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Autore: Star_Rover    25/05/2020    6 recensioni
Fronte Occidentale, 1917.
La guerra di logoramento ha consumato l’animo e lo spirito di molti ufficiali valorosi e coraggiosi.
Dopo anni di sacrifici e sofferenze anche il tenente Richard Green è ormai stanco e disilluso, ma nonostante tutto è ancora determinato a fare il suo dovere.
Inaspettatamente l’ufficiale ritrova speranza salvando la vita di un giovane soldato, con il quale instaura un profondo legame.
Al fronte però il conflitto prosegue inesorabilmente, trascinando chiunque nel suo vortice di morte e distruzione.
Genere: Angst, Drammatico, Guerra | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: Lime | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza | Contesto: Il Novecento, Guerre mondiali
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XIII. Scorreva sangue la scura terra
 

Hugh osservò il prigioniero rannicchiato nell’angolo del rifugio. Il dottor Jones aveva provveduto a medicare le sue ferite, ma le sue condizioni non sembravano migliorare.
L’inglese si avvicinò restando solo a qualche passo di distanza. Alla luce delle torce poté osservare meglio il volto di quell’uomo, il quale appariva molto più giovane di quanto avesse presupposto la notte precedente.
Hugh provò compassione per lui, dopo un po’ prese coraggio e si avvicinò porgendogli un tocco di pane.
Il tedesco esitò, ma poi spinto dalla fame accettò quel generoso dono, afferrò il cibo e lo ingurgitò con avidità.
L’inglese rimase immobile, in quel momento non avvertì né timore né odio per quel soldato.
Il prigioniero tentò di comunicare, inizialmente a gesti, indicò la gola e mimò il gesto di bere.
«Wasser bitte»
«Acqua...sì certo…aspetta»
Hugh recuperò la sua borraccia e la consegnò nelle mani del tedesco, il quale bevve un lungo sorso.
Riconsegnando l’oggetto rispose con un lieve sussurro.
«Danke»
L’inglese accennò un sorriso, per qualche ragione volle mostrarsi rassicurante nei suoi confronti. Osservando il suo volto pallido e scarno, il suo fisico deperito e il suo sguardo sofferente non poté evitare di porsi domande sul trascorso di quel giovane.
Hugh non provò più a comunicare con lui, ma rimase di guardia per tutta la notte. Il tedesco non si sentì in pericolo in sua presenza, pian piano tornò a calmarsi e lentamente riuscì ad addormentarsi.
 
***

L’ultimo attacco era stato un fallimento. Gli inglesi avevano tentato di indebolire le difese avversarie per poter permettere alle truppe dell’Anzac di catturare Passchendaele. Il piano però non era andato a buon fine. Ad ottobre gli alleati non erano riusciti a sfondare la resistenza tedesca. Era giunto il momento di sferrare l’assalto decisivo, era l’ultima possibilità per conquistare Passchendaele prima dell’inverno.
 
Durante l’avanzata i primi sbarramenti di artiglieria risultarono inefficaci poiché il fango ostacolò il trasporto delle armi pesanti mentre quelle già in posizione non poterono essere stabilizzate nelle buche piene d’acqua.
Dal fronte e dal fianco destro erano esposti al fuoco delle mitragliatrici tedesche. Gli inglesi tentarono di proseguire attraverso la terra di nessuno, ma i fitti reticolati di filo spinato risultarono impenetrabili, così i soldati britannici rimasero bloccati nei crateri. Gli ordini per un ulteriore assalto furono rimandati e successivamente annullati per mancanza di rinforzi.
Alla fine le truppe tornarono alle posizioni vicine alla precedente linea di partenza. Il tenente Green attraversò il campo di battaglia devastato dalle esplosioni nel disperato tentativo di riportare i suoi uomini al sicuro.
Richard arrancò affondando gli stivali nella melma, il terreno tremava, intorno a lui poteva udire solo il sibilo dei proiettili e i botti delle granate.
Ovunque giacevano corpi inermi e orribilmente deturpati, le grida sofferenti dei feriti erano soffocate del frastuono della battaglia.
Green continuò a strisciare oltre alle linee, trovando riparo in una postazione di soccorso. L’ufficiale provò una profonda angoscia notando l’enorme numero di feriti, molti dei quali difficilmente sarebbero sopravvissuti.
 
