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Autore: lmpaoli94    11/06/2020    0 recensioni
Bronx, anni 60’
Forse questa può essere la solita storia di odio razziale per la conquista di una libertà che è solo un’utopia.
Forse questo può essere un racconto come tanti altri che vengono pubblicati sperando che qualcuno lo possa leggere e capire il messaggio che si vuole trasmettere.
Ma alla fine quello che voglio è dire che il fatto che racconterò in questi capitoli ha una distanza di sessant’anni ma è così attuale che sembrerà di essere nel presente.
Perché anche se la schiavitù in Nord America e l’Aparthied in Sudafrica sono stati aboliti (apparentemente), i fatti che i due protagonisti desiderano portare a compimento lascerà in qualche modo riflettere, anche solo per pochi secondi.
Giusto per dire: ma davvero esiste tutto questo? Perché l’odio deve essere più forte su tutto? Perché impariamo a odiare? È la nostra mente che è malata?
Domande a cui personalmente non posso rispondere. Io mi limito solo a riflettere.
Per fare in modo come ciò possa avvenire.
Per fare in modo che un giorno di questi tutto il male dell’uomo non avvenga mai più.
Ma in fondo al mio cuore, questo è solo il mio desiderio… e il tuo qual è?
Genere: Angst, Drammatico, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
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Un’altra giornata difficile stava per cominciare.
I ragazzi come me non potevano andare a scuola perché non se lo potevano permettere.
Essendo l’ultimo di tre fratelli, non potevamo godere di nessun principio.
Madre casalinga e padre operaio, stando sempre attenti a non cadere nel vortice della droga.
Un business che ti fa diventare ricco subito, ma che nasconde insidie e morte sempre dietro l’angolo.
Abitavamo in uno dei quartieri più malfamati d’America: il Bronx.
Non riuscivamo a cambiare casa o vita perché era già abbastanza difficile per noi della famiglia e anche se c’era mio fratello più grande che contribuiva a lavorare a fianco a mio padre, riuscivamo a rimanere a malapena a galla.
Nessuno voleva avere a che fare con noi, nemmeno la polizia.
Infatti facevano di tutto per stare alla larga da questo quartiere, mentre la delinquenza era fuori controllo da troppo tempo. Da troppi anni.
Ma in fondo dovevamo vivere in qualche modo e perché piangerci addosso quando cercavamo di essere felici.
Ormai c’eravamo abituati alla vita di persone che giravano intorno a noi, dunque perché stupirsi?
Appena avevo aperto gli occhi quella mattina avevo subito sentito spari dal palazzo proprio dinanzi al mio.
Curioso com’ero (in fondo avevo appena 14 anni), scorsi dalla finestra della mia camera un uomo che aveva appena ucciso sua moglie.
Le sue mani sporche di sangue erano un segno evidente anche a metri di distanza.
Dopo tutti quegli anni passati in questo misero quartiere, non mi stupivo più di nulla.
L’unica cosa che mi poteva sorprendere era la bontà che le poche persone di questo quartiere potevano manifestare.
Ma in fondo eravamo tutti dei luridi egoisti mentre attraversavamo le strade di un luogo che sembrava l’inferno sulla terra.
Mentre mia madre mi richiamò a gran voce, non potei vedere il criminale come avesse nascosto il corpo di sua moglie.
Non li conoscevo assolutamente quei due individui, ma avevo subito capito che erano marito e moglie.
Non chiedetemi il perché lo pensavo: mi piaceva pensare ad una famiglia che apparentemente poteva essere felice. Ma poi… ecco il colpo di grazia di una vita dannata.
Non potendo rimaner a spiarlo ancora per molto, mi ritrovai dinanzi a mia madre mentre mi scrutava con sguardo serio pieno di rimprovero.
< Steve, cosa stai facendo? >
< Niente, mamma. Mi sono appena alzato. >
< Ti ho chiamato molte volte. Perché non mi rispondi? >
< Perché non ho sentito. >
Ma nel momento che anche lei aveva guardato fuori dalla finestra, mi prese per un orecchio come se avessi meno di dieci anni.
