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Autore: heliodor    28/05/2020    2 recensioni
Joyce è nata senza poteri in un mondo dove la stregoneria regna sovrana. Figlia di potenti stregoni, è cresciuta al riparo dai pericoli del mondo esterno, sognando l'avventura della sua vita tra principi valorosi e duelli magici.
Quando scoppia la guerra contro l'arcistregone Malag, Joyce prende una decisione: imparerà la magia proibita per seguire il suo destino, anche se questo potrebbe costarle la vita...
Tra guerre, tradimenti, amori cortesi e duelli magici Joyce forgerà il suo destino e quello di un intero mondo.
Fate un bel respiro, rilassatevi e gettatevi a capofitto nell'avventura più fitta. Joyce vi terrà compagnia a lungo su queste pagine.
Buona lettura!
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Cronache di Anaterra'
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Vittoria completa (-1)

“Ora” disse re Andew solenne. “La nostra vittoria è completa.”
Aveva ancora gli occhi rossi per le lacrime e la voce roca. Bryce non ricordava di averlo mai visto così commosso in vita sua. Né quando si era consacrata, né al matrimonio mai celebrato o al funerale di Razyan.
Roge si era piazzato nell’angolo opposto all’entrata, gli occhi bassi e le braccia incrociate sul petto.
Non aveva detto una parola da quando Bryce aveva portato Joyce alla tenda del re, ma ogni tanto alzava la testa di scatto per lanciare una rapida occhiata nella loro direzione e subito la riabbassava.
Dopo essersi liberata dall’abbraccio di suo padre, Joyce doveva averlo notato ed era andato da Roge.
Suo fratello si era fatto ancora più indietro, quasi appoggiandosi alla stoffa della tenda.
“Mi spiace” aveva detto con voce appena udibile.
Joyce gli si era lanciato contro abbracciandolo al collo. “Roge” aveva esclamato. “Mi sei mancato così tanto.”
Dopo un attimo di sorpresa, Roge l’aveva cullata tra le braccia.
“Devi dirmi tutto” disse alla sorella mentre attendevano i guaritori. Suo padre aveva insistito perché si assicurassero che stesse bene. “Dove sei stata per tutto questo tempo? Dove ti ha portata il potale di Rancey? E come sei arrivata qui?”
Joyce si strinse nelle spalle.
Elvana le poggiò una mano sulla spalla. “Perché ora non la lasci riposare un poco?”
Bryce le rivolse un’occhiata stranita. “Riposare? Certo, che stupida. Devi essere esausta. Ti farò portare da mangiare. Da quando non mangi qualcosa di buono? Sei così magra.”
In verità le sembrava cresciuta e anche l’espressione di lei, i suoi modi, le sembravano cambiati.
“Vieni” disse Elvana trascinandola fuori dalla tenda. “C’è una cosa che devo dirti.”
“Torno subito” disse a Joyce. Fuori dalla tenda si liberò dalla presa di Elvana. “Che ti prende?”
“Che cosa prende a te.”
“C’è Joyce lì dentro” disse indicando la tenda. “Due ore fa pensavo che fosse morta. Ero sicura di dover cercare il suo cadavere e ora…”
“E ora è viva. Bene.”
“Bene?”
Elvana annuì. “Il tuo compito è finito. Puoi tornartene a casa tua.”
“È qui. Devo badare a lei.”
“Starà benissimo” disse l’amica.
“No” fece lei con voce stridula. “Chissà che cosa ha passato in queste Lune. Quanti momenti brutti avrà vissuto.”
“Come tutti noi. E adesso è qui.”
Bryce non riusciva a capire. Tutto ciò a cui riusciva a pensare era mettere delle sentinelle alla tenda di Joyce. “Serviranno dieci mantelli. No, meglio venti. E altrettanti soldati di guardia. Dovranno darsi il cambio tutto il giorno. E Oren. Ne parlerò con lui.”
Elvana la fissò stranita. “Uno spreco inutile di forze, se vuoi il mio parere.”
“Inutile, dici? Se l’ultima volta avesse avuto una scorta adeguata, tutto questo non sarebbe successo.”
“Ma è successo e ora lei è qui. E ci è arrivata da sola” disse Elvana alzando la voce. “Ha attraversato mezzo continente, senza poteri e senza scorta.”
Bryce la fissò senza rispondere.
“Dalle una possibilità. Non è una sprovveduta. Non più. Ammetto di averla sottovalutata anche io e mi ha sorpresa vederla di nuovo. E ha sorpreso anche te, non negarlo.”
“È vero, ma…”
“Ma niente. Metti giusto un paio di guardie e dai un po’ di riposo a quel poveretto di Oren. Credo che se lo sia meritato, dopo quello che ha passato con la strega rossa.”
Elvana non l’avrebbe mai ammesso, ma Bryce aveva notato i suoi occhi lucidi dopo aver visto l’Artiglio esplodere.
Bryce respirò a fondo, lasciando che la mente si schiarisse. “Credo che tu abbia ragione. Non c’è alcun pericolo immediato. Malag è morto e con lui Persym. Entrami gli eserciti dell’orda sono dispersi e i loro comandanti in fuga o prigionieri.”
Inclusa Nimlothien, si disse.
In quel momento la strega rinnegata era in una cella che attendeva il processo.
