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Autore: _EverAfter_    13/06/2020    3 recensioni
Rivetra | Petra!Centric | Missing moments
Quando Petra pensava a Levi, lo faceva con tale intensità da ritrovarsi – oltre alla mente in subbuglio – con delle allucinanti fitte allo stomaco che le impedivano d’affrontare qualsiasi tipo di conversazione che avesse un minimo di senso compiuto, limitandosi la maggior parte delle volte ad annuire oppure a scuotere il capo.
Bizzarro, sì.
I giganti che combatteva ogni giorno avevano solamente degli esseri umani, nello stomaco. Lei invece aveva le farfalle, anche se le pareva che fossero più dei colibrì: non sapeva che potessero sbattere le ali in quel modo.

✦ Terza classificata al contest “Le quattro fasi dell'amore” indetto da Zukiworld sul forum di EFP.
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Levi Ackerman, Petra Ral
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Petra non era mai stata una ragazza degna di un certo rilievo. Non aveva nulla che potesse far presagire un talento nascosto, né possedeva qualità singolari da stimare. Aveva passato gran parte del tempo sui libri, ma non era una letterata. Sapeva essere molto arguta, ma non possedeva il carisma per poter prendere decisioni da sola. Si nascondeva dietro la placida facciata dell’ignavia, celando quell’insicurezza ch’era insita nella sua indole e che odiava con tutta sé stessa.
Petra era una persona banale. Esattamente come quelle di cui ci si dimenticava il nome non appena si stringeva loro la mano. Non che il suo nome importasse a qualcuno, comunque.
Eppure, il suo sorriso piaceva a tutti. Era leggermente storto, bianchissimo e appariva sempre nei momenti in cui non ci sarebbe stato proprio nulla da sorridere. Petra non lo faceva certo con leggerezza: era cresciuta con l’amore dei propri genitori, che l’avevano amata con la stessa dedizione con cui ci si occupava d’un fiore. Ella, così pregna di spirito e raggiante, appariva a tutti come uno dei giacinti che crescevano spontanei all’esterno delle mura, quelli ch'erano così colorati ch’era impossibile non soffermarsi sulla loro sgargiante sfumatura, prima d’affidar la mente alla missione.
Durante la cerimonia di diploma, Petra ascoltò ogni singola parola che uscì dalla bocca tesa del comandante del Corpo di Ricerca, chiedendosi spesso come mai non riuscisse a muovere le gambe per fare marcia indietro ed unirsi allo stuolo di compagni che aveva scelto d’abbandonare il discorso a metà. Non ricordava se fosse stato per lo sguardo deciso di Keith Shadis o se ciò fosse dovuto alla paura che le aveva congelato ogni nervo. Tuttavia, alla fine dell’accorata perorazione, lei era una dei pochi rimasti davanti agli arazzi con sopra i tre stemmi, dove saettava con incredibile potenza il simbolo del Corpo di Ricerca.
Sorrise anche in quel momento, Petra. Perché, nonostante fosse terrorizzata e le lacrime iniziassero già a imbrattarle le guance, sapeva che quella era stata la scelta più giusta da fare, sebbene non quella più razionale. Era consapevole di non possedere alcuna caratteristica che potesse esser d’aiuto ai silenziosi eroi che ogni giorno rischiavano la vita per la gente dentro le mura, la quale non perdeva mai occasione di sbeffeggiarli o d’accusarli della morte dei propri cari. Era certa che suo padre sarebbe stato uno di loro.
Persino quando tese le braccia accettando l’uniforme stirata e lucida che l’era stata data, Petra si chiese cosa ci facesse lì e perché avesse scelto di consacrarsi ad una causa per cui non sarebbe mai riuscita a dare un contributo. Trotterellò al fianco d’Auruo che le appariva stranamente rilassato, avvolto nella leggera mantella verde con sopra le Ali della Libertà. Si chiese se anche lei sarebbe mai potuta apparire così dignitosa in quelle vesti, ma non appena provò a domandarlo al suo compagno d’armi, si ritrovò a fissare lo sguardo profondo dell’uomo di fronte a loro: era basso, ma nonostante la sua statura possedeva un’aura intensa e distaccata, come se niente potesse sfiorarlo. Quegli occhi blu erano affilati e torbi, così imperscrutabili da non riuscire neppure a distinguere il sottile confine tra l’iride e la pupilla. Impettito nell’uniforme dell’Armata Ricognitiva, quell’uomo li studiava come se si trovasse di fronte ad un complicato rebus.