< Non mi hai sentito perché eri impegnato a spiare i vicini. È vero?! >
< Non volevo farlo! giuro! >
< Lo sai qual è il miglior modo per vivere, Steve? Farsi gli affari propri. E tu dovrai incominciare da questo momento se non vuoi cacciarti nei guai. Ora vieni a fare colazione. Tuo padre deve parlarti. >
Con la testa china per l’imbarazzo e la paura dei miei genitori (soprattutto di mia madre) raggiunsi la cucina con tutta la famiglia al completo.
Quando il gruppo era al completo, quella cucina sembrava molto più piccola del solito.
Magari fossero solo questi i problemi della vita… In fondo i miei genitori, per quanto fosse possibile, non mi avevano mai fatto mancare nulla.
Tre pasti al giorno (s’eppur si mangiava spesso le solite cose), un tetto sopra la testa, una famiglia amorevole (sempre nei limiti perché se sgarravi o facevi qualcosa di male, le buscavi sonoramente) e soprattutto ti proteggevano dai guai.
Perché quando ti ritrovavi in strada in un quartiere come questo, la tua vita è sempre appesa ad un filo.
Possono toglierti di mezzo senza che tu te ne possa accorgere. E dopo a chi la dai la colpa? Al criminale o al destino?
Molti morivano così ogni giorno, ma in fondo questa era la vita.
Ci sarebbero molti modi per descrivere l’ambiente in cui vivo e dormo ogni giorno, ma la storia di questi giorni va ben oltre la descrizione.
Ognuno di noi desiderava essere libero e andare contro leggi impossibili, come quelli tra bianchi e neri.
Perché un bianco non poteva essere amico di un nero e viceversa? Cos’è che davvero lo frenava? L’odio verso una razza inferiore? Che cosa, mi domandavo.
Anche se ero ancora molto piccolo per capire, per certe cose sono dovuto crescere molto in fretta.
< Steve, avvicinati a me > fece mio padre.
< Che cos’ho fatto di male? >
< A parte spiare uno dei tanti criminali di questo quartiere? Ancora niente… Sai che oggi è il tuo primo giorno di lavoro come fornaio? Ho dato la mia parola ad un cliente che tu ti saresti presentato. Non pensare di andare a fare un giro con il tuo amico nero sottraendoti ai tuoi doveri. Mi sono spiegato? >
< C’andrò, papà. Ho dato la mia parola. >
< Allora dimmi, cosa sono questi stracci? >
< Purtroppo non ho di meglio da metterti. >
< Che cosa vuoi dire? Che non sei sodisfatto dei tuoi vestiti?! Trova qualcosa di più decente! Subito! >
Rispondere a mio padre non era mai una buona idea.
Doveva sempre avere ragione lui, oltre che l’ultima parola.
Nessuno della mia famiglia mi aiutava, soprattutto i miei fratelli.
Ero considerato la pecora nera di questa famiglia e di conseguenza perché perdere tempo nel domandargli se potevano aiutarmi oppure no?
Dovevo cavarmela da solo. Come sempre.
Alzandomi da tavola mangiando solo un pezzo di pane duro, mio padre mi gridò contro dicendomi se sapeva dove si trovava il forno dove avrei iniziato a vendere il pane.
< Dietro casa nostra. Ormai so i nostri luoghi che frequentiamo. >
< Devi essere lì tra un’ora esatta. Vedi di non fare tardi, capito? Dove stai andando?! >
< A cercare un vestito buono da mettermi. Tanto qui non mi aiuta nessuno. >
Senza ascoltare le risposte dei miei genitori e dei miei fratelli, sapevo che l’unico che poteva aiutarmi era il mio amico di colore Trevor.
Sapevo che potevo contare sempre su di lui e di conseguenza lui poteva contare su di me.
Ci aiutavamo e ci rispettavamo a vicenda, seguendo dei codici d’onore che per noi erano tutto.
Ma in fondo che cosa ne volevo sapere io? Ero solo un bambino di quattordici anni che non ha potuto andare a scuola.
Rimarrò ignorante, pensavo ogni volta.
Ma in fondo in questi anni non mi sarebbe pesato. Ma tra qualche tempo^? Forse sarebbe stato tutto diverso…
Poi mi domandavo: che cosa avrei fatto nel corso della mia vita? Mio padre si impegnava a trovarmi dei lavori socialmente utili, anche se poco retribuiti.
