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Autore: heliodor    31/05/2020    5 recensioni
Joyce è nata senza poteri in un mondo dove la stregoneria regna sovrana. Figlia di potenti stregoni, è cresciuta al riparo dai pericoli del mondo esterno, sognando l'avventura della sua vita tra principi valorosi e duelli magici.
Quando scoppia la guerra contro l'arcistregone Malag, Joyce prende una decisione: imparerà la magia proibita per seguire il suo destino, anche se questo potrebbe costarle la vita...
Tra guerre, tradimenti, amori cortesi e duelli magici Joyce forgerà il suo destino e quello di un intero mondo.
Fate un bel respiro, rilassatevi e gettatevi a capofitto nell'avventura più fitta. Joyce vi terrà compagnia a lungo su queste pagine.
Buona lettura!
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Cronache di Anaterra'
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Speranza

“Tu non vorresti essere qui” disse Belia raggiungendolo.
Marq sedeva sul tronco rovesciato, lo sguardo rivolto verso occidente, dove poteva vedere ciò che restava della cima dell’Artiglio.
La montagna era rimasta avvolta per giorni da una nuvola di pulviscolo che si era depositata in parte e per il resto era stata portata via dal vento.
Ogni tanto aveva gettato un’occhiata alla montagna, non sapendo cosa volesse fare.
“Sono dove devo essere” disse distogliendo lo sguardo dall’Artiglio.
Belia gli sedette accanto. “A me non sembra affatto che tu voglia restare qui a lungo.”
Marq si alzò di scatto. “Infatti ho intenzione di rimettermi subito in marcia.” Guardò alle sue spalle, nella valle che era ancora piena di tende e recinti pieni di cavalli e carri che venivano riempiti di casse e barili.
Migliaia di uomini e donne, ragazzi e anziani e bambini sciamavano in tutte le direzioni trasportando su carretti o con le braccia quelle casse e quei barili.
Carpentieri e operai avevano smontato capanne e baracche per farne altri carri e recinti dove stipare il bestiame da trasportare dopo che la maggior parte era stata macellata per ricavarne carne secca da usare nel viaggio.
Il viaggio, pensò Marq.
In quei giorni non aveva fatto altro che pensare a quello. Non riusciva a credere che stavano per mettersi in marcia.
Avevano atteso il ritorno di quelli che avevano combattuto contro i colossi. I loro racconti avevano spaventato molti, specie quelli che volevano restare lì anche dopo la battaglia, convincendoli a unirsi agli altri.
Marq aveva ascoltato i racconti dei sodati, scoprendo che Bryce di Valonde non solo era sopravvissuta, ma aveva abbattuto da sola uno di quei mostri.
Si era sentito sollevato sapendo che era ancora viva.
Nimlothien e altri comandanti erano stati catturati dall’alleanza. Belia aveva suggerito un’incursione al loro campo per liberarli.
“Attacchiamoli adesso che sono stanchi per la battaglia e distratti” aveva suggerito la guerriera. “Sarà una vittoria facile.”
Marq ne dubitava. Le loro forze erano di molto inferiori a quelle dell’alleanza e non voleva provocare una loro reazione. Un altro massacro come quello di Roxarr sarebbe stato insopportabile. Gli era dispiaciuto dover dare l’ordine di non attaccare.
Belia si era mostrata delusa e non gli aveva parlato per un paio di giorni, ma quando aveva visto tornare i comandanti prigionieri ci aveva ripensato.
Solo Nimlothien era rimasta al campo per essere processata e giustiziata, dicevano i comandanti che erano tornati.
Dyna, l’aiutante di campo della strega, si era mostrata turbata e gli aveva chiesto di potersi recare di persona al campo dell’alleanza.
Marq aveva rifiutato di nuovo ordinandole di restare confinata nella sua tenda. Aveva ordinato a Brun di fare la guardia alla ragazza e lui aveva accettato.
Gauwalt si era offerto di guidare una sortita con le sue evocazioni e Marq si era chiesto perché tutti fossero così ansiosi di andare a morire.
Gli unici che non sembravano intenzionati a combattere erano Tymund e Falcandro. I due eruditi, ognuno a modo suo, si erano dati da fare per aiutarlo a organizzare il viaggio.
Se di Tymund poteva fidarsi, non poteva dire lo stesso di Falcandro. L’erudito di Orfar sembrava felice di stare con loro e aveva aiutato i guaritori creando pozioni e suggerendo come curare alcune ferite ritenute mortali.
Tymund dal canto suo aveva recuperato parte della biblioteca di Malag e si era messo in testa di leggere i suoi diari.
“Voglio scoprire quanto più possibile su di lui” aveva dichiarato. “Sempre che riesca a tradurre il suo codice.”
I diari dell’arcistregone erano vergati in una lingua che Tymund non sembrava conoscere ma che era sicuro di poter tradurre.
“Si tratta solo di trovare la chiave giusta” aveva detto.
Per quel che lo riguardava aveva fatto una promessa e preso un impegno solenne con Malag.
Ricordava bene il loro ultimo incontro, poco prima che l’arcistregone li lasciasse diretto all’Artiglio.
Aveva affidato l’esercito dell’orda a Nimlothien e poi si era rivolto proprio a lui, a Marq, col solito tono paziente.
“So di affidarti un compito pesante” aveva detto. “Ma so di potermi fidare di te, Marq di Orvaurg.”
“Perché proprio a me? Nimlothien sarebbe un capo migliore. O Gauwalt. E ci sono almeno altri due o tre comandanti che sono più amati e rispettati di me.”
Malag aveva annuito. “Nimlothien e gli altri comandanti sarebbero tentati di restare e continuare la guerra, non fosse altro per onorare la mia memoria, nel caso non dovessi tornare dall’Artiglio. Sono troppo affezionati a me per concepire la mia morte.” Ridacchiò. “Tu, al contrario, sei ancora capace di ragionare con lucidità. Saprai valutare la scelta migliore da fare.”
“Ti fidi al punto di affidarmi il destino di migliaia di persone?”
“Diciamo che la mia è più una speranza.” Per un attimo gli sembrò che fosse altrove con i pensieri. “E so che dopo aver portato in salvo queste persone, il nostro popolo, non ti fermerai.”
 Marq si era accigliato.
“Tu andrai a cercarla, non è vero? L’hai già fatto due volte.”
“Non abbandonerò le persone che mi hai affidato” disse con tono di voce solenne.
“Dopo che le avrai portate in un luogo sicuro, sarai libero di andare.”
“Tu vuoi che la trovi?”
“Io voglio proprio questo, Marq.”
“Ha cercato di ucciderti.”
“Lo so.”
Marq aveva deglutito a vuoto. “Se vuoi che la trovi per ucciderla, non lo farò.”
Malag aveva sorriso. “Tutto l’opposto, Marq. Voglio che tu la trovi per proteggerla. Cerca la strega rossa e assicurati che stia bene. Farai questo per me?”
Stavolta era stato Marq a sorridere. “Lo farò.”
Due giorni dopo il ritorno dei comandanti, anche Nimlothien era tornata. La strega bianca sembrava stare bene e ansiosa di mettersi in marcia.
“Vedo che ti sei dato da fare, Occhi Blu” disse guardando la valle che si stava riempiendo. Dovevano esserci almeno mezzo milione di persone lì sotto, anche se nessuno li aveva mai contati.
Il popolo di Malag, pensò Marq. La gente che devo portare in salvo, prima che a qualcuno dell’alleanza o a un re dell’occidente venga in mente che tante persone senza un vero capo potrebbero diventare una nuova orda.
“Non credevo di rivederti viva” disse sincero. “Come sei riuscita a fuggire?”
Nimlothien si strinse nelle spalle. “Stavolta sono stata fortunata e non ho avuto bisogno di scappare. Che tu ci creda o no, ho un’amica nell’alleanza.”
“Chi?” fece Marq curioso.
“Una ragazzina insignificante dai capelli rossi, la principessina di Valonde che tutti credevano morta.”
Marq ne aveva sentito parlare e da Dyna aveva appreso che la ragazza era stata portata a Roxarr per incontrare Malag. Dopo che l’arcistregone l’aveva rispedita da suo padre, ne avevano perse le tracce e con lei di Garrik e la sua scorta.
“Lei ti ha aiutata a scappare?”
Nimlothien aveva riso. “No di certo. Ha parlato in mia difesa al processo e ha ottenuto che mi liberassero. Per riconoscenza. Riesci a crederci?”
“Una ragazzina insignificante dai capelli rossi hai detto” disse Marq.
Nimlothien annuì. “Vedendola non la crederesti capace di tanta audacia.”
Marq ghignò. “Potrei aver visto più cose di quanto immagini, strega bianca.”
Lei lo guardò sorpresa. “Sai qualcosa che ignoro?”
“Siamo in tanti a ignorare molte cose. Ma ho intenzione di rimediare durante il viaggio che ci aspetta.”
Nimlothien annuì. “E dopo? Che hai intenzione di fare, Occhi Blu? Ho visto l’Artiglio esplodere. La tua strega rossa non può essere sopravvissuta anche a quello.”
“Io credo che ce l’abbia fatta” disse sicuro.
La strega bianca rise più forte. “Sei davvero spassoso, Occhi Blu. Questo vuol dire che ricomincerai a cercarla? E da dove inizierai? Il mondo è grande. C’è un posto in particolare dove credi che sia andata a nascondersi?”
“Non ne sono certo, ma c’è un posto dove potrei andare.”
“Dove?”
“Valonde.”
Nimlothien gli rivolse un’occhiata stupita e poi scoppiò a ridere.
Marq si limitò a sorriderle compiaciuto.
 