L’agognata conquista del villaggio di Passchendaele avvenne per mano delle truppe canadesi, le quali sferrarono una lunga serie di attacchi in terribili condizioni, riuscendo con sforzi estremi a sopraffare le difese nemiche.
Questo enorme sacrificio però non portò ad alcuna vittoria significativa. A quel punto del conflitto il controllo di Passchendaele non rappresentava più alcun vantaggio strategico, le forze alleate subirono enormi perdite per un misero risultato.
Mentre le truppe canadesi si ritrovarono ad occupare un paese deserto i distaccamenti britannici iniziarono già a marciare in direzione del nuovo fronte.
 
Il plotone del tenente Green riprese l’avanzata per raggiungere il successivo obiettivo.
L’azione sembrò iniziare sotto ad un segno di buon auspicio. Quella mattina per la prima volta dopo tanto tempo gli inglesi tornarono ad ammirare un cielo sereno. Le nuvole basse si erano aperte e alti cirri lasciando intravedere squarci di colore blu. Il tenente fu costretto a coprirsi gli occhi con una mano, non era più abituato all’intensa luce del sole.
Dopo un’intera giornata di marcia le truppe giunsero ai confini dell’ennesimo villaggio fantasma.
I soldati attraversarono cautamente le rovine, il tenente si rannicchiò dietro ad un ammasso di macerie e lentamente sbirciò la strada. Il campanile sembrava abbandonato, nessun colpo si abbatté sulle truppe in avvicinamento.
L’ufficiale proseguì per le strade deserte. I soldati ispezionarono le abitazioni distrutte e le cantine evacuate.
Ad un tratto Richard ordinò ai suoi compagni di fermarsi, aveva avvertito qualcosa, non erano soli in quel villaggio. Il tenente strinse il fucile, poco dopo due figure comparvero tra le rovine, i tedeschi corsero lungo la strada e si arresero.
Green interrogò un prigioniero, il quale rivelò che entrambi gli schieramenti erano stati frammentati e dispersi dopo la battaglia. L’ufficiale ordinò ai suoi uomini di occuparsi dei tedeschi, poi con la sua squadra proseguì ad ispezionare l’area circostante.
Poco distante scovarono altri soldati in una fossa. Gli inglesi puntarono i fucili, i presunti nemici restarono immobili.
Richard si avvicinò al bordo del cratere, all’interno trovò due uomini rannicchiati nel fango. Uno gemeva dal dolore, probabilmente aveva un braccio rotto. Entrambi erano pallidi e denutriti. Le loro divise erano logore e strappate, sarebbe stato impossibile identificarne la nazionalità.
Il tenente si calò sul fondo della buca, il ferito era sdraiato nella melma, il suo compagno tentò di proteggerlo posizionandosi davanti a lui e puntando il fucile. Appena riconobbe l’uniforme britannica però abbassò l’arma con gli occhi lucidi per la commozione.
«Siamo australiani, vi prego…aiutateci»
Richard tentò di rassicurarlo, in quel momento altri inglesi giunsero in loro soccorso.
Il primo soldato indicò il suo compagno: «prima pensate a lui, è ferito»
Il tenente provò una sincera commozione nell’assistere a quella dimostrazione di affetto e cameratismo. Era ancora perso nei suoi pensieri quando fu riportato alla realtà della voce preoccupata di un suo commilitone.
«Quegli australiani erano ridotti davvero male, che cosa deve essere successo qui?»
L’ufficiale sospirò: «temo che presto avremo modo di scoprirlo»
La loro conversazione venne interrotta dall’arrivo di una staffetta ansante.
«Signor tenente, il caporale Speller ha segnalato la presenza di una postazione tedesca a sud-est del villaggio!»
Green ebbe presto prova della presenza del nemico, due mortai iniziarono a colpire le truppe intente a scavare le nuove trincee.
Gli esploratori riportarono anche l’esistenza di una casamatta occupata dal nemico, quella stessa sera il tenente prese il comando dell’operazione per liberare il sentiero. Lo scontro fu breve, ma intenso. I tedeschi si arresero solamente dopo un arduo combattimento.
Richard ebbe così la prima dimostrazione che l’avanzata sarebbe stata ancora più difficoltosa del previsto.
 
