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Autore: paige95    04/06/2020    3 recensioni
Un amore travagliato quello tra Rose Weasley e Scorpius Malfoy. Le loro due famiglie, come i Capuleti e i Montecchi (per citare una famosa opera di Shakespeare), non accetteranno il repentino avvicinamento tra i due giovani.
Ma chissà se qualcosa prima o poi possa far cambiare loro idea ... senza arrivare al famoso tragico epilogo.
Genere: Malinconico, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Draco Malfoy, Ron Weasley, Rose Weasley, Scorpius Malfoy | Coppie: Draco/Astoria, Harry/Ginny, Ron/Hermione, Rose/Scorpius
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace, Nuova generazione
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La prigione del cuore



 

Un temporale violentissimo si era abbattuto su Londra nelle ultime ore; l’acquazzone aveva impregnato l’aria di umidità, provocando brividi anche tra le mura protette della propria abitazione. Era metà pomeriggio, ma i nuvoloni scuri che solcavano il cielo avevano già cancellato ogni raggio di sole, costringendo Hermione ad accendere una piccola lampada per non attirare i fulmini. Il Ministro aveva terminato il suo lavoro di routine in ufficio e in tribunale – in quella giornata nello specifico era stata dispensata dalle questioni più complesse -, ma la sua mente continuava ad essere in costante fermento, non riusciva a godersi il piacevole tepore del camino a pochi metri da lei; si era appoggiata al tavolo della sala da pranzo e in attesa del marito – scusa che in quel frangente raccontava a se stessa –  esaminava per l’ennesima volta i documenti d’archivio che riguardavano la prigione di massima sicurezza di Azkaban. Il carcere, nel quale veniva rinchiusa buona parte dei criminali del Mondo Magico, era situato su un’isola in balìa del gelido Mare del Nord; non vi era nulla di roseo quindi nel soggiorno di quei detenuti, erano niente più che carne da macello. Ron avrebbe senza dubbio sottolineato il fatto che quegli uomini – ma anche donne –, avessero scelto liberamente il loro destino, non erano stati soggetti a costrizione né erano in balìa della Maledizione Imperius mentre compivano i crimini più efferati; Hermione però aveva un’indole più clemente rispetto al Vicecapo degli Auror e la questione di Narcissa aveva riacceso i riflettori sul tema, sulla follia che rischiava la coscienza di quei dannati. Obbligare esseri umani, per quanto potessero essere stati spietati nella loro vita, a sopportare in simili condizioni gli ultimi anni della loro vita era da barbari.
La bella stagione stava lasciando spazio a correnti di aria sempre più fredda e uno sbuffo raggiunse le gambe della donna, quando la porta d’ingresso venne spalancata con una certa enfasi. Hermione non si era ancora premurata di cambiarsi, indossava ancora il suo tailleur chiaro e collant leggere che consentivano all’aria di raggiungere la sua pelle nuda, causandole una nuova scossa di freddo; si portò le braccia incrociate sotto il seno e lasciò che la sua mente continuasse a vagare tra il resoconto dettaglio dei fascicoli. La donna udì in sottofondo il suo nome, proferito dal tono potente del marito che ogni volta sapeva inondare il silenzio più assordante e coprire i rumori costanti del rovescio climatico; lei però non si scompose, era un’abitudine lunga quasi vent’anni, a cui non avrebbe più potuto fare a meno.
«Hermione. Sto congelando, fa un dannatissimo freddo oggi»
L’uomo era comparso davanti a lei, il suo corpo era percorso da un leggero tremore, i capelli erano fradici così come la sua divisa all’altezza delle spalle. Doveva essersi Materializzato in fretta e furia – rischiando inoltre che qualcosa potesse andare storto – per evitare di infradiciarsi, ma i suoi propositi non erano andati del tutto a buon fine. Nonostante l’evidente disagio di Ron, la moglie si soffermò infastidita su un unico dettaglio.
