiste.

“Me ne parli. Se lei accusa, avrà i suoi motivi”.

Sospira.

“L’ho già detto e ripetuto tante volte. Lui era un uomo davvero per bene, con delle idee e dei valori sani. È stato il mio pilastro. Poi, all’improvviso, una sera non è tornato a casa; i suoi colleghi senatori hanno dichiarato che ha dato di matto, ha perso il senno durante un’udienza” si interrompe un attimo per asciugarsi una lacrima.

“Sarebbe poi svenuto, per poi essere portato all’ospedale da un’ambulanza. Tutto questo senza che mi venisse detto niente, ho scoperto questa storia solo dopo le mie personali ricerche, quando mio padre era già stato internato. Si rende conto, agente? Mio padre, un onorevole senatore di Stato, anziano e stabile di mente, all’improvviso dopo un breve ricovero in ospedale viene internato presso un manicomio di cui nemmeno sapevo l’esistenza”.

Non faccio una piega, mentre ascolto. Ramsey mi ha avvisato sul fatto che la donna potrebbe avere ricordi molto confusi, poiché per lei è stato un vero trauma perdere il padre.

In realtà, da quel che traspare dal fascicolo, a seguito delle primissime indagini svolte dagli agenti che hanno raccolto gli indizi, pare chiaro che i colleghi del senatore ne denuncino l’instabilità mentale. Da qualche tempo infatti pareva che l’uomo fosse irritabile, intrattabile e aggressivo. Poi, la crisi finale l’ha dio certo spezzato.

Il breve ricovero in ospedale era durato pochissimo, poiché non appena si era ripreso dallo svenimento era diventato ingestibile, talmente tanto da richiedere l’aiuto immediato di personale specializzato. L’anziano senatore era quindi andato totalmente giù di testa e nessuno poteva più contenerlo, se non una clinica.

Tuttavia era vero che nessuno si era preso la briga di contattare la figlia, tutti accusando il fatto che non ci avessero pensato, e che a breve la clinica psichiatrica se ne sarebbe comunque incaricata.

“Ed è morto in quel manicomio poco dopo il suo arrivo. Se ne rende conto, agente? Una persona sana, perfettamente stabile e in forma, che all’improvviso finisce in ospedale, poi in clinica psichiatrica, e poi muore in modo a mio avviso misterioso. Cosa dovrei pensare? Che sia tutto a posto?”

Finito il suo sfogo, non mi faccio spaventare dalle lacrime che solcano il volto ancora giovane della mia interlocutrice.

“Ha avuto modo di parlare a suo padre, o anche solo di vederlo, dopo che era giunto in clinica?” le chiedo. La Stradford scuote il capo.

“No. Non me l’hanno permesso. Non volevano che vedessi ciò che gli stavano facendo”.

Dalle prime testimonianze da me lette, invece, risulta che lei l’avesse incontrato in clinica e che fosse rimasta sconvolta dal suo stato. Resto quindi impassibile al cospetto delle varie contraddizioni.

“E secondo lei cosa gli stavano facendo?” vado al punto, glissando sulle prove raccolte, con il solo scopo di non farla innervosire. Ora si è aperta, sento che può parlare liberamente. Ma che sia impazzita anche lei?

“Aveva pestato i calli a qualcuno di grosso. Non me ne ha mai parlato, per non tirarmi in mezzo, ma so che qualcosa non andava. Ultimamente tornava a casa sempre imbronciato, qualcosa non stava andando bene”.

“Allora suo padre mostrava qualche cambiamento caratteriale…”. Non riesco a formulare la domanda poiché la donna mi interrompe.

“Sì, ma non nel senso di pazzo. Semplicemente, stava affrontando un periodo particolarmente stressante, soprattutto per un uomo integerrimo della sua età”.

“Capisco” le concedo, “credo che per ora abbia sentito abbastanza. Mi recherò presso la clinica per proseguire sul posto le indagini e raccogliere altre testimonianze”.

“Le mentiranno. È un covo di vipere, stia attento”.

“So come difendermi”.

Mi alzo dalla poltroncina e avverto la schiena umida. Non è stata una conversazione piacevole, la nostra. La signora mi fa impressione, ma anche tenerezza, poiché la sua estrema sofferenza si nota in modo evidente.

“Allora la prego di far luce sulla verità. Mi fido di lei, mi ripongo nelle sue mani” mi dice, finalmente con tono gentile e commosso.

È il mio momento per sciogliermi.

“Farò il possibile” rispondo nel modo più professionale.

“Ne sono convinta” poi mi sorride per la prima volta, “comunque io mi chiamo Angelina. Mi tenga aggiornata sul caso, se può, la prego”.

Annuisco e torno a stringerle la mano, prima di accomiatarmi.

 

Prima di andarmene, provo a porre qualche domanda al maggiordomo, che mi conduce pazientemente alla macchina. Tuttavia offre risposte ancora più blande della signorina. Niente che mi sia utile.

A quanto pare non parlava mai con il suo anziano datore di lavoro, che rientrava sempre tardi ed era puntualmente nervoso, desiderando di non essere disturbato in alcun modo. La servitù doveva essere silenziosa e molto discreta quando era in casa.