Ordinò a due sodati e due streghe di tenere sott’occhio la tenda di Joyce e di dare l’allarme se avessero visto o sentito qualcosa di sospetto e si diressero alla tenda del re.
Erix aveva convocato una riunione per decidere il destino dei comandanti dell’orda.
Oltre a lei ed Elvana, erano presenti Vyncent, Bardhian per i Malinor e Aimar Falen per Taloras. Il vecchio stregone dalla barba bianca stava parlando quando arrivarono.
“Io dico di giustiziarli tutti. Sono dei rinnegati, non meritano nemmeno un processo.”
“Sono d’accordo con te” disse Erix. “Ma ho raccolto qualche voce, mentre ero al campo. La maggior parte dei soldati e dei mantelli non sono d’accordo. Sono persino scontenti che siano stati fatti prigionieri.”
“Familiarizzano con dei rinnegati?” chiese Falen scandalizzato. “Punite quelli che esprimono qualche simpatia di troppo per i rinnegati e vedrete come cambieranno subito opinione.”
“Quello che Erix vuole dire” disse Vyncent. “È che i comandanti rinnegati hanno lottato al nostro fianco. Sono morti per proteggere Bryce e Bardhian dal colosso, tutti lo hanno visto. Ubbidiranno se gli chiederemo di giustiziarli, ma non ne saranno contenti.” Guardò il re. “Io penso che dovremmo pensare di perdonarli e lasciarli andare per la loro strada.”
Falen scosse la testa con vigore. “Sono assolutamente contrario. Non possiamo perdonare dei rinnegati o sembreremo deboli. Dobbiamo mostrare la nostra forza.”
“Potremmo mostrarci forti perdonandoli” ribatté Vyncent.
Re Andew le rivolse un’occhiata. “Tu che cosa faresti?”
“Vyncent ed Erix hanno ragione entrambi” disse scegliendo con cura le parole. “Rinnegati o no, si sono battuti al nostro fianco. Se li giustiziassimo macchieremmo con un gesto infame questa vittoria.”
Suo padre annuì grave. “Concordo anche io con te, ma Falen non ha tutti i torti. Dobbiamo dare un segnale a questi rinnegati.” Inspirò a fondo. “Libereremo tutti i comandanti, tranne uno. La rinnegata soprannominata strega bianca, Nimlothien.”
Tutti approvarono la decisione del re. Quando furono usciti, Bryce si avvicinò a suo padre.
“Perché non sei con tua sorella?” le domandò.
“Ha una scorta adeguata, non temere.”
“Nessuna scorta è adeguata. Non permetterò che mi venga strappata di nuovo.”
“La penso come te, ma ora voglio parlare di Nimlothien. Che cosa vuoi farne?”
“La giustizieremo davanti a tutti.”
Bryce annuì grave. “È stata lei a comandare le forze dei rinnegati che ci hanno protetti. È stato un gesto coraggioso da parte sua.”
“Non è il suo coraggio che stiamo mettendo in discussione. È una rinnegata.”
“Lo so.”
“E sai anche che ha guidato l’attacco a Valonde che è costata la vita a tuo fratello e ha quasi ucciso Joyce” disse lui severo. “Rancey è già morto e Gauwalt non è sceso in battaglia e non sappiamo dove sia. Ci resta solo lei per dare un segnale forte ai nostri nemici. Chi attacca Valonde non sarà perdonato.”
“Quindi non ci sarà alcun processo?”
“Non serve.”
“Niente processo, dunque.”
“No” rispose lui piccato.
“Come i rinnegati.”
Suo padre sospirò. “Perché vuoi prolungare l’agonia della strega bianca? Ammiro la tua lealtà, ma è sprecata per una come lei.”
“Falle un processo. Anche solo per dare un segnale forte ai tuoi comandanti.”
“E cosa dovrei dimostrare loro?”
“Che stai facendo giustizia, non vendetta.”
 
La strega bianca venne scortata da soldati e mantelli. Aveva le catene ai polsi e una brutta ferita alla gamba che era stata fasciata dai guaritori, ma lo sguardo era fiero. Mentre entrava nella tenda del re fissò con aria di sfida Bryce, che rispose con la stessa espressione.
“Speravo di poterti affrontare di nuovo in duello” disse con tono rassegnato. “Ma temo che dovremo rimandare.”
“Sappi che non ti porto rancore, strega bianca. Sei stata un’avversaria e un’alleata leale, una cosa che non posso dire di molte persone.”
Nimlothien ghignò.
Nella tenda erano presenti re Andew, Erix, Falen e una mezza dozzina di comandanti.
Fu il re a parlare per primo. “Nimlothien, questo tribunale di guerra ha emesso una sentenza. Sei pronta ad ascoltarla?”
“Posso rifiutarmi?” chiese la strega.
Il re scosse la testa. “Sei stata giudicata in base alle leggi di Valonde e questo tribunale ti ritiene colpevole di aver incitato alla rivolta, di aver cospirato contro il regno e aver attentato alla vita dei membri della casa regnante.”
“È tutto vero” disse Nimlothien. “Ho anche salvato due delle tue figlie da morte certa. Spero che questo sia stato preso in considerazione.”
“Abbiamo considerato tutte le tue menzogne” disse re Andew con tono duro. “E per quanto riguarda le mie figlie, almeno una di esse si è salvata da sola, senza che tu o chiunque altro muoveste un dito.”
“Questo non è vero” disse una voce dal fondo della tenda.