***
Gladia smontò da cavallo e atterrò con gli stivali nel fango sollevando degli schizzi che le imbrattarono il mantello liso.
Aveva piovuto per quasi tutto il viaggio e desiderava solo scaldarsi al fuoco di un braciere, ma prima di poterlo fare doveva superare un ultimo ostacolo.
Il tizio che l’attendeva all’ingresso della locanda abbandonata.
L’edificio fatiscente sorgeva al centro di una piccola valle racchiusa tra le colline. Era al confine della coda del drago e poteva vedere le montagne grigie svettare verso il cielo plumbeo carico.
La stagione delle piogge era ormai arrivata.
L’uomo era basso e tarchiato e indossava un mantello rosso con ricami azzurri. La guardò con indolenza, come se provasse fastidio a vederla lì.
“Speravo fossi morta” disse accogliendola.
“Ci sono stata vicina, alla morte” rispose con voce roca.
L’uomo annuì solenne. “Si vede che nemmeno gli inferi vogliono accoglierti, Gladia.”
“Lei dov’è?”
“Ti aspetta dentro” disse l’uomo indicando la locanda alle sue spalle. Dal camino usciva un filo di fumo che si confondeva nel grigio delle nuvole basse e minacciose.
La vegetazione tutto intorno era gialla e rinsecchita, come se lì non avesse piovuto per intere Lune.
Col terreno secco e le piogge abbondanti ci saranno degli allagamenti nelle campagne, pensò Gladia. Altra sofferenza per i contadini, come se la guerra non fosse bastata. Almeno adesso è finita.
“Da sola?”
L’uomo grugnì qualcosa. “Ci sono anche Wyn e Rifon, ma non li troverai lì dentro. Sono usciti di pattuglia e non torneranno prima di domani mattina.”
Gladia proseguì verso la locanda abbandonata, fermandosi un attimo sulla soglia dell’ingresso sgangherato per gettare un’occhiata all’interno. Nella penombra vide una figura seduta vicino al camino dove ardeva il fuoco.
“Entra” disse una voce gracchiante.
Gladia trasse un sospiro e avanzò nella penombra, con passo prudente, fermandosi a cinque o sei passi dalla figura.
Questa sedeva su di uno sgabello, la schiena curvata in avanti e le braccia protese verso il fuoco. Voltò la testa verso di lei, rivelando il viso grinzoso e macchiato di una donna incorniciato da una massa di capelli grigi che le ricadevano in ciocche ribelli sulle spalle esili.
“Bentornata” disse sorridendole. Indicò lo sgabello vicino al suo con un cenno della testa. “Siedi. Scaldati al fuoco anche tu, Gladia. Sembri un pulcino bagnato.”
Gladia obbedì muovendosi con movimenti rigidi, quasi a scatti. Sedette sullo sgabello assaporando il calore del camino.
“Che cosa mi racconti?” le chiese la donna.
“È morto” disse Gladia. “Finalmente.”
La donna annuì. “E come ti senti?”
“Vuota.”
Si era sentita così fin da quando si era svegliata all’ombra di un albero, dopo che Robern l’aveva abbandonata. Di nuovo. Ma stavolta era stato saggio. Se fosse rimasto, lei lo avrebbe ucciso.
Mi ha ingannata di nuovo, si era detta. Come sempre. Tutto quello che mi ha detto è stata una bugia, fin dal primo giorno. Come posso essere stata così ingenua?
Aveva visto la nuvola che avvolgeva l’Artiglio e aveva capito ciò che era accaduto. Attivando il nodo Malag aveva distrutto il colosso e con esso mezza montagna.
Era assurdo sperare che qualcuno potesse tornare vivo dalla montagna e infatti non era accaduto. Aveva atteso per tre giorni al campo dell’alleanza sperando che almeno Eryen ce l’avesse fatta, ma nemmeno lei era sopravvissuta.
E Lionore era morta nella battaglia, con onore.
Dovrei tornare a Taloras per consegnare il corpo della principessa a mio fratello, si era detta.
Ma non aveva la forza né il desiderio di sopportare quell’ultima pena. Lionore era morta facendo ciò per cui era nata, come tanti prima di lei.
Aveva deciso di andarsene approfittando della confusione al campo e per evitare le domande che tutti volevano rivolgerle ma alle quali lei non voleva rispondere.
Si era messa in viaggio e in un paio di Lune aveva attraversato l’altopiano e si era diretta verso quella regione ai confini con la Coda del Drago.
Il luogo dove lei e Ilyana avevano convenuto lune prima di incontrarsi se avesse avuto successo nella sua missione.
“Bene” disse la donna. “Non ti ho addestrata per compiacerti di una morte, per quanto questa fosse giusta e desiderata.”
Giusta e desiderata da me, si disse Gladia.
“E ora?” le chiese.
Ilyana trasse un profondo respiro. “Ora ti riposerai, figliola. Ne hai passate tante in queste ultime Lune e devi recuperare le forze prima del prossimo incarico che devo affidarti.”
Di che incarico parla? Possibile che non sia ancora finita? Si chiese.
Come intuendo i suoi dubbi, Ilyana disse: “Abbiamo subito molte perdite. L’ordine è in ginocchio qui in occidente e dobbiamo serrare i ranghi in vista delle prossime sfide.”
Gladia si accigliò.
“Molte città sono in subbuglio. Senza un’autorità a governarlo, il popolo tende a decidere con la sua testa e il rischio è che faccia scelte poco sagge. L’ordine aiuterà i governi legittimi a tornare al potere, come a Malinor, Orfar, Nazdur e tante altre città che hanno sofferto a causa della guerra. O creerà nuovi governanti se quelli attuali non saranno all’altezza.”
“Mi sembra saggio.”
“Ma in quanto a te, ho una nuova missione da affidarti.”
“Ti ascolto” disse.
“Ho detto a Orrian di fare, diciamo così, un sopralluogo. Sai che i suoi occhi possono vedere meglio e più lontano di chiunque altro.”
Conosceva bene Orrian l’Occhio, ma come molti altri preferiva non parlarne. E non fidarsi dei suoi poteri.
“Gli ho chiesto di scrutare verso nord” proseguì Ilyana. “E lui ha visto cose molto interessanti.”
“La battaglia?”
La donna annuì. “Non solo quella. Ha visto ciò che è accaduto sull’Artiglio. Ha visto la povera Eryen e l’odiato Malag sparire nell’esplosione e ne è quasi rimasto accecato. Ma è ciò che non ha visto che ha destato il mio interesse.”
“Continua” la esortò.
Ilyana raddrizzò la schiena. “So che nelle ultime Lune, oltre che con Robern, hai stretto un’alleanza con la cosiddetta Strega Rossa.”
“Non era un’alleanza. Ho usato quella sciocca ragazzina per i miei scopi. E adesso è morta.”
Sapere che Sibyl era morta le faceva provare un misto di dispiacere e sollievo.
“Orrian non ha visto spegnersi la sua fiamma” disse Ilyana.
“I suoi occhi non sempre vedono tutto.”
“È vero, ma io sono propensa a fidarmi di lui, dopo che ci è stato tanto utile in altre circostanze. La sua vista può non essere perfetta, specie a tali distanze, ma non può sbagliarsi fino a questo punto. È probabile che la strega rossa sia sopravvissuta all’Artiglio e abbia fatto perdere le sue tracce. Orrian non è stato capace di rintracciarla nonostante gli sforzi compiuti.”
“Ha fallito perché Sibyl è morta.”
Ilyana sorrise benevola. “Lo speri o lo temi?”
“Lo accetto come un qualsiasi altro fatto” rispose cercando di non far trasparire la sua irritazione.
“Che sia accaduto o meno, dobbiamo esserne certi. Il nostro ordine si fonda sulla segretezza e la fiducia reciproca. Quella dannata ragazzina sa troppo di noi, Gladia. Ha visitato santuari e scoperto cose che non doveva sapere. Ha persino partecipato all’uccisione di uno dei nostri, Kellen.”
“Kellen era fuori da ogni controllo da tempo e ormai agiva per conto suo” disse Gladia. “Tra non molto gli avremmo dato la caccia come rinnegato.”
“In ogni caso, questa Sibyl deve essere trovata. Tu devi trovarla. E convincerla a passare dalla nostra parte.”
“E se non volesse? Se nonostante tutto non fosse disposta a mettersi al servizio dell’ordine?”
Il viso di Ilyana venne illuminato di rosso dalle fiamme che scoppiettavano nel camino. “Se non accetterà la nostra generosa offerta, dovrai ucciderla. E stavolta ti assicurerai che resti morta.”
 