Gli inglesi assistettero all’azione degli australiani a Ravebeek. Gli alleati furono costretti a ritirarsi nel fango, i tedeschi mantenevano ancora il controllo di Bellevue.
Anche i neozelandesi tentarono nuovamente di avvicinarsi al nemico, ma le loro truppe furono respinte e disperse. 
Il tenente Green mantenne la postazione, scambiando con il nemico un intenso fuoco di mitragliatrici.
L’ufficiale non poté incolpare in nessun modo i comandanti dell’Anzac per i recenti fallimenti, nessuna fanteria al mondo avrebbe potuto attraversare il fango di Ravebeek, penetrare nel fitto reticolato e attaccare le ben difese casematte di Bellevue senza un adeguato supporto.
Nonostante la situazione disperata degli Alleati le truppe britanniche ricevettero l’ordine di continuare a resistere.
 
***

Il pomeriggio seguente il tenente Green osservò le truppe tedesche in movimento a sud-est. L'artiglieria nemica diede inizio ad un violento bombardamento contro il fronte australiano, la fanteria tedesca uscì dalle trincee e con ondate compatte e ordinate occupò la cima dell’altura.
Gli australiani riuscirono a gestire l’attacco, fucili e mitragliatrici spararono senza sosta per l’intera giornata.
Richard non poté far altro che supportare la difesa con colpi d’artiglieria.
Poche ore dopo un contrattacco più deciso, ma meno organizzato partì dallo stesso fronte. Gli inglesi ricevettero il segnale di S.O.S. da parte delle unità australiane, ma in quelle condizioni non poterono agire in alcun modo. La divisione dell’Anzac fu costretta alla ritirata, i tedeschi riuscirono a confinare nuovamente gli avversari al limite della linea ferroviaria.
 
Il tenente ricevette puntualmente l’ordine di raggiungere le nuove postazioni. Anche il suo plotone avrebbe dovuto affrontare il fuoco nemico per attraversare la vallata di Ravebeek.
Richard guidò i suoi uomini sotto ad un’intensa pioggia di proiettili, gli inglesi vennero falciati dai colpi dei fucili e dalle raffiche delle mitragliatrici. L’ufficiale vide quegli uomini cadere a terra, i loro cadaveri si unirono a quelli degli australiani che precedentemente avevano subito il medesimo destino.
Nonostante la drammaticità della situazione i cecchini tedeschi non si rivelarono crudeli e spietati. Durante lo scontro nessuno di loro sparò ai soccorritori o alle barelle in movimento.
I ricoveri però non erano posti sicuri, le vecchie rovine erano sempre esposte ai grossi proiettili d’artiglieria.
Durante la notte il plotone si ritrovò sulla strada per la prima linea. I soldati erano ormai privi di speranza, distrutti e sconvolti dalle recenti esperienze belliche.
Green avanzava in silenzio, era orgoglioso dei suoi uomini, che marciavano a testa alta verso il loro destino. Eppure non aveva la forza di confortarli.
Inevitabilmente Richard ripensò a Finn, era sempre più preoccupato per la sua condizione, ma allo stesso tempo provò un certo sollievo al pensiero che il suo assistente si trovasse lontano dal fronte. Il tenente ripensò agli ultimi momenti trascorsi insieme all’amato, doveva tornare da lui come aveva promesso.
Quando Green e i suoi compagni raggiunsero la linea trovarono le trincee sventrate e devastate dai bombardamenti. Alcuni soldati australiani erano ancora rannicchiati nei crateri, feriti e stremati dopo l’ultima battaglia.
Gli inglesi lasciarono loro cibo e acqua, ma non poterono fermarsi a soccorrerli. Li superarono e proseguirono in direzione della prima linea.
Quella sera si appostarono nelle grosse buche scavate dalle granate nella terra di nessuno, esposti al fuoco delle sentinelle nemiche.
Richard si rannicchiò contro il muro di fango, il suo rifugio tremava in continuazione, la terra franava, colpita ripetutamente dai proiettili d’artiglieria.
A mezzanotte il fuoco divenne talmente intenso da costringere il tenente a ritirare i suoi uomini. Green tornò sulla strada e trovò riparo in una casamatta abbandonata, all’interno si erano barricati altri australiani feriti. Sul pavimento giacevano alcuni cadaveri, erano i tedeschi uccisi durante l’ultimo attacco, ormai in avanzato stato di decomposizione.
Gli inglesi erano così sconvolti da non prestare attenzione al terribile tanfo della morte. Si accovacciarono accanto ai compagni australiani e attesero il sorgere del sole, avvertendo in lontananza l’eco delle esplosioni.
All’alba una luce tenue e rosata rivelò la terra di nessuno devastata dal bombardamento, l’intera vallata era disseminata di corpi inermi e mutilati.
 