Auruo, molto composto, s’accinse ad un lesto saluto, portandosi la mano destra stretta a pugno al torace e la mano sinistra dietro la schiena, mentre affermava con voce seria e istituzionale: ― Capitano Ackermann. Il mio nome è Auruo Bossard.
Petra, che non era molto avvezza ai gradi dell’esercito, si limitò a copiare il gesto del suo accompagnatore, chinando leggermente il capo per evitare d’incrociare quello sguardo severo e irremovibile. Ancora si chiedeva cosa diavolo ci facesse lì, e mentre s’interrogava senza trovar risposta alcuna, sentì delle dita gelide premersi contro il suo mento, obbligandola ad alzare la testa. Incrociò nuovamente le iridi blu, deglutendo con evidente disagio la saliva che s’era accumulata nella sua bocca a causa della tensione. Vide il capitano allontanare la mano da lei e sfregarsi le dita incriminate con il pollice, nel plateale gesto di pulirsele dallo sporco. Non che il suo mento fosse sudicio, ma si trattenne dal dirglielo per evitare d’indisporlo.
― P-Petra Ral ―, biascicò tesa.
Il capitano Levi la squadrò per qualche istante, prima di prorompere in un baritonale: ― Cosa ci fai tu qui?
Trattenne a stento una risata. Effettivamente, anche lei continuava ad interrogarsi su cosa ci facesse lì una mocciosa che non aveva mai saputo nulla del mondo, ch’era cresciuta alla placida ombra dei filari dei pioppi, nella fattoria dei suoi dov’era solita combinar magagne. A ben pensarci, non era neanche mai stata molto brava a montar in sella ad un ciuco pezzato che serviva per il giogo, per non parlare di tutte le volte in cui aveva provato ad arrampicarsi sugli alberi, col rischio di ritrovarsi col collo spezzato e le ossa fracassate.
― Non lo so, signore, ― rispose con bizzarra serenità, ― me lo sto chiedendo spesso.
Petra era solita dire sempre la verità, poco importava quanto potesse esser dura. Quella sincerità disarmante aveva significato un costante problema perfino durante l’addestramento, quando s’era ritrovata più d’una volta ad ammettere davanti ai suoi compagni che lei del movimento tridimensionale non ci capisse poi granché, venendo poi costretta dal proprio istruttore al doppio degli allenamenti. Poteva essere un impiccio gravissimo, ma in cuor suo sapeva ch’era giusto così. Giusto.
― Credo di essere qui perché è giusto così. ― Quelle parole le uscirono dalla bocca senza neanche poterle mettere in fila in modo dignitoso, mostrandola per la solita contadinotta spontanea ch’era cresciuta in campagna, lontano dalle formalità. Sorrise, com’era solita fare nei momenti difficili: avrebbe avuto l’ennesima lavata di capo e si sarebbe scusata. Non sarebbe certo stata la prima volta.
Eppure, il capitano Levi le concesse una lieve inflessione dello zigomo destro, limitandosi a dirle: ― È una buona risposta.
Petra lo seppe solo più avanti: quella smorfia sul volto del capitano Levi era, in realtà, l’unico modo che conosceva per sorridere.





Petra non seppe mai dire quando fosse accaduto.
Un giorno, durante la consueta pulizia del dispositivo di manovra, Hanji Zoe le si parò davanti, aggiustandosi gli occhiali che aveva sul naso, così spessi da sembrarle due fondi di bottiglia. La scrutò con curiosità, com’era solita fare coi giganti durante le spedizioni fuori le mura. Quando quello sguardo entusiasta si posava su qualcosa, era difficile che non ne scoprisse ogni minuscolo particolare. Era successo anche quel giorno.
― Petra, ― civettò maliziosa, ― per caso ti piace il capitano Levi?
La ragazza non rispose; non perché non volesse, ma semplicemente perché non aveva idea di quale fosse la verità. Quando andava ancora a scuola, ricordava d’aver trovato piacevole la compagnia di Phineas Locke, un suo coetaneo che veniva spesso preso in giro per via dei suoi chili di troppo. A lei non dispiaceva affatto il volto dell’amico, sempre paonazzo e rotondo come quello d’una pagnotta di pane ben impastata. Se si fosse sforzata, sarebbe stata in grado persino di rammentar la scena in cui Phineas le aveva chiesto d’accompagnarlo alla sagra della verdura. Petra aveva accettato, ma non certo perché ricambiasse i genuini sentimenti del compagno di classe.
