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Autore: _Unmei_    28/05/2020    1 recensioni
Chissà se qualcuno è riuscito a capirlo, che in ogni colpo di scalpello che ha dato forma a quell'angelo, dietro a ogni lineamento cesellato con pazienza, nei boccoli che gli ricadono sulle spalle, nel morbido drappeggio che gli copre le gambe, nel lievissimo sorriso che gli increspa le labbra… che in ogni piuma delle ali che ho fatto nascere dalla sua schiena, c’è la mia dichiarazione d’amore per lui.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Storico
Capitoli:
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Giardini di Pietra
 
Capitolo 3

 
________________________
 
 
I giorni passavano, diventavano settimane, e il mio rapporto con Florent si approfondiva. Potendo ‘parlare’ con lui avevo avuto modo di conoscerlo meglio, scoprendo un animo acuto, un temperamento romantico, sensibile, pieno di slanci. Sapevo chi erano i suoi poeti preferiti, i romanzi che amava, le capitali straniere che sognava di visitare. Mi aveva detto di invidiare la mia abilità, di guardare con incredula ammirazione in modo in cui traevo figure dalla roccia, ma anche per quella nel ritrarre… mi aveva chiesto di tenere uno degli studi che avevo fatto sulla sua figura.
Avevo sempre accolto gli elogi con compiacimento; perché non avrei dovuto? Sapevo di essere bravo in quel che facevo, e ho sempre detestato la falsa modestia. Eppure con lui mi trovavo a schermirmi, dicendogli che ero io a invidiarlo, per la sua maestria con il violino, ero io ad ammirare il modo in cui riusciva a infondere tante emozioni nelle musiche che suonava.
Ma per il resto, ignoravo tutto di lui. Gli avevo posto domande, circa un mese dopo il nostro incontro... non avevo saputo resistere oltre alla curiosità. Dove fosse la sua famiglia, se avesse origini francesi come il suo nome faceva supporre, quale fosse il suo cognome e chi gli aveva insegnato a suonare il violino in maniera tanto divina… ma lui non aveva risposto. Sorrideva, ma in maniera triste, scuoteva la testa, ‘a che ti serve saperlo?’ diceva, facendo danzare le dita.
 
“Non ha importanza, non chiedermelo, è un tempo finito.”
 
Un’ombra di rimpianto, di dispiacere, gli aveva offuscato il viso, facendomi pentire della mia invadenza. C’era qualcosa di molto doloroso nel suo passato, questo mi fu chiaro; che non volesse condividerlo con me mi feriva. Ma era comprensibile, in fondo: come potevo pretendere di conoscere dettagli tanto personali? Chi ero, per lui? Gli stavo dando, almeno per il momento, una casa, un lavoro, una paga, ma questo non bastava a fare di me un amico.
In realtà Florent era quel tipo di persona che cerca di essere forte e sorridente in ogni avversità, che tiene sottochiave il proprio dolore, e fatica a confidarsi, a condividerlo, persino con chi gli è più vicino; lo avrei compreso solo più tardi.
Quella volta mi scusai per le mie domande indiscrete, e promisi che non avrei insistito; lui di nuovo sorrise, ma fu un sorriso vero, le ombre rapidamente scomparse dal suo volto.
 
“È una bella giornata! Non lavorare oggi, passeggiamo!”
 
E io come potevo non cedere? Mi sarei arreso a qualunque richiesta, e nemmeno mi dispiaceva perdere un giorno di lavoro. Ero appena agli inizi, ma già mi ero accorto di procedere a rilento, nello scolpire il bell’angelo del Sonno Eterno. Perché, pensavo, quando avrò finito lui andrà via. Lo perderò. Quando avrò finito non lo vedrò più, non ascolterò più il suono emozionante del suo violino, né lui mi stregherà con il suo sorriso. Pensavo ‘ci metterò anche dieci anni, purché rimanga qui’, e a volte, scolpendo, mi fermavo con il martello a mezz’aria e indugiavo rapito a guardarlo, con il cuore dibattuto in una tempesta di colpevolezza e di negazione.
Ostinatamente mi rifiutavo di ammettere i miei sentimenti, di chiamarli con il loro nome. Era solo la fascinazione di un artista per una bellezza tanto pura, ecco tutto.
Che stupido. Tanto da illudermi che lui non avesse capito, tanto da credere di non essere trasparente e che i miei sguardi apparissero neutrali, il mio interesse pacato. Non credo che avrei mai avuto il coraggio di avvicinarmi a lui e confidargli il mio turbamento, la mia attrazione; sarebbe stato impensabile farlo anche se fosse stato socialmente accettabile… ero troppo ferito, troppo chiuso. Forse troppo spaventato.
Fu Florent a mettermi davanti a me stesso, spingendomi in un angolo senza possibilità di fuga, in una seduzione lieve e gentile, ma senza scampo
 