Nei giorni seguenti le truppe inglesi lavorarono arduamente per rimettere in piedi le trincee, scavando nel fango e rafforzando le barricate. Furono costretti ad arretrare rispetto alla posizione precedente, ma riuscirono a ristabilire una linea solida e ben difesa.
La vita al fronte era un vero inferno per i soldati, ormai apatici e rassegnati, si accanivano contro il nemico senza rimorso o terrore. Nulla aveva più importanza, per quegli uomini esisteva solo morte e fango.
Il tenente Green trovò alloggio insieme ad altri ufficiali in una rocca denominata “il castello dei cigni”. Quel luogo era una vera calamita per i proiettili d’artiglieria.
Richard attendeva con impazienza i nuovi ordini, era certo che presto sarebbe giunto il momento di uscire all’attacco, avrebbero dovuto agire in fretta per non lasciare troppa libertà al nemico.
Le notizie che giungevano dal fronte di Passchendaele erano ben poco rassicuranti. Quel pomeriggio un intero plotone in marcia lungo Menin Road era stato bersagliato da un aviatore tedesco, il quale era riuscito a sganciare la sua bomba con estrema precisione. L’esplosione aveva causato venti morti e una decina di feriti.
Anche gli attacchi con i gas erano diventati più organizzati e micidiali. Il nemico aveva messo in atto nuove tecniche e strategie per annientare la fanteria britannica. Le trincee inglesi erano inizialmente colpite da un pesante bombardamento, i proiettili liberavano la prima nube di difenilclorarsina, il gas costringeva i soldati a liberarsi dalle maschere causando sensazioni di nausea e conati di vomito. Successivamente avveniva la seconda parte dell’attacco con l’utilizzo dell’ormai noto e temuto gas mostarda.
Le truppe impegnate al fronte erano così obbligate ad indossare sempre le maschere anti-gas, alcuni soldati non le levavano nemmeno per dormire.
Dopo un simile attacco intere aree dovevano essere abbandonate, le nubi di gas ristagnavano nelle buche e nelle trincee, dunque quelle postazioni non potevano essere rioccupate tempestivamente.
Il tenente Green ripensò ai soldati che erano sopravvissuti all’ultima ondata di vapori tossici, i feriti recuperati dai soccorritori erano ricoperti di vesciche e ustioni su tutto il corpo, dato che il gas penetrava attraverso i vestiti. Respiravano a fatica, avevano gli occhi gonfi e lacrimanti, molti erano affetti da cecità, rimasti afoni tentavano di implorare aiuto emettendo inquietanti suoni gutturali.
Richard si riprese da quelle orrende visioni avvertendo la voce del capitano Howard.
«Tenente, la stavo cercando. Devo parlare con lei»
Il giovane si rialzò: «sì, certo signore»
«Abbiamo ricevuto l’ordine di radunare le truppe all’alba, l’attacco è previsto per domani»
Il tenente si limitò ad annuire.
«Bene, le consiglio di riposare, le ore che precedono la battaglia sono preziose» concluse il capitano prima di abbandonare la stanza.
Richard rifletté su quelle parole, per la prima volta realizzò di essere rimasto completamente solo. Trascorse la notte in compagnia di fantasmi: suo fratello Albert, il soldato Davis…e anche il figlio del sergente Redmond. Ricordi e visioni si susseguirono durante il suo sonno tormentato.
 