Col capitano era diverso: per quanto inflessibile e serio, era un uomo ch’era cresciuto con un’unica costante nella vita, quella di poter cambiare il mondo attraverso le sue azioni, il suo modo di fare. Austero e solitario, Levi non era altro che il frutto d’una vita misera e irta di pericoli,  attraverso la quale s’era fatto spazio con la forza, imponendosi su un destino che, forse, era già stato tracciato.
Capitava sovente che si ritrovasse a fissarlo senza una ragione precisa, specie durante la sera, nel breve tempo che passavano tutti assieme; lo guardava di sottecchi, stando ben attenta a non farsi notare d’Auruo ch’era sempre un po’ troppo avvezzo a prenderla in giro, trascinando in quel ridicolo teatrino anche Gunther ed Erd. Levi, nonostante gli schiamazzi, se ne rimaneva zitto, con la tazza di ceramica imprigionata dalle dita. Era una cosa che la ragazza aveva sempre trovato molto insolita: avrebbe potuto afferrarla per il manico, esattamente come facevano tutti. Ma lui no, l’abbrancava con ogni singola falange, in una morsa che le ricordava quella dei boa quando attaccavano la propria preda.
Quei dettagli, che sembravano non importare ad alcuno, per lei divennero così cari da ritrovarsi più di una volta ad arrossire per aver indugiato troppo con lo sguardo su scene del tutto banali: così tratteneva il respiro a lungo se il capitano la chiamava per nome, oppure s’imbarazzava quando le riconosceva dei meriti. Smise di credere che le importasse davvero il passato del suo superiore; di fronte al vociare rappreso dei giovani cadetti, si convinse che i trascorsi di Levi non avessero alcuna rilevanza e che, supponendo che le storie su di lui fossero vere, i fiori più belli nascessero sempre dal letame.
Era la prima volta che si sentiva così. Nessuno le aveva mai spiegato cosa significasse l’amore in senso stretto, né lei s’era mai soffermata sulla questione. Petra era sempre andata molto fiera del suo pragmatismo, per cui le risultò spiacevole comprendere d’essere finita dritta nelle grinfie d’un sentimento che non sembrava portare a nulla di buono – v’erano stati addirittura dei giorni durante i quali il capitano s’era lamentato della sua attitudine a sostar tra le nuvole senza che ve ne fosse la ragione. Qualche notte accadeva che non fosse in grado di dormire, troppo presa ad immaginare come ci si potesse sentire ad aver il permesso di camminare al fianco del proprio capitano non come soldato, ma come donna. S’interrogava, ma non trovava risposta alcuna, ed il giorno dopo Levi la sgridava per i profondi cerchi opachi che le solcavano il volto.
Si vergognava sempre molto della sua condotta, tanto che a volte si sforzava di sorridere solo per non far preoccupare i compagni, che la scrutavano impensieriti, certi che fosse malata. Se avessero saputo di quale patologia soffrisse il buon cuore di Petra, forse l’avrebbero presa in giro, invece che allarmarsi.
― Come lo sai? ― domandò infine ad Hanji, ché non era proprio in grado di mentirle.
La camerata scrollò le spalle, accennando un sorriso che appariva più simile al ringhio d’una iena. ―È semplice. Arrossisci quando ti guarda, eviti d’incrociare il suo sguardo quando ti parla e non riesci a dormire la notte.
― E allora?
― E allora quando sei innamorato non riesci mai a dormire.
― E perché?
― Perché la realtà è migliore dei sogni, ― rispose con entusiasmo Hanji, sbottando poco dopo in una risata sguaiata, ― non dirmi che non sei mai stata innamorata prima.
Petra scosse il capo, in parte imbarazzata per la spontanea ammissione. Non era ancora in grado di scorgere la parte più dolce del nobile sentimento, perché quei mal di testa dovuti alla mancanza di sonno e lo stato confusionario in cui precipitava ogni volta che si parlava del capitano erano come spine che le attraversavano il cranio da parte a parte.
Quando sei innamorato non riesci a dormire perché la realtà è migliore dei sogni. Ma come diavolo poteva esser vero, in un mondo nel quale la realtà era di dover agire con la costante paura d’esser divorati vivi? Poteva davvero esser così semplice?