***
Joyce fissò il molo che si avvicinava e gli uomini sulla banchina che afferravano le funi lanciate dalle navi e le legavano ai rebbi.
L’ultima volta che era stata lì stava fuggendo da un colosso che stava distruggendo la città e adesso vi attraccava con una nave.
Con molte navi, pensò.
Erano almeno cento quelle che erano salpate da Odasunde dieci giorni prima, per attraversare il mare occidentale fino a Malinor.  E altre duecento si preparavano a partire nei prossimi giorni.
Suo padre aveva insistito per scaglionare le partenze. Quella era solo la prima tappa di un lungo viaggio che li avrebbe riportati a Valonde.
A casa.
Non riusciva a pensare ad altro mentre si preparava a sbarcare. In dieci giorni aveva letto tutta la piccola biblioteca di bordo, che comprendeva due soli romanzi e un noioso trattato sulle piante e gli animali di Kossarim, sulla costa orientale.
Dal campo dell’alleanza a Odasunde erano stati necessari venti giorni di viaggio, durante i quali i problemi non erano mancati. Tutti erano stati impegnati nel prendersi cura dell’esercito in marcia. Ogni giorno qualcuno sembrava farsi male mentre cavalcava, qualcuno si perdeva, i cavalli si azzoppavano e bisognava abbattere quelle povere bestie e poi macellarle per non sprecare della carne preziosa. Due volte si erano dovuti accampare per via delle piogge che avevano inondato le vallate e ingrossato i fiumi. Un ponte era crollato ed Erix aveva coordinato gli operai che ne avevano costruito uno nuovo in due giorni.
In quei giorni aveva visto poco suo padre e i suoi fratelli e ancora di meno Vyncent.
Desiderava parlargli.
Sapeva di dovergli parlare, ma doveva trovare le parole giuste.
In quanto a Oren, non osava parlargli più o meno per gli stessi motivi. Lui se ne stava con Shani, che non lo perdeva di vista nemmeno per un istante.
Sembrava che dove andasse lui ci fosse anche lei.
Ed era tutta colpa di Elvana. Sembrava che avesse parlato a Bryce e che poi lei avesse fatto un discorso a suo padre, convincendolo che non era più necessaria una scorta personale.
Per quel motivo Oren era stato assegnato ai soldati e messo di guardia ai recinti degli animali e ai carri.
“Non è giusto” aveva protestato con suo padre. “Oren è un eroe di guerra. Ha ucciso Privel.”
Aveva ascoltato quel racconto più volte e ancora non riusciva a crederci. Da quello che le aveva raccontato Roge, aveva usato un portale per mandare Shani e Oren da Privel e loro due insieme avevano combattuto contro un colosso e ucciso l’arcistregone.
Questo supera di gran lunga il troll che ho ucciso insieme a Oren, aveva pensato con tristezza. E anche quello che ho ucciso da sola.
“È stato lui a chiederlo” aveva risposto suo padre. “Non vuole trattamenti di riguardo. È proprio come suo zio, dannazione.”
“Dagli una promozione” aveva insistito Joyce. “Fallo diventare cavaliere o dagli un titolo da nobile.”
“Ha rifiutato anche quelli.” Suo padre l’aveva guardata con benevolenza. “Joyce, lo so che cosa vuoi fare. Siamo tutti riconoscenti verso quel ragazzo, ma non posso obbligarlo. Quelli come lui sono fatti così.”
“In che modo sarebbero fatti?”
“È un uomo di ferro come suo zio Mythey. E gli uomini di ferro non accettano titoli né onori.”
Se le cose stanno così è uno stupido, aveva pensato.
A Odasunde si erano imbarcati sulle navi ed erano salpati verso Malinor, dove contavano di fare scalo prima di affrontare la parte più lunga e difficile del viaggio.
Aveva sperato di poter parlare con Vyncent e Oren durante la traversata, lei era finita sulla nave di suo padre e gli altri si erano divisi tra i vari vascelli.
Per dieci giorni si era annoiata a morte fino a non poterne più della cabina. Nemmeno le lunghe passeggiate l’avevano placata e alla fine si era limitata a fissare il mare che scorreva contro lo scafo.
Arrivare in vista di Malinor le aveva ridato le forze e la voglia di muoversi. La città era di nuovo abitata e i profughi stavano tornando per ripopolarla.
I primi sarebbero stati proprio i soldati che erano sbarcati prima di loro e avevano preparato il porto per le altre navi.
Fu contenta di poter rimettere piede sulla solida terra. L’ultimo viaggio per mare così lungo l’aveva riportata a Valonde da Taloras. Persym l’aveva fatta arrestare appena sbarcata.
Quella brutta esperienza non la privò della gioia di assaporare la fresca brezza che spirava da oriente.
Per il momento le piogge erano passate e il sole aveva riscaldato quella regione, rendendo più mite la temperatura.
Non ho tempo per questo, si disse.
Doveva cercare una nave in particolare. Ricordava che aveva issato le insegne reali di Malinor prima di salpare, una bandiera nera con una corona dorata al centro.
La nave di Bardhian e di Vyncent.
Li vide sul molo mentre discutevano tra di loro, vicino a sacchi e casse che erano state appena sbarcate.
Si avvicinò quasi in punta di piedi, ma quando la vide arrivare Vyncent le rivolse un ampio sorriso.
Dopo tutte quelle Lune e le avventure passate, trovava ancora bello quel sorriso, come la prima volta che lo aveva visto a Valonde.
“Non dovevi disturbarti a venire” disse Vyncent. “Saremmo passati noi a salutarti e a rendere gli onori a re Andew.”
“Ma quella sarà una noiosa cerimonia” disse Joyce sospirando. “Io volevo salutarvi per davvero.”
Si gettò su Bardhian e gli strinse le braccia attorno alle spalle. “Mi mancherai tantissimo” esclamò.
Bardhian la guardò accigliato mentre ricambiava imbarazzato l’abbraccio.
“Hai recuperato un po’ dei tuoi poteri?”
“Ancora no” disse. “Ma Vyncent mi aiuterà.”
Joyce gli rivolse un’occhiata.
“Vi lascio soli” disse Bardhian. “Vorrete parlare.”
Attese che si fosse allontanato prima di dire: “Sei proprio sicuro di voler restare qui?”
Vyncent annuì deciso. “Bardhian ha bisogno di me. Deve recuperare i poteri e ritrovare i suoi fratelli, senza contare che la città è in rovina, il popolo è disperso e Klarisa e Ronnet sono lì fuori chissà dove.”
“Anche noi abbiamo bisogno di te, a Valonde.”
“Potrete fare a meno di me per un po’” rispose.
Joyce abbassò gli occhi imbarazzata. “Tornerai a trovarci, qualche volta?”
“Lo farò appena Bardhian starà meglio e Malinor al sicuro.”
“Potrebbero volerci intere Lune. O anni.”
Vyncent sembrò esitare, poi disse: “Se tu desideri che io torni a Valonde con voi, lo farò. Ho un voto da onorare e non mi tirerò indietro.”
“Sono contenta che tu l’abbia detto” disse. “Perché era proprio ciò di cui volevo parlarti.”
“Capisco” fece lui annuendo. “Se è questo il tuo desiderio, lo accetto.”
“No” disse Joyce. “Non è quello che desidero per me.”
Vyncent assunse un’espressione dispiaciuta. “Qualsiasi cosa tu abbia potuto udire o pensare su noi due…”
“Non è quello che ho udito o pensato, Vyncent, ma quello che sento.” Fece una pausa. “Ti sollevo da ogni obbligo verso di me. Così nessuno potrà mai accusarti di esserti rimangiato la parola e il tuo onore sarà salvo.”
“L’onore è l’ultimo dei miei pensieri, Joyce di Valonde, ma ti ringrazio lo stesso. Non sei più la ragazzina impacciata che stava per farsi derubare, ricordi? Sei sempre tu, ma sei anche un’altra persona.”
Joyce annuì. “E tu sei sempre lo stregone che tutte le ragazze sognano di incontrare almeno una volta nella loro vita. Solo” fece una pausa e sorrise. “Ora sei il sogno di un’altra.”
Vyncent annuì, gli occhi lucidi. “Puoi perdonarmi se mi assento per un po’?”
“Sei perdonato. La sua nave ha attraccato a due moli di distanza dal vessillo di Valonde. Non puoi sbagliarti.”
“Grazie” disse Vyncent con voce spezzata.
“Grazie a te per non avere smesso di cercarmi.”
 