Bryce guardò in quella direzione e vide Joyce in piedi vicino all’entrata.
Un soldato era al suo fianco. “Ho provato a trattenerla, maestà, ma la principessa diceva di voler conferire con voi con una certa urgenza e così l’ho scortata alla vostra tenda.”
“Portala subito via” ringhiò re Andew. “È pericoloso stare qui.”
Il soldato fece cenno a Joyce di uscire, ma lei avanzò di un passo.
“Ho delle cose da dire” disse con tono fermo. “E voi mi ascolterete.”
Re Andew sospirò affranto. “È così importante? Sto emettendo una sentenza.”
“Prima che tu condanni Nimlothien, dovresti ascoltarmi.”
“Parla, allora.”
“Non ha mentito” disse Joyce. “Quando sono arrivata al nord, è stata lei a trovarmi e portarmi al villaggio dell’orda. Dopo aver parlato con Malag, l’arcistregone ha ordinato di riportarmi al campo dell’alleanza. Nimlothien mi protesse per tutto il tempo che restai al campo, fece in modo che fossi nutrita e accudita senza trattarmi da prigioniera e mi affidò a un suo comandante affinché giungessi in un posto sicuro.” Fece una pausa come se stesse ricordando un evento spiacevole. “Sulla via venimmo attaccati da una pattuglia dell’alleanza. Cercai di farmi riconoscere, ma prima ancora che potessi parlare iniziarono a uccidere tutti quelli che si trovavano nel gruppo. Fuggii via spaventata, nascondendomi nella foresta fino alla fine della battaglia.”
Bryce aveva già sentito quella storia. Aveva interrogato Joyce per tutto il giorno e lei le aveva detto cosa aveva passato, ma senza mai scendere nei particolari.
“Nimlothien avrebbe potuto uccidermi o torturarmi o tenermi prigioniera per ricattarti” disse a suo padre. “Ma non l’ha fatto. Per quanto mi riguarda, non merita di morire.”
Re Andew sospirò e scosse la testa. “E per quanto riguarda gli altri crimini che ha commesso?”
“È la guerra” disse Joyce. “Tutti ne hanno commessi. Mentre viaggiavo verso nord ho sentito delle voci che parlavano di stragi a Theroda, Nazdur, Malinor e altri posti che non conosco. Non sempre la gente parlava bene dell’alleanza. Per questo avevo paura di rivelare la mia vera identità. Temevo che mi facessero del male per vendetta, per le ingiustizie commesse da alcuni comandanti.”
Bryce maledisse Falgan e Mardik per le atrocità che avevano commesso in quelle Lune. Per colpa loro Joyce non era potuta tornare prima e aveva corso dei rischi inutili.
“Tutti noi proviamo vergogna e profondo rammarico per ciò che siamo stati costretti a fare” disse il re. “Ma questo non può farci dimenticare i crimini che sono stati commessi dalla rinnegata Nimlothien.”
Joyce sembrò delusa e tornò al suo posto, gli occhi bassi.
Bryce si avvicinò al padre. “Prima che venga emessa la sentenza, posso dirti qualcosa?”
Re Andew annuì. “Purché sia veloce.”
“Libera la strega bianca e metti fine a questa guerra.”
“Ha cercato di ucciderti.”
“E io ho quasi ucciso lei in un duello leale.”
“Hanno attaccato Valonde a sorpresa.”
“Dopo che noi avevamo teso una trappola a Malag con l’inganno, dicendogli di voler negoziare una tregua.”
Re Andew sospirò. “Mi stai chiedendo di liberare una bestia pericolosa quando potrei eliminarla per il bene di tutti.”
“Lune fa” disse Bryce con espressione serena. “Liberai un rinnegato che Falgan aveva messo in gabbia e ne lasciai libero un altro che aveva cercato di uccidere Vyncent. Oggi non sarei qui se li avessi giustiziati.” Ed era stato merito delle insistenze della strega rossa se aveva agito in quel modo.
Il pensiero che fosse morta su quella montagna le procurò una sensazione spiacevole allo stomaco.
È dispiacere quello che provo? Si chiese. O semplice riconoscenza?
“Sento che me ne pentirò amaramente.”
Bryce gli sorrise. “Affronteremo questo rischio come sempre. Insieme.”
 
***
Il sole stava ancora salendo alle loro spalle quando decisero di fare una pausa. La scalata aveva richiesto mezza giornata e non erano nemmeno a metà della salita.
Da quel punto vedevano la cima della montagna illuminata dai raggi del sole che facevano risplendere le pietre di un bianco immacolato.
“È il tempio” disse Lindisa indicandolo con il braccio proteso. “Entro stasera dormiremo tra le sue colonne.”
Dietro di lei, Galef stava frugando nella sacca alla ricerca della carne secca rimasta e del pane raffermo che erano riusciti a barattare al villaggio.
Lindisa gli rivolse un’occhiata perplessa. “Hai sentito quello che ho detto? Ormai ci siamo.”
“Hai detto la stessa cosa a Durotil ed Ennoris. Cos’è cambiato da allora?”
Lindisa lo fissò con aria di sfida. “Stavolta è diverso. Abbiamo visto i segni, ricordi? A Merellien c’era quella pietra con il simbolo del sole a nove punte. E a Kelfir la rosa. A Syndra abbiamo persino trovato la piramide rovesciata. Sono tutte prove, Gal.”