«Ronald, hai le scarpe ricoperte di fango. Merlino solo sa per quale ragione io debba ripeterti ogni volta di toglierle sulla soglia di casa»
L’Auror ritornò sui suoi passi e rimase scalzo indietreggiando, non era nelle condizioni migliori per discutere con quella donna e sperare di uscirne vincitore; era rimasto con l’unica protezione dei suoi adorati calzini dai caratteristici colori dei Grifondoro e aveva un disperato bisogno di calore. L’uomo passò accanto al tavolo a cui era accomodata la moglie assorta e si scrollò la corolla di capelli gocciolanti passandoci in mezzo le dita; buona parte dell’acqua finì addosso ad Hermione che era sulla traiettoria.
«Ron!»
Con impertinenza il marito le rivolse un grande sorriso leggero e spensierato; era il solito perenne casinista, eppure la sua reazione ebbe un effetto calmante sul cuore tormentato di Hermione. Nei piani più prossimi dell’Auror c’era solo il camino che aveva trovato con piacere acceso per inondare l’ambiente di un leggero tepore, ma i documenti che la moglie era impegnata a sfogliare attirarono la sua attenzione; il fatto che lei stesse lavorando anche dopo l’orario d’ufficio non lo lasciò indifferente, così posò i gomiti sul piano in legno per esaminare le carte, costringendo la donna a spostarle infastidita, temeva che lui potesse bagnarle.
«Ron, vai a cambiarti»
«E tu continui a lavorare?»
Non rispose al marito, gli rivolse solo uno sguardo malinconico; Hermione tornò a riflettere sulla prigione più temibile e famosa tra i maghi, ma nonostante ciò i maghi oscuri persistevano indisturbati ad agire. Gli Auror lottavano ogni giorno, affinché l’Oscurità venisse debellata per sempre dal Mondo Magico illuminata dalla giustizia, la quale però non avrebbe dovuto abbassare i giusti agli stessi livelli di quei maghi. Hermione percepì le iridi celesti dell’uomo addosso, visibilmente incapace di commentare lo stato della moglie, ma cosciente di non riuscire a sopportare la tristezza che si era dipinta sul suo volto. Ron non fu in grado di interpretare l’impotenza della donna, si limitò così a colmare il suo sconforto con un gesto d’affetto; infilò le dita tra un ciuffo di capelli ribelle che era sfuggito al controllo della moglie e lo posizionò dietro l’orecchio. Hermione non si sottrasse a quella carezza, erano tra le mura di casa, glielo poteva concedere; la voce prodotta dalle sue corde vocali fu un flebile tentativo di rimprovero che superò di pochi decibel la furia del temporale.
«Ron, non siamo soli. Rose è in camera sua e sta aspettando che sia ora di avviarsi verso King’s Cross»
«Con un acquazzone simile non partirà alcun treno. Temo debba aspettare domani per tornare ad Hogwarts. Immagino si stia godendo i suoi bambini»
L’Auror aveva sussurrato a pochi centimetri da lei, le solleticò la guancia con il respiro; sperava si voltasse verso di lui per riuscire a sfiorare le sue labbra e salutare la moglie come si conveniva dopo il rientro dal lavoro. Il tono caldo e profondo di Ron rese incandescente l’atmosfera. Le attenzioni del marito avrebbero aiutato Hermione a distrarre la mente, lui avrebbe potuto aiutarla ad alleggerire i pensieri. Non potevano lasciarsi trasportare dai sentimenti, non erano presenti solo i nipotini in culla che da lì non si sarebbero mossi.
«Non eri infreddolito? Forse un bagno caldo potrebbe farti stare meglio»
«Avevo in mente qualcosa di diverso per scaldarmi»
Hermione non oppose resistenza, lasciò a lui l’iniziativa, era convinta non avrebbe esagerato, non osava mai in presenza dei figli, in quel caso optava per la discrezione. Ron aveva dato avvio ad un bacio dolce al gusto di menta; la donna si era accorta che suo marito profumava e quella sensazione non era solo nel suo immaginario, non era solo frutto del dolcissimo effetto che da sempre aveva su di lei l’Amortentia, nel corso delle ore di lavoro doveva aver attraversato un fresco campo di menta, altrimenti non riusciva a spiegarsi la piacevole fragranza che stava inondando le sue narici. Hermione accarezzò i capelli bagnati del marito, immergendo le falangi accanto al collo; erano cresciuti troppo, era più folti del solito, ma anche più morbidi. Solo quando un tuono di forte intensità squarciò il cielo e sfogò la sua potenza in abbaglianti fulmini e saette, i due coniugi si separarono.