“So che può sembrare assurdo” disse Joyce con voce eccitata. “Voglio dire, un guerriero e una principessa insieme.” Esitò. “Non succede spesso nemmeno nei romanzi della Stennig, tranne che nel Sogno dell’Incantatrice. Ricordi, quando Hagen il Cavaliere delle Ossa si rivela buono e confessa il suo amore a Tanyth la principessa delle fate?” Fece un’altra pausa. “Sì, capisco che tu possa essere sorpreso e lo sono anche io.” Abbozzò un leggero sorriso. “Ma era tanto che volevo dirtelo, Oren. Volevo dirti che io, io…”
Scosse la testa e pestò il pavimento con un piede. Era di fronte alla porta di legno chiusa da qualche minuto, indecisa se bussare o meno.
“Calmati, calmati, calmati” sussurrò, il cuore che le batteva forte. “Troverai le parole giuste per farglielo capire.”
Nei romanzi della Stennig era sempre l’eroe, lo stregone o il principe a confessare il suo amore alla principessa, non il contrario.
Non è leale, si disse. Oren ha decine di esempi che potrebbero aiutarlo e io nemmeno uno. Come può pretendere che faccia tutto da sola?
Chiuse gli occhi e respirò a fondo.
Troverai le parole, si disse. Devi solo lasciarti andare.
Aprì gli occhi e sollevò la mano per bussare.
“Quella cabina è tua?” disse una voce alle sue spalle.
Trasalì voltandosi di scatto. Un marinaio con un sacco messo di traverso sulla spalla la guardava con espressione seccata. “È tua quella cabina?”
Joyce fece un passo indietro. “No. Sono solo venuta a trovare una persona.”
“Quella persona non è qui” disse il marinaio.
“Certo che sì” rispose. “È proprio qui dentro.”
Il marinaio spalancò la porta e gettò una rapida occhiata all’interno. “È vuota.”
Joyce si sporse per vedere. La cabina era occupata da un baule e una branda. “Mi hanno detto che si trovava qui.”
Prima di salire a bordo aveva chiesto dove alloggiasse Oren e le avevano indicato come raggiungere la cabina.
“Quelli che devono sbarcare a Malinor sono ancora sul molo. Se fai una corsa forse li raggiungi.”
Joyce stava già attraversando di corsa i corridoi della nave. Salì le scale a due a due raggiungendo il ponte principale e poi giù per la passerella che univa la nave al molo.
Lì, allineate sulle pietre grigie, vide centinaia di casse e sacchi pronti per essere imbarcati sulla nave. Accanto a questi individuò due figure che stavano legando delle borse.
Corse verso di loro fermandosi solo a cinque o sei passi. “Oren” esclamò.
Lui alzò la testa di scatto, l’espressione allarmata.
“Stai andando via?” domandò con voce affannata. “Credevo che avremmo fatto il viaggio insieme fino a Valonde. A casa.” Lo fissò respirando a fatica.
Shani incrociò le braccia sul petto.
Oren invece la guardò imbarazzato. “Sarei passato per salutare prima di partire.”
“Partire per dove?”
“Chazan” disse Shani. “La capitale dell’arcipelago.”
“È la terra da cui viene Shani.”
“Lo so” disse Joyce con tono esasperato. “Cosa ci vai a fare lì? È lontanissimo da Valonde.”
Oren si strinse nelle spalle. “Shani dice che sono molto abile, ma che non può insegnarmi molto altro. A Chazan ci sono maestri più esperti che potranno addestrarmi.”
“Oren diventerà un guerriero del drago” disse Shani. “Se sopravvivrà alla prova del ferro del fuoco, ovvio.”
“È una prova pericolosa?” chiese Joyce.
“Solo uno su dieci sopravvive” rispose la ragazza. “O su cento, ora non ricordo con esattezza.” Ridacchiò dopo quella frase.
Joyce fu tentata di lanciarle contro un dardo magico. Guardò Oren. “Sei proprio sicuro di voler andare? Sembra un posto così pericoloso. E lontano.”
Oren annuì deciso. “Voglio diventare un guerriero del drago e affrontare la prova. A Valonde non sarei di alcuna utilità. Lì ci sono già i migliori guerrieri e stregoni del mondo conosciuto.”
Joyce fu tentata di implorarlo. Si sarebbe inginocchiata di fronte a lui e gli avrebbe chiesto di tornare con lei a Valonde. Col tempo e la pazienza era certa di potergli dimostrare che era lì il suo posto, accanto a lei, con lei.
È solo una ragazzina stupida e viziata, disse una voce dentro di lei.
È frivola.
Cerchi sempre di ottenere ciò che vuoi, con l’inganno o la minaccia.
O piagnucolando.
Fai gli occhi languidi, come lei. Funzionerà.
Occhi languidi.
Sei cambiata, non sei più la ragazzina impacciata. Sei la stessa ma anche un’altra persona.
Sono un’altra persona, si disse.
Respirò a fondo ricacciando indietro le lacrime. “Se per te è così importante, lo è anche per me. Come si dice in questa parte del mondo conosciuto, che la tua via sia dritta.”
Oren sorrise e le rivolse un profondo inchino.
 
