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Autore: Koome_94    08/06/2020    0 recensioni
Gavin Reed odia gli androidi da quando ne ha memoria, ma adesso che gli androidi hanno gli stessi diritti degli esseri umani il giovane detective deve imparare a tenere a freno la lingua.
Connor vorrebbe solamente svolgere il suo lavoro in pace, invece si trova a dover sempre tenere gli occhi aperti nel caso il suo collega al Detroit Police Department decida di giocargli un brutto tiro come a Novembre.
Chiunque penserebbe che affiancare Connor e Gavin sia un suicidio, eppure, quando una nuova pista di omicidi e sparizioni di androidi necessita di investigazioni, il Capitano Fowler assegna il caso proprio a loro due.
E probabilmente sarebbe più facile rimanere concentrati solo sull'indagine se entrambi si odiassero a morte, il problema è che nessuno dei due ci riesce davvero.
Mentre Hank segue una nuova pista sulla Red Ice, Markus continua a guidare la delegazione androide e Kara ha aperto un Pub in città, Gavin e Connor devono imparare a collaborare per evitare che la scia di thirium già sparso per le strade di Detroit possa aumentare fino al punto di non ritorno.
Nessuno dei due immagina quanto il pericolo gli sia già con il fiato sul collo.
Genere: Angst, Azione, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Connor/RK800, Gavin Reed, Hank Anderson, Kara/AX400, Markus/RK200
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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L’acqua scorreva nel lavandino da cinque minuti ormai.
Gavin Reed la guardava senza realmente vederla, gli occhi fissi al di là di essa e il pensiero altrove.
Era sul suo rumore che cercava di concentrarsi, era sul fruscio continuo che tentava di portare l’attenzione, ma l’unica cosa che riusciva a notare era il tremore delle sue dita strette attorno ai bordi bianchi del lavandino.
L’uomo chiuse le palpebre e trasse un profondo respiro, per poi riaprirle e guardare il suo riflesso nello specchio. Aveva le labbra gonfie, i capelli sudati appiccicati alla fronte e gli occhi cerchiati, un’immagine di sé che non gli diceva davvero niente di nuovo.
- Fai veramente schifo. - mormorò al suo riflesso, prima di chiudere il rubinetto con un gesto meccanico.
Più stanco di quando era andato a dormire, trascinò i piedi fino in camera, ma non tornò a letto.
Recuperò il cellulare dal comodino e sbirciò fuori dalla finestra, dove la pioggia battente colpiva l’asfalto come cariche d’artiglieria: erano le tre e quarantasette e sapeva benissimo che non sarebbe mai riuscito a riaddormentarsi.
Fuori, dove di giorno il viavai era sempre in movimento, adesso non c’era anima viva, e la strada era deserta sotto i coni di luce giallastra dei lampioni.
Di tanto in tanto i fari di un’auto fendevano il buio presso l’incrocio in fondo alla strada, ma la pioggia era svelta ad ingoiarli e nasconderli alla vista.
Gavin sbloccò la tastiera un paio di volte, un tic che gli dava l’impressione di starsi occupando di qualcosa e che in realtà lo portava per lo più a fissare uno schermo buio o la bacheca di Facebook aperta per automatismo. Era una delle tante cose che non riusciva a controllare, uno dei dettagli più piccoli e tuttavia più evidenti.
Odiava quel tic. Odiava esserne consapevole.
Un altro click sul bloccaschermo, le tre e cinquantadue. La canotta scolorita dei Green Day che usava per dormire era praticamente da strizzare e gli occhi gli facevano male. Strinse i denti e si spostò in cucina, dove si mise ad armeggiare con la caffettiera.
Non era mai stato un purista del caffè, anzi, a dirla tutta nemmeno gli piaceva più di tanto, ma la caffeina lo teneva in piedi e tanto bastava. Certo, qualunque cosa sarebbe stata meglio della brodaglia liofilizzata che doveva sorbirsi al lavoro, ecco perché la caffettiera. Dopotutto, e questa era una convinzione che aveva ereditato da tempi migliori, le cose fatte all’italiana erano sempre preferibili.
Il pensiero del lavoro gli strappò un grugnito lieve: non c’era un granché da fare in centrale in quei giorni, il picco di attività che avevano avuto sei mesi prima con la faccenda dei devianti era ormai un ricordo archiviato, e alla omicidi le acque erano tornate tranquille  e vagamente noiose come al solito. L’unica pista decente era una serie di omicidi legati al traffico di Red Ice, ma ovviamente il caso era stato affidato ad Anderson, e a lui erano rimaste le briciole di una Detroit che sembrava di colpo aver messo la testa a posto.