«Non è proprio il caso che nostra figlia salga su qualche treno oggi, sarei in pena»
L’apprensione di Ron per la figlia intenerì la moglie. Lui era impegnato a contemplare il cielo oltre le tende tinte di colori delicati e i vetri trasparenti, mentre lei era concentrata ad ammirare il profilo dell’uomo.
«Hermione, vado a cambiarmi e ad asciugarmi, prima che mi ammali davvero»
Ron non avrebbe potuto azzardare nulla più di un bacio, così decise di cogliere l’occasione per asciugarsi; si allontanò lentamente per consentire alla mano di lei di sciogliere la presa su di lui. Lo prese alla sprovvista, quando Hermione afferrò la stoffa della divisa all’altezza del petto, impedendogli di muovere altri passi verso il piano superiore.
«Devo chiederti un favore»
Ron era diffidente; lo stava fissando con accondiscendenza, persino la voce era più soffice e ciò non prometteva mai qualcosa di buono.
«Domani hai in programma qualche viaggio ad Azkaban? Non ricordo i tuoi turni e non so nemmeno se Harry li abbia di recente modificati»
«Suppongo che dopo la tua richiesta ne vorrò uno di sola andata. Di quale favore si tratta?»
«Posso venire con te? Ho bisogno di un Auror che mi accompagni laggiù»
«Non ho afferrato del tutto. Tu vuoi venire ad Azkaban con me?»
Hermione gli rivolse un lieve cenno per affermare e Ron si discostò con delicatezza dalla presa della moglie sulla sua divisa.
«Scordatelo»
«Ron, sono il Ministro della Magia, ne ho tutto il diritto»
«Allora fai valere i tuoi diritti con un altro Auror, non con tuo marito. Io non ti porto in mezzo a delinquenti che hai condannato, toglitelo dalla testa. L’esperienza con Lucius mi è stata più che sufficiente»
«Amore, ho bisogno di vedere da vicino quel posto per poter capire cosa ci sia ad Azkaban che non vada. Tu per primo mi nomini Lucius, dobbiamo fare luce sulla sua evasione, è nostro dovere»
«No, mi rifiuto di eseguire un qualsiasi ordine che metta a rischio la tua vita. Ho già avuto paura di perderti e gradirei non dover più rivivere un simile momento»
Le iridi celesti di Ron erano attraversate dagli orrori di cui ogni volta era testimone tra le mura della prigione. Si era tradito, le negava aiuto, ma lo stesso Auror si rendeva conto dello squallore che dilagava in quel luogo. Non riusciva a darle torto, qualche cambiamento avrebbe giovato al clima di tensione sia per i carcerati che per i carcerieri. La priorità dell’uomo però era la sicurezza della sua famiglia; se gli avessero chiesto di scegliere, non avrebbe indugiato a mettere in atto le peggiori torture per salvaguardare l’incolumità dei suoi cari.
«E poi non è un posto per signore»
Fece sorridere Hermione, la stava trattando come il più delicato tra i fiori. Il suo istinto protettivo era comprensibile, specie dopo ciò che aveva rischiato negli ultimi mesi, ma gli stava forse sfuggendo con chi stesse parlando. Lei, prima ancora di essere la signora Weasley – o come lei stessa avrebbe puntualizzato Granger-Weasley – era stata una guerriera, fu parte dell’esercito di maghi che aveva debellato la peggiore ondata di Oscurità a cui il Mondo Magico avesse assistito. Il fatto che ora si trovasse costantemente dietro una scrivania o al bancone di un tribunale non la rendeva debole; anzi, era ancora in grado di mostrarsi per ciò che era, una donna influente che portava sulle spalle la responsabilità del buon funzionamento della più importante istituzione al centro della comunità magica britannica. Non era capace di voltarsi dall’altra parte, non conosceva neppure il significato di ingiustizia, lo aveva dimostrato fin dai tempi della Scuola, quando aveva iniziato la sua lotta in difesa degli elfi domestici. Ron riconosceva nei suoi occhi nocciola la ragazzina tenace di cui si era innamorato; ora, come allora, era infiammata dal senso di giustizia – di una giustizia ponderata – e da un meraviglioso sorriso che si prendeva gioco di colui che aveva osato sottovalutarla.