***
Oren mise la sacca sulla spalla. Era pesante grazie a Erix, che aveva insistito perché portassero con loro provviste per un’intera Luna di viaggio.
“La strada per Chazan è lunga” aveva detto la strega passando a salutarlo, quando era ancora nella sua cabina. “Ma perché te lo dico? Non hai certo bisogno di saperlo da me, Oren di Pelyon.”
“Grazie” aveva risposto. “Spero di tornare a Valonde, un giorno.”
“Se non sarai troppo impegnato a salvare qualche principessa in pericolo.”
“È stato solo un caso. Shani diceva la verità.”
“Niente accade per caso. Tu l’hai voluto. Pensavo che fossi pazzo a tentare, ma ammetto di aver sbagliato a valutarti.”
Malinor era diversa dalla città che ricordava. C’erano macerie che occupavano le strade e i palazzi erano vuoti e silenziosi, ma la gente stava tornando. Aveva visto file di pellegrini accalcarsi alle porte della città. E altri stavano ricostruendo le mura abbattute dal Colosso. Lo stesso che aveva quasi ucciso Sibyl.
Il pensiero di lei su quella montagna, che combatteva da sola contro quel mostro, lo atterriva e al tempo stesso gli dava forza e speranza.
Speranza di potere un giorno rivederla o di vivere abbastanza da non rendere vano il suo sacrificio e quello di tanti che erano morti in quella guerra.
Passarono davanti al circolo di Malinor. Qui era stato allestito un cantiere con operai che stavano ripulendo la strada e avevano radunato assi e pietre per ricostruire.
Gettò un’occhiata distratta a uno degli operai e vide qualcosa che attirò il suo sguardo. Shani lo notò.
“Hai visto qualcosa?”
Lui le fece cenno di seguirla. Si avvicinò all’operaio e lo salutò con un cenno della mano. “Io ti saluto” disse cordiale.
L’operaio, un giovane che poteva avere non più di venti anni, ricambiò il saluto.
Oren indicò il braccio del ragazzo, dove era legato un pezzo di stoffa rossa. “Sei ferito o c’è un motivo per quello?”
Il ragazzo alzò il braccio. “Questo, dici? È il segno che portavano tutti, al villaggio dove mi ero rifugiato con la mia famiglia.”
“Tutti?”
Il ragazzo annuì. “C’era una ragazza armata di arco che li distribuiva. Parlava di una strega rossa che stava combattendo contro l’arcistregone e i colossi. Diceva che così la onoravano per aver salvato la loro dea o qualcosa del genere.”
Oren avvertì una stretta allo stomaco.
“Ammetto che all’inizio mi sembrava una sciocchezza” disse il ragazzo. “Ma poi ho sentito parlare della vera strega rossa, quella che ha ucciso Malag e distrutto il colosso, lì al nord. Tutti ne stanno parlando. Così ho deciso di metterlo anche io.” Sorrise imbarazzato. “In questo modo la onoro per aver distrutto il colosso che ha fatto questo a Malinor.”
Oren annuì e lo salutò.
Proseguirono in silenzio fino a raggiungere una delle entrate. Anche se c’erano molti pellegrini in uscita, i soldati avevano creato un passaggio per chi come loro stava andando via. Li lasciarono passare senza fare domande.
Una figura sostava davanti ai cancelli, le braccia incrociate sul petto e lo sguardo corrucciato. Un mantello blu gli scendeva dalle spalle fino a fiorargli le caviglie.
“Andate via senza porgermi i vostri saluti?” domandò con tono offeso.
Oren si piazzò di fronte a Roge. “Dovrei porgerti un pugno nello stomaco. Ci hai quasi fatti uccidere col tuo piano di fermare i Colossi.”
“Ha funzionato, no?” Roge allargò le braccia. “Li abbiamo distrutti.”
“Non di certo grazie a te” disse Shani.
“Attenta a come parli” disse Roge. “Sono di nuovo un principe adesso. E non uno qualsiasi. Un principe ereditario.” Assunse una posa solenne col mento alzato e il petto gonfio.
“Basta” esclamò Shani sorridendo. “Smettila.”
Roge sbuffò piegandosi in due. “Quindi avete deciso? Andate via?”
Oren annuì. “Ci aspetta un bel viaggio.”
Roge assunse un’aria dispiaciuta. “È un peccato. Sareste utili a Valonde, soprattutto la ragazza.” Guardò Oren. “Per te avremmo trovato qualcosa da fare.”
“Grazie” disse a denti stretti.
“Mancherai soprattutto a mia sorella” osservò Roge. “Credo si sia affezionata a te, guardia del corpo.”
“Mi chiamo Oren.”
Roge gli sorrise. “Che la vostra via sia dritta.”
“Anche la tua” rispose Shani.
 