Lui voleva assolutamente che io fossi indipendente, mentre voleva lavorare con gli altri miei fratelli: un altro segno che io ero la pecora nera della famiglia.
Ma non me ne facevo una gran colpa: in fondo non avevo fatto niente.
Non volendo concentrarmi sul mio futuro che a prima vista era un vero schifo come il mio presente, raggiunsi in strada il mio amico Trevor mentre passava dinanzi al mio palazzo.
< Ciao, Trevor. Come va? >
< Tutto bene, Steve. In fondo sono ancora vivo > ribatté divertito il ragazzo.
< Ahahah sì, è vero… Senti, so che sono un vero egoista, ma ho bisogno di un favore. >
< Dimmi tutto, amico. >
Spiegandogli che avevo bisogno di un vestito elegante, Trevor non si sottrasse al mio più grande desiderio di quel momento.
< Davvero? E ce l’avresti anche della mia taglia? >
< Questo non lo so, Steve. Puoi passare da me a provartelo, se vuoi. >
< Mi piacerebbe tanto Trevor, ma i miei non vogliono che io venga a casa tua. >
Capendo subito la mia paura che un bianco non può stare insieme ad un nero, Trevor mi assicurò che nel suo appartamento e nel suo palazzo non c’era nessuno alle prime ore del mattino.
< Tutti in strada a fare compere o al lavoro. Siamo al sicuro. Non preoccuparti. >
Non volendogli dire di no, accettai felice, stando molto attento a non arrivare in ritardo.
< Tuo padre ti ha trovato un nuovo lavoro? >
< Sì. Inizio tra meno di un’ora nel forno sotto casa. >
< E sei contento del tuo nuovo impiego? >
< Non lo so, Trevor. Non so più cosa pensare… Il mio più grande desiderio è andare a scuola proprio come fai tu. Ma io e la mia famiglia non possiamo permettercelo. >
< Mi dispiace tanto, Steve. Se potessi fare qualcosa… >
< Lascia stare. Se è davvero questo il mio destino, lo perseguirò senza problemi. >
< Parli come se fossi un condannato a morte. >
< Perché è così, Trevor… E in questo quartiere non sono il solo. >
Non volendo tornare sull’argomento, Trevor pensava solo al suo presente e alla vita che aveva da offrirgli.
In fondo, anche se andava a scuola, era felice di avere un amico come me,.
Certo, non me l’aveva mai confessato, ma in qualche modo riuscivo a leggere i suoi pensieri.
Dopotutto, ci conoscevamo da quasi dieci anni: un’eternità per un ragazzo adolescente come me.
Fino a quel giorno siamo sempre riusciti a stare lontano dai guai.
Ma presto i guai avrebbero bussato alle nostre vite e non ci avrebbero mai abbandonati.
Non voglio continuare ad essere ripetitivo nel parlare del quartiere in cui sono nato e in cui vivo, ma se c’è un posto in questo mondo per due ragazzi innocenti come noi, allora forse sognare non è poi un’utopia.
“Utopia… non so nemmeno cosa significa. L’ho ricercata nel vecchio dizionario di casa e ogni tanto la uso nelle mie frasi. Imparare deve essere davvero molto bello. Ma non posso e non devo pensare alla scuola.
Devo pensare al lavoro e alla mia sofferenza che dovrò patire nel primo giorno di lavoro.
Perché sapevo bene che c’è sempre qualcuno che vuole rovinarti la vita, e i miei primi problemi non sarebbero stati i miei superiori, ma i ragazzi più piccoli e molto più cattivi di me.
Se vivi in un’ambiente ostile, pieno di delinquenza, violento dove la tua unica condanna è respirare, allora non hai altra scelta che far valere la legge del più forte: alzare la voce contro gli indifesi e bullizzarli fino allo sfinimento.
Non vedevo altro che maltrattamenti dinanzi a me e certe volte desideravo non vedere.
Per questo quando dico che sono dovuto crescere in fretta, vuol dire che la mia unica speranza dio sopravvivere è cercare di fare la voce grossa, stando molto attento al vortice del crimine che è sempre pronto a gettarti da una spirale dove una volta entrati, è impossibile uscire.
Ma in fondo a tutte queste parole e pensieri, c’era solo una persona che mi aiutava ad andare avanti e ad assaporare il lato migliore della vita: il mio amico Trevor.
   
 
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