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Autore: _Lightning_    04/06/2020    2 recensioni
[INCOMPIUTA]
«Mi sembrava che ne avessi bisogno,» sussurra Natasha, con voce velata, e Tony sorride appena a quello sfoggio di spavalderia che sanno entrambi essere inutile.
«Decisamente,» non la contraddice, ma aumenta un poco la stretta e sente la sua farsi quasi disperata a sottolineare quanto ne avesse bisogno anche lei.
Come se quell’abbraccio potesse alleggerire il dolore di entrambi, o fonderlo in modo da renderlo più comprensibile, meno oscuro.
Non sa se Natasha lo stia trascinando verso il basso per piantare un ormeggio sicuro, o verso l’alto, a fluttuare incerto a mezz’aria. Ma sfiora la terra con la punta dei piedi e rimane lì, in equilibrio, in bilico con lei.

In un universo in cui lo schiocco ha reciso e distrutto legami, chi è rimasto è costretto a ricostruirli, ritrovarli, o crearne di nuovi, con il costante interrogativo di quanto sia giusto andare avanti quando ci si è lasciati così tanto dietro.
[pre-Endgame // Hurt-comfort // IronWidow + Pepperony // PoV Tony]
Genere: Angst, Hurt/Comfort, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Natasha Romanoff/Vedova Nera, Pepper Potts, Peter Parker/Spider-Man, Tony Stark/Iron Man
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Incompiuta, Tematiche delicate, Violenza
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.19.

Fratture
 
 
 
 
“Gli apparvero ora in una specie di voragine, appena visibile in basso, sotto ai suoi piedi, tutto quel passato e i pensieri di una volta,
i problemi e gli argomenti e le impressioni di un tempo, e tutto quel panorama, e lui stesso, e tutto, tutto...
Gli sembrava di volar via in alto, chissà dove, e che tutto dileguasse ai suoi piedi.
 
Gli parve di essersi in quel momento staccato, come con un colpo di forbici, da tutti e da tutto.”

 Delitto e Castigo – F. M. Dostoevskij


 
 
 
3 Giugno 2019, Primo anniversario della Decimazione, Complesso dei Vendicatori
 
Non è riuscito a spremersi fuori nemmeno una lacrima. Neanche una per le telecamere, per mostrare al mondo che Tony Stark ce l’ha, un’anima, anche se malridotta. Ma senza alcol non ha lacrime. Un’alternanza imperfetta e deleteria con la quale non riesce a tenere il passo.

Sbatte la porta della camera dietro di sé. O almeno, pensa di farlo, pensa che sarebbe il modo più adatto ad esprimere il caotico tumulto che lo scuote da capo a piedi, l’acido che lo brucia e gli rimesta dentro in gorghi venefici, ma finisce per accostarla con dita tremanti, abbassando la maniglia per chiuderla. Piano, cercando di non far rumore. Come per illudersi di non esistere, di non essere davvero lì. 

Non lo è.

È su Titano. È sulla Benatar. È nel portale, sette anni fa. Ma al posto delle navi aliene, ad attenderlo dall’altra parte vede dei monoliti che fluttuano tra le stelle. Marmo antracite, inciso di migliaia, migliaia di nomi. Milioni. Tozzi e sgraziati, imponenti come la perdita che rappresentano, troppo piccoli per racchiuderla davvero.

Li odia. Ha odiato vederli lì, in mezzo a Central Park. Troppi, troppi, troppe file, troppi nomi. Peter. Peter. Peter. Gli sembrava ripetuto all’infinito, al posto di tutti gli altri. Non Pepper, non l’ha voluta là sopra, non l’ha voluta impressa nel marmo. Non l’ha vista là sopra perché è stata accanto a lui, per tutto il tempo, un fantasma che non ha avuto il coraggio di guardare davvero – e si pente, avrebbe dovuto farlo, anche solo per convincersi di non aver dimenticato il suo volto – ma è proprio per questo che non l'ha fatto, perché non è sicuro di ricordarlo e lei non è davvero lì. I suoi lineamenti sono annacquati, tremolano sulla superficie dei suoi ricordi e ha paura di metterli a fuoco per timore di non riuscirci.