Certo, era la spiegazione più ovvia, seppur quella più folle. Perché Petra, ch’era così poco esperta del mondo, s’era ritrovata a combatter giganti senza neppure imparare a fare i conti con il coraggio della paura. Il capitano Levi, che del mondo invece sapeva molto – forse troppo – era stato la ragione che le era servita per trovare il suo, di coraggio. Quello di cui aveva sempre difettato da piccola, non capendo come si potesse smettere di aver timore, giungendo alla conclusione più banale: il coraggio non era affatto la mancanza di paura, ma la consapevolezza che esistesse qualcosa di più importante di essa.
Forse cominciò tutto da quell’istante. E, col tempo, la riconoscenza per quel sottaciuto insegnamento divenne ammirazione, quell’ammirazione progredì in affetto. E quell’affetto giunse poi ad aprirle le porte del cuore.
Difatti, quando Petra pensava a Levi, lo faceva con tale intensità da ritrovarsi – oltre alla mente in subbuglio – con delle allucinanti fitte allo stomaco che le impedivano d’affrontare qualsiasi tipo di conversazione che avesse un minimo di senso compiuto, limitandosi la maggior parte delle volte ad annuire oppure a scuotere il capo.
Bizzarro, sì.
I giganti che combatteva ogni giorno avevano solamente degli esseri umani, nello stomaco. Lei invece aveva le farfalle, anche se le pareva che fossero più dei colibrì: non sapeva che potessero sbattere le ali in quel modo.
Proprio perché incapace di raccontar frottole, si convinse ben presto a parlarne con Auruo, il quale non si risparmiò dalle solite facezie con cui era solito sbeffeggiarla. Tuttavia, nonostante il compagno fosse un buontempone e sempre pronto a cogliere il minimo ghiribizzo per ironizzare sulla sua prima cotta, Petra sapeva che non esisteva persona più affidabile di lui per mantenere un segreto. Ciò che rimaneva da fare, dunque, era capire come dirlo al diretto interessato.
Prese carta e calamaio dal piccolo scrittoio della sua stanza. Le prime parole che scrisse furono “Caro papà, ho bisogno di un tuo consiglio”.





Petra non era molto brava con le parole. Durante l’addestramento era stata spesso rimproverata per la sua scarsa attitudine alle relazioni scritte, che si sommava all’incapacità di dettagliare a fondo un rapporto ben stilato. Tuttavia, da quando il capitano Levi l’aveva scelta per far parte della Squadra Operazioni Speciali, s’era esercitata ogni giorno, scendendo a patti con quel rosso borgogna che le permeava le guance ogniqualvolta il comandante si rivolgeva a lei per avere delucidazioni sulla situazione.
Aveva fatto luce su ciò che provava per lui, convenendo che poteva trattarsi solamente di quel sentimento. Eppure, non l’aveva mai apertamente ammesso, ridicolizzandolo come una banale cotta.
― Ma perché non glielo dici? ― le domandò un giorno Auruo, che – non ne comprendeva la ragione – aveva preso l’abitudine d’imitare il loro capitano. ― Che c’è, ti vergogni?
No, la ragazza non si vergognava affatto, al contrario: per tutte le notti insonni passate al chiarore d’una sottile candela, per quelle farfalle che sembravano svolazzare come colibrì nello stomaco e per il vago senso di nausea che provava ogni volta che tentava di accennare alla cosa, avrebbe voluto dirglielo persino in quel momento. Eppure, non l’aveva fatto neanche quella volta.
― Non è il momento, ― si limitò a dire, sorridendo, ― ci saranno occasioni migliori. ― Petra lo pensava veramente, anche se una piccola parte di sé, quella più avara e forse un po’ egocentrica, continuava a credere che fosse un’idiota. In un mondo dove tutti erano in bilico su una corda sospesa, la ragazza sapeva molto bene quanto semplice fosse cadere e sprofondare nelle arcuate zanne dei giganti. Eppure continuava a temporeggiare, giustificando quel suo modo d’agire come il più corretto: il capitano Levi non aveva tempo da perdere dietro i suoi patetici piagnistei da fanciulla innamorata.
Petra, come molti, aveva anteposto la vocazione per la libertà al suo esser donna, consacrandosi alla stessa causa dell’uomo che amava. Non l’aveva fatto per lui, ma per sé stessa; per dimostrare che, per quanto fosse consapevole d’essere una persona banale e senza alcun talento, anche lei esisteva.