Prove della nostra follia, pensò triste.
A Lindisa mostrò un sorriso forzato. “È certamente come dici tu, amore. Che ne diresti di mangiare qualcosa prima di riprendere la scalata?”
“Mangerò quando saremo in cima.”
Galef prese la carne secca e l’addentò. “Io ho bisogno di mangiare adesso o sarò troppo debole dopo.”
Lindisa sbuffò. “Fai pure. Io darò un’occhiata in giro.”
Galef scelse una pietra piatta e vi sedette sopra. Era dura e scomoda, ma dopo quella salita ci badò poco.
I segni, pensò.
Scarabocchi incisi su pietre consumate dal tempo o in pagine di libri che potevano tramutarsi in polvere al tocco di una mano. Chiunque li avesse creati era morto da tempo e si era portato dietro il loro significato.
Sempre che ne abbiano uno, si disse.
Non c’era alcuna prova che conducessero a qualcosa di valore. O di importante. Lindisa era convinta di stare seguendo una pista che li avrebbe portati a scoprire il segreto meglio custodito del mondo conosciuto.
La sua nuova ossessione era iniziata poco dopo aver lasciato il santuario di Urazma, quando lui l’aveva accompagnata oltre la Schiena del Drago, giù fino alle vallate che confinavano a nord con le terre desolate e a sud con il deserto di Mar Qwara. Avevano evitato entrambe le regioni seguendo il sentiero, fino a raggiungere la città di Amaranthae, dove avevano trovato l’accademia abbandonata.
Qui avevano scoperto il primo di quei segni.
“È come diceva il libro” aveva detto Lindisa con espressione febbrile. “Faraxal aveva ragione.”
Galef si era accigliato. “Il nome mi dice poco.”
“Era un’erudita di Luska. Lei studiò l’origine dei primi stregoni.”
“Tutti conoscono la storia di Harak e della sua corte” aveva detto Galef.
“Non il re stregone, ma chi venne prima di lui. I suoi avi. E quelli prima ancora.”
“Harak è stato il primo” aveva detto Galef ricordando la leggenda che circolava da secoli come l’aveva sempre udita.
Harak era nato con i poteri in un periodo in cui i maghi dominavano. Aveva trascorso la sua vita nascondendosi, per poi riunire gli altri stregoni e streghe in un circolo, il primo della storia, per dare inizio alla rivolta insieme ad Ambar, il Guerriero Nero.
Lindisa aveva scosso la testa con vigore. “Harak non è stato il primo, la leggenda è falsa. Doveva pur avere dei genitori, e dei nonni e così via. Faraxal pensava di averli trovati. Aveva consultato dei registri molto antichi, risalendo fino a parecchi secoli prima della nascita di Harak e aveva trovato un nome.”
Galef aveva atteso che proseguisse.
“Elivalor” aveva detto lei.
“Nemmeno questo nome mi dice niente.”
“Neanche a me, ma dobbiamo scoprire se era una persona o un luogo.”
E dopo lune passate a cercare, avevano scoperto che era un posto. La montagna che stavano scalando portava quel nome.
Elivalor.
A Galef continuava a dire poco, ma Lindisa era convinta che si trattasse della pista giusta e aveva insistito per andarci subito. Lui l’aveva accompagnata e ora iniziava a pentirsene.
Aveva sperato di riuscire a far desistere Lindisa dai suoi propositi e invece era rimasto coinvolto in una nuova e folle ricerca dopo quella dei nodi di potere.
Strappò un pezzo di carne secca e lo masticò insieme al pane. Nella sacca era rimasto cibo per un paio di giorni al massimo, tre se lo razionavano. L’acqua non era un problema, quel posto era pieno di piccoli ruscelli, ma non c’erano villaggi vicini e né lui né Lindisa erano abili nella caccia.
Tra poco sarebbero dovuti tornare indietro o rischiare di morire lì sopra.
Lindisa sarebbe capace di farci mangiare radici e corteccia, si disse divertito.
Stare con lei era dura e gli aveva insegnato che non esisteva solo la vita comoda di Valonde e che il mondo fuori dalle sicure mura del castello era un luogo pericoloso e affascinante.
Aveva visto molti posti che mai prima di allora avrebbe pensato di visitare e tanti altri erano terribili e ancora tormentavano i suoi incubi, come il santuario di Urazma.
Quel ricordo scatenò in lui la nostalgia. Anche se aveva vissuto dei momenti difficili, quell’avventura vissuta insieme a Bardhian, Joane e Sibyl lo aveva segnato più di tutte le altre. Si chiese se stessero bene e se avessero fatto ritorno a Nazdur.
Guardò verso la foresta silenziosa. Il sole era salito ancora di più nel cielo e Lindisa era via da troppo tempo.
Si alzò di scatto e andò verso la densa boscaglia. “Lindi?” la chiamò. “Hai bisogno d’aiuto?”
Lindisa amava andarsene in giro da sola a esplorare, ma faceva sempre dei giri brevi senza allontanarsi troppo.
“Lindi?” la chiamò di nuovo.
Quel silenzio lo preoccupava, ma cercò di mantenere la mente sgombra per ragionare. La foresta non sembrava pericolosa e prima di affrontare quel viaggio avevano fatto delle ricerche chiedendo in giro informazioni. Nella boscaglia non c’erano animali feroci e la zona veniva evitata da briganti e fuggiaschi perché troppo isolata e povera.