Sbuffò e si accucciò per grattare distrattamente la nuca al suo gatto, attirato dal gorgoglio del caffè che saliva.
- Scusa, Starlord, ti ho svegliato… - sussurrò mentre la bestiola faceva le fusa e poi filava via, già stufa di contatto.
Gavin spense il fornello e si versò il caffè, aggiungendo lo zucchero direttamente dalla zuccheriera.
“Con tutto lo zucchero che hai nel sangue è assurdo che tu sia sempre così incazzato” lo prendeva sempre in giro Tina, inorridita dalle tre bustine che esigeva nel suo caffè durante i tempi morti in centrale.
Solitamente le rispondeva con un ghigno obliquo e un dito medio mentre la donna roteava gli occhi, ma non aveva mai diminuito le dosi di zucchero. Il caffè gli era essenziale per non andare in coma durante i prolissi briefing di Fowler, ma era decisamente troppo amaro per i suoi gusti.
“Già la vita è amara, mi ci manca che lo sia pure il caffè”, si concedeva di scherzare con Chris di tanto in tanto e il collega non lo aveva mai contraddetto.
Bevve piano, le mani avviluppate attorno alla tazza per incamerarne il calore e gli occhi chiusi per contrastare il mal di testa che pian piano si stava impossessando di lui.
L’insonnia era una cosa con cui conviveva da sempre, ma gli incubi non erano una costante. Andavano e venivano senza uno schema preciso, come un canale radio disturbato dalla statica, ed era già da un po’ che non si ritrovava a svegliarsi di soprassalto nel bel mezzo della notte con il cuore che gli martellava in petto e le gambe intrappolate nelle lenzuola.
Nervoso, controllò il cellulare ancora una volta, facendolo roteare in mano con un gesto fluido: le quattro e tre minuti, e il sudore gli si era quasi del tutto asciugato addosso.
Posò la tazza nel lavandino, scosse la testa e guardò di nuovo il diluvio fuori dalla finestra.
Aveva decisamente bisogno di una doccia.
 
 
 



 
_SOMETHING HUMAN_
 





 
Quando avevano ristrutturato la centrale, nei primi anni ’20, il vetro era il materiale più in voga. La trasparenza sembrava essere l’elemento preferito degli architetti, e Gavin aveva sempre trovato ironico che lo avessero applicato ad un luogo in cui la trasparenza era la più rara delle merci.
La Polizia, nei diciassette anni di onorato servizio durante i quali aveva potuto assistere in prima persona, aveva omesso e piegato la realtà a proprio favore innumerevoli volte, e lui per primo si era ritrovato a insabbiare qualche dettaglio e a ritoccare i fascicoli delle deposizioni. C’era chi si arruolava con il cuore pieno di belle speranze, ma Gavin li aveva visti tutti chinare il capo piuttosto in fretta e archiviare l’idealismo assieme alle pile di casi irrisolti.
Sbadigliò senza premurarsi di portare una mano alla bocca e si stiracchiò sulla sedia, il monitor del suo terminale che riportava la partita a solitario appena conclusa.
- Che due palle. - biascicò fra sé e sé.
- Beh, Detective Reed, se si attenesse ai suoi orari di servizio la giornata lavorativa non le sembrerebbe così lunga. -gli arrivò in risposta la voce pacata e razionale di Monica, una delle androidi addette alla pulizia che si presentavano all’alba ogni mattina per poi andarsene ben dopo l’ora di cena.
Gavin le rivolse un’occhiata di ghiaccio.
- Tu pensa a pulire per terra. - replicò in un sibilo.
L’androide sgranò appena gli occhi e strinse impercettibilmente la mano attorno al manico della scopa.
- Chiedo scusa, Detective. - mormorò, tornando a svolgere i suoi compiti.
Gavin tornò a concentrarsi sulla scrivania, spostando i fogli impilati, sistemando le penne nella tazza e scorrendo le mail con malcelata insofferenza.
Da quando quel Markus aveva guidato la rivolta degli androidi sei mesi prima le cose erano cambiate drasticamente in città: le prime settimane erano state forse le più intense e alla televisione non si era parlato d’altro che delle trattative fra la delegazione androide di Jericho e il governo. Dicembre era stato una manifestazione continua per le strade innevate di Detroit, e il Primo Gennaio erano entrati in vigore per direttissima gli Android Treaties, segnando di fatto la completa parità legale fra androidi e umani.