«Quando mai questo mi avrebbe spaventata? Non sono facilmente impressionabile»
«Io non ti accompagno là dentro»
«Ron, puoi cercare di distinguere il lavoro dalla nostra vita privata?»
«Allora fallo anche tu. Stai approfittando del legame che ci unisce per farmi accettare. Sai meglio di me che non è raccomandabile il Ministro tra quelle mura. Abbiamo già rischiato una volta di far cadere il Ministero, per favore, non di nuovo»
«Ci saresti tu al mio fianco, non mi accadrebbe nulla. Sei l’Auror di cui mi fido di più, ti affiderei la mia vita se ce ne fosse bisogno»
«Hermione, le lusinghe non funzionano con me»
Funzionavano eccome, adorava sentirsi al centro dell’attenzione, specie se a farlo sentire importante era proprio sua moglie. L’Auror posò i palmi sul tavolo per protendersi ancora verso di lei; le stampò un bacio casto sulle labbra che fece sorridere Hermione; le riservava di rado simili attenzioni al ritorno dal Ministero, di solito la fame o il sonno avevano un’influenza assoluta su di lui.
«Avrei gradito ci limitassimo a questo, non che mi accogliessi con assurde fantasie sulla prigione»
Non si era allontanato da lei, aveva concesso ad Hermione di sfiorargli la guancia, anche se era sicuro lo stesse facendo per persuaderlo.
«Ron, te lo chiedo perché è importante»
Lo sguardo di entrambi i coniugi si perse l’uno dentro l’altro. Erano suppliche differenti quelle che si scambiavano e Ron non era certo di riuscire ad imporre la propria volontà, Merlino sapeva quanto avrebbe voluto, ma non era mai accaduto e di certo l’occasione che stavano vivendo non era fertile per un simile evento. Ron ed Hermione erano impegnati nella silenziosa trattativa, quando i passi della figlia fecero perdere loro il contatto visivo.
«Vi disturbo? Papà, ho un treno tra un’ora per tornare ad Hogwarts e con questo tempo ci impiegherò un po’ ad arrivare. Mi accompagni tu? Avrei preferito rimanere qualche giorno in più per la nonna, ma il Ministro non me lo consente»
Rose lanciò un’occhiata risentita verso la madre. Ron ignorò quel gesto e abbassò lo sguardo stanco sul tavolo. Hermione giurò di aver avvertito anche un leggero sbuffo da parte dell’uomo.
«Ronald, accompagno Rose solo se accetti la mia richiesta»
La fissò contrariato, stava facendo pressione sulle sue debolezze, era scorretta. In verità non riusciva a cogliere che l’unico obiettivo di Hermione fosse evitare che guidasse assonnato e sarebbe stata un’ulteriore conquista impedire che l’Hogwarts Express partisse sotto le critiche condizioni metereologiche.
«Questo è un ricatto in piena regola»
«Non mi lasci altra scelta»
«Sono troppo stanco per discutere oltre»
Ron si avviò verso la figlia per porgerle un veloce saluto con un abbraccio, visto che al suo ritorno ad Hogwarts avrebbe pensato Hermione. Rose indietreggiò di qualche passo, facendo intendere al padre che necessitava ancora di qualche minuto prima di andare.