È su Titano. È sulla Benatar. È nella grotta – deve uscire, deve uscire – è Iron Man, deve uscire – ma gira su se stesso nel buio. Le mura sono nere, incise di nomi; si sgretolano, si ricompongono e si fanno sabbiose, granelli di stelle che gli perforano le retine.

Sta allucinando. Una parte di sé, quel barlume di sanità che ancora gli tiene attaccata la mente al corpo, lo sa. Space dementia, strascichi alcolici – comunque sia, non è reale. Sente la voce di Bruce, rassicurante: non è reale. Respira. Trova un appiglio, concentrati. Respira. Ripeti.

La stanza trema e stinge, diventa grigia di cenere. Lo ricopre con una patina, un sudario polveroso che gli si incolla ovunque sulla pelle madida. Non si è accorto di essere scivolato a terra, contro il letto. Non si è nemmeno reso conto di aver recuperato una bottiglia da chissà dove – l'ha nascosta, lo ricorda. Non la apre. La stringe tra i palmi viscosi di fuliggine e sangue – sta sanguinando, ha il fianco squarciato che palpita atroce – e fissa il pavimento.

Sabbia, roccia, vuoto cosmico. Marmo inciso di nomi – dello stesso nome. Si alternano psichedelici come un dance floor difettoso. La intravede accanto a sé e non si gira perché non la ricorda: non sa più il punto d’azzurro dei suoi occhi, i riflessi dei suoi capelli, non conosce più le vibrazioni della sua voce. Lascia che la sua sagoma evanescente si accosti a lui senza poterlo toccare. La respira, la immette nei polmoni fino a farli esplodere e li sente sgonfiarsi con una stilla di sollievo acidulo che lo fa tremare. Un ricordo, etereo, che gli soffia sull’anima a ravvivarla. Un profumo – l’ha sempre saputo.

Gigli. Erano gigli.

 

§


Ore dopo, Complesso dei Vendicatori

Lo stillicidio si è protratto per quelli che gli sono sembrati anni luce. Una tortura fatta di pensieri fin troppo chiari e nitidi, che però non ha voluto annebbiare con l'alcool. Torture di ri ricordi, quelli che per un anno intero ha tenuto imbrigliati come poteva e che adesso erompono pretendendo la sua attenzione, intimandogli di non essere dimenticati. Gli sembra sempre così spietatamente ironico che lui, il Futurista, sia costantemente stritolato dalle zanne del passato. O forse è proprio per quello che si slancia sempre verso il futuro, in quella che somiglia fin troppo a una fuga cieca.

Di peggio, però, c'è rimanere bloccato nel presente. Nel qui ed ora, nei dicembri innevati e nelle astronavi alla deriva. Quello è il tempo che più detesta, e deve proiettarsi, deve guardare avanti anche solo di un millimetro. Un Futurista in miniatura: il prossimo giorno, la prossima ora, anche solo il prossimo secondo. Il prossimo passo, uno alla volta. Un-due-tre. E diventano mille, diventano chilometri che consumano le sue forze, ma anche il dolore; lo smussano calpestandolo.

Quei passi finiscono per portarlo in sala comune. È mezzanotte e la trova vuota proprio come aveva sperato, se non per una persona – e ammette che aveva tacitamente sperato anche in quello, a un livello inconscio che non è certo di voler accettare del tutto, visto che la fiducia è un'arma a doppio taglio.

Natasha è seduta sul divano, con una bottiglia di quella che sembra vodka in una mano e un bicchierino pieno fino all’orlo nell’altra. Gli rivolge un’occhiata sbieca non appena lo vede avanzare nell’alone di luce tiepida della lampada da lettura, per poi vuotare d’un fiato il bicchiere e rabboccarlo senza battere ciglio. La bottiglia è vuota per metà.

Tony distoglie lo sguardo senza un commento, sentendosi ancora avvolto da sensazioni che non dovrebbe provare, anche se più ovattate rispetto a quel pomeriggio. Ha dormito un sonno denso come pece, indotto da spossatezza, Valium e volontà di far scorrere rapidamente via quella giornata interminabile. Manca comunque mezz’ora, e quell’ultima sezione di quadrante sull’orologio sembra dilatarsi con ogni secondo che passa – o non passa.