Una bella notizia per quegli ammassi di plastica parlanti, una notizia di merda per Gavin che, alla mattina del giorno seguente, aveva dovuto sopportare in silenzio il sorriso di trionfo su quella faccia da cazzo di Anderson e la pacata serenità del suo tirapiedi made-in-CyberLife.
In circostanze differenti Hank si sarebbe beccato un sonoro fanculo e Connor magari pure un pugno nello stomaco, ma si dava il caso che quei merdosi trattati avessero reso illegale anche semplicemente riferirsi agli androidi come oggetti e non come esseri senzienti, così Gavin era stato costretto a chinare il capo e cucirsi la bocca a filo doppio per non beccarsi qualche richiamo disciplinare o peggio, un fermo per cattiva condotta.
Fu con la faccia scura a causa di quei pensieri che, alle sette e cinque in punto, accolse Chris e la sua aria stravolta.
- Hai messo il distintivo al contrario, uomo. - commentò con un cenno della testa alla cintura del collega.
Quello si passò una mano sul volto e lo salutò con un sorriso.
- Lascia perdere, il bambino ha la febbre e ha pianto tutta la notte, avrò dormito due ore. - raccontò senza alcun reale rancore mentre alle sue spalle, sottovetro nel suo ufficio, Fowler sbraitava qualcosa al telefono.
Gavin tolse i piedi dalla scrivania e spinse indietro la seggiola con le ruote, alzandosi e affiancando Chris.
- Amico, ti ci vuole un caffè! - commentò con una sonora pacca sulla spalla mentre l’altro annuiva e si alzava a sua volta, già diretto verso la break room.
- Reed, dammi retta, se vuoi un figlio prenditelo già grande. I neonati sono delle creature del demonio. - esalò l’uomo, porgendogli il terzo caffè della mattinata.
Gavin si lasciò andare ad una risata bassa e sinceramente divertita, le sventure del collega a fargli pesare un po’ meno le sue.
- Tranquillo Miller, non credo correrò il rischio! -  e rise ancora, mentre la pioggia continuava a battere impietosa contro le grandi vetrate della centrale e gli altri agenti pian piano timbravano il cartellino e andavano a prendere posto alle loro scrivanie.
Gavin era sempre il primo ad arrivare e l’ultimo ad andarsene, e i colleghi si divertivano a prenderlo in giro per questo. Era quasi sicuro che girassero leggende metropolitane sul suo conto, e una volta aveva beccato dei novellini sussurrarsi con timore reverenziale che probabilmente il Detective Reed viveva in ufficio. Subito dietro di lui, tuttavia, si piazzava Chris: probabilmente era anche per questo che Fowler aveva preso il giro di affiancarli in missione, perché proprio come per lui la presenza di Chris in centrale era una garanzia. Entrambi avevano accumulato più ore di straordinari di quante ne contasse l’orologio, ma avevano motivi ben diversi per farlo.
Qualcuno che di certo non si era mai preso la briga di dedicare al lavoro un minuto di più di quanto non fosse previsto dal contratto era Anderson.
Gavin aveva pensato che dopo la faccenda dei devianti il vecchio si sarebbe dato un contegno, ma nonostante avesse smesso di puzzare di alcool ad ogni ora del giorno e della notte era comunque raro che timbrasse il cartellino prima delle nove.
Connor, invece… beh, Connor era una macchina, e come tale sembrava essere stato programmato con la precisione di un orologio svizzero. Timbrava tutti i giorni alle otto spaccate, controllava le mail, sistemava i fascicoli, schedulava gli eventuali interrogatori e rimaneva in attesa di direttive seduto alla sua scrivania con la schiena dritta e le labbra morbide appena curvate in un accenno di sorriso, come se apparire costantemente bendisposto nei confronti dell’universo fosse alla base del suo software.
Tutte le volte che Gavin notava quell’espressione doveva stringere i pugni per reprimere l’impulso di cancellargliela a suon di cazzotti, e bisognava ammettere che il fatto che la scrivania di Connor si trovasse esattamente accanto alla sua non aiutava.
Il fatto era che quel manichino di merda lo distraeva di continuo, la sua voce così particolare aveva il potere di fargli interrompere qualsiasi attività monopolizzando la sua concentrazione e il modo schifosamente sereno con cui scherzava con Hank gli mandava il sangue al cervello.
Odiava tutto di Connor, odiava ogni singolo zero e uno del suo codice di programmazione, odiava i suoi occhi castani, quel fastidioso ciuffo che gli ricadeva sulla fronte, le mani curate, la competenza in ogni situazione.
Più di tutto, odiava che fosse educato con lui.