Oren camminò immerso nei suoi pensieri, Shani che lo seguiva in silenzio. Solo dopo essere usciti dalla città, lei parlò.
“La tua principessa sembrava sul punto di implorarti di restare con lei.”
“Non dire sciocchezze.”
“Se lei te lo avesse chiesto, saresti andato a Valonde?”
“Perché lo vuoi sapere?”
“Non hai risposto di no.”
Oren pensò a una risposta da darle, ma tutto ciò che gli venne in mente fu un libro che si chiudeva e che non avrebbe mai letto.
“Non me l’ha chiesto.”
 
***
Bryce risalì la passerella della nave, il cuore che le batteva all’impazzata e le guance arrossate. Sentiva ancora addosso l’odore di Vyncent e il sapore dei suoi baci.
Aveva perso il conto di quanti se n’erano scambiati dopo che lui era venuto da lei a le aveva detto di amarla e che sarebbe tornato a Valonde, non appena avesse messo al sicuro Malinor e Bardhian.
Bryce aveva accettato quel compromesso.
Che altro posso fare? Si era detta. Vyncent è fatto così. Sempre pronto a soccorrere chi è in difficoltà, ad aiutare i deboli e gli indifesi e io non lo sono. Ho distrutto un Colosso da sola.
Quasi da sola.
Senza il sacrificio di tanti, troppi, non ce l’avrebbe mai fatta. Gladia di Taloras aveva ragione. Non poteva fare tutto da sola. Doveva imparare a contare anche sull’aiuto degli altri, a fidarsi di chi le tendeva una mano. Avrebbe voluto che fosse lì per dirglielo, ma l’inquisitrice era partita senza nemmeno presenziare ai funerali solenni di sua nipote e di Eryen, entrambe morte in battaglia.
Forse il dolore è troppo forte per lei, si disse. O forse ha una nuova missione da affrontare. Qualunque fosse il motivo le augurò buona fortuna.
Elvana l’accolse con un mezzo sorriso. “È andata bene? Com’è stato il vostro ultimo saluto?”
“Meraviglioso” disse compiaciuta. “Strano che tu non sia scesa a salutarlo.”
“Ci siamo già salutati. Gli ho detto io dove trovarti.”
“Spero tu non sia stata fredda e insensibile come al solito.”
Elvana si accigliò. “Ti ha per caso detto che mi sono commossa?”
Bryce ghignò. “Vyncent dice che i tuoi occhi si sono fatti lucidi per le lacrime. Stento a crederlo, se devo essere sincera. Ti credevo incapace di piangere.”
“Sarà Londolin a piangere quando tornerà a Valonde. Se tornerà.”
“Tornerà” disse Bryce sicura. “L’ha promesso. E lui mantiene sempre la parola data.”
Il suo sguardo si spostò lungo il ponte della nave e vide Joyce fissare il molo con aria triste e accigliata.
Sospirò. “Guardala” disse. “Per lei deve essere stato difficile. Mi sento in colpa.”
Elvana ridacchiò. “Ho sempre pensato che fosse Roge il più stupido dei Valonde, ma tu lo superi.”
Bryce si accigliò.
Elvana fece un cenno della testa verso il molo. “Non sentirti troppo in pena.”
Bryce guardò nella stessa direzione e vide due figure allontanarsi. Oren e Shani, entrambi con una sacca in spalla. Erix le aveva detto che avevano deciso di proseguire da soli fino alle isole orientali.
Bryce si sentì un po’ sollevata, ma non meno dispiaciuta per la sorella. “Credi” disse esitando. “Credi che dovrei dirle qualcosa? Parlarle, insomma?”
Elvana la guardò inorridita. “Per l’Unico e gli Dei, no di certo. Sei la persona meno adatta. Ma” aggiunse subito dopo. “Purtroppo per lei, ha solo te come sorella.”
 