La sua testa è ancora una boccia per pesci rossi troppo piena, pronta a strabordare da un momento all’altro in ondate di pensieri, ma almeno è di nuovo qui. L’emicrania latente gli preme contro la base del cranio, a confermare la propria solidità fisica. Beve un bicchier d’acqua e ha per un istante l’illusione del bruciore dell’alcol sulla lingua, subito rimpiazzata dalla frescura vellutata del liquido insapore nella sua bocca riarsa.

Sente un lieve cozzare di vetro contro vetro, e scorge con la coda dell’occhio Natasha che poggia la bottiglia sul tavolo, tenendo il bicchierino pieno tra due dita con lo sguardo perso altrove. La vede assente come di solito non è mai, chiusa in un limbo tra estrema tensione e spossatezza che rende scattosi e al contempo fiacchi i suoi gesti. Manda giù anche l’altra dose di vodka, apparentemente insensibile alla gradazione alcolica fuori norma.

Tony ripensa ai filmati di sorveglianza a Rio, alla mattanza che si sono ritrovati davanti agli occhi lei e Rogers, alla discussione sul filo del rasoio in sospeso da ieri. La ben nota sensazione in fondo allo stomaco si ripresenta più aguzza. Non è superstizioso, ma ormai la associa sempre a un cattivo presagio, all’avviso perentorio che qualcosa stia per precipitare. È lui ad assestare la spinta definitiva:

«Non c’eri, stamattina,» osserva, con voce arrochita e ancora lievemente impastata.

Il retrogusto dei medicinali è nauseabondo.

«Ho del jet lag latente,» ribatte lei serafica, senza scomodarsi ad allestire una bugia più credibile. «Vi ho visto in TV

A Tony sembra che ogni frase che pronunciano sia volta a ferire più o meno sottilmente l’altro. Sì, è decisamente un'arma a doppio taglio, la fiducia, e anche ben affilata.

«Un bello spettacolo, spero,» replica lui, scacciando la sovraimpressione delle gigantesche lapidi dalla propria visuale.

La intravede scrollare appena le spalle, come se non trovasse un motivo per esprimere un’opinione al riguardo, ma è conscio che gli obbiettivi delle telecamere hanno fornito un servizio impietoso su lui, Rogers e gli altri. Serra i palmi sul bordo della penisola, accigliandosi alla realizzazione che, mentre lui è messo costantemente a nudo in ogni circostanza, lei continua a tenersi stretti quei “difetti di fabbricazione” senza mai esternare davvero nulla. Non fa commenti in proposito: sarebbe solo crudele. Si avvicina invece con passi rallentati, scrutando le sue reazioni in cerca di un qualche segnale rivelatorio che è destinato a non trovare, lo sa.

«Sei ubriaca?» chiede poi, prima di ponderare la sensatezza di quella domanda.

Lei, inaspettatamente, sbuffa un risolino beffardo.

«No. Avrei bisogno di una distilleria intera.»

Tony sospira a mezza bocca e affonda di più le mani nelle tasche.

«Se vuoi compagnia…»

«Ho passato sei mesi a tenerti lontano dall’alcol: lo considererei un affronto personale,» lo blocca Natasha, ingollando un altro bicchierino d’un sorso.

Tony sbuffa attraverso un sorriso carico di tensione.

«Non ho intenzione di vanificare i tuoi sforzi.»

«Ho comunque l’impressione che prima stessi facendo qualcosa di altrettanto poco sano.»

Quella finta e affondo va a segno con precisione. Reclina il capo, attendendo una sua risposta, e lui si limita a liberare un respiro più sonoro dal naso.

«Sì, ma sono stato bravo,» puntualizza con voluta vaghezza. «Te l’ha detto Rhodey?» chiede poi, inquisitore e con un velo di sospetto che lo fa agitare sul posto.

«L’ho intuito da sola. Sei prevedibile,» constata lei, accompagnandosi con un’alzata di spalle che lo irrita e spiazza al contempo. «Adesso sei qui?» chiede poi, con una naturalezza tale da prosciugargli ogni volontà di mentire.

«Più o meno,» mormora riluttante, con ancora delle sparute lucciole a danzargli nella visuale. «Al… 60%, direi. È una percentuale accettabile rispetto ai miei ultimi standard.»