Alla luce di ciò che era accaduto a Novembre Gavin si era aspettato ostilità da parte sua, o timore, invece Connor si era limitato a ignorarlo. A Gavin era sembrato assurdo e aveva continuato a stuzzicarlo per settimane, quasi ossessionato dalla curiosità di vedere una reazione in lui nonostante la vergogna di averle buscate dall’androide gli bruciasse ancora nelle vene, tuttavia Connor non aveva mai risposto alle sue provocazioni. Tutto quello che Gavin era riuscito ad ottenere era stata una lunga serie di sorrisi preimpostati e una resistenza nonviolenta che non aveva fatto altro che avvalorare la sua teoria: devianti o no, gli androidi rimanevano macchine senza sentimenti. Perché se Connor avesse avuto davvero dei sentimenti avrebbe reagito, se Connor davvero avesse avuto un briciolo di umanità dentro di sé avrebbe portato rancore per l’uomo che aveva tentato di ucciderlo alla prima valida occasione.
E invece Connor continuava ad essere educato nei suoi confronti, continuava ad esibire quel sorriso pacato e proseguire dritto per la sua strada, e ogni giorno Gavin si riscopriva assurdamente deluso nel trovare conferma alla sua convinzione.
- Dannazione, Fowler, spero tu abbia un motivo valido per avermi cacciato giù dal letto alle sette di mattina! -
Gavin fu riportato alla realtà dal berciare irritato di Anderson, che passò davanti alla break room senza degnarli di uno sguardo.
- A quest’ora? - sussurrò Chris fra sé e sé, controllando l’orologio da polso.
Gavin si strinse nelle spalle, gli occhi fissi sull’androide che, come un cagnolino bagnato, seguiva a grandi passi il Tenente fin nell’ufficio di Fowler.
- Forse la telefonata di prima era per loro… - osservò assottigliando gli occhi alla ricerca di un dettaglio che potesse dargli ragione.
- Sembrava agitato, magari Hank ha fatto qualche cazzata. O magari l’ha fatta Connor. - commentò poi con un ghigno mentre Chris cercava di indovinare dal labiale che cosa il Capitano stesse dicendo ai due agenti al di là del vetro.
- Oh no. - balbettò mentre Gavin terminava il suo caffè.
- Che c’è? - chiese buttando via il bicchierino.
Gli bastò alzare lo sguardo per capire che quella sarebbe stata una giornata piena di grane: sporto a mezzobusto dalla porta del suo ufficio, Fowler stava facendo loro segno di raggiungerli.
Gavin e Chris scivolarono silenziosamente fuori dalla break room e presero posto accanto agli altri due agenti nell’ufficio di Fowler, andando a mettersi rispettivamente accanto a Connor e ad Hank.
Il Tenente Anderson era scuro in volto e se ne stava a braccia conserte, e Gavin non fu capace di decidere se quel nervosismo fosse da attribuirsi al caso su cui lo aveva aggiornato Fowler o al fatto di essere stato chiamato in servizio così presto. Connor, d’altro canto, se ne stava in piedi accanto al suo partner con la solita compostezza, nonostante la sottile linea che gli attraversava la guancia destra facesse dedurre che si era separato da poco da un cuscino.
Gli androidi dormivano? Aveva sempre pensato che ricaricassero le batterie in quelle stupide pensiline sparse qua e là per la città, ma forse la devianza aveva introdotto nuove abitudini. Gavin immaginò Connor sdraiato in un mare di cuscini a sonnecchiare come un angioletto, con quella stupida bocca socchiusa e i capelli spettinati a ricadergli sulla fronte. Doveva essere perfetto anche da addormentato, lurido automa.
- La nostra Bella Addormentata è stata cacciata giù dal letto con un brusco risveglio? - lo apostrofò con scherno dandogli un colpetto alla guancia con indice e medio proprio in corrispondenza del segno del cuscino.
Ghignò, consapevole grazie al lieve colorito azzurrino che si era impossessato delle sue guance di aver messo in imbarazzo Connor, e non notò che Chris aveva alzato gli occhi al cielo con un vago sorriso né si accorse dell’occhiata di fuoco di Hank. Vide solo che la linea sulla pelle di Connor veniva distesa dal software fino a svanire del tutto.
- Grazie Detective Reed. Effettivamente avevo programmato di essere operativo più tardi, quest’oggi. - si limitò a rispondere Connor con un’espressione neutrale.
- Bravo, aggiustati. Non sia mai che la gente possa scordarsi che sei impeccabile. - sibilò, infastidito.
