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Autore: raven rachel roth    03/06/2020    1 recensioni
Storia ispirata ai recenti avvenimenti di quest'ultimo mese. I personaggi a cui la storia è ispirata sono personaggi realmente esistiti. La storia vuole solo offrire uno spunto di riflessione, non si vuole in alcun modo infangare la memoria dei protagonisti.
Con questo mio scritto, pubblicato senza alcuno scopo di lucro, non intendo dare rappresentazione veritiera del carattere di questa persona, né offenderla in alcun modo.
Dal testo: -"Te sei un tipo positivo?”-
-“Non lo so… credo di sì, perché?”-
-“Boh per capire come la vuoi…”-
-“Come la voglio?”-
-“Sì.”-
-“ ”Come la voglio”, cosa?”-
-“Ma come “cosa”, la verità!”-
L’uomo rimase colpito. Il ragazzo parlava in modo ambiguo ma il suo tono schietto lo sfiatava.
Genere: Angst, Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
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Con questo mio scritto, pubblicato senza alcuno scopo di lucro, non intendo dare rappresentazione veritiera del carattere di questa persona, né offenderla in alcun modo. La storia vuole solo offrire uno spunto di riflessione e rispettare i personaggi a cui è ispirata. L’inserimento dell’ “OOC” è una precauzione dal momento che l’autrice non ha mai conosciuto i personaggi a cui si è ispirata per scrivere la storia, cercando comunque di rispettarli. La storia presenta tematiche delicate di violenza, non adatta ad un pubblico sensibile.

 

Cronaca di chi resta.


-“È permesso?”- riecheggiò una voce profonda, -“C’è qualcuno?”- ma nessuno rispose.

La voce si guardò intorno, sperando di scorgere qualche volto conosciuto. La stanza era buia, illuminata solo da una lampada la cui luce bianca gli era puntata addosso. Puzzava di un odore strano, un tanfo come di un qualcosa andato a male. Le pareti erano ingiallite e prive di finestre. Ai lati, dei piccoli condizionatori cercavano di rinnovare l’aria, ma le reti fitte e arrugginite rendevano arduo il loro compito. La voce si raddrizzò.

Non riconosceva il posto in cui era, non aveva idea di chi fosse, di dove si trovasse. Nella sua testa c’era solo confusione e un’emicrania fortissima causata dal cercare di riordinare i pensieri. Si guardò le mani. Erano grandi e scure come la pece, con qualche taglietto abrasivo qua e là e sporche di fuliggine. Si tastò il petto, le spalle, fino a toccarsi il collo. Appena però sfiorò il retro, una sorta di scossa gli punzecchiò la mano.

-“Ma che diavolo…?!”-.

Anche il collo prese a dolergli e sentì una morsa strettissima. Istintivamente si ritoccò la parte dolorante, ma ciò accentuò i dolori precedenti. Rassegnata, l’ombra si sedette fiacca sul lettino. Un lettino? Più una lastra d’alluminio, lucida e fredda. Si guardò meglio. Indossava una canottiera trasandata e un paio di jeans, nulla di particolare che potesse aiutarlo a identificarsi. Si guardò nelle tasche per cercare dei documenti, ma non trovò nulla.

-“Perché non ho un’identità? Chi sono?”-.

Prese a tastarsi i polsi, uno strano cartellino gli fasciava il gomito sinistro. I caratteri però erano troppo piccoli per poterli mettere a fuoco. Quel buio e quella luce bianca e improvvisa della lampada gli avevano fatto lacrimare gli occhi. Riprese a guardarsi intorno, stavolta alzandosi e cercando un’uscita. La stanza sembrava una camera d’ospedale, con tante altre ramificate ai lati di un lungo corridoio, anch’esso triste e dall’odore nauseante. Imboccò il corridoio, salì la lunga scala a chiocciola e seguendo i giganteschi cartelli “EXIT” finalmente trovò l’androne, lasciandosi la pesante muffa alle spalle. La reception, con i banconi e le sedute ai lati erano vuote. Sembrava di essere in un edificio fantasma.