Natasha sorride appena, come se avesse detto qualcosa di divertente. La fissa interrogativo nel cogliere poi un lampo rattristato nel suo sguardo, in contrasto con quel gesto. Forse non è il solo a non sentirsi davvero “qui”. Lancia un’occhiata all’orologio, che segna pochi minuti prima di mezzanotte, e in un sol movimento mal ragionato si lascia cadere seduto accanto a lei, facendo un cenno del mento verso la bottiglia.

«È una giornata di merda per entrambi: un goccetto per concluderla posso concedermelo anch’io, sotto la supervisione di un adulto responsabile,» dice poi, sostenendo il suo sguardo penetrante.

Lei lo tiene sulle spine per qualche istante ponderato, poi riempie il bicchierino a metà e glielo porge senza una parola, colmando anche il proprio fino all’orlo.

«Non mi definirei “responsabile”,» gli contesta poi, con un angolo delle labbra che si solleva impercettibilmente.

«Perché credi che venga da te, quando voglio fare qualche cazzata?» ribatte pronto lui, imitando specularmente la sua espressione, che si allenta di un’ulteriore tacca a quelle parole e che le porta però un’ombra aggiuntiva negli occhi a quella recriminazione inespressa.

Tony fa cozzare il fondo del bicchierino contro il bordo del suo.

«Alla fine di questa giornata di merda.»

Mandano giù il brindisi in sincrono con l’orologio che batte la mezzanotte, senza che per questo possa cambiare davvero nulla. Tony trattiene un rimasuglio d’alcol in bocca, assaporandone il bruciore quasi dimenticato e sentendolo marcare il proprio percorso di labili fiamme fino allo stomaco vuoto. Sente la pressione che gli spinge la mano a versarsene altro, ma Natasha lo pone fuori dalla sua portata e lui riesce a soffocare l’impulso prima che prenda il sopravvento, osservandola poi mentre elimina la tentazione alla radice versandosi un ultimo bicchiere e scolando il fondo di vodka in pochi sorsi cadenzati direttamente dalla bottiglia.

«Quanto ci vuole, per farti ubriacare?»

È suo malgrado impressionato, pur rammentando occasioni in cui l’ha vista bere quantità d’alcol decisamente più notevoli.

«Molto, e nessuno ti obbliga a rimanere,» è la sua risposta difensiva, accompagnata da uno sguardo d’un tratto ostile, come se avesse processato solo ora l’accusa indiretta d
irresponsabilità che le ha rifilato prima.

«Era una domanda disinteressata,» ribatte Tony, facendo appello a una pazienza che di solito non gli appartiene.

«Meno di Steve,» risponde, più accomodante ma senza fornire dati precisi. «Ma non sono mai riuscita a incastrarlo per una gara, quindi sono stime del tutto teoriche.»

«Se mi stai chiedendo di andare a ripescarlo per condurre l’esperimento, la risposta è no

«Con lui ho già chiuso, per oggi. Poi è toccato a Bruce e adesso a te… poi spero di finire il turno.»

«Scusi tanto: avrei dovuto prendere appuntamento prima, dottoressa Romanov,» replica lui, sarcastico e un po’ piccato, abbandonandosi contro lo schienale per poi incastrarsi semi seduto nell’angolo rivolto verso di lei.

Lei scuote la testa, e la intravede sfregare rapida un indice sotto la rima degli occhi, in un gesto difficilmente fraintendibile che però sceglie di ignorare, trovandolo più destabilizzante di un pianto sfrenato. Si rigira il bicchiere in mano, e l’ultima dose di vodka scompare a un gesto deciso del suo polso.

«E quando tocca a te?»

Natasha lo fissa quasi contrariata, per poi addolcire la propria espressione.

«Mai,» risponde soffusa, chiudendo la bottiglia con un’avvitata decisa, ed è sicuro di cogliere un tremolio nei suoi occhi.

L’antifona è chiara, come d’altronde lo sarebbe anche senza alcun bisogno di esprimerla vocalmente: non c’è nulla di cui parlare. Non parlano mai davvero, si scambiano solo frasi dimezzate che si incastrano stridendo con quelle dette in precedenza, a formare una trama sempre maldestra e mai completa.

