Libri > Hunger Games
Ricorda la storia  |      
Autore: Demetria_    04/06/2020    0 recensioni
"Scacco matto."
Questa è una one shot sulla reclusione e le torture subite da Peeta a Capitol City, dopo gli eventi dei 75esimi Hunger Games. O meglio, come mi sono immaginata il depistaggio del ragazzo del pane.
Genere: Drammatico, Guerra, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Katniss Everdeen, Peeta Mellark, Presidente Snow
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Tematiche delicate
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Checkmate
 
“Mi chiamo Peeta Mellark, sono del Distretto 12 e ho diciassette anni.” Risucchio velocemente l’aria dalla bocca e poi mi concentro sulle immagini che mi scorrono davanti agli occhi.

Vedo il bosco, la recinzione, il prato. Non ci sono rumori, avverto l’erba frusciare sotto la brezza che scuote anche le fronde degli alberi. Vedo la città, la piazza vuota davanti al Palazzo di Giustizia, la panetteria. I miei genitori e i miei fratelli sono dentro, a lavorare in tranquillità. I maiali in giardino grugniscono sotto il sole estivo, più in là, vedo l’esterno del Forno e poi il giacimento. Sbatto le palpebre un paio di volte, cercando di impedire alla polvere di irritarmi gli occhi. Alcuni minatori stanno risalendo dalle miniere, altri vi si dirigono per l’inizio del loro turno. Qualche viso si affaccia alle finestre sporche, gli occhi grigi che scrutano l’area. Mi muovo rapido, fin troppo e in un attimo mi ritrovo a percorrere il viale d’ingresso del Villaggio dei Vincitori. La brezza che torna ad accarezzarmi il viso, mentre osservo in disparte le ville di Haymitch e Katniss.

Katniss.

“Ripeti!” una voce tuona sopra il rumore dell’estate. Una tenue scossa mi percuote e il muscolo della spalla si tende in uno spasmo.
“Mi chiamo Peeta Mellark, sono del Distretto 12 e ho diciassette anni” le immagini tornano al punto di partenza e ora mi trovo ai margini del bosco.
“Continua”
“Ho partecipato agli Hunger Games e all’Edizione della Memoria. Sono un Ribelle, come Katniss.” Dico, sussurrando le ultime parole. Il pacificatore che domina questa sessione alza lo sguardo sopra di me e attende ulteriori istruzioni. Poi annuisce e torna a puntare la visiera scura su di me. Ho giusto un attimo di tempo per osservare il mio riflesso: sono steso su una poltrona da dentista, i polsi legati ai braccioli e la testa tenuta ferma contro una struttura in ferro. E poi torno a fissare le immagini, impotente.

Dal bosco vedo spuntare Gale, tra le mani ha un paio di conigli e Katniss, al suo fianco, ancora impugna il suo arco. Sotto la giacca che una volta apparteneva a suo padre, fanno capolino due uccelli dal piumaggio estremamente familiare. Li seguo oltre al prato; si dirigono verso il Forno, passano davanti alla panetteria, dove adesso i miei genitori litigano e i miei fratelli lottano tra i maiali. Katniss gira lo sguardo e li vede, ma non dice niente, prosegue a fianco di Gale.