***
Joyce seguì con lo sguardo le due figure che si allontanavano e, quando furono sparite dietro un edificio, trasse un profondo sospiro e si allontanò camminando lungo la murata della nave.
Bryce la raggiunse e la prese sottobraccio. Joyce le sorrise di rimando e appoggiò la testa sulla sua spalla.
Salirono sul castello di prua, da dove potevano guardare il mare. La nave si staccò dal molo e prese il largo.
Solo dopo che avevano lasciato il porto e Malinor era distante e si confondeva con la costa, Joyce guardò in alto.
“Hai mai visto un cielo così azzurro?” le chiese.
Bryce scosse la testa e sorrise. “No, mai. È proprio una magnifica giornata.”
Respirò a fondo l’aria profumata di salsedine assaporandone il gusto aspro e al tempo stesso salato.
Non riusciva a non pensare a ciò che aveva perso. Vyncent, Oren, gli amici che aveva conosciuto, il compendio e persino Sibyl. Tutti si affollarono nella sua mente, i loro volti che si sovrapponevano.
Sibyl.
Lei le sarebbe mancata più di chiunque altro, ora lo capiva. Era più di una maschera che poteva indossare o togliere quando voleva.
Era parte di lei.
La parte migliore, in un modo che non riusciva a spiegare.
Non ho perso tutto, si disse. Ho ancora la magia e posso usarla. Posso riportare in vita i maghi e la loro leggenda. Come tentarono di fare Arran Lacey e la vera Sibyl un secolo fa, prima che qualcosa glielo impedisse.
E dove loro avevano fallito, lei poteva riuscire. Avrebbe raccolto l’eredità di Lacey e portato avanti ciò che lui aveva iniziato. Le servivano solo tempo e forse un apprendista o due.
Come i maghi delle leggende.
Lacey sarebbe stato orgoglioso di lei e un giorno l’avrebbe raggiunto e superato.
Joyce fissò l’orizzonte dove mare e cielo si confondevano e sorrise.
Un sorriso che poteva far tremare il mondo.
 
***
 
Arran spalancò gli occhi e fu colto dal panico. Era immerso nel buio.
Sono cieco? Si chiese.
Annaspò con un braccio proteso, tentando di afferrare un appiglio. Una mano si strinse attorno alla sua. Era calda e ruvida allo stesso tempo.
“Calmo” disse una voce profonda. “Non ti agitare.”
“Che succede?”
“Tra poco starai meglio.”
“Ho male dappertutto.”
“Sono le ferite. Si stavano infettando.”
“Non ci vedo.”
“È un effetto della pozione che abbiamo usato. Passerà.”
Svenne e riemerse dall’incoscienza più volte. In uno dei momenti di veglia vide una ragazza dalla pelle ambrata sistemargli delle coperte attorno al corpo.
“Chi sei?” le chiese con voce roca.
La ragazza arrossì e andò via.
“Resta” esclamò.
Ricadde nel sonno profondo e quando si svegliò, accanto a lui c’era un uomo. Vestiva con un saio grigio stretto in vita da una cintura marrone.
“Ti conosco?”
L’uomo scosse la testa. I suoi capelli erano grigi e radi, la pelle del viso era pallida a parte delle vistose occhiaie. “No, ma ha importanza?”
“Mi chiamo Arran.”
“Piacere di conoscerti. Io sono Vulkath.”
Arran cercò di alzarsi, ma riuscì a sollevare solo il collo. Gettò una rapida occhiata in giro. Era al centro di una tenda, steso su di un tavolo di legno. C’era puzza di sangue secco e di fango.
“Dove sono?”
“Al sicuro” disse Vulkath. “Il guaritore dice che potrai alzarti tra un paio di giorni, ma che per il momento devi riposare e concedere una tregua al tuo corpo.”
Arran annuì. Sentì la stanchezza sopraffarlo e ricadde nel sonno.
Nei due giorni successivi Vulkath tornò a trovarlo e parlarono un poco.
“Io ero un erudito.”
Vulkath sollevò un sopracciglio. “Ma sai usare la stregoneria.”
“È una storia lunga.”
L’altro sorrise. “Avrai tempo per raccontarmela. Che ne diresti di fare due passi, Arran Lacey?”
Non aspettava altro che alzarsi e uscire dalla tenda. Lasciò che Vulkath lo aiutasse a mettersi in piedi e lo sostenesse fino all’ingresso. A ogni passo sentiva le forze aumentare e appena fuori dalla tenda lasciò la mano del monaco.
La tenda da cui era uscito non era l’unica. Ne contò almeno due dozzine lì attorno, sistemate vicino ad alberi così alti e fitti da sembrare una muraglia.
Vicino alle tende e attorno a esse si muovevano uomini e donne vestiti con abiti umili. Tuniche, pantaloni e mantelli lisi dal tempo e rattoppati, se non ridotti a veri stracci.
Una mezza dozzina di ragazzini giocavano a rincorrersi tra gli alberi schiamazzando.
“Chi sono queste persone?” chiese a Vulkath.
“Quelli che hai salvato da morte certa al tempio.”
“Non è possibile. Erano solo sette o otto.”
“È vero, ma quei sette avevano famiglia e amici e questi a loro volta, avevano figli, padri e nipoti e… puoi immaginare il resto. Sono statti loro a soccorrerti e portarti qui.”
“Perché? Cosa ho fatto di così speciale?”
“Li hai salvati, Arran. Senza che ti fosse stato chiesto né ordinato. Quando ti è stata data la possibilità di scegliere, tu lo hai fatto e hai scelto di aiutarli.”
Un vecchio gli si avvicinò e sfiorò la mano di Vulkath, pronunciando una parola che non comprese. Una donna gli sorrise e pronunciò la stessa parola.
“Quella parola” disse Arran accigliandosi. “Che vuol dire?”
“Non è una parola. È il mio nome.”
“Non è il tuo nome” disse con tono scettico. “Tu non hai detto di chiamarti così.”
“È quello che mi hanno dato. Nella loro lingua significa speranza.”
Speranza, pensò Arran. Forse è solo di questo che ho bisogno adesso. O forse è quello che Sibyl e io abbiamo cercato per tutto questo tempo.
Un giovane si chinò sul ginocchio e protese il braccio verso Vulkath sfiorandogli la tunica, subito imitato da una donna e dai suoi figli, tre monelli che poco prima avevano giocato a rincorrersi con gli altri. E poi un vecchio che a stento si reggeva sulle proprie gambe e una giovane donna che somigliava a quella che gli aveva cambiato le bende giorni prima.
Vulkath strinse quelle mani protese verso di lui a una a una, fendendo la piccola folla con passo sicuro.
Arran lo seguì, dapprima incerto, poi con maggiore decisione a mano a mano che le persone si accalcavano attorno a Vulkath.
E mentre la folla di uomini e donne inginocchiate aumentava e li avvolgeva in un abbraccio, quella parola risuonava sempre più netta.
Vulkath strinse le mani di quelli che si erano inginocchiati e questi risposero pronunciando la stessa parola in una sorta di cantilena che somigliava a una invocazione.
In mezzo alla confusione, quassi travolto dai corpi che si accalcavano attorno a loro, anche Arran piegò il ginocchio e tese la mano verso Vulkath, unendosi al coro di quelli che pronunciavano quella parola.
Il nome che gli avevano dato.
La parola che significava speranza.
“Malag, Malag, Malag.”
 