«È per Barton, vero?» insiste comunque, fissandola intento dal suo cantuccio improvvisato e includendo la bottiglia vuota nella sua visuale. «Non mi sembri il tipo che tiene molto da conto le ricorrenze,» specifica poi, in risposta alla piega contratta che le compare tra gli occhi.

Lei si rigira il bicchierino vuoto tra i palmi, curva coi gomiti sulle ginocchia, e Tony quasi trattiene il fiato nel capire che forse non sta per ricevere una risposta artefatta, né un depistaggio, né una richiesta di distanza. Le tremano appena le dita, e ha di nuovo quello sguardo vacuo che le apre abissi nelle iridi.

«È personale,» proferisce poi, rigidamente. «Quello che ha fatto Clint. Sono anni che non usa armi bianche, che vuole una distanza dalla morte.» 

Tony si chiede per quanto tempo si sia rigirata in testa quel concetto prima di esprimerlo ad alta voce.

«Parliamo di conti in sospeso?» la interroga piano, consapevole di camminare su del ghiaccio molto sottile.

«Parliamo di persone diverse,» replica lei, serrando le labbra in una smorfia amara. Incontra per una frazione di secondo il suo sguardo, rivelando un’ombra di sofferenza che non le ha mai visto addosso. «Forse non voglio davvero trovarlo, ma devo.»

«Per i debiti.»

«Non si estinguono da soli.»

Tony frena la lingua e tace altre domande, assecondando il silenzio di pensieri che porta con sé quell’affermazione. Invece, imbocca d’istinto una strada più diretta, più pratica, come quel giorno innevato che sembra già appartenere a un'altra epoca:

«Ti lascio libero accesso a FRIDAY per le ricerche.»

Si pente di averlo detto nel momento stesso in cui finisce di articolare l'ultima sillaba, ma non è tipo da tornare sui propri passi, e quindi trasforma le parole in fatti con pochi comandi che impartisce tramite il cellulare che ripesca dalla tasca. Sente il suo sguardo silenziosamente stupefatto addosso, e pizzica come cristalli di ghiaccio acuminati contro la pelle. Interrompe i suoi traffici e fa un profondo respiro, senza alzare lo sguardo.

«Conosci i miei standard, Romanov… non farmene pentire,» specifica poi, con voce un po’ contratta.

L’improvvisa mole di fiducia che le sta accordando gli sembra d'un tratto ingestibile. Ed è consapevole che, indirettamente, le sta chiedendo di ricambiare quella concessione. È un gesto che non lascerà debiti, ma non privo d'interessi: è solo questione di capire se Natasha sia disposta a ripagarli con la stessa moneta. La fiducia è una valuta fin troppo mutevole che rischia di lasciare chiunque con un pugno di niente.

Lei sembra presa in contropiede, per uno di quei singoli istanti che svelano le sue emozioni malridotte, poi annuisce con un unico, lieve cenno del capo che le irrigidisce i lineamenti. Tony si trova confuso a sua volta quando Natasha, come se fosse il gesto più naturale e scontato del mondo, porta le gambe sopra alla seduta, gli volta le spalle e si reclina all’indietro poggiando la schiena contro di lui. Tony quasi sussulta a quella richiesta di contatto decisamente fuori dagli schemi, ma si immobilizza senza ritrarsi, un braccio bloccato dal suo peso.

Coglie un picco di turbamento quasi elettrico da parte sua, un qualcosa che non le riesce a controllare, né volontariamente, né tramite quell’addestramento odioso che le è stato imposto. Paura. Di esporsi troppo, o troppo poco. Di essere troppo vicina all'orlo del baratro e perdere l'equilibrio. Di chiedere un conforto di cui forse ha bisogno anche lui.

«Hai intenzione di dormire così?» le chiede infine, con un filo di rassegnazione volutamente esasperata.

«Forse. Sei meno scomodo di quanto sembri e ho dormito in posti peggiori.»

Tony sbuffa un sospiro, alzando gli occhi al cielo.

«Se doveva essere un complimento, non sembrava tale.»

«Non vorrei rischiare di fomentare ulteriormente il tuo ego da diva, Stark.»