Fuori c’era una giornata grigia. Sbuffò. Forse c’era il sole, ma le spesse nuvole lo avevano oscurato. Le strade erano larghe, larghissime. Potevano contenere tre o quattro file di macchine. Gli stessi marciapiedi spaziavano un metro e mezzo per lato. Non c’erano fiori, non c’era verde, non c’erano giardini né alberi in lontananza. Tutto il panorama era cittadino, ma di un cittadino smorto, omologante. Sarebbe sembrato tutto normale se solo le strade e le zone intorno non fossero state totalmente deserte. Unici dettagli che facevano da contrasto coi negozi chiusi e le auto parcheggiate ai lati, erano pezzi di carta e volantini sbiaditi buttati un po’ ovunque, calpestati un po’ ovunque.

L’ombra si voltò a guardare l’edificio in cui si era risvegliato. Non si stupì che fosse di un colore smorto e allungato verso il cielo. Nonostante le stanze che aveva visto precedentemente però, era tappezzato di imponenti vetrate lucide e una scritta circolare percorreva i contorni della tettoia che riparava l’entrata.

-“Hen-Hennepin County… Medical …Center.”- lesse a fatica. Non riusciva ancora a mettere bene a fuoco i particolari e i contorni degli oggetti. “Medical? Allora sono in un ospedale?” pensò “Sono un inserviente? No, ero su un lettino… forse sono un paziente… oddio! E se fossi gravemente malato o avessi subito un trauma per il quale non ricordo nulla? Dannazione, dovevo guardare meglio i cartelli, magari avrei visto in che reparto ero!

Qualcosa gli sfiorò il braccio.

-“Hey?! Lei! Scusi, signore?! Può dirmi che posto è questo? Signore?!”- l’uomo prese a rincorrere un passante che parlava al telefono. Gli si piazzò accanto, cercando di richiamare la sua attenzione, ma il passante sembrava non curarsi minimamente di lui.
-“Hey? Dico a lei! HEY? Dio santo, ma mi sente? Si può sapere che razza di posto è questo, in che città o stato siamo? HEY! Ma insomma dove va?! Ma perché mi ignora?!”- il passante continuò la telefonata allontanandosi.
-“Sembra un incubo!”-
-“Lo sembra, vero?”-

L’uomo si voltò di scatto. Alle sue spalle, un ragazzo se ne stava appoggiato alla parete dell’ospedale, con le mani nelle tasche e la testa fissa verso il marciapiede. Sorrideva amaramente. L’uomo quasi era saltato in aria. Non aveva visto nessuno uscendo, né tantomeno girandosi, eppure sembrava che quel ragazzo fosse lì da sempre. Non ci fece caso.

-“Cristo, finalmente! Stavo per impazzire…”- disse l’uomo avvicinandosi al ragazzo-“… sei uno di questo posto giusto? Puoi dirmi dove ci troviamo?!”-
-“Diciamo…”- disse il ragazzo, questa volta alzando gli occhi per guardarlo. Era davvero magro, scarno. I suoi occhi erano scuri e vuoti, come se non avesse un’anima.
-“Come?”-
-“Nel senso… non è che ci sono proprio nato… e poi tutti appartengono a questo posto, dipende da che punto di vista la guardi. Te sei un tipo positivo?”-
-“Non lo so… credo di sì, perché?”-
-“Boh per capire come la vuoi…”-
-“Come "la voglio" ?”-
-“Sì.”-
-“ ”Come la voglio”, cosa?”- l’uomo stava iniziando a innervosirsi. Quel ragazzo strano gli sembrava inaffidabile ma era l’unico in giro e con cui riusciva a parlare.
-“Ma come “cosa”, la verità!”
-“La verità? Ma che intendi?”-
-“Sì insomma, la vuoi simpatica o stronza?”- L’uomo rimase colpito. Il ragazzo parlava in modo ambiguo ma il suo tono schietto lo sfiatava. -“Simpatica…credo? Boh, basta che sia vera!”-
-“ “Vera”… ”- sogghignò,-“… La verità non è mai vera! Dovresti saperlo…”- gli lanciò un’occhiata come ad indicare il suo corpo, ma l’uomo non la colse. -“… va be’. Comunque America, Minnesota.”-
-“Mmmh… okay…”- l’uomo fece per andarsene, non voleva stare in compagnia di quel ragazzo che probabilmente non aveva nulla di buono, se non l’odore di erba appena tagliata.