***

I soldati si radunarono all’alba, strisciarono fuori dai rifugi e sguazzarono nel fango per schierarsi nel campo. Il tenente Green allineò il plotone e si occupò della consueta ispezione.
Gli uomini erano ormai stremati, i loro volti erano mesti e grigi, non rasati e sporchi perché non c'era acqua pulita. Alcuni scrollavano le spalle con insofferenza, segno che i loro abiti logori erano infestati dai pidocchi.
L’ufficiale notò sguardi vacui e visi inespressivi scavati dalla fame e dalla fatica.
Anche Richard era provato dalle innumerevoli fatiche, le esperienze al fronte l’avevano logorato nel corpo e nello spirito.
Il plotone riprese la marcia verso le postazioni di prima linea seguendo i binari della ferrovia. Gli uomini avanzavano lentamente, arrancando e scivolando nel pantano.
Durante l’avanzata il grande bombardamento dell’artiglieria britannica si quietò. Per giorni quel frastuono aveva irritato i nervi dei soldati, tormentando il loro sonno. L'improvviso silenzio fu sorprendente, tutti ebbero l’irreale sensazione di essere circondati da un vuoto inconcepibile. L’eco di quel tumulto incessante risuonava ancora nelle loro orecchie.
Il tenente avvertì una profonda inquietudine, ciò significava che la prima ondata aveva già lasciato le trincee, presto anche loro avrebbero seguito quei commilitoni.
I pensieri dei soldati erano comuni, nessuno però osava considerarsi talmente fortunato da uscire vivo da quell’inferno.
Raggiunsero le trincee ritrovandosi nel mezzo dello scontro. Sbirciando oltre alle barricate trovarono una situazione drammatica, i portatori correvano ovunque, l’intero campo di battaglia era cosparso di feriti gementi e sofferenti.
L’ordine di avanzare non tardò ad arrivare. Il tenente Green salì sulla scaletta di legno e uscì allo scoperto insieme ai suoi commilitoni. I soldati trovarono la prima difficoltà nel superare il parapetto, poiché i sacchi di sabbia marci e fradici d’acqua si sgretolavano ad ogni presa, sbilanciando coloro che tentavano di arrampicarsi.
Richard si appiattì sul ventre e riprese a strisciare attraverso la distesa di fango. Ben presto però trovò difficile mantenere la giusta direzione, il bombardamento aveva distrutto ogni punto di riferimento, non c’erano alberi o rovine riconoscibili per potersi orientare. Davanti a sé si estendeva solo un infinito oceano di melma.
I reticoli di filo spinato erano sprofondati nel fango, diventando una dolorosa trappola per i soldati che avanzavano nella terra di nessuno. A quel punto il pantano arrivava fino alle ginocchia, il tenente arrancava a fatica, ad un tratto avvertì un’intensa fitta alla gamba sinistra. Tentando di sopportare il dolore riuscì a trascinarsi fino all’estremità del cratere. Quando riemerse scoprì che uno lungo e spesso trancio di filo spinato si era avvinghiato intorno al suo arto. Fu costretto a lottare a lungo, con le mani ferite e sanguinanti e avvertendo i rovi metallici che affondavano nella pelle per potersi liberare da quelle stretta.
Compì quella dolorosa operazione tra l’eco delle esplosioni e il fischio dei proiettili.