«Dovrei parlare ad entrambi di persona. Non riuscirei a spiegarmi attraverso un gufo»
Rose non attese il consenso da parte dei genitori e si avvicinò con risolutezza al tavolo. Ron ed Hermione si scambiarono un’occhiata preoccupata, non erano certi che quella conversazione riguardasse notizie liete, anzi erano più propensi a credere il contrario. Ormai l’acqua dolce del temporale che aveva intriso Ron si stava asciugando grazie al tepore della stanza; anche lui si riaccomodò accanto alla moglie e rimase in ascolto, era sfinito fisicamente e psicologicamente, ma non ebbe altra scelta. Il viso della ragazza era contratto, un segnale poco rassicurante che insospettì persino la poca perspicacia del padre.
«Rose, non di nuovo. L’ultima volta che ti ho vista con quell’espressione ti sei buttata in lacrime tra le mie braccia»
La figlia aveva inteso a cosa si stesse riferendo; si mostrò quasi offesa per quel riferimento, stava riponendo in lei davvero poca fiducia, eppure il padre era al corrente dei suoi piani futuri.
«Papà, non sono incinta. Potete stare tranquilli, intendo diplomarmi e un’altra gravidanza non è nei miei piani»
«Per fortuna»
Ron tirò un sospiro di sollievo, per la piega che aveva preso la situazione non faceva fatica a credere che un eventuale nascituro sarebbe stato affidato alle loro cure e due neonati erano più che sufficienti per riempire le loro giornate e le loro notti. L’uomo iniziò ad alzarsi con l’intenzione di raggiungere la camera, ma Hermione lo obbligò a risedersi premendo sulla sua spalla; fu un gesto coercitivo naturale, infatti nel frattempo si rivolse alla figlia con dolcezza.
«Tesoro, tutto bene con Scorpius?»
«Stiamo bene, ad Hogwarts il clima è solo un po’ faticoso, ma ce lo aspettavamo»
La madre le afferrò la mano comprensiva e si voltò verso il marito per condividere le preoccupazioni di Rose; si accorse che Ron stava collassando sul tavolo, doveva reggersi la testa per non cadere, perciò la donna dubitava stesse ascoltando.
«Mamma, ce la caviamo. Hugo però ha bisogno di voi»
Fu sufficiente il nome del figlio per ridestare Ron dal torpore.
«Cos’ha combinato? Chi ha messo nei guai?»
«Ronald!»
«Cosa c’è? Chiedo se abbia seguito le orme di sua sorella, ormai in questa casa sembra sia diventata una pessima abitudine»
Rose avvertì la delusione del padre nei suoi confronti; gliela stava mostrando senza remore, non aveva il timore di ferirla, ma in fondo perché avrebbe dovuto, dopo che lei negli ultimi anni aveva portato un uragano nella loro famiglia?
«Niente di simile, papà. Mi sembra di capire che qualcosa lo stia preoccupando, ma non si vuole aprire con me. Mi piacerebbe gli parlaste, credo abbia bisogno di una parola di conforto da parte vostra»
Avevano perso di vista il fatto che anche Hugo stesse crescendo, Hermione stessa se ne stava accorgendo tardi; le mille vicissitudini attraversate per Rose avevano lasciato che perdesse di vista questioni che riguardavano il corso naturale dell’adolescenza del secondogenito. La donna era mortificata e sembrava anche essere l’unica della coppia; Ron si alzò, stavolta con più slancio, dalla sedia, era infastidito e poco comprensivo.
«Me ne vado a dormire, sono stufo di matrimoni adolescenziali e gravidanze indesiderate. Buonanotte. Ci pensa vostra madre, tanto è molto più brava di me»
«Buonanotte alle cinque del pomeriggio?»
«Sì, Hermione, visto che lavoro dalle cinque di stamattina»
Le aveva risposto con arroganza e aveva lasciato le due donne da sole, impegnate in una conversazione a cui lui non sapeva partecipare.