Vincendo la diffidenza si addentrò nella boscaglia cercando delle tracce di Lindisa. In quel punto gli alberi crescevano addossati l’uno all’altro come se lottassero per emergere con le loro chiome e farsi baciare dal sole.
Da quel punto non si snodavano sentieri, ma individuò un passaggio nel denso fogliame e lo percorse, emergendo dopo qualche centinaio di passi in una radura di forma circolare.
Si arrestò all’istante quando vide Lindisa inginocchiata in mezzo a due uomini armati di lancia. Le punte delle due armi sfioravano la sua gola.
La ragazza era voltata verso di lui e sembrava stesse per dire qualcosa.
Galef udì un rumore di foglie che si agitavano alle sue spalle e si voltò di scatto, un dardo magico per mano già pronto.
L’uomo, alto e magro con la testa lucida, si fermò di botto. La metà inferiore del corpo era ancora nascosta dal denso fogliame.
“Non le faremo del male” disse con tono calmo ma deciso. “Se non ce ne darai motivo.”
Galef gli puntò contro i dardi. “Lasciatela andare o sarai il primo a morire.”
“E la tua amica verrà subito dopo.”
Con la coda dell’occhio vide le due lance lambire la gola di Lindisa.
“Mi spiace Gal” disse lei. “Mi hanno colta di sorpresa.”
Galef valutò al volo la situazione e annullò i dardi magici. L’uomo fece un cenno ai due con la lancia che allontanarono le punte dalla gola di Lindisa.
“Chi siete?” domandò Galef.
“Ti sembrerà scontato” disse l’uomo. “Ma le domande le faccio io. Perché siete venuti fin qui?”
“Stavamo cecando di raggiungere Tallon” rispose subito.
Avevano sentito parlare di Tallon nella loro ultima sosta. Era la capitale di un regno vicino che poteva essere raggiunta in mezza Luna di viaggio.
“Stai mentendo” disse l’uomo. “La strada per Tallon è lontana. Voi siete diretti al tempio. Ditemi il perché.”
“Ti assicuro che” iniziò a dire Galef.
L’uomo fece un cenno con la testa ai due armati di lancia. Le armi vennero puntate verso Lindisa.
“Non dirgli niente Gal” disse lei.
“Stiamo andando a Elivalor” disse.
L’uomo pelato si accigliò.
“Cerchiamo l’origine” spiegò.
“È solo una leggenda.”
Galef stava per dire qualcosa, ma l’uomo pelato alzò una mano.
“Una leggenda per molti, ma per altri è storia. Una storia che è stata cancellata e dimenticata” disse. “Siete qui per imparare quella storia?”
Galef scoccò una rapida occhiata a Lindisa.
L’uomo pelato fece un cenno ai due armati di lancia. “Portiamoli da Iolas.”
 
Iolas era una donna di mezza età che sedeva su una roccia a forma di sedile, in mezzo a un circolo di colonne spezzate di cui restavano solo le basi consumate dal tempo. Emergevano dall’erba alta e, dal punto in cui si trovavano, Galef intuì che una volta facessero parte di un edificio più vasto. La forma del terreno circostante sembrava modellata da una mano umana, invece che dalla natura o dal caso.
Vedendoli arrivare la donna alzò la testa dopo aver chiuso il libro che stava leggendo e che teneva poggiato sulle gambe.
Vestiva con una tunica verde chiaro e pantaloni grigi completati da stivali marroni. “E questi due chi sarebbero, Hag?”
L’uomo pelato si fermò a pochi passi dalla donna e indicò prima Lindisa e poi Galef. “Li abbiamo trovati mentre cercavano di raggiungere il tempio. Hanno entrambi i poteri, anche se non so quanto siano abili.”
Iolas gettò un’occhiata incuriosita a entrambi. “Se siete qui, non ci siete arrivati per caso. Nessuno viene qui senza un motivo. Avete seguito i segni?”
Lindisa si fece avanti. “Li hai visti anche tu?”
“Il sole a nove punte” disse la donna.
“La rosa” aggiunse Lindisa.
“La piramide rovesciata e i cerchi concentrici.”
Iolas annuì solenne. “Se era questo che stavate cercando, siete venuti nel posto giusto, ma per i motivi sbagliati. L’origine del potere si è prosciugata da tempo immemore e ormai è solo un santuario vuoto e inutile. Noi siamo i suoi ultimi custodi.”
Lindisa abbassò gli occhi per un istante e subito li rialzò. “Se è così, allora ripartiremo. Non c’è motivo per noi di restare qui.”
“Non è così semplice, amica mia. Come custodi dobbiamo mantenere il segreto su questo luogo.”
Galef sentì la tensione crescere dentro di sé. Dalla radura circostante erano emerse altre figure, sia di uomini che di donne. Alcuni erano armati di lancia, altri si limitavano a osservarli con interesse.
“Non ne faremo parola con nessuno” disse Galef. “In fondo anche noi, come voi, vogliamo conoscere l’origine dei nostri poteri. È per questo che siete qui, no?”
Iolas sembrò divertita a quelle parole. “L’origine dei nostri rispettivi poteri potrebbe non essere la medesima, straniero. Tu sei uno stregone.”
Galef si accigliò.