“Chi sei?” mi intima il pacificatore e avverto un’altra scossa.
“Mi chiamo Peeta Mellark” vedo il Giacimento, Katniss attraversa la strada sporca e arida; gli occhi alle finestre si nascondono dietro le tende usurate. “Sono del Distretto 12” l’orto che circonda la sua abitazione è spoglio, denutrito come la maggior parte degli abitanti del Distretto; la capra di Prim sosta sull’uscio. “E ho diciassette anni” dei flash mi procurano lievi ma lancinanti fitte alle tempie. Katniss entra in casa e si chiude la porta alle spalle, impedendomi di entrare.
“Dove si trovano i tuoi compagni?” il pacificatore allunga una mano alla mia destra, al di fuori del mio campo visivo. Il quieto ronzio di un frenetico battito d’ali quasi rimbomba nella cella.
 “Signor Mellark, sa che i Ribelli l’hanno abbandonata nell’arena?” dice, un’altra voce che non sembra provenire dalla stanza e le immagini tornano a scorrere, ma stavolta mi portano nel Villaggio dei Vincitori.
“Continua!”
“Ho partecipato agli Hunger Games e all’Edizione della Memoria” Katniss mi guarda dall’ordinato vialetto di Haymitch, stringe ancora il suo arco tra le mani. “Sono un Ribelle, come Katniss.” Il pacificatore stringe le cinghie attorno ai miei polsi, facendomi respirare rumorosamente.
Le immagini si dissolvono temporaneamente. Al loro posto, uno schermo proietta il volto quasi annoiato del Presidente Snow, rigido e seduto composto nella sua poltrona di velluto.
“Signor Mellark, io vorrei aiutarla, ma lei non mi lascia altra scelta” la sua voce gracchia attraverso gli altoparlanti. Il pacificatore si sposta alle mie spalle e in un attimo mi avvolge un lembo di seta attorno alla gola e stringe. Spalanco la bocca in cerca di aria, ma non protesto.
La foto di Katniss risalente ai 75esimi Hunger Games brilla di fronte ai miei occhi, l’inno di Panem risuona in tutta la stanza ed il pacificatore comincia ad allentare la presa. Il Presidente Snow torna sullo schermo, ora sorseggia del tè in una sfiziosa tazza di pregiata ceramica; fa tintinnare il cucchiaino sul bordo e poi lo poggia sul piattino dello stesso servito. “Mi dica” e il pacificatore lascia andare la presa. “Pensa davvero di conoscere Katniss Everdeen?”
Le immagini tornano a vorticare di fronte ai miei occhi: sono di nuovo a fissare Katniss, nel Villaggio dei Vincitori. L’aria è ferma immobile, nuvole grigie come i suoi occhi ci sovrastano.

“Chi sei?” il pacificatore torna davanti a me, si allunga alla mia destra, il ronzio mi invade le orecchie e stavolta avverto una scossa dietro al collo, sulla nuca.
“Mi chiamo Peeta Mellark” Katniss adesso stringe tra le mani un arco argentato, come quello che usava nei Giochi e poi comincia a camminare. Si sposta, mi passa davanti ed io la seguo. “Sono del Distretto 12” oltrepassiamo la collina e ci dirigiamo a gran passo verso la piccola cittadina. Sorpassiamo la piazza principale dove le persone si stanno ammassando sotto i grandi schermi installati per vedere gli Hunger Games. Katniss, in fondo alla folla, ha il braccio alzato, le tre dita al cielo, ma nessuno pare vederla. E quindi continua a muoversi, arco alla mano, finché non raggiungiamo la panetteria, dove si ferma e si accuccia.
“Signor Mellark, Katniss Everdeen l’ha rovinata, ci ha rovinato tutti. Dove pensa che sia?” Un senso di inquietudine e nausea mi pervade, mentre mi aggrappo disperatamente ai braccioli imbottiti.
“Continua”
“E ho diciassette anni” ci metto più tempo del solito a formulare il solito copione. “Ho partecipato agli Hunger Games e all’Edizione della Memoria” il pacificatore mi da un colpetto non appena vede che ho chiuso gli occhi.
“L’hanno abbandonata. Katniss Everdeen l’ha abbandonata. L’ha sfruttata per il tempo che le è convenuto” lo stomaco mi si rivolta e sento montare la rabbia. Il pacificatore fa in tempo a sganciarmi la testa dalla struttura in ferro, di modo che non finisca per soffocare nel mio stesso vomito. Quando ho finito, nessuno ha la premura di pulirmi, piuttosto sento ricadere la testa nella consueta posizione ed il pacificatore non attende ulteriori ordini per rilegarmi. “È rivoltante, lo so.” Il Presidente Snow scompare dalla mia vista, ma il gracchiare dell’altoparlante mi fa intuire che sia ancora in collegamento.

Torno a concentrarmi su Katniss: non è più accucciata, è irta, fiera, l’arco ancora teso e la faretra conta qualche freccia in meno rispetto alle immagini precedenti. Seguo la direzione del suo braccio teso, che punta verso casa mia, la panetteria. I miei fratelli giacciono nel fango secco, tra i maiali che li scuotono con i loro musi e grugniscono feroci contro i loro corpi inermi. I miei genitori sono accasciati uno contro il bancone e l’altro sotto la fornace, morti, trafitti ognuno da una freccia argentata.
Inorridisco e vengo scosso da forti tremiti.
“Katniss Everdeen li ha uccisi tutti” pronuncia il Presidente Snow, più fermo che mai. Un veloce flash mi porta di nuovo nel Villaggio dei Vincitori, giusto ai piedi della collina. Una coltre di cenere si smuove ai miei piedi ed un fumo denso mi attraversa le narici, facendomi tossire: vedo le persone che si erano radunate sotto i grandi schermi fuggire, tra le fiamme, che avvolgono ogni cosa. Katniss è opposta a me, davanti a me, l’arco pronto a scoccare la sua freccia, contro di me.
“Chi sei?” grida ancora il pacificatore.
“Sono un Ribelle” dico, ma esito nel continuare. Il pacificatore mi colpisce allo stomaco, riportando il dolore a galla. “Come Katniss.” Pronuncio infine.
Torno ad osservare il Presidente Snow, in diretta dalle sue stanze della Residenza Reale. Un fremito mi attraversa, ormai non sono più sicuro di sapere cosa vogliano da me.