«Tuo padre è insopportabile, tesoro, ma ha ragione, tu e tuo fratello potete contare su di me»
 
~
 
Hermione era persuasiva, non era facile opporsi alla volontà della donna. Ron non aveva alcun margine di decisione; al Ministero le doveva obbedienza in quanto suo superiore, a casa era costretto a subire l’autorità di sua moglie; ergo gli era stata negata ogni sorta di libertà, la sua opinione veniva presa in considerazione, ma alla fine veniva garbatamente accantonata da lei. Anche in quell’occasione, stavano attraversando insieme i tetri e cupi corridoi di Azkaban perché era stata Hermione a volerlo.
Non era mai piacevole per l’Auror dover tornare per lavoro tra le spesse mura della prigione; il gelo di quel luogo non provocava brividi solo sulla pelle – specie nella stagione più fredda dell’anno –, si infilava nei muscoli fino a sgusciare nelle ossa e si incastrava nel petto. Non importava quasi mai che la giornata fosse iniziata in modo lieto, ad Azkaban ogni barlume di felicità si frantumava in mille pezzi, come se fosse di cristallo – rendendo la felicità un’emozione ancora più fragile del consueto. Era indifferente l’assenza dei Dissennatori, le mura invalicabili del carcere erano intrise della loro essenza da secoli.
I passi dei coniugi Weasley erano accompagnati da un silenzio assordante che faceva da sfondo a grida di supplica e tintinnii di catene. Ron illuminava il tragitto con la punta della bacchetta, era concentrato sui loro stessi passi, ma tendeva spesso a sfiorare la moglie con il braccio per essere sicuro che gli fosse accanto. Gli unici sprazzi di bagliore giungevano da strette feritoie che però si affacciavano su un cupo mare in tempesta, il quale restituiva solo il riflesso delle onde sotto un timido albeggiare caratterizzato ancora da fulmini carichi di elettricità. L’Auror percepì al tatto i brividi della donna, nitidi anche sotto i loro vestiti, aveva incrociato le braccia stringendole al petto per placare le scosse di freddo; Ron aveva coperto le spalle di Hermione con la giacca della sua divisa, il suo fisico era più robusto e abituato alle temperature rigide, una camicia di stoffa pesante lo avrebbe riparato. C’era troppo buio, non erano le condizioni favorevoli per consentire allo sguardo dei due di incrociarsi, ma gli fu grata, il marito manifestava la sua rara galanteria nel momento più opportuno.
Ron era stato incaricato da Harry di prelevare un detenuto, la cui cella si trovava tra i piani più alti della torre. I due visitatori furono costretti a usufruire di un elevatore incantato; nonostante i piani da attraversare fossero pochi, l’Auror non aveva optato per le scale che sfilavano davanti ad ogni singola cella, una scelta che aveva preso per salvaguardare l’incolumità della moglie. Non si vedevano, i loro sguardi non si sfioravano, ma avrebbero potuto quantomeno comunicare, invece l’uomo era assorto, l’atmosfera non ispirava conversazioni e spensieratezza. Quando finalmente raggiunsero la destinazione, Hermione scorse una flebile luce nello spazio antistante alla cella in questione, quanto bastò a Ron per spegnere la punta della bacchetta e formulare i Controincantesimi di protezione.
Hermione non aveva mai avuto occasione di incrociare il volto sconfitto di un accusato, prima che egli venisse scortato in tribunale e obbligato ad accomodarsi al banco dei colpevoli. Durante le udienze che presiedeva, non era mai priva di tatto, la mente del Ministro valutava sempre pro e contro; ciò che stava vivendo equivaleva ad esperire il fondo che veniva toccato dai prigionieri, venivano spogliati di tutto, ma rivestiti delle loro paure, di un senso di soffocamento, venivano privati della libertà e, a parere di Hermione, solo chi risultava un grave pericolo per l’ordine pubblico avrebbe dovuto subire un simile trattamento. Lo sconosciuto sobbalzò quando il ferro delle sbarre con un colpo secco – causato dall’indelicatezza di Ron e dal rimbombo del luogo – produsse un violento sfregamento; i nervi tesi dell’uomo vennero solleticati; fu allora che si voltò e abbandonò l’angolo della cella contro cui si era rannicchiato alla disperata ricerca della salvezza. Non aveva più nulla da perdere, non sarebbe potuto cadere più in basso, avrebbe strisciato ai suoi piedi, se solo ne avesse avuto la forza; non desiderava nemmeno sfiorare la massima autorità, rinomata per la sua clemenza, che lì dentro portava una ventata di speranza e di luce.