Uscimmo a passeggiare, quel giorno, e la sera, dopo cena, Florent mi trascinò a forza verso il pianoforte, costringendomi a sedere sullo sgabello imbottito davanti allo strumento; mi mise le mani sulla tastiera e fece il gesto del danzare delle dita sui tasti.
Era allegro, entusiasta, e io inerme davanti al suo sorriso; avevo capito che desiderava suonassi, e avrei voluto dire di no, che erano almeno due mesi che non toccavo i tasti, e in ogni caso non suonavo mai per nessuno: lo facevo per me solamente, quando nemmeno Matilde era in casa.
Avrei voluto dirglielo, davvero, ed essere capace di alzarmi e andare alla mia poltrona e riprendere il libro che stavo leggendo in quei giorni, ma se guardavo Florent in viso le parole mi abbandonavano, così come la volontà di dirgli di no.  Poi feci caso allo spartito sul leggio.
Era vecchio, nemmeno ricordavo più di averlo.
Beethoven. "Sonata n. 9 in La maggiore. Opera 47, Kreutzer."
Un pezzo per piano e violino.
Compresi, e ritrovai la favella.
 
“No! Oh, proprio no! È un pezzo troppo difficile, non sono all’altezza!”
 
Lui inarcò le sopracciglia; andò al tavolo e aprì la custodia del violino – che io nemmeno avevo notato – e tornò da me. Suonò un accordo, breve e secco.
 
“Non insistere, Florent!”
 
Un altro accordo, più alto e veloce.
 
“Ho detto che non - ”
 
Mi interruppe ancora, dispettoso, netto e preciso come una bacchettata; avrebbe continuato così, lo sapevo, a troncarmi le parole fino a che non avessi acconsentito a ciò che desiderava.
Nulla m’impediva di alzarmi e di andarmene, ma ormai ero sottomesso a quell’angelico tiranno.
 
“D’accordo, hai vinto. Ci proverò, ma non lamentarti se sarò inascoltabile. E solo il primo movimento, certo non pretenderai di suonarla tutta!”
 
Florent mi gratificò con uno dei suoi sorrisi e disegnò nell’aria un cerchio con l’archetto; e io bofonchiai qualcosa sul mio non essere all’altezza e sull’umiliazione che mi aspettava.
Lui era in piedi vicino a me, sereno, pronto a suonare, con la naturalezza di chi aveva la musica nel sangue e conosceva la melodia a memoria, mentre io sedevo impacciato, rigido come uno stecco e con le mani che mi si stavano facendo sudate.
Fu lui ad iniziare, brusco e acuto, per poi subito sfumare, crescere e spegnersi nuovamente, lasciando che mi inserissi io, in quelle battute ancora lente, che mi concedevano almeno di riflettere, di guidare consapevolmente le mani che sulla tastiera d'avorio si muovevano impacciate.
Il violino si inserì ancora, acuto, quasi discordante, perfetto, in quella melodia strana eppure armoniosa; saliva e sfumava, chiamava e il piano rispondeva, le due voci parlavano sempre più sommessamente sino a finire nel silenzio... ed esplodere d’improvviso, il violino a condurre e il piano a seguire, sempre più veloci, per poi scambiarsi i ruoli, e le note a mescolarsi, fondersi, rincorrersi, sovrapponendosi senza però soffocarsi.
E continuando mi resi conto che stavo diventando più sicuro; come potevano le mie mani muoversi così rapide? Le guardavo come se non mi appartenessero, come fossero stregate, al di fuori della mia capacità di controllo; commisi degli errori, qualche stridente stonatura, ma non me ne curai e andai avanti.
Florent di certo li colse, ma non vi badò: faceva vibrare acutissimo il suo strumento, una musica piena d'energia, una burrasca che scuoteva tutto intorno a noi, aria e cuori, che si placava solo per esplodere di nuovo. Suonava con una tale foga che temetti che il violino avrebbe preso fuoco tra le sue mani... e io sempre lo accompagnavo, e lui accompagnava me, con note che erano come singhiozzi, e la musica continuava a salire e sfumare, a sussurrare e gridare, imprevedibile, e io non capivo più nulla in quella organizzata confusione, lenta, frenetica, vortice di musica che mutava di continuo.
 