Persino le pieghe del cuscino erano da censurare? Gli androidi avevano voluto essere come gli umani, ma non lo sarebbero stati mai. La perfezione non era umana, e nessun androide vi avrebbe mai rinunciato, Connor per primo.
- Ordine! - berciò Fowler, rimproverandoli come due scolaretti delle elementari.
Gavin incrociò le braccia al petto e si appoggiò con la spalla alla parete alla sua destra, un perfetto riflesso di Hank dall’altra parte dell’ufficio, e finalmente il Capitano prese a spiegare per quale dannatissimo motivo li avesse chiamati lì dentro.
- Chris, Gavin, come sapete Hank sta seguendo una pista sulla Red Ice. Abbiamo ricevuto una soffiata circa un covo nell’area portuale. Si tratta di un vecchio magazzino dismesso, Hank sospettava si potesse trattare di un loro punto strategico e ne abbiamo ricevuto conferma. Sembrerebbe trattarsi della stessa banda che ha ucciso quei due liceali la settimana scorsa, perciò vogliamo organizzare un blitz. -
Si prese una pausa per respirare e ne approfittò per sondare le reazioni dei sottoposti, ma nessuno emise un fiato.
- Se dovessimo riuscire a mettere le mani su di loro sarebbero una miniera di informazioni sulla rete di traffico della zona del porto. - concluse.
Chris rivolse un’occhiata veloce a Anderson e Gavin fece spallucce.
- Quanto è grande il magazzino? Quante entrate? Hanno vie di fuga? Piantoni? Quanti spacciatori dobbiamo aspettarci? - domandò, giusto per tenersi impegnato. Se aveva capito bene in quell’operazione il suo ruolo sarebbe stato solamente quello di fare numero per la buona riuscita del blitz.
Probabilmente non doveva trattarsi di un’azione ai danni di più di due o tre persone. Non un colpo grosso, ma se davvero fossero stati i pesci giusti da prendere all’amo Hank avrebbe avuto di che divertirsi per i giorni a seguire.
Fu proprio lui a rispondere, le sopracciglia aggrottate in un ragionamento collaterale di cui però non li mise a parte.
- E’ più una rimessa che un vero e proprio magazzino, saranno duecento metri quadri a occhio. Ha un ingresso carrabile e una porta di servizio. Sembrerebbe soppalcato: c’è una scala antincendio esterna. - spiegò.
Connor si morse il labbro inferiore, pensieroso.
- Sono tre accessi da controllare. - considerò, mentre il suo partner annuiva.
- Secondo la soffiata ci saranno solo due persone per un controllo di routine. Nulla di impegnativo, ma dovrete essere tempestivi. - disse Fowler, passandoli tutti e quattro in rassegna con uno sguardo serio.
- Hank sa già l’indirizzo, vi inoltrerò i dettagli sui tablet. - e con quello decretò il briefing concluso.
L’automobile di Hank li condusse attraverso il diluvio scrociante fino alla zona portuale. Gavin si chiedeva come fosse possibile che quel vecchio rottame riuscisse ancora a stare in piedi senza perdere pezzi per strada, ma dopotutto ero una domanda che si faceva sempre anche relativamente ad Hank, perciò si ritrovò a supporre che probabilmente l’uomo e la sua macchina erano legati da chissà quale contratto diabolico. Bisognava ammettere però che non era male, gli interni erano incredibilmente puliti e i sedili in pelle erano comodi.
L’acqua sferzava i finestrini e le spesse nuvole nere continuavano a immergere la città nel buio nonostante il mattino stesse avanzando, ma quello non era altro che un elemento a loro favore.
- Con tutta questa pioggia non ci sentiranno di certo arrivare. - commentò Chris, controllando per l’ennesima volta sul suo tablet le informazioni aggiuntive che aveva inviato Fowler.
Gavin fece per rispondere, ma Connor fu più veloce.
- La visibilità è ridotta però, in caso di fuga sarebbero avvantaggiati dalla conoscenza del luogo. Non dobbiamo lasciare che escano dalla rimessa. -
Gavin ghignò mentre l’auto rallentava e Hank spegneva i fari per non attirare l’attenzione nell’ultimo tratto di strada.
- Non ne avranno il tempo. - assicurò rivolgendo un’occhiata tronfia all’androide attraverso lo specchietto retrovisore.
Anderson sbuffò dal sedile del guidatore e tirò il freno a mano, per poi spegnere il motore.
- Ci servono vivi, Reed. Vedi di non pisciare fuori dal vaso. - fu il suo ammonimento.