Iolas si alzò in piedi e venne verso di lui. “Permettimi di mostrarti una cosa, straniero. Spesso, come si usa dire dalle mie parti, una sola parola può valerne mille.” Alzò una mano al cielo. “Go’i fa’u” disse con voce intonata e nel medesimo istante una luce apparve sopra la sua testa.
 
***
La porta della cella si aprì cigolando e la sua testa scattò in alto. Deliza evocò i dardi magici e li puntò contro la figura sulla soglia.
“Io ti consiglio di non farlo” disse una voce familiare.
Dietro la figura ce n’era un’altra, più bassa e tozza, con una massa di capelli rosso fuoco che incorniciavano una testa dalla forma regolare.
Il sorriso di Mirka la fece fremere di rabbia. Respirò a fondo dominando l’istinto di attaccarlo.
“Allora?” fece suo fratello con tono allegro. “Non volevi attaccarmi?”
“Che cosa vuoi?”
“Parlare. Giungere a un accordo” disse Mirka.
“Non faccio accordi con te” disse con tono sprezzante.
La figura sulla soglia si dissolse, tornando a essere un’ombra e dall’oscurità emerse il corpo di Mirka.
È quello reale o un’altra illusione? Si chiese. Cosa succederebbe se provassi a colpirlo con i dardi?
“Stanno per arrivare delle persone” disse suo fratello. “Quando saranno qui vorranno delle informazioni e sarà meglio per tutti mostrarsi collaborativi. Non è gente che ama spostarsi per niente, quella lì.”
“I tuoi amici non sapranno niente da me.”
“Da te vogliono altro” disse Mirka con tono duro. “Ma di questo parleremo dopo. Sei stata coraggiosa a venire qui da sola. Coraggiosa ma avventata. Saresti potuta morire, ma per fortuna non è successo. Sarebbe stato uno spreco insopportabile, viste le tue capacità.”
Quelle parole le riportarono alla mente ciò che era accaduto dopo essersi separata da Roge e Oren. Il portale l’aveva condotta nella fortezza delle ombre, ma nel posto sbagliato. Era apparsa in mezzo al cortile, tra i rianimati che si apprestavano a uscire per affrontare i cavalieri di Vamyr, ed era stata sopraffatta.
Mirka, che guidava quei mostri, aveva fatto in modo che non la mordessero mentre la bloccavano e poi trascinavano all’interno della fortezza.
“Per la tua sicurezza” aveva detto suo fratello. “Da rianimata non mi serviresti a niente.”
C’era stata una battaglia e Vamyr e i suoi erano stati sconfitti e poi rianimati e ora vagavano per il cortile godendosi la neve gelida che li aveva trasformati in statue di ghiaccio e carne.
Reynhard, l’altro necromante che accompagnava Mirka, aveva suggerito di lasciare i rianimati nel cortile in modo che si conservassero meglio.
“Ma la loro puzza si sentirà lo stesso” si era lamentato una volta, quando le aveva portato da mangiare nella cella.
A parte loro tre, la fortezza era disabitata.
No, si disse. C’è una quarta persona.
Un prigioniero o un alleato, non sapeva dirlo. Non l’aveva mai visto ma sapeva che c’era perché ogni tanto Mirka e Reynhard ne parlavano.
Se fosse stato un altro prigioniero avrebbe potuto avvertirlo per allearsi con lui e cercare di uscire, ma finché era confinata nella cella non poteva fare molto di più che pensare a dei piani per uscirne.
A quest’ora Roge e Oren dovevano essere andati via. O erano morti cercando di liberarla. Sperò che avessero scelto di fuggire. Combattere contro i rianimati era impossibile. Mirka era diventato più forte di prima e Reynhard sembrava abile, stando a quello che era accaduto nella battaglia contro Vamyr.
L’ombra di Mirka si dissolse confermandole che era solo un’apparizione e la cella tornò tranquilla. Si sistemò sul giaciglio e cercò di dormire qualche ora prima che lui tornasse a tormentarla.
Per due giorni il fratello non si presentò e all’alba del terzo, un rianimato venne ad aprirle la porta della cella.
Notò subito che ce n’erano altri cinque o sei nel corridoio successivo. Se avesse tentato di fuggire, l’avrebbero bloccata con i loro corpi.
Riconobbe Udin. Il guerriero aveva perso un orecchio e un occhio gli penzolava fuori dall’orbita.
“Non ti ricordi di me, vero?” disse al rianimato.
Non rispose.
No che non puoi, pensò. Sei solo un pezzo di carne tenuto insieme da una maledizione di Mirka. O di Reynhard.
Il rianimato la guidò fuori dalla cella e poi nel corridoio, dove l’attendevano altri corpi freddi e consumati dal passare del tempo.
Guardandoli da vicino, vide i vermi agitarsi sopra la carne che stava marcendo e distolse lo sguardo.
I rianimati la scortarono nel salone della fortezza, dove Reynhard e Mirka la stavano aspettando.
E non erano soli. Con loro c’era un uomo dall’aspetto dimesso e l’espressione triste. Lo riconobbe subito. Era l’amico di Roge, Malbeth.
“Tu dovresti essere morto” disse Deliza. “Ti eri sacrificato per noi. Come hai fatto a sopravvivere?”
Mirka sorrise. “Non devi sorprenderti, sorella. Hai di fronte il più abile necromante di Nergathel.”
“Ti sbagli. Tutti sanno che il più abile è Jonan Vamyr.”