-“Okay? Okay un cazzo!”- disse il ragazzo uscendo le mani dalle tasche e avvicinandosi di scatto. La catenina argentata che portava al collo brillò.
-“Scusami?!”-
-“Te ne vai così? Senza dire niente? Non vuoi sapere almeno chi sono?!”-
-“Sinceramente, non mi frega. Devo cercare di recuperare la memoria dal momento che non ho idea di chi io sia. Secondo te mi importa qualcosa di chi sia tu? Sarai un tipo disastrato che spaccia ai minorenni, quindi scusa ma ciao.”

- Il ragazzo montò su tutte le furie.
- “Che grandissimo stronzo! Ma come ti permetti?!” -.
- “Modera i toni, ragazzino!” - l’uomo si gonfiò dentro, mostrando tutta la sua imponente figura.
- “Io non modero un cazzo! Sono la tua unica speranza e mi tratti così? Ma che gente oh…!” -.
- “Speranza?” -.
- “Perché, pensavi di averne? Cristo, guardati intorno…” -.

L’uomo si voltò con fare interrogativo. Le case, gli edifici, le strade, le rotatorie… tutto deserto. Tutto completamente vuoto, come se un meteorite avesse appena spazzato via l’umanità mentre ognuno era impegnato a fare qualcosa. Persino un carretto dei panini, da lontano sembrava fumare.

- “È tutto… deserto…” -.
- “Bella Sherlock, ci sei arrivato finalmente.” -.
- “Se sai cosa sta succedendo, perché non me lo dici e basta?!” -.
Il ragazzo sbuffò – “Vieni con me!” -, e tirò per la canotta l’uomo.

Si incamminarono in silenzio fino a svoltare l’angolo. L’uomo era incuriosito ma non disse nulla facendosi guidare. Non appena però cambiarono strada, fu costretto a strabuzzare gli occhi, incredulo che il paesaggio era cambiato così tanto. Come una sequenza di un film, l’immagine che aveva davanti era completamente diversa.

Adesso, le strade erano colme di gente che urlava e gridava. Fogli di carta e immensi cartelloni volavano e danzavano per aria freneticamente. Dall’altra parte, un’orda di poliziotti bandiva armi e scudi come a proteggersi da immensi mostri o leoni infervorati, come se avessero davanti la manifestazione della morte sottoforma di tigre che digrignava i denti ed era pronta a saltargli addosso. Ma in realtà, la polizia, davanti, aveva solo persone comuni, con scritte scure a caratteri cubitali.

Una ragazza si era fatta avanti. Poteva aver avuto diciassette o diciotto anni. Era minuscola, coi capelli rasati e un top che le fasciava il corpicino esile. Piangeva e gridava contro i poliziotti. Dietro di lei, la folla la incitava e la supportava. La situazione era ulteriormente precipitata quando uno spazientito le aveva sparato alla gamba, e ora la folla si stava accalcando contro le forze armate, proteggendo la ragazza. Una donna era passata accanto ai due, e l’uomo aveva giurato di averla vista passargli dentro, attraversandolo. Lei, non solo non si era accorta di niente, ma aveva pure continuato a correre verso la calca.

- “Cosa significa?” - disse l’uomo mentre nella sua testa qualcosa stava iniziando a tornare.
- “Dimmelo tu. Sembra che abbiano a che fare con te.” -.
- “Ma io non c’entro, non le conosco nemmeno queste persone…” -.
- “Lo so.” -.
- “E allora?” -.
- “Ma “allora” cosa? Sono qui per te. Non ricordi?” -.
L’uomo abbassò lo sguardo.

Sentiva altre voci oltre la calca. Non presenti, ma come se fossero proveniente da un’altra dimensione. Erano femminili, arrabbiate. Urlavano e dicevano “Lasciatelo! Lasciatelo, così lo uccidete!”. Ma non riusciva a riconoscerle.
Eppure, non sembravano arrabbiate con lui.