Nel buio del mattino, si voltò verso i sedili posteriori con aria grave, i capelli grigi raccolti in un mezzo codino disordinato nel fallimentare tentativo di tenersi gli occhi liberi dai ciuffi.
- Chris, tu entrerai dall’ingresso pedonale, io e Connor prenderemo quello carrabile. Gavin, tu sei il miglior tiratore, perciò ci coprirai dalla porta di emergenza. -
Gli altri tre si guardarono perplessi; che ne fossero felici o meno sapevano tutti che il tiratore migliore nel gruppo era Connor: il suo software aveva un margine di errore sulla mira prossimo allo zero e le sue abilità lo rendevano di certo l’agente più adatto al compito di cecchino, ma tutti sapevano che Hank non se ne sarebbe mai separato e ribattere sarebbe stato inutile.
- E porta di emergenza sia. - si limitò quindi a biascicare Gavin, seccato dall’essere stato bellamente estromesso dall’azione.
Sapeva che Hank non si fidava di lui e dopo gli eventi di Novembre capiva anche perché, tuttavia l’idea di essere stato arbitrariamente messo da parte lo irritava non poco.
Che odiasse Connor oltre ogni misura non implicava che in servizio fosse sempre impeccabile. Anzi.
Uscirono dall’auto quasi simultaneamente, accolti dalla violenza della pioggia che in una manciata di secondi li rese zuppi fino all’osso.
- Occhi aperti. - si limitò ad ordinare Anderson, poi con un cenno della testa decretò ufficialmente incominciato il blitz.
Gavin non attese oltre, estrasse la pistola dalla fondina e si mosse velocemente verso le scale antincendio, salendole con cautela per non fare rumore o scivolare.
La porta non era come se l’era aspettata: credeva di dover scassinare una tagliafuoco, invece davanti a lui se ne stava placida e mezza scrostata una semplice porta di lamiera. Posò piano una mano sulla maniglia, così, giusto per tentare la sorte, ma quando la porta non oppose resistenza al suo tocco Gavin si accorse che qualcosa non andava.
Si voltò di scatto per tentare di avvisare Chris, ma il collega, a piedi diversi metri sotto di lui, aveva già svoltato l’angolo pronto a sfondare l’ingresso principale.
Accadde tutto contemporaneamente: Chris sfondò la porta d’ingresso, Hank e Connor entrarono nella rimessa a pistole spianate e Gavin, con il cuore in gola, scivolò oltre la porta di lamiera per ritrovarsi su un camminamento di metallo che seguiva l’intero perimetro della struttura.
- Mani in alto, polizia! - sentì urlare Connor al piano di sotto.
Ma quello che doveva essere un semplice blitz ai danni di due ignari scagnozzi della banda si presentò immediatamente agli occhi di Gavin nella sua terrificante realtà: quella che avevano ricevuto non era stata una soffiata, ma un invito dritto dritto in una trappola.
Il primo colpo di pistola partì senza che nemmeno avessero potuto rendersene conto, Hank afferrò Connor per un braccio e lo trascinò al riparo dietro un vecchio macchinario abbandonato. Dall’altro lato della rimessa, Chris aprì il fuoco sull’uomo che aveva sparato, ma altri tre criminali gli furono addosso.
Gavin non perse tempo e prese la mira, colpendo a un braccio uno degli assalitori e permettendo al collega di liberarsi e nascondersi a sua volta, ma il suo intervento rese evidente la sua posizione e lo costrinse a spostarsi lungo il perimetro del capannone.
Dannazione, così era terribilmente esposto!
Hank e Connor tentarono di aprirgli una finestra con del fuoco di copertura, ma se era riuscito a contare correttamente erano sei gli individui di cui dovevano occuparsi, e questo li portava automaticamente in inferiorità numerica.
Un colpo nemico andò a rimbalzare contro una delle sbarre della ringhiera a un palmo dal ginocchio di Gavin e il ragazzo si buttò a terra rotolando appena in tempo per evitare un proiettile che gli avrebbe aperto in due la fronte.
Erano disorganizzati, ma bene addestrati, la scuola della strada immediatamente riconoscibile nell’assenza totale di una formazione uniforme fra le loro fila.
- RK800 a Centrale, abbiamo subito un’imboscata, ci servono rinforzi! - sentì Connor da sei metri più in basso, in collegamento wireless con il centralino della Polizia mentre caricava e si sporgeva per sparare.
Hank, nel frattempo, aveva abbandonato la sua postazione per correre in soccorso di Chris, mentre Gavin faceva quello che poteva per coprire loro le spalle.