“Katniss Everdeen, l’ha abbandonata, Peeta. Lei le ha chiesto di restare al suo fianco proprio mentre progettava di uccidere tutti quelli che conosceva, di uccidere la sua famiglia.” Mi si forma un groppo in gola, che respingo con tutte le mie forze. “Katniss Everdeen si è presa gioco di tutti noi, si è presa gioco di lei, Peeta.” Il pacificatore torna a stringermi la gola con la seta e sento una lacrima bagnarmi una guancia. “Ci ha in pugno, Peeta e la sua morsa non cesserà di stringersi.” Sento le tempie pulsare per la mancanza di ossigeno; perdo la presa dei braccioli e avverto le forze abbandonarmi, ma prima che ciò possa avvenire, il pacificatore lascia andare ancora una volta.
Entrambi, lui ed il Presidente Snow, attendono in silenzio quanto basta che mi riprenda, che torni ad essere presente e poi, un paio di scosse mi fanno contrarre il petto.
“Ripeti.”
“Mi chiamo Peeta Mellark, sono del Distretto 12 e ho diciassette anni” torno a vedere i cadaveri dei miei familiari impilati in una grande fossa comune, scavata dove un tempo c’era il prato che precedeva la recinzione. “Sono un Ribelle” tremo e sudo.
“È una pedina, signor Mellark” Snow sibila.
Katniss scocca la freccia e un dolore lacerante mi trafigge il petto, lasciandomi senza fiato.
“È la sua pedina” il pacificatore mi sgancia i polsi e la testa ed io sento il mio corpo afflosciarsi e sprofondare sul terreno gelido, mentre brividi di freddo e spasmi muscolari mi scuotono e mi tengono in vita.
“Mi chiamo Peeta” bofonchio, “non come Katniss”.

“Che cosa ha detto signor Mellark?” il Presidente Snow appare quasi felice. Percepisco del movimento di diversi stivali attorno al mio corpo e un altro paio di scosse si accumulano. Una serie di squassanti spasmi mi fa tornare il voltastomaco e un pacificatore mi gira su un fianco, permettendomi di vomitare. Poi mi alzano, tenendomi sotto braccio e facendomi sedere il più diritto possibile.
“Chi sei? Ripeti!” mi ordinano.
“Mi chiamo Peeta Mellark. E non sono come Katniss” dico, a volume sufficientemente alto perché tutta la stanza, compreso Snow, riesca a sentirmi.
“Scacco matto” sento gli altoparlanti gracchiare un’ultima volta prima che il collegamento si interrompa.
Le luci cominciano a volteggiare come fuochi, come le fiamme che avvolgevano gli abitanti del 12 e i pacificatori cominciano a trascinarmi di peso proprio mentre vedo Katniss comparire nel mezzo della stanza. Tende l’arco che ha già una freccia incoccata, per me, ma un pacificatore fa in tempo a chiudersi la porta alle spalle, prima che possa colpirmi.

Getto la testa all’indietro e lancio un sospiro di sollievo, eppure le lacrime continuano a scendermi lungo le guance e a bruciarmi gli occhi: perché io mi chiamo Peeta Mellark e sono una pedina del loro gioco.
 
 --
Beh, sono passati anni dall’ultima mia one shot ispirata agli eventi della serie di Hunger Games. Ho deciso di tornare con la mia visione della reclusione di Peeta a Capitol City. Questa storia si può collegare alle mie precedenti ‘Tortura la Memoria’ e ‘L’amore è strano’, ma anche no. Vi invito comunque a dirmi cosa ne pensate o a passare alle altre mie storie, se vi va, altrimenti va bene così.

Grazie per aver letto e per avermi dedicato del tempo. È sempre un piacere e alla prossima,
Demetria_
 
  
Leggi le 0 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Hunger Games / Vai alla pagina dell'autore: Demetria_