Jonan era il più giovane dei fratelli Vamyr. Era belo e affascinante e aveva una corte di donne che lo adorava, anche se sapevano che era promesso sposo alla principessa Elora.
“È lui il più forte, fidati di me” disse Mirka sicuro. Si avvicinò a Malbeth. “Non è vero, Khatar della famiglia Velani?”
Malbeth distolse lo sguardo.
Mirka lo afferrò per il bavero e lo costrinse a sollevarsi. “Non è vero?” ringhiò.
Velani, pensò Deliza. Secoli fa, prima che i Vamyr prendessero il potere, era il nome della famiglia reale di Nergathel.
“Chi è lui?” chiese al fratello.
“L’ultimo di una gloriosa stirpe. L’unico a sapere dove si trovi nostro padre.”
“Nostro padre è stato mandato a Krikor” disse Deliza. “Anni fa. A quest’ora sarà morto.”
“No” rispose Mirka. “Lui è vivo, ma si nasconde da qualche parte. E lui ci aiuterà a trovarlo. Non è vero, Khatar?”
Deliza sentì il cuore balzarle nel petto.
Mirka sbatacchiò Malbeth e poi lo lasciò andare. L’uomo ricadde sullo sgabello e si piegò in due.
“Sei patetico” disse Mirka allontanandosi. “Ma mi sarai utile. Tutti e due lo sarete. Ora andiamo a incontrare le persone di cui ti ho parlato.”
Uscirono sul cortile della fortezza. Deliza barcollò, ancora scossa per la rivelazione del fratello. Era incredula e arrabbiata allo stesso tempo e non riusciva a guardare Malbeth, che dal canto suo teneva la testa bassa come un penitente avviato al patibolo.
Guardò verso il centro del cortile e vide cinque figure stagliarsi nette. Indossavano tuniche di vari colori adornate da motivi floreali e sopra di esse pellicce di pelle per difendersi dal freddo. E tutti avevano gli occhi obliqui come gli abitanti dell’oriente più lontano.
Come Shani, l’amica di Oren, si disse.
Una delle figure avanzò di un passo verso di loro. “Io ti saluto” disse con voce profonda. “È così che si dice dalle vostre parti, giusto?”
Mirka sorrise compiaciuto. “Giusto. Tu devi essere Xian Long.”
“E tu Mirka il rosso.”
“Spero che il viaggio sia stato piacevole.”
“La parte di continente che occupate è piuttosto turbolenta di questi tempi, e sembra che il peggio debba ancora venire. Hai quello che ci serve?”
Mirka indicò il cortile. “Un esercito come avevi chiesto.”
“A me sembrano cadaveri in decomposizione.”
“Presto ne avremo di freschi.”
Xian Long annuì grave. “E il corno?”
“Al sicuro.”
“Dove?”
Mirka sorrise. “Dove nessuno andrebbe mai a cercarlo.”
“Senza il corno il nostro accordo non esiste” disse Xian Long.
“Abbi pazienza, amico mio. Se ognuno di noi farà la sua parte, presto avremo tutto quello che ci serve.”
Xian Long annuì grave. “Prima di consolidare il nostro accordo, c’è una questione che deve essere risolta.”
Mirka si accigliò. “Hai una richiesta particolare da farmi?”
“Non io.” Si voltò verso le figure alle sue spalle. Dal gruppo si staccò quella di un ragazzo che poteva avere non più di quindici o sedici anni. Al fianco portava una spada ricurva come gli altri quattro.
Avanzò fino a mettersi al fianco di Xian Long.
“Chi di loro?” gli chiese.
Il giovane indicò Reynhard col braccio puntato.
L’espressione di Mirka si rabbuiò. “Mi ricordo di lui. È il nipote di quel Wei. L’uomo che custodiva il corno a Malinor.”
“Maestro Wei era un grand’uomo” disse Xian Long. “Io lo ammiravo e la sua morte mi ha rattristato molto.”
“È morto in uno scontro leale” disse Mirka. “Stavamo combattendo per difendere il corno.”
“Lo so” disse Xian Long. “Non di meno, Tang Li, il figlio di Wei, vuole vendetta per il sangue del padre versato dal negromante di nome Reynhard.”
Reynhard si accigliò. “Vuole combattere con me?”
Tang Li annuì deciso. “Un duello. Tra noi due.”
Reynhard guardò Mirka. “È assurdo. È solo un ragazzino armato di spada.”
Mirka sembrò soppesare quelle parole. “Reynhard è uno stregone abile” disse rivolto a Xian Long. “E il piccolo Tang Li non mi sembra abbia i poteri.”
“Nelle isole orientali i poteri sono molto rari” disse Xian Long. “La famiglia Wei ne è stata priva per quindici generazioni. E ne vanno molto fieri. Accetti la sfida?”
Reynhard si strinse nelle spalle. “Se il ragazzo vuole morire, chi sono io per impedirglielo? Rispettiamo la vita, onoriamo la morte.”
Xian Long annuì. “E sia allora.”
Si allontanarono creando uno spazio sufficiente perché Tang Li e Reynhard potessero affrontarsi con comodità.
È assurdo, pensò Deliza. Ho appena scoperto che mio padre è ancora vivo e ora devo assistere a un duello.
“Potete iniziare” disse Xian Long.
Tang Li estrasse la spada e la impugnò con entrambe le mani tenendola sollevata e appoggiata alla spalla sinistra.