Era ovvio, era ovvio che era tutto programmato! Lo aveva capito sin dal primo momento, da quando la porta di emergenza si era aperta senza un cigolio sotto il suo tocco leggero: quale banda organizzata si sarebbe mai permessa di dimenticare aperto un ingresso al loro magazzino di Red Ice? Era così palese!
- Hank! - esclamò Connor, ma Chris neutralizzò il nemico che puntava al loro comandante con un colpo ad una spalla che gli fece cadere la pistola di mano.
Anderson la raccolse e la puntò contro un altro malvivente, tenendolo sotto tiro mentre Miller si gettava all’inseguimento di un terzo elemento che stava tentando di uscire e lo atterrava con una spallata.
Gavin raggiunse finalmente una delle due rampe di scale che collegavano il camminamento al resto della rimessa, cercando di evitare i colpi a lui diretti mentre Connor tentava di raggiungere Hank e Chris e liberarsi di uno dei tre nemici rimasti in piedi.
- Levati di mezzo, schifoso! - berciò uno degli uomini, assestando un pugno violento in faccia a Connor che lo colse in contropiede e lo spedì dritto in terra.
- Connor! - esclamò Gavin, alzando la pistola per evitare che gli sparassero, ma l’assalitore ignorò l’androide e corse dall’altra parte del magazzino e sparì alla loro vista celato dal grande macchinario dietro al quale si era riparato Connor poco prima.
- Ce l’hanno con Hank! - esclamò quello, sentendo altri colpi di pistola e imprecazioni arrivare dal fondo della rimessa.
- Lo so! - berciò Gavin in risposta, scrollandosi di dosso il malvivente che gli si era lanciato contro e mettendolo al tappeto con una presa e una ginocchiata alla bocca dello stomaco.
Niente morti, aveva detto Anderson, ma forse in quel caso sarebbe convenuto spedire almeno uno di quegli stronzi al creatore.
Ebbe solo il tempo di pensarlo, solo il tempo di rendersi conto di aver abbassato la guardia prima che la sua coscienza recepisse il rumore dello sparo.
Una frazione di secondo di troppo, una distrazione banale e decisiva. I suoi riflessi non sarebbero stati veloci abbastanza, c’era ancora un uomo in piedi e Gavin non era stato tempestivo a sufficienza da disarmarlo o cercarsi un riparo.
Sentì il rumore dello sparo, qualcosa di caldo sul volto, un altro rumore improvviso e poi ci fu silenzio, un silenzio terribile coperto da un lungo fischio nelle orecchie mentre il dolore alla schiena sbattuta con violenza contro i gradini della scala gli faceva capire di essere caduto.
Lo avevano colpito?
Una frazione di secondo, bastò solo quello affinché Gavin si rendesse conto di cosa era successo.
Accanto all’uomo che aveva atterrato lui stesso, riverso sul pavimento, se ne stava immobile colui che gli aveva sparato, una pozza di sangue ad espandersi sul cemento attorno al suo volto: era morto.
- Gavin, stai bene? -
La voce di Connor lo raggiunse distorta, come un disco rotto, come se avesse avuto la testa sott’acqua.
L’androide era esattamente davanti a lui, le braccia tese in avanti a puntellarsi contro i gradini e il busto a schermargli la vista sul magazzino.
- Gavin? - ripeté, ma Gavin non rispose, gli occhi sgranati mentre la chiazza blu si espandeva sulla sua divisa attorno al foro del proiettile.
E Gavin capì, mentre tutto tornava ad assumere consistenza e da fuori in mezzo al diluvio risuonavano le sirene spiegate della Polizia, capì che quello che sentiva gocciolargli lungo il viso non era il suo sangue, ma apparteneva all’androide.
- Io… - balbettò, incapace di comprendere se fosse riuscito a pronunciarlo ad alta voce o se il suono gli fosse rimasto intrappolato fra le labbra.
- Gavin, sei ferito? - domandò di nuovo Connor, ma questa volta la sua voce si incrinò e il suo volto fu attraversato da una smorfia.
- Cristo, Connor! - fu l’unica risposta che fu in grado di dargli, prendendolo per le braccia e facendolo sedere sui gradini accanto a lui.
La chiazza blu continuava ad espandersi, la giuntura fra braccio e spalla irrimediabilmente danneggiata dal proiettile.
- Bisognerà sostituirla. - considerò Connor con un sorriso vagamente seccato, ma Gavin si accorse che faticava a parlare.
- Con… - incominciò, ma fu bloccato all’istante.