All’improvviso una raccapricciante visione lo riportò alla cruda realtà della guerra.
L’intera zona era stata teatro di sanguinosi scontri nelle precedenti battaglie di Ypres. I morti erano stati seppelliti in quell’area, le schegge dei proiettili d’artiglieria esplodevano dissotterrando e smembrano quei corpi in decomposizione. Quei macabri resti saltavano in aria insieme alla nuove vittime del conflitto.
Il tenente Green si fece coraggio e a fatica riuscì a trascinarsi fino alla vecchia linea tedesca.
L’ufficiale si calò nella fossa insieme a un esiguo numero di soldati. Proseguendo lungo i camminamenti si imbatterono in una lunga fila di uomini, alcuni erano distesi a terra altri si reggevano in piedi, poggiati mestamente al muro di terra. Erano tutti soldati britannici, morti o gravemente feriti.
Richard riconobbe una postazione di soccorso, quegli uomini erano giunti lì con le loro ultime forze per cercare aiuto. Poco dopo il tenente fece un’orribile scoperta. La stazione medica era stata colpita in pieno da un proiettile, non era rimasto più nessuno in grado di aiutare quei disperati, che ormai attendevano la morte senza più alcuna speranza.
L’ufficiale avvertì una fitta al petto e gli occhi lucidi, in quelle condizioni non c’era alcuna possibilità di portare i feriti al sicuro. Egli fu costretto ad ignorare le suppliche e le grida sofferenti dei suoi commilitoni per inoltrarsi ulteriormente in quel labirinto.
I nuovi arrivati vagarono ancora a lungo attraversando cunicoli e gallerie. Finalmente incontrarono un gruppo di sopravvissuti appartenenti alla prima ondata, i quali erano riusciti a raggiungere la linea di supporto tedesca.
Richard interrogò un ufficiale riconoscendo il puro terrore nel suo sguardo.
«Con me avevo un centinaio di uomini, qui ne sono rimasti solo una quindicina. Non so dove siano i tedeschi…»
L’ufficiale indicò un punto indistinto nella landa desolata che si estendeva davanti a loro.
«Sono da qualche parte là fuori. Quei punti dove il filo spinato è interrotto indicano le postazioni delle loro mitragliatrici. Sarebbe impossibile proseguire. Il meglio che può fare è radunare qui i suoi uomini e mantenere la linea con noi»
Il tenente si guardò intorno, erano completamente isolati, sarebbe stato inutile tentare di comunicare con il resto del reggimento disperso, nessuno aveva idea di dove potesse trovarsi il più vicino posto di comando.
Con una squadra Richard esplorò la zona circostante, poco distante riuscì a trovare un rifugio tedesco abbandonato. Il tenente e i suoi uomini trasportarono all’interno tutti i feriti che riuscirono a trovare.
I soldati tentarono di fare il possibile per soccorrere i compagni, ma le bende dei kit pronto soccorso non erano sufficienti per fasciare le ferite aperte.
Richard era consapevole di aver fatto tutto il possibile per aiutare i suoi commilitoni, ma la maggior parte di loro giaceva inerme, mentre il sangue fluiva lentamente fuori dal loro corpo. Molti di loro non avrebbero superato la notte.
 
