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Autore: heliodor    07/06/2020    1 recensioni
Valya sogna di diventare una grande guerriera, ma è solo la figlia del fabbro.
Quando trova una spada magica, una delle leggendarie Lame Supreme, il suo destino è segnato per sempre.
La guerra contro l’arcistregone Malag e la sua orda è ormai alle porte e Valya ingaggerà un epico scontro con forze antiche e potenti per salvare il suo mondo, i suoi amici… e sé stessa.
Aggiunta la Mappa in cima al primo capitolo.
Genere: Avventura, Fantasy, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Cronache di Anaterra'
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La spada

Attese che suo padre fosse nella forgia prima di uscire dalla stanza. Il sole era già sorto quando uscì nel cortile e si affacciò sull’ingresso.
“Vuoi che scenda al villaggio per qualche commissione?” Gli chiese col tono più gentile che poteva.
Suo padre aveva il braccio sollevato, un martello nella mano mentre con l’altra reggeva le pinze bloccate su di una lama.
“Ti ho detto che da sola non puoi andare al villaggio.”
Valya si era aspettata quella risposta. “Quindi niente lezioni con la signora Roxley?”
“Per un po’ potrai farne a meno” disse lui colpendo la lama col martello. “Ma puoi fare un po’ d’ordine in casa e lavare qualche panno, se non ti pesa troppo” aggiunse in tono sarcastico.
“D’accordo” disse prima di scivolare fuori. Tornò di corsa alla casa e salì dritta in soffitta. Le bastò una rapida occhiata per trovare il baule. Era dove ricordava di averlo visto l’ultima volta. Non c’era un chiavistello o una catena a chiuderlo, solo una serratura a scatto. Trasse un profondo sospiro e l’aprì, sollevando il coperchio con entrambe le mani.
Prima di gettare un’occhiata all’interno si assicurò che non le ricadesse in testa. Pesava così tanto che le avrebbe fatto più che male.
 Il baule era vuoto fatta eccezione per dei panni ammucchiati sul fondo. Per un attimo osservò delusa il fagotto. Non si aspettava di trovare un tesoro, ma nemmeno quello.
Per un attimo fu tentata di richiudere il baule e scordarsi di quello che vi era dentro, ma la curiosità la spinse a prendere il fagotto con entrambe le mani.
All’inizio fu sorpresa del suo peso.
C’è sicuramente qualcosa di valore, si disse. Tutto ciò che pesa vale molto.
Poggiò il fagotto sul pavimento e lo fissò indecisa. Dalla forgia giungeva il regolare martellare del padre sul ferro.
Ne avrà per almeno mezza giornata, pensò. Forse anche di più.
Simm Keltel passava tutta la mattinata e il pomeriggio nella forgia, concedendosi solo un paio di pause per mangiare qualcosa prima di chiudere tutto e cenare.
Valya afferrò il fagotto e sollevò le pezze con un gesto deciso. All’interno, racchiuso tra diversi strati di panno c’era un fodero di cuoio.
Una mano abile aveva ricamato sul cuoio un motivo fatto di spirali e linee che si intrecciavano tra loro. Valya cercò di seguire lo schema ma ci rinunciò.
I suoi occhi vennero attratti dall’elsa che spuntava dal fodero.
Strisce di cuoio erano state arrotolate attorno all’impugnatura. La guardia era rivolta verso l’alto, formando una mezzaluna che racchiudeva la coccia. Il pomolo era una semplice sfera che sporgeva verso l’esterno.
Valya trasse un profondo respiro.
Sembrava una buona spada.
Deve valere almeno mille monete, si disse. Potrei venderla giù al mercato o all’emporio di Semil.
Semil Belor era famoso per comprare e scambiare qualsiasi cosa. Bastava offrirgli un affare vantaggioso e Valya era sicura di spuntare un prezzo alto per quella spada.
Se riuscissi a ricavarne almeno duemila monete potrei saldare tutti i debiti.
Non l’avrebbe detto a suo padre. Lui l’avrebbe messa in punizione per anni se avesse scoperto che aveva venduto quella spada.
Avrebbe pagato con discrezione i creditori, magari chiedendo loro di non farne parola con nessuno. Avrebbero dovuto dire che un misterioso benefattore, un ammiratore di Simm Keltel e delle sue imprese, si era fatto avanti per saldare quei debiti.
Sì, funzionerà, pensò. Deve funzionare.
Prima però doveva vedere la spada.
Non poteva portarla a Semil senza prima assicurarsi che non fosse rotta o danneggiata.
Allungò la mano verso l’elsa e quando a sfiorò con le dita, avvertì un formicolio.
Che ha di strano questa spada? Si chiese.
Strinse la mano sull’elsa, mentre con l’altra teneva fermo il fodero.
Ora lo scoprirò, si disse.
Buio.
 
Aprì gli occhi.