Un'opera folle e magnifica, grondante passione, che mi stava togliendo il fiato e mi faceva venir caldo; lanciai uno sguardo a Florent che, come spesso faceva, suonava a occhi chiusi, ed era stupendo mentre eseguiva uno dei passaggi più intensi del pezzo, con il capo reclinato e le guance arrossate. Nella sua espressione coglievo così tanto piacere, tanto coinvolgimento che quasi mi parve immorale continuare a guardarlo: mi sembrava di spiarlo in un momento profondamente intimo, o di… di stare facendo l’amore con lui attraverso la musica.
Soffocai un gemito a quel pensiero, e un brivido mi fece tremare una nota; tornai a guardare la tastiera, imponendomi di levarmi certe idee dalla testa, e continuai a suonare senza più alzare gli occhi, ma ormai il danno era fatto e l’immagine non mi abbandonava.
Fare l’amore con lui, attraverso quell’incredibile Sonata a Kreutzer.
 
La musica sfumò un’ultima volta, ingannevole, risorse con le potenti noti finali, e cessò quasi inaspettatamente; rimasi immobile a fissare i tasti e le mie mani, e inspirai profondamente, ancora turbato dal pensiero che ero stato capace di concepire.
No, no, no! Mi ripetei, è la bellezza che mi attira, solo come artista… la sua grazia, la sua eleganza, il suo talento, ma non lui…
… non lui.
 
Sobbalzai nel sentire una mano posarsi sulla mia spalla, a tal punto che quasi mi scostai; alzai subito il viso verso Florent, che mi stava sorridendo. Posò il suo strumento, mi fece cenni rapidi che ormai avevo imparato a conoscere bene.
 
Bravissimo.”
“No, non è vero. Ho commesso molti errori.”
Non tanti.”
“Oh, ti prego! Anche un soltanto è troppo, e ferisce le orecchie.”
 
Florent aggrottò appena le sopracciglia e mi guardò, pensieroso. Andò al tavolo, prese il suo taccuino e la matita e scrisse qualcosa, velocemente; poi tornò da me, e mi porse il quadernetto.
 
Mi è piaciuto suonare con te, mi sono divertito. Che importanza può avere, dunque, qualche errore? E se credi di non essere stato bravo, per migliorare dovrai solo esercitarti. Magari con me. Suoneremo ancora insieme? Ne sarei felice!
 
Lessi più volte quelle parole, e le mie mani ebbero un fremito. Alzai lo sguardo verso Florent e lui aveva un’espressione dolce, paziente, e anche un po’ incerta; avrei voluto dire qualcosa, ma la voce aveva abbandonato, perso com’ero nel verde bosco dei suoi occhi.
 
Per favore?
 
Segnò lui. Rimasi a fissarlo, provando il travolgente bisogno di cedere, di toccarlo, di prendere le sue mani e stringerle anche solo per un momento e sentire il loro calore; mi sarei accontentato, me lo sarei fatto bastare. Ritrovai la voce.
 
“Sono certo – dissi piano, soffocando sentimenti prigionieri – che se tu potessi parlare, la tua voce sarebbe meravigliosa come quella del tuo violino, e altrettanto ammaliante. Non potrebbe essere che bella, armoniosa, e incanterebbe tutti, proprio come la musica che suoni.”
 