Alla luce di tutto ciò, penso che in fondo potrebbe veramente essere impazzito, questo signore.

Mentre metto in moto l’auto, per un attimo mi sento osservato, ma credo sia solo la soggezione che questo posto mi imprime.

 

Sogno ancora un futuro migliore per l’umanità, ma con la certezza di non farne parte. Le pecore come me si limitano a belare nei recinti che la società impone, non fanno nulla per cambiare le cose.

Così come io sono crollato con facilità sotto il peso di un affascinante ma micidiale G, figuriamoci se riuscirò a fare qualcosa di buono per tutti. Per il mondo.

Mentre cammino spedito, un ricordo riaffiora nella mia mente; riguarda un signore che ho conosciuto superficialmente per un po’ di tempo, di quelli simili a un antico filosofo greco. Della serie barba bianca e fare sapiente.

Egli una volta mi fece festa, rivedendomi dopo un periodo in cui le nostre vite non si erano incrociate più. Mi chiese subito come stesse andando, se era tutto a posto.

Ed io, sorridendo, gli dissi semplicemente; le solite cose.

Egli rispose al mio sorriso e bonariamente mi disse, lo ricordo ancora come fosse adesso; ma ragazzo mio, cosa pensi? Che fare qualcosa sia solo costruire un grattacielo? Oppure essere un supereroe? Sono quelle che tu definisci le solite cose a rendere grande un uomo, nei valori e nella mente. Con le solite cose, se corrette verso il prossimo e verso te stesso e il mondo circostante, puoi seminare il bene ed essere la felicità per i cuori.

Queste parole me le ricordo ancora in maniera chiara perché mi colpirono molto sul momento e ancora mi fanno riflettere. Io che non mi sento nessuno, che sono una nullità… perché mio padre dice sempre che non faccio niente, non sono come i figli degli altri che compiono grandi studi all’estero e che un giorno faranno grandi cose.

Io, nel mio piccolo, quindi, posso essere alla pari degli altri? Di coloro che hanno un grande futuro di fronte a sé?

Quell’uomo anziano ha lasciato un seme dentro di me, che germoglia pian piano. Da quel momento in poi ho sempre saputo dare risposta a questi miei ultimi interrogativi, poiché… è assolutamente vero, e va ricordato, che la nostra vita vale sia nelle piccole e sia nelle grandi cose.

Non è una impresa eroica o una rapida e prestigiosa carriera a rendere un uomo amato ed eterno. Non è lo scalatore sociale l’unico a lasciare un segno nel mondo. Magari chi più si espone più ha probabilità di restare impresso nei libri di Storia, ma sono i tanti piccini a creare una società, a mutarne le forme, i colori, i desideri, e persino le religioni.

Io sarò una pecora e per sempre mangerò in silenzio quel foraggio che i prestigiosi pastori mi offrono; starò zitto e muto affinché non mi mandino fuori dal gruppo, per poi essere sbranato dai lupi. La mia vita da ovino sottomesso quindi mi dovrà bastare in eterno.

Ma, nel mio piccolo, inizio a essere consapevole di essere al pari degli altri, o per lo meno di tanti altri, non potendolo essere di tutti.

 

Il mondo dei social mi ha lasciato capire facilmente la mia diversità.

Sono uno sfigato e un like non me lo merito in alcun modo. Se accedo e scrivo a qualcuno, manco mi risponde. Perché? Perché sono uno sfigato, ovvio; non sono nessuno.

La tettona mette la foto con i capezzoli inturgiditi? Wow, mille like.

L’idiota posta il selfie mentre sniffa? Duemila like subito.

Alex posta una foto intanto che fa il suo lavoro? Viene cagato zero.

La gnocca di turno ha infinite richieste d’amicizia mentre Alex se ne fa una lo bloccano, oppure lo accettano per qualche giorno giusto per frugare nel suo profilo e sfotterlo.

È incredibile come basti fare una cazzata per essere adorato, oppure avere un corpo bello. È facile per la nostra società materialista essere superficiali e basarci solo sull’apparenza; ciò che fa figo lo giudichiamo solo tramite le tendenze dei vip del momento, senza pensare a ciò che conta davvero nella vita.

Comunque ciao a tutti, sono Alex la pecora, bruco l’erba, sto zitto, metto mi piace ai fighi e me ne sto solo, consapevole che non valgo una minchia; e so qual è il colmo… che se anche pubblicassi il post più bello del mondo, anche solo con una frase profonda e intelligente, non sarebbe cagata lo stesso.

Viva quindi la materia e la superficialità.

Ma in fondo non è forse questo il motivo per cui i social esistono, in un certo senso? E allora metto il cuore in pace e continuo serenamente la mia vita, con un semplice sorriso che non sarà mai immortalato in una foto da pubblicare, che farebbe schifo a tutti; il mio sorriso, la mia gioia del momento, le tengo per me.

Solo per me, perché in fondo solo io posso capirmi per davvero, e credo che sia questo quello che conta alla fine.

 

 

 

 

 

 

 

 

NOTA DELL’AUTORE

 

 

 

Niente da aggiungere, questa volta xD Alex è un fiume in piena…

Grazie a tutti voi per essere qui ^^

   
 
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