Il soffitto incombeva sopra di lei. Quando cercò di alzare la testa avvertì un crampo alla base del collo. Sentiva dolore in tutti i muscoli, come se avesse corso per tutto il giorno senza fermarsi.
La gola era riarsa e le labbra secche. Persino la lingua aveva perso la sensibilità.
Con uno sforzo sollevò la testa e, puntellandosi sulle braccia, il busto.
La soffitta era inondata di luce ma faticava lo stesso a mettere a fuoco la vista. Il baule era ancora aperto e la spada giaceva lì dove l’aveva appoggiata… quanto tempo prima?
Non lo ricordava.
Guardò fuori dalla finestrella che dava sull’esterno. Il sole non si era mosso di molto da quando era salita in soffitta.
Devo essermi addormentata, si disse.
Era la prima volta che le succedeva.
La spada.
L’ho toccata prima che mi succedesse questa cosa, pensò. No, è solo un caso.
Fissò l’elsa che spuntava dal fodero. Il forte della spada spuntava di quasi mezzo palmo. Non era riuscita a sfoderarla tutta.
Per un attimo fu tentata di riavvolgerla nel panno e ributtarla nel baule.
No, devo portarla al villaggio, ricordò. E venderla a Semil. Lui mi darà le monete di cui abbiamo bisogno e tutti i nostri problemi saranno risolti.
Gattonò fino alla spada e allungò la mano verso l’elsa, fermandola a mezz’aria.
E se accadesse di nuovo? Si chiese.
Trasse un profondo sospiro e afferrò l’elsa con la mano.
Chiuse gli occhi senza sapere che cosa aspettarsi di preciso. Quando li riaprì, la soffitta era ancora al suo posto.
Con un gesto deciso trasse la spada fuori dal fodero e la soppesò nella mano. Era leggera e maneggevole, tanto che sembrava essere stata fatta per lei. La lama rifletté la luce del sole ricordandole che aveva solo mezza giornata per andare e tornare dal villaggio.
Rimise la spada nel fodero e si diresse alle scale. Prima di scendere si assicurò che suo padre fosse ancora nella forgia. Il rumore della mola che ruotava la convinse a scendere. Poggiò la lama sul pavimento e prese una cesta per il bucato. Vi mise dentro la spada e la coprì con un paio di lenzuola e una tunica sgualcita.
Quando uscì sbuffando, si assicurò di passare davanti all’ingresso della forgia.
“Io vado al pozzo” disse gettando una rapida occhiata all’interno. “Devo lavare le lenzuola.”
Suo padre, seduto alla mola, alzò gli occhi e subito li riabbassò. “Non metterci troppo.”
“Potrei fare tardi se c’è troppa gente.”
Suo padre brontolò qualcosa. “Torna prima che cali il sole. E non ti fermare per strada. Capito?”
“Tornerò prima che tu finisca” disse allontanandosi sulle ginocchia che minacciavano di piegarsi per il peso della spada e delle lenzuola.
Appena oltre il muretto che racchiudeva la forgia e la casa, adocchiò un cespuglio e vi poggiò la cesta. Tirò via il fodero con la spada e lo legò alla vita.
La cintura le stava larga e la punta sfiorava il suolo, ma a parte questo non le dava fastidio e non era ingombrante.
Sembra proprio fatta per me, si disse con soddisfazione. Forse potrei tenerla e vendere a Semil un’altra spada… no, non funzionerebbe. Papà ha tutte le altre spade nella forgia e nessuna di quelle lame è bella come questa. Chissà perché la teneva nascosta nel baule invece di esporla per attirare i clienti?
 
Cambolt era come l’aveva lasciata. Le solite stradine ingombre di passanti che si spostavano da un punto all’altro, i soliti carretti che andavano e venivano lungo la strada principale, una striscia di terra battuta che alle prime piogge si sarebbe trasformata in un pantano.
E l’emporio di Semil.
Era uno degli edifici più grandi, di forma rettangolare col lato lungo rivolto verso la strada, le finestre protette da inferriate e l’entrata con l’insegna che ondeggiava al vento.
Emporio di Cambolt, diceva la scritta impressa a fuoco sul legno stinto dalle piogge e dal tempo.
Valya varcò la soglia venendo aggredita dall’odore di stantio emanato dai vecchi scaffali di legno ingombri fino a scoppiare di pentole, tegami, vasi, attrezzi, corde e ogni altro genere di oggetto.
C’erano anche delle bambole di pezza con i vestiti logori e i visi spelacchiati. Un cane dal pelo folto e scuro sonnecchiava in un angolo.
Appena dentro l’animale sollevò la testa di scatto e le rivolse un’occhiata speranzosa di una carezza.
O almeno era ciò che Valya pensava.
Passando davanti agli scaffali rivolse un’occhiata al cane.
Si chiamava Dip, ricordava. Era il diminutivo di un nome più lungo che nessuno sembrava ricordare e per la verità a nessun sembrava nemmeno importare.