«Ministro! Pietà. Sono innocente, per favore, non consenta che io rimanga qui»
Ron si era frapposto fulmineo tra la moglie e il detenuto; non gli aveva consentito di raggiungere nemmeno il confine della cella e bastò il suo atteggiamento autoritario per farlo indietreggiare, timoroso che gli venisse inflitta qualche tortura, l’Auror aveva ancora la bacchetta sguainata.
«Non devi nemmeno rivolgerti a lei. Qui ci siamo solo io e te»
Ad Hermione infastidì il gesto poco delicato del marito; non era necessario che tenesse alte le difese, l’uomo da cui la stava proteggendo era innocuo, disarmato e più debole rispetto ad entrambi i rappresentanti dell’istituzione londinese; era più fragile sia nel corpo – era smagrito e vittima della prigionia – che nell’anima.
«Ronald, fermo»
Si avvicinò lei stessa al detenuto, lasciando Ron contrariato. L’Auror non si impose sulla moglie, non ne sarebbe stato in grado, ma non la perse di vista un secondo, pronto ad intervenire. Il prigioniero comprese la disponibilità della donna; fino ad una pena definitiva non gli erano stati adornati i polsi con le catene, ma, benché fosse libero di muoversi, le restò a distanza e intavolò un dialogo pacifico come avrebbe fatto con un qualsiasi pari, anzi mantenendo il dovuto rispetto per la sua carica.
«Ministro, la prego, ho una famiglia»
«Di cosa sei stato accusato? Non ho ancora letto il tuo fascicolo»
«Gli Auror mi hanno prelevato a Notturn Alley. Il signor Weasley mi ha arrestato perché stavo vendendo merce illegale. Ministro, non so in quale altro modo aiutare i miei cari, mi dia lei una soluzione. Sono padre di una bambina ancora troppa piccola per perdermi. Per favore, si metta una mano sulla coscienza»
Non servì la Legilimanzia per capire che quell’uomo fosse sincero. L’ingiustizia era da sempre il punto debole di Hermione, la popolazione più fragile del Mondo Magico, che fosse umana o no, stava a lei a cuore.
«Ora basta. I fini non giustificano i mezzi e questo è il motto di qualunque Auror che si rispetti»
Ron stava per afferrare il braccio dell’uomo, ma Hermione fu più veloce e lo bloccò; odiava quando esprimeva il peggio di sé, non offriva il poco tatto che emergeva sporadicamente e mancava sempre nelle circostanze peggiori, invece si sarebbe dovuto sforzare per mostrare il meglio di sé. Nonostante fosse adirata con il marito, la voce del Ministero risultò pacata.
«Liberalo. Ora. Quest’uomo è innocente, un processo sarebbe solo una perdita di tempo»
Allontanò la mano dall’Auror e si avviò avvilita verso le stesse scale che Ron aveva cercato di evitare.
«Hermione»
Richiuse la cella dietro di sé, gettando un’occhiataccia truce al prigioniero, aveva dato loro un argomento in più per discutere. Le corse dietro preoccupato e la trovò seduta sull’ultimo gradino in uno stato di demoralizzazione. Finché era davanti a lui, non aveva motivo di agitarsi; la raggiunse con calma e si sedette al suo fianco cercando di non assecondare la miccia della lite che si era già accesa.
«Ed ora cosa facciamo? Restiamo qui tutto il giorno? Quali sono i suoi prossimi ordini, Ministro?»
Hermione tolse la divisa del marito dalle spalle, non le infondeva più un calore piacevole, gliela restituì come se la stoffa con cui era stata cucina scottasse. Ron indugiò ad afferrarla, gli stava trasmettendo una buona dose di disprezzo.
