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Autore: SemplicementeCassandra    11/06/2020    1 recensioni
A volte i pensieri, le nostre aspirazioni, diventano una trappola. Quello che desideriamo così ardentemente un giorno finisce per distruggerci dopo qualche anno. Prima o poi passerà?
Genere: Introspettivo, Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Prima o poi passerà

 

Prima o poi passerà.

È la stessa frase che mi sento ripetere da quando ho più o meno dieci anni, ne sono passati quindi e ancora nulla è passato, tutto è rimasto uguale. Lo stesso battito incessante del cuore, il tremolio della mano destra che non passa neanche se stringo forte la presa con la sinistra, le gambe instabili. Se mi fermassi qui potrei illudermi di parlare di un innamoramento, peccato che ad accompagnare la sintomatologia ci sia una testa che esplode invasa da una matassa di pensieri e degli occhi vuoti da troppo tempo.

Non so nemmeno io come sono scivolata in questo tunnel che da sola ho scavato, forse alle medie quando ho deciso di dimostrare agli altri che valevo qualcosa di più di un ultimo banco e risate sguaiate davanti ai miei chili di troppo. Oppure alle superiori quando tutte erano così belle e magre, così apprezzate dagli altri che ho pensato che mettendo la testa sui libri nessuno si sarebbe reso conto della mia assoluta banalità fisica e si sarebbe concentrato su altro. A quasi 25 anni non sono così ingenua, so che il mio aspetto da allora è cambiato, che gran parte dei chili di troppo sono spariti, così come i brufoli in faccia e le maniglie dell'amore, eppure quella testa è ancora china sul tavolo, rivolta soltanto a libri più spessi e complicati che una volta amavo davvero e che oggi mi sembrano un peso e basta. Almeno dieci chili che ho perso fisicamente ma che ora gravano sulla schiena, piegandola impercettibilmente quando non presto attenzione a raddrizzarla e che si riflettono in occhi una volta luminosi.

Dieci chili che pesano quando dopo settimane di lockdown mi ritrovo chiusa ancora in una stanza che sa di polvere a ripetere le stesse pagine che ripeto da mesi con il terrore, l'angoscia, di non essere all'altezza nonostante la fila di 30, 30L, che mi osserva dal libretto universitario.

Per un istante ho creduto davvero che lo studio fosse la mia strada, persino la mia vita, eppure non mi sono mai sentita così vuota nonostante i libri occupino la mia giornata. A 25 anni mi sembra di non aver vissuto.

-Alzati da quella sedia-

-Vai a fare una passeggiata-

-Ti va un aperitivo?-

Fosse facile staccare la mente, anche solo per un po' come si fa con la spina della televisione quando si va in vacanza, se solo potessi coglierei l'opportunità in un balzo. Forse aveva ragione lo psichiatra, dovevo entrare in terapia, ma ormai è troppo tardi. Questa solitudine, negatività, si è ormai impossessata della mia mente e guardandomi allo specchio non vedo che una persona completamente diversa da quella Laura che ero qualche anno fa. La luce si è spenta insieme alla candela consumata dalle troppe notti insonni.

E non si dica che non ci ho provato, ogni giorno cerco di rialzarmi, di chiudere quel libro, quell'ossessione, e allontanarmi per un po'. Subentra il senso di colpa, il non aver fatto a sufficienza, la sicurezza di aver fallito ancora e di aver deluso gli altri. A loro probabilmente neanche importa di quel voto guadagnato, preferirebbero vedermi più spensierata, ma la mia testa è rotta, e nemmeno gli abbracci servono più.

 

Fa caldo, il condizionatore gira lento con un ronzio fastidioso, forse sta per rompersi ma i miei genitori sono fuori città e il tecnico probabilmente in vacanza, la stanza è umida, le lenzuola appiccicose e i libri sul tavolo più minacciosi che mai. Gioco con un accendino cercando di non guardarli, tra le mani la decima sigaretta ormai consumata che brucia lentamente con quell'odore acre che impregna i vestiti e la camera. È l'unica cosa che non mi fa sentire un'automa. La testa mi dice di alzarmi, sedermi a quella scrivania e ricominciare da capo, lottare contro il corpo stanco, contro il brontolio dello stomaco che non vede una traccia di cibo dalla mattina. Spengo il condizionatore ed esco sul balcone, la città è viva, i bambini ridono e gli adolescenti ascoltano la musica. Sono io ad essere fuori posto con la mia malinconia, i miei pensieri, una penna che non sa più scrivere e sognare. L'inchiostro si è seccato.

 

A un tratto un tuono, uno squarcio in un cielo quasi nero e questa volta non è una mia proiezione. Nel giro di qualche minuto la città si svuota e io la sento avvicinarsi a me, una goccia di acqua mi cade sul braccio nonostante il tetto della mansarda sopra la testa a proteggermi. È fredda rispetto al corpo caldo. Attendo e ne giunge una seconda, poi una terza, il temporale scoppia e presto si trasforma in tempesta. Riconosco la natura come una sorella, entrambe agitate da un turbamento latente che attende per esplodere. Il suo è esploso, il mio preme per farlo.

Uno sguardo fugace alla camera, ai libri intatti e al posacenere che nel frattempo si è rovesciato. Fanculo. Farò i conti domani con il senso di colpa, con le gocce che mi fanno girare la testa e mi danno la nausea, con quello che penso che gli altri si aspettano da me. È notte, non c'è nessuno, scendo in cortile e lascio che l'acqua si confonda con le lacrime di frustrazione, contro la rabbia di non essere in grado di reagire e combattere con armi parti contro quella bastarda che si è impossessata di me.

Mi lascio avvolgere dalla pioggia in attesa che passi, prima o poi passerà. Ormai è diventato il mio motto.

 

 

  
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