Le mani di Reynhard si mossero disegnando qualcosa nell’aria. Dal terreno sorse una creatura di ghiaccio che assunse la forma di un gigante dal corpo tozzo e le braccia massicce. Aveva una testa abbozzata ed era privo di collo.
Attorno allo stregone si formò un cerchio di ghiaccio le cui punte erano rivolte verso l’esterno. Mirka guardava compiaciuto lo spettacolo.
“Reynhard ora giocherà un po’ con il ragazzo e poi lo ucciderà. Posso ordinargli di non farlo soffrire se vuoi.”
Xian Long non rispose, lo sguardo puntato su Tang Li e l’espressione concentrata.
Il ragazzo mosse un passo di lato.
Il gigante di ghiaccio avanzò verso di lui con passi pesanti facendo vibrare il terreno. Deliza aveva già visto quel tipo di evocazione, ma doveva ammettere che quella di Reynhard era una tra le migliori.
La forma del corpo non era perfetta o aggraziata come quelle degli evocatori con poca esperienza, ma solida e funzionale tipica di quelli esperti.
Era un’arma creata per uccidere, non per sembrare bella.
Il gigante sollevò un braccio per colpire Tang Li. Il ragazzo si mosse, sollevò la spada ed eseguì un movimento fluido piegandosi sulle ginocchia per evitare l’affondo dell’avversario e colpirlo mentre si rialzava. Il braccio del gigante si staccò dal resto del corpo.
Tang Li ruotò il bacino verso destra e si abbassò di nuovo, tagliando di netto la gamba destra del gigante, che si piegò in due e cadde al suolo, disfacendosi in mille pezzi di ghiaccio.
Reynhard mosse le mani frenetiche mentre Tang Li si avvicinava con rapidi balzi, la punta della spada che sfiorava il terreno.
Le punte di ghiaccio attorno al negromante vibrarono nell’aria, disponendosi davanti a lui per formare un semicerchio. A un gesto deciso dello stregone, si scagliarono verso Tang Li.
Il ragazzo eseguì una piroetta per evitarne una, ma quella seguente gli trapassò il braccio. La spada vibrò nell’aria eseguendo una serie di fendenti. A ogni colpo una delle punte di ghiaccio si spezzava e cadeva al suolo in mille pezzi.
Una punta trapassò la gamba destra del ragazzo facendolo piegare sul ginocchio fino a sfiorare il terreno.
Per lui è finita, pensò Deliza.
Reynhard aveva congiunto le mani tra loro evocando un’ombra scura che lo avvolgeva ruotandogli attorno. L’ombra crebbe e prese la forma di un serpente che sembrava fatto di pura oscurità.
Tang Li scattò in avanti roteando la spada.
Reynhard dischiuse le mani e le protese in avanti. L’ombra ubbidì a quell’ordine e si scagliò contro Tang Li, avvolgendolo.
Deliza lo vide sparire nella densa oscurità come se ne fosse stato divorato.
“Il ragazzo uscirà da lì morto” disse Mirka sicuro.
Xian Long non cambiò espressione.
L’ombra si avvolse attorno al punto in cui Tang Li era sparito, sembrò rabbrividire per un istante prima che il ragazzo ne uscisse con un salto deciso che lo portò dinanzi a Reynhard.
Lo stregone alzò le mani dove brillavano i dardi magici, ma la spada del ragazzo fu più veloce e gli trapassò il petto all’altezza del cuore.
Reynhard spalancò gli occhi, forse per la sorpresa o forse per il dolore e si accasciò in avanti quasi finendo su Tang Li.
Il ragazzo estrasse l’arma con un movimento fluido e accompagnò la caduta di Reynhard. Il negromante finì col viso nella neve e una macchia di sangue sotto il corpo che si allargava.
Tang Li zoppicò lontano dal cadavere dello stregone, la spada ancora stretta nella mano e tornò da Xian Long.
L’uomo lo accolse con un cenno della testa. “Tang Li può ritenersi soddisfatto” disse rivolto a Mirka. “Ora possiamo andare.”
Suo fratello fissò Reynhard con disprezzo. “Era un buon negromante.” Sì chinò sul corpo dello stregone e lo sfiorò col palmo della mano. Quando si rialzò, il cadavere venne scosso da un brivido.
Il corpo di Reynhard si sollevò da terra a un comando di Mirka.
“Odio sprecare la carne” disse il negromante a Xian Long. “Se non può più essermi utile da vivo, almeno lo sarà da morto.”
“Non crucciarti troppo per la tua perdita. Spero tu possa rimpiazzarla.”
“Conosco molti negromanti che saranno disposti a mettersi al mio servizio. Ma prima dobbiamo conquistare Nergathel.”
“Questo lascialo a noi” disse Xian Long. “Tu avrai il tuo regno e l’esercito di morti che desideri, ma io in cambio voglio il drago.”
“Senza i negromanti non potrai averlo” disse Mirka.
Xian Long gli rivolse un sorriso sereno e indicò il cancello della fortezza. “Vogliamo andare adesso?”
Mirka annuì e si rivolse a Deliza. “Tu ovviamente verrai con noi. Sei parte del nostro accordo, sorellina.” Sorrise. “Dopo tanti anni, riuniremo la nostra famiglia. Non sei felice?”

Il Prossimo Capitolo uscirà Domenica 31 Maggio e si intitolerà "Speranza"

 
  
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