Le mie parole lo sorpresero. Oh, sorpresero anche me! Erano sfuggite al mio controllo, e se avessi potuto me le sarei ricacciate in gola.
Florent inarcò le sopracciglia, spalancò gli occhi, e sembrò per un momento quasi sperduto, quasi più giovane. Fui certo di aver detto qualcosa di sbagliato, di essere stato insensibile nel sottolineare tanto esplicitamente il suo mutismo, di avergli causato dolore. Stavo per scusarmi, glielo dovevo, ma le sue mani furono d’un tratto sulle mie guance, a stringermi il viso con delicatezza. Si chinò su di me e i nostri volti furono vicini come mai lo erano stati; il suo respiro mi sfiorava, ed era fresco e leggero.
Le sue labbra si mossero, lentamente, scandendo le sillabe, come chi non è abituato a farlo, e riconobbi su di esse il mio nome.
Riccardo.
Florent ovviamente non emise suono, eppure io lo sentii. Chiaramente, dentro di me, udii la sua voce chiamarmi, ed era soave, e calda, e piena d’affetto.
Ebbi una vertigine, mi sembrò che il pavimento ondeggiasse, ma le emozioni non erano ancora finite, perché lui sorrise e si avvicinò ancor di più, tanto che credetti volesse baciarmi.
Cosa non provai in quel momento! Il cuore mi era impazzito nel petto a tal punto che temevo sarebbe scoppiato, e le mie mani si mossero d’istinto andando a posarsi sui suoi fianchi.
Il mio povero animo era scosso come un esile alberello nella furia della tempesta, e io, uomo adulto, come potevo essere tanto emozionato per un semplice bacio?
Ma Florent non mi baciò, come credevo e come sognavo: intrecciò le sue dita dietro il mio collo, appoggiò la fronte contro la mia e rimase così, fermo.
Lo rimase abbastanza a lungo da rendere tutto possibile: avrei potuto prendermi le sue labbra senza difficoltà e qualcosa, nella sua bocca incurvata da un tenero sorriso, mi fece capire che la mia intrusione sarebbe stata lietamente accettata, benvoluta… ricambiata.
Le sue labbra rosee, vicine, che dovevano essere così morbide! E la sua bocca dolce, la sua lingua deliziosa…
Fui un vigliacco, e rimasi immobile. Impietrito, come uno stupido, fino a quando lui si raddrizzò, e accarezzandomi si separò da me. Prese il suo violino e uscì dalla sala, lasciandomi solo e in subbuglio, pieno di desiderio e di ancor più timori.
 
Se prima mi ero accontentato di guardarlo da lontano, e mi ero illuso che l’attrazione che sentivo fosse solo artistica, platonica come l’ammirazione verso un capolavoro, ormai non potevo più negare la brama fisica che sentivo. Volevo lui, in carne e ossa, lo desideravo con tanta forza da stare male. Volevo sentire la sua pelle nuda e calda contro la mia, volevo toccarlo, e volevo le sue mani addosso, volevo affondare il viso nella morbidezza dei suoi capelli, e volevo prendermi la sua bocca, ancora e ancora. Doveva essere vellutata, tiepida e meravigliosa: l’avevo immaginata così chiaramente in quegli istanti, che l’esserne stato privato mi era insostenibile.
Il desiderio che provavo, la carnalità che lui mi aveva fatto sfiorare con tanta naturalezza, mi impedivano di continuare a negare il sentimento che aveva messo radice in me, di chiamarlo vigliaccamente con un nome che non era il suo.
Ma altrettanto vigliaccamente, benché consapevole di ciò che provavo, decisi di ignorare quel sentimento, di non cedere alla tentazione che Florent mi aveva fatto assaggiare.

___________________

NdA

Grazie di cuore a chi ha letto fin qui. Lo so, lo so, Riccardo è esasperante, ma nel prossimo capitolo si saprà perchè è così spaventato dall'attrazione e dal sentimento che prova per Florent; intanto, abbiate pazienza con lui!



 
 
   
 
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