Lui esala un mugugno basso e seccato in risposta, lasciandosi scivolare ancora sullo schienale e allungando un poco sul pavimento le gambe già indolenzite. Natasha reclina la nuca sulla sua spalla, cercando di utilizzarla meglio come cuscino, e dopo un paio di manovre turbolente sembra assestarsi definitivamente contro il suo busto. Non riesce a vederla in volto, così, ma presume che non abbia ancora chiuso gli occhi. Rimangono muti per molti ticchettii d’orologio, col calore condiviso che si espande tra loro. Tony si ritrova a socchiudere gli occhi, con le palpebre che si fanno più pesanti, ma si riscuote con un fremito.

«Ti aiuta, almeno? O è solo un modo fantasioso per rompermi le scatole?» chiede sottovoce, un po' scherzoso e un po' no.

In tutta risposta si ritrova un suo gomito piantato con precisione chirurgica nella milza, cosa che a dispetto della fitta gli strappa una risata sommessa.

«Entrambi,» la sente mormorare poi controvoglia, mentre si stringe le braccia al petto quasi a offrire meno bersaglio.

«Bene, mi piace rendermi utile,» borbotta lui, gli occhi di nuovo a mezz’asta, deciso però a non lasciarle l’ultima parola. «Massimo risultato col minimo sforzo,» aggiunge poi in un mezzo grugnito, svicolando il braccio bloccato sotto di lei e passandoglielo inavvertitamente attorno alla vita alla vana ricerca di una posizione più comoda che non gli distrugga la schiena.

La sente irrigidirsi di scatto, bloccando il fiato in gola, e lo ritrae immediatamente incastrandolo invece tra loro e il divano, in zona neutrale. È lei a riportarlo delicatamente nell’assetto di partenza, andando poi a cingergli il polso sfregiato. Tony si acciglia, ma non commenta quel ripensamento, né lei fornisce spiegazioni in proposito. Non vuole immaginare quali tasti possa aver sfiorato, e reprime la propria molesta curiosità mista a preoccupazione, limitandosi a mettere in rilievo il fatto che, forse, per una volta è lui a fare qualcosa per lei.

Scansa da parte la realizzazione che quella è la terza volta che dorme con Natasha e la prima in cui sia pienamente cosciente di sé, la prima in cui dovrebbe sentirsi effettivamente esposto e vulnerabile. Ma non arriva nessun pensiero convoluto ad occludergli la mente, se non quello che, a dispetto di tutto, è rassicurante avere un semplice tepore umano che lo distrae dal freddo del lato vuoto di un letto – soprattutto oggi. Per un momento, il passato smette di rincorrerlo e il presente non tenta più di inghiottirlo, così non è costretto a correre incontro al futuro. Esiste e basta, sospeso nei tempi
.

Si limita a stringere Natasha e a chiudere gli occhi per cancellare quelle riflessioni, prima che gli avvolgano la mente col loro drappo oscuro e stellato. La sente respirare in controtempo addosso a lui, sveglia, e si abbandonano un respiro alla volta al sonno che arriva leggero, in punta di piedi e con incubi puntualmente interrotti da mani fidate.



 
 

Note:

-Vi è un collegamento abbastanza stretto tra la prima parte del capitolo e la one-shot
H-8, che originariamente ne faceva parte ed è poi stata riadattata come pezzo a sé stante... ma se volete un'altra dose d'angst in endovena, ve la consiglio :D


Note dell'Autrice:

Massalve, cari Lettori!
No, la storia non è morta e sepolta... è solo che ho avuto bisogno di uno stacco netto dalla scrittura per un periodo, in particolar modo di una pausa da questo fandom, visto che ero arrivata a un punto di saturazione. Adesso credo di essere rientrata in carreggiata, e per questo ho deciso di "ricominciare" da questa long, abbandonata a se stessa da fin troppo tempo. A voi i commenti, io mi limito a dirvi che questo è il capitolo di svolta e che spero davvero di sorprendervi col prossimo... sì, anche voi che avete letto la versione-bozza su Wattpad :P

Ringrazio di cuore leila91 e _Atlas_ per aver recuperato tutti i capitoli in tempo record, e Miryel, shilyss (grazie per l'aesthetic!) e T612 per i commenti e per supportare la storia <3 E un grazie anche a chi legge in silenzio e aggiunge alle liste. Sappiate che tutti voi siete il motore di questa storia e il motivo per cui continua ad andare avanti <3
Alla prossima,

-Light-

 
   
 
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