Per tutti era Dip, il cane di Semil.
Ogni tanto lo vedevano aggirarsi per le stradine di Cambolt. Era mansueto e non abbaiava mai. I bambini ci giocavano e lui sembrava lieto di ricevere quelle attenzioni.
Forse perché il vecchio Semil lo trascura, si disse.
Anche lei, da bambina, aveva giocato con Dip, ma era accaduto sei o sette anni prima e adesso il cane era invecchiato e giocava di meno con i bambini del villaggio.
“Se vuoi comprare il cane” disse una voce da dietro il bancone. “Possiamo discutere sul prezzo.”
Valya alzò la testa e lanciò una lunga occhiata a Semil. Il vecchio aveva i capelli radi e grigi, il mento allungato e il naso dritto. Le labbra erano sottili ed esangui.
“Il cane non mi interessa” disse sulla difensiva.
“Sei qui per comprare o per vendere?”
“Vendere.”
Semil borbottò qualcosa di incomprensibile. “Posso sapere cosa? Avrei bisogno di piatti e bicchieri. Si parla di nuove famiglie che stanno per trasferirsi qui e avranno bisogno di mangiare come persone civili.”
“In verità, voglio vendere una spada.”
Semil si accigliò. “Non tratto quel genere di articoli, ma posso dare un’occhiata alla merce, se vuoi.” I suoi occhi si assottigliarono. “Il tuo viso non mi è nuovo.”
“Mi chiamo Valya.”
Semil annuì grave. “Dovrebbe dirmi qualcosa?”
“Sono la figlia di Simm Keltel.”
“Ma certo, la figlia dell’armaiolo. Chi meglio di lui può capirne di spade? Ha deciso di separarsi da una delle sue creazioni?”
Valya annuì decisa. “Una delle migliori. Una preziosa lama finemente lavorata” disse cercando di mostrarsi entusiasta.
“Sul serio? E non ha trovato nessuno che gliela comprasse?”
Valya pensò in fretta a una risposta. “Non ha mai pensato di venderla, ma oggi ha deciso di fare spazio in casa. È molto affezionato a quest’arma.”
“Se per lui vale tanto, perché non venderne un’altra se è solo per fare posto?”
Iniziava a spazientirsi per tutte quelle domande.
“Forse ho sbagliato a venire qui” disse rivolgendo un’occhiata incerta all’ingresso. “Forse non è il momento adatto.”
“No, no” si affrettò a dire Semil. “È sempre il momento giusto per concludere un buon affare. Posso vedere la spada?”
Valya soppesò il fagotto tra le braccia. All’improvviso non le sembrava una buona idea che Semil o chiunque altro toccasse quell’arma.
La trasse dal fagotto e l’alzò affinché Semil potesse vederla.
“È nel fodero?”
Annuì.
“Avanti allora, vediamola.”
Valya estrasse la spada e la mise di traverso sul bancone, ma senza lasciarla.
Semil allungò una mano verso la lama e lei la ritrasse subito indietro.
“Sembra di buona fattura” disse il vecchio ritraendosi a sua volta. “E non sembra usurata dal tempo. È ben tenuta. Quanto vuoi per separartene?”
“Io pensavo a duemila monete.”
Semil sorrise. “Duemila? Non è possibile, non vale tanto.”
“Ma hai detto tu che è di ottima fattura e ben tenuta.”
“Ottima, ma non eccellente.”
“Ma vale tanto. Mio padre non l’avrebbe mai venduta se…”
“Lo so, lo so, me l’hai detto, per lui vale molto, ma io non posso dare un prezzo ai sentimenti, figlia del fabbro.”
“Se non puoi darmi duemila, quanto allora? Millecinquecento andrebbero bene per te?”
“Posso dartene cento per la spada” disse Semil accigliato.
Valya si sentì sprofondare. “Cento? È troppo poco.”
“Per me vale questa cifra e tieni conto del fatto che le spade non sono articoli molto richiesti in questo periodo. Non so nemmeno se riuscirò a guadagnarci qualcosa.” Sorrise. “Probabilmente finirà nel magazzino per chissà quanto tempo e toccherà a mio figlio Lemmi venderla.”
“Ma è un’ottima spada.”
“Un’ottima spada che sarà difficile vendere.”
“Non puoi aumentare l’offerta? Diciamo cinquecento monete?”
Semil scosse la testa. “Posso dartene venti in più per il fodero. È molto bello, devo ammetterlo.”
Centoventi, pensò Valya. Me ne mancherebbero quante a duemila?
Non era mai stata abile o veloce con i calcoli, ma la differenza era ancora troppo ampia. Non sarebbe riuscita a ripagare i debiti vendendo quella spada. Avrebbe dovuto venderne molte di più e se quella era la più preziosa…
“Allora?” fece Semil con tono pacato. “Facciamo questo accordo, figlia del fabbro?”

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