-“Ma se sono qui per me, perché nessuno mi vede… perché la gente urla e si dispera?” -.
- “Perché la gente è stanca. Stanca di subire addosso a qualcun altro. Stanca di subire “sulla pelle” degli altri” - il ragazzo sorrise di nuovo. Di quel sorriso spento, triste, malinconico. Come se si riferisse ad altro, qualcosa di lontano.
- “Magari tu non conosci loro, ma loro sì, e benissimo anche. Non ti vedono, ma nella loro mente tu ci sei, tu esisti.” -.
- “Perché, qui non esisto?” -rise.

Il ragazzo lo guardò stavolta preoccupato. Non diceva nulla ma i suoi occhi negavano.
L’uomo fece un passo indietro.

- “Vieni, forse avrei dovuto mostrarti questo…” - il ragazzo lo tirò di nuovo.
- “Mostrarmi? Sei un illusionista o …” - non fece in tempo a finire la frase che svoltato di nuovo l’angolo, la scena cambiò ancora.

Rimase paralizzato.
Improvvisamente tutto intorno sembrò fermarsi. Come dei pezzi che tornano al loro posto, la mente dell’uomo fu lentamente libera.
Si toccò di nuovo il collo istintivamente. Chiuse gli occhi e una lacrima gli scese lungo la guancia.
Era un gigante ma piangeva come un bambino. 

 

PLEASE…I CAN’T BREATH…PLEASE…
Please… Let him go!
Monsters! You are killing him, monsters!

 

La macchina, il poliziotto, il suolo freddo e un peso gigante sul collo.
Sembrava che quel peso lo stesse sopportando da sempre. Che quel peso fosse quello che si portavano addosso migliaia e migliaia di persone come lui. Milioni di esseri umani. Ma in quel momento non le pensava queste cose, né le capiva. Le stava realizzando solo ora guardandosi. Poi ci fu silenzio e il poliziotto gli prese il polso.
Nessun battito.
Anche se cercava di non darlo a vedere, sembrava innervosito. Seguirono caos e trambusto. Rumori di ambulanza e poi niente, il silenzio.

Come da un sogno, o meglio, da un incubo, l’uomo si risvegliò e si ritrovò seduto su un qualcosa di invisibile, con le gambe a penzoloni che puntavano il mondo sotto di lui. Le case e i palazzi visti da lassù sembravano così piccoli.
Il ragazzo che lo aveva accompagnato prima, gli si avvicinò da dietro e si sedette accanto a lui con le gambe nel vuoto, porgendogli una birra. L’uomo ringraziò senza guardarlo.

- “Era meglio la verità stronza.” -.
- “Già” - sorrisero.
- “A te che hanno fatto?” -.
- “Niente di ché, quattro cazzotti qua e là …” - rise indicandosi il viso che ora appariva visibilmente sfigurato e il labbro rotto.
Due enormi ematomi gli marcavano gli zigomi.

- “… Ma che ci vuoi fare? Avevano finito i sacchi da boxe con cui allenarsi… e così si sono cimentati con quello più duro! Capita quando sei un frustrato e non sai con chi prendertela. ” - disse battendosi un pugno al petto con un sorriso soddisfatto. -“E poi sai, gli conveniva, ero già stato condannato a me stesso. Alla fine non c’è un perché… c’è solo un come. ”-.

- “Però loro pensavano che fossi- che fossimo - più deboli.” -.
- “E si sbagliavano. Guarda che cosa abbiamo scatenato!” -.
- “Vero…” -.

Sospirarono.

- “E ora?” -.
- “Boh… sigaretta?” -.
- “No, intendevo, e ora che succede?” -.

Il ragazzo alzò le spalle.
- “Aspettiamo.” -. L’uomo fece “sì” con la testa.

- “Comunque piacere, Stefano…” - disse porgendogli la mano - “Stefano Cucchi.” -.
L’uomo ricambiò il gesto - “Floyd, George Floyd.” -.
- “Sì, lo so.” -.

Risero.

   
 
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