FINE
(per ora)




Note finali
Ed eccoci qui ai saluti finali. Questa sarà l’ultima volta che potrò parlare con voi lettori e lettrici che avete seguito fino in fondo questa folle avventura.
Da quel “per ora” avrete già intuito che ci sarà un seguito. Quando e come ancora non lo so con precisione, ma ci sarà, prima o poi. Ho tante idee su come proseguire la storia e alcuni spunti ve li ho già dati in questo capitolo finale, ma ora sento il bisogno di scrivere qualcosa di non direttamente collegato a Joyce. Non perché questa storia mi sia venuta a noia, anzi, ma ho altri progetti che voglio sviluppare e non voglio rimandarli per sempre.
Tanto per iniziare e lo noterete già, ho iniziato a pubblicare una nuova storia intitolata Valya. Come potrete notare è ambientata nello stesso mondo di Joyce e ne riprende anche alcuni personaggi.
Valya inizia poco dopo Joyce e racconterà ciò che è accaduto sul continente maggiore da quando inizia la guerra al finale di questa storia, quindi è pressoché complementare.
Se vi è piaciuto il mondo di Joyce, in Valya lo ritroverete tutto e anche di più: in aggiunta a tutto il resto, vi saranno spade magiche, divinatori, sette di assassini e altro ancora.
È una storia dai toni più cupi e drammatici ma che volevo scrivere da tempo, fin da quando ero a metà della stesura d Joyce, ma l’ho dovuta rimandare fino a oggi per non distrarmi e risparmiare le forze per completare la storia principale.
Sarà lunga circa 1/3 di Joyce ma… mai dire mai. Anche Joyce all’inizio aveva la stessa lunghezza e guardate dove è arrivata :D
Poi, una volta terminato Valya, scriverò un prequel a tutta la storia che avrà come protagonisti Gladia, Marget, Joane e molti altri personaggi nella loro versione giovanile (la storia coprirà più o meno dieci-quindici anni e inizierà 25 anni prima per finire poco dopo la nascita di Joyce).
Il titolo?
Gladia, ovviamente, quindi potete immaginare chi sarà la protagonista.
Se volete una data approssimativa, Gladia non arriverà prima del 2021 inoltrato (diciamo verso la fine).
Dopodiché, ho in mente un altro progettino: storie più brevi, ognuna dedicata a uno dei personaggi POV di Joyce (quindi Vyncent, Marq, Roge, Oren ecc. più qualche new entry come Deliza).
Nove-dieci storie in totale, che sommate tutte insieme sono lunghe più o meno quanto Joyce.
Data probabile di inizio 2022.
Una volta conclusa anche questa fase, inizierò a buttare giù i capitoli di Joyce 2 (titolo provvisorio in attesa di trovarne di migliori).
Di cosa parlerà?
Intanto, cercherò di chiudere tutte le trame lasciate in sospeso e poi affrontare la portata principale, cioè il ritorno del drago Adrax e tutto ciò che ne consegue.
Dopo Joyce 2 vedremo. Le idee ci sono, devo solo concretizzarle nella mia mente e renderle reali.
Prima di passare ai ringraziamenti formali, vorrei rivolgere un saluto a Joyce, che per me è diventata una persona reale (sì, lo so che è folle ma è così). In questi anni è stata un’amica, una sorella e una figlia. Mi svegliavo pensando in quali guai potessi cacciarla e mi addormentavo riflettendo su come tirarla fuori da quella situazione complicata dove l’avevo lasciata. Soprattutto, mi è stata vicina quando è venuto a mancare mio padre e ho potuto rifugiarmi nel suo mondo complicato quando sentivo che il dolore era insopportabile, specie nei primi tempi.
Chiunque di voi abbia mai scritto qualcosa sa di cosa sto parlando, a tutti gli altri chiedo solo di essere indulgenti verso di me.
 
E ora, i ringraziamenti formali per chi ha messo la storia tra le preferite, tra le seguite o le ricordate (siete tantissimi 😊 )
 
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E dulcis in fundo, chi ha recensito almeno un capitolo come _ALEXEI_ morgengabe Shiro93 Scyllaya Leesha angix96 Asteria_Electra Lea Gajos jada_m Alarnis crazy lion Fenix139 Il_Signore_Oscuro jiley33 NuandaTSP Hardradae Lolo_ (se ho dimenticato qualcuna/o segnalatemelo e correggo)
 
O chi, come Fan Of The Doors e TalyaMorrissey che ha recensito o sta recensendo tutti i capitoli.
A tutti, ma proprio TUTTI, un sentito grazie per essere rimasti qui, attorno a questo fuocherello virtuale, ad ascoltare questa mia storia.
 
Lunga vita e prosperità.
Heliodor
 
1 Giugno 2017 – 31 Maggio 2020
  
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