Il tenente tornò nelle trincee di collegamento, una mitragliatrice nemica aveva individuato la loro posizione e ad ogni movimento una raffica di proiettili fischiava sopra alle loro teste.
Il suolo tremava sotto al pesante bombardamento dell’artiglieria. Il tenente fu allarmato dalle grida di una sentinella. L’ufficiale sbirciò oltre al parapetto, dal campo di crateri vide spuntare una moltitudine di elmetti tedeschi. Il nemico era pronto per il contrattacco.
Alcune unità britanniche erano già in azione, ben presto si avvertirono i primi botti delle bombe a mano.
Il tenente Green si ritrovò nel mezzo dello scontro tra un intenso fuoco incrociato. Il terreno franava, masse di uomini correvano sparsi nel campo di battaglia, inglesi e tedeschi combattevano nel fango delle trincee.   
Richard strinse il fucile mentre davanti ai suoi occhi si susseguivano scene di morte e distruzione.
L’estrema violenza di quello spietato scontro riportò alla sua mente l’ardore delle antiche battaglie. In quel momento furono proprio i versi di Omero a riaffiorare nella sua memoria, la descrizione bellica del poeta greco avrebbe ben potuto sovrapporsi a quelle visioni.
 
Achei e Troiani si massacravano a vicenda, in una lotta a corpo a corpo.
No, non attendevano, di qua e di là, il tiro dei dardi e dei giavellotti, ma si stavano addosso con pari ardore battagliando con scuri affilate ed asce, con grosse spade e lance a due punte. E tanti pugnali belli, con l'impugnatura niellata in nero, ora gli cadevano di mano a terra, ora da tracolla, in quello scontro: scorreva sangue la scura terra. [*]

 
***

Nelle retrovie la situazione peggiorava giorno dopo giorno, il numero di feriti aumentava in continuazione, i medici operavano in condizioni disperate. In mancanza di strumenti e medicinali spesso erano costretti a rinunciare ai casi più gravi per poter salvare coloro che avevano più probabilità di sopravvivere.
Il piccolo ospedale di Frezenberg non faceva eccezione, l’unico medico rimasto riuscì a trovare un attimo di respiro solamente poco prima del tramonto. Con ancora le maniche intrise di sangue dopo l’ultima operazione si lasciò cadere su una sedia, ormai stremato ed esausto.
Non riuscì nemmeno a socchiudere gli occhi che la porta del suo studio si spalancò, il suo assistente entrò con esitazione nella stanza.
«Dottore, mi spiace disturbarla, ma volevo informarla su una questione importante»
Con un cenno l’uomo invitò il giovane a parlare.
«Si tratta del ragazzo che ha operato la scorsa notte per emorragia intestinale»
«Sì, ricordo bene. Aveva una perforazione profonda, ho fatto quel che ho potuto, purtroppo complicazioni del genere possono portare a setticemia e spesso risultano fatali»
«Il paziente si trova in gravi condizioni, ma è stabile»
«Si è risvegliato?»
«Non è mai stato vigile, ma ha avuto un paio di crisi»
«Episodi deliranti?»
L’assistente annuì: «in entrambe le occasioni abbiamo dovuto somministrargli del calmante, si agitava come un dannato e proferiva frasi senza senso»
«Le allucinazioni sono comuni in questi casi. Al momento possiamo solo continuare la terapia post-operatoria e valutare la reazione del paziente»
«Certo signore»
«Hai altro da riferirmi a riguardo?»
L’assistente esitò: «in effetti c’è un particolare che mi è rimasto impresso: in stato delirante ripeteva sempre lo stesso nome»
«Solitamente si tratta di una persona cara la cui presenza potrebbe alleviare le sofferenze del malato»
«Già, sembrava davvero che invocasse il suo aiuto» affermò con aria assorta.
«Purtroppo non possiamo avere alcuna certezza. Il grafico della temperatura non è molto rassicurante»
Il giovane parve rattristarsi nel sentire quelle parole, dopo tanti sforzi quel ragazzo era ancora in pericolo di vita.
Il medico si rialzò: «forza, adesso è meglio tornare al lavoro. E’ in arrivo un altro convoglio di feriti dalla prima linea…»
L’assistente si affrettò a seguire il suo superiore, riflettendo su quel giovane paziente non poté far a meno di domandarsi quale potesse essere l’identità della persona che si manifestava nelle sue visioni. Di certo quel Richard doveva essere davvero importante per lui.
 
 
 

 
 
 
 
[*] Iliade, libro XV.
  
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