- Non preoccuparti, gli androidi non sentono dolore. Sono solo impulsi diretti al sistema centrale che causano una reazione di cortocircuito momentaneo, nulla di più. - lo tranquillizzò, probabilmente impietosito dalla sua espressione sconvolta.
- Cazzo, Connor, questo è esattamente come funziona il dolore! - gli urlò in faccia mentre il ragazzo sorrideva ancora una volta prima di accasciarsi appena in avanti.
- Hey, coglione, no eh! - si ritrovò a balbettare Gavin, ma prima che potesse anche solo pensare a qualunque cosa Hank e Chris fecero la loro comparsa da dietro l’ingombrante macchinario.
Chris si precipitò ad ammanettare l’uomo che aveva atterrato Gavin poco prima, ma l’attenzione di Anderson era tutta sul sangue: quello rosso del malvivente e quello blu del suo protetto. Gli ci volle il tempo di un respiro per rendersi conto che Connor era stato colpito.
- Connor! Connor stai bene? Connor! - esclamò, gettandosi in suo soccorso e strappandolo letteralmente dalla presa di Gavin.
L’androide annuì, affaticato ma presente.
- Credo di star andando in arresto forzato. - spiegò, mentre attorno a loro altri agenti si affaccendavano e qualcuno chiamava un’ambulanza.
Hank alzò la testa di scatto e la furia nei suoi occhi fu capace di far indietreggiare Gavin fino a sbattere con la schiena contro le sbarre della ringhiera.
- Che cazzo gli hai fatto?! - urlò fuori di sé, il thirium di Connor a inzaccherargli la giacca.
Gavin aprì la bocca per replicare, ma quella domanda ebbe solamente l’effetto di riportarlo a Novembre, con il calcio freddo della pistola fra le mani e la nuca di Connor nel mirino.
- Io… io non… - balbettò ancora.
- Hank, va tutto bene, Hank… - sentì che Connor cercava di calmare le acque, la voce impastata da quello che, simulazione o no, sembrava proprio dolore, ma Gavin continuava a non vederlo davanti a sé.
I suoi occhi gli riportavano la sala delle prove, le orecchie il rumore metallico del proiettile che rimbalzava dopo essere stato schivato.
Nella rimessa Hank gli stava urlando contro i peggio improperi, trattenuto da Chris mentre dei paramedici entravano dall’accesso carrabile e si affrettavano a soccorrere Connor, ma Gavin non era lì.
Gavin era in Centrale, riverso per terra dopo averle prese di santa ragione dall’androide che adesso gli aveva salvato la vita.
Si portò una mano alla guancia e tentò di pulirsi via il sangue, ma le dita gli tremavano e le orecchie avevano ripreso a fischiargli.
- Si sente bene? Sta perdendo del sangue, è il caso di farle un check. Venga, la accompagno. - una giovane androide paramedica doveva aver fatto un controllo rapido delle sue condizioni e aver identificato qualche ferita leggera, forse proiettili che lo avevano preso di striscio o abrasioni dovute alla colluttazione, ma nonostante Gavin si fosse alzato per seguirla all’esterno, dove l’ambulanza stava caricando Connor per spedirlo a farsi riparare, non registrò realmente nulla di quello che stava succedendo.
Aveva già visto il thirium spandersi come sangue umano, aveva già visto androidi morire, ma non si era mai trattato di androidi che conosceva, non si era mai trattato di Connor.
Si rese conto con la violenza di un pugno nello stomaco che se a Novembre il suo colpo fosse andato a segno Connor sarebbe morto. Morto realmente, come un umano. Morto sul serio, definitivamente.
Per mano sua.
Con la coda dell’occhio vide gli uomini della banda sfilare ammanettati e venire caricati sulle automobili della Polizia, mentre Hank discuteva animatamente con i paramedici e alla fine otteneva di poter salire sull’ambulanza.
- Miller! Fai rapporto tu! - lo sentì urlare all’indirizzo di Chris, prima che il portellone dell’ambulanza si chiudesse.
L’ultima cosa che Gavin vide fu il gomito di Connor sporgere dalla barella.
Abbassò lo sguardo e si accorse solo in quel momento che era di nuovo all’aperto e stava ancora diluviando.
- Gavin, stai bene? - gli chiese Chris non appena l’androide paramedica lo ebbe lasciato solo.
Gavin annuì, ma non lo guardò in faccia.
- Sì. Sì, sto bene, Connor mi ha… -
Non lo disse, non riuscì a pronunciarlo ad alta voce.
Stava ancora diluviando, e la pioggia aveva lavato via il thirium dalla sua mano.


 
   
 
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