«Sei arrabbiata?»
«Ora voglio solo che ti rivesta»
Ron si infilò la giacca rassegnato, ma gradì soffermarsi qualche istante in più sui bottoni, in quel modo non avrebbe dovuto incrociare nell’immediato lo sguardo indagatore della moglie.
«Credevo che il problema fosse Azkaban, non immaginavo che fossero i miei Auror e tantomeno mio marito. Eppure tu sai cosa significhi vivere in una famiglia povera. Il passato non ti ha insegnato niente»
Leggeva una grande delusione nello sguardo della donna, non fu difficile per lui coglierla, era cristallina.
«Hermione, te l’ho già detto, è inutile che ti scandalizzi, sto solo facendo il mio lavoro»
«Allora forse sbaglio io, ma di certo non voglio che insegni a nostra figlia ad essere un Auror simile»
«Temi possa darle un pessimo esempio?»
«Sì. Esatto»
Era determinata nelle sue idee, ne era convinta e ciò lo ferì. Ron si alzò offeso, posando le mani sulle ginocchia per darsi lo slancio. Hermione seguì i gesti del marito, ma non si pentì per le sue affermazioni in presenza dell’uomo.
«Torno al lavoro, tanto conosci la strada per uscire. Cerca almeno di restare il meno possibile qui dentro»
Rimasta sola, l’orgoglio affievolì e il dispiacere la colse; era mortificata per tutto, per le accuse che aveva mosso al Vicecapo del Quartier Generale degli Auror e per il destino dei loro detenuti.
 
~
 
Il cuore di Draco perse un battito, quando vide la donna che una volta era conosciuta come la stimata e timorata signora Malfoy. Aveva mosso cielo e terra, fatto fuoco e fiamme nell’ufficio del Capo del Quartier Generale degli Auror, ma non riuscì a proferire una sola parola davanti alla cella della madre. Harry aveva concesso loro qualche minuto di riservatezza, attimi che Draco però non sapeva come colmare.
Fu Narcissa a vederlo e a riconoscerlo oltre l’oscurità del luogo, oltre l’Oscurità che entrambi avevano attraversato in passato, ma che non era stata ancora debellata del tutto dal loro cuore; aveva scorto i tratti del viso di suo figlio, li avrebbe riconosciuti a qualsiasi età e a distanza di molti anni, forse altrettanti rispetto a quelli che aveva già trascorso lontana da Londra; sussurrò appena il suo nome, sollevata dalla presenza – immeritata – dell’uomo.
«Draco»
Lui non riuscì a non pensare che sarebbe potuto finire in passato tra quelle mura di pietra fredda, il suo presente in quel caso sarebbe stato totalmente diverso, peggiore; non lo rasserenava convincersi che non meritasse quel destino e che il presente che stava vivendo lo avesse guadagnato. Non era affatto così, era un regalo.
«Non preoccuparti, Draco, tra non molto il mio soggiorno ad Azkaban sarà terminato»
Narcissa sapeva di avergli ormai detto tutto tra le righe di quella lettera che lui aveva letto con pazienza, perciò si limitò a incrociare gli occhi perla del figlio, che avevano l’unica pecca di somigliare a quelli di suo padre.
«Grazie, hai salvato Astoria. Non hai più nulla di cui farti perdonare»
«Rendi più leggera la mia anima, Draco»
L’uomo continuava a sperare che lei non si immolasse, un angolo del suo cuore lo desiderava; proprio quell’angolo che Astoria era riuscita a spalancare alla vita, con il quale provava amore, compassione e perdono.
 
 
Continua …


 
Ciao ragazzi!
Non ho idea della riuscita di questo capitolo, la mia mente vaga nell’oblio in questo periodo, ho in corso un’evidente crisi elaborativa, quindi non so se io sia stata in grado di esprimermi e a mantenere un collegamento con la trama generale. Mi auguro di sì e vi ringrazio di cuore, siete sempre di più ed io non riesco mai a spiegarmi il motivo <3
Alla prossima!
Un grande abbraccio
-Vale
   
 
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