In quel momento, carezzando col pollice lo stemma delle Ali della Libertà ch’era ricamato sulla giacca, si concesse una lieve smorfia di rammarico, di quelle che riusciva a fare solo quand’era sola. Non v’era poi molta differenza, tra lei e le farfalle che sentiva agitarsi nello stomaco nell’istante in cui pensava a lui: entrambe, se avessero potuto, avrebbero spiccato il volo, ma erano vincolate ad una gabbia.
Per le farfalle quella gabbia era lei. Per lei era la divisa che portava addosso e l’insieme di quell’elaborato ricamo era ciò che le ricordava chi fosse, per quale ragione combattesse. Per quanto fosse doloroso, aveva imparato ad accettarlo, limitando il tempo che passava da sola col capitano e imponendosi di mantenere un rigido contegno in sua presenza.
A lungo andare, persino l’idea di dichiararglisi s’era fatta più fioca, fino al giorno in cui il comandante Erwin non annunciò la Cinquantasettesima Spedizione fuori dalle mura. Si presentò dalla mattina di buonora, illustrando magistralmente il piano e la formazione che avrebbe scortato Eren. Petra non fu affatto sorpresa di ritrovare il suo nome scritto accanto a quello dei compagni più grandi: per quanto onorata della cosa, un bizzarro presentimento sembrava ammonirla su ciò che sarebbe potuto accadere.
Rimase persa in quei pensieri fino a tarda sera, mentre tutti erano già andati a dormire. C’era qualcosa che non le tornava in quel piano, eppure non era stata così arrogante d’azzardarsi a chiedere spiegazioni. Da buon soldato, si limitava ad obbedire agli ordini ed era certa che avrebbe fatto così anche in quella missione. D’altronde, il suo compito era quello di proteggere Eren a qualsiasi costo.
Fece per alzarsi, vittima della stanchezza e del nervosismo che la coglievano sempre durante le notti prima delle spedizioni. Quando si voltò, ad aver richiuso accuratamente la porta dietro le sue spalle c’era il capitano Levi.
― Capitano Levi ―, disse, con la solita ufficialità con cui aveva imparato a porsi.
― Petra. ― Il tono del suo superiore sembrava meno arcigno del solito. ― Non dovresti essere già a letto?
Una piccola parte di sé si compiacque di quella domanda, pensando che fosse un modo per manifestare la propria preoccupazione. Rigettò subito il placido tepore che sentì giungerle sugli zigomi, limitandosi a rispondere: ― Non riuscivo a dormire. Ho pensato di prendere un infuso.
Levi la squadrò col suo solito sguardo impassibile. ― Sembri nervosa.
― Lo sono, signore ―, mormorò, dimenticandosi per un istante di giocare al soldato.
― Per quale ragione?
Quella era forse la conversazione più lunga che avessero avuto da quando Petra era entrata a far parte della sua squadra. Pensò che vi fosse dell’ironia in quella domanda: lei, che s’era affaticata ad occultare ciò che provava per tutto quel tempo, non era riuscita a nascondere la banale paura di una missione qualunque. Provava un vago senso di pietà per sé stessa ed un ignominioso imbarazzo per quello sguardo blu che ancora s’ostinava a fissarla, forse in attesa d’una risposta.
― Ve n’è più d’una, in realtà.
― Ti ascolto.
Avrebbe potuto dirglielo, Petra. Era l’occasione migliore, quella che aveva sempre atteso e che non sarebbe tornata mai più. Il caso le aveva offerto l’opportunità più ghiotta, quella di potergli dire la verità; che lei era divenuta un buon soldato per renderlo fiero, che aveva finalmente compreso il suo posto e che l’aveva potuto capire solamente grazie a lui. Che lo amava, di quell’amore viscerale e puro che però non possedeva l’egoismo d’esser visto e ch’era rimasto silente per il suo bene. Ma soprattutto avrebbe potuto confessargli che era stanca di dover mentire, proprio lei che aveva sempre detto la verità.
― Capitano Levi. ― Ti amo. ― Domani le prometto che farò del mio meglio.
Petra chinò leggermente il capo in segno di saluto, congedandosi l’istante dopo. Non gli diede neppure il tempo di replicare, mentre s’affrettava per le scale, richiudendosi l’uscio della stanza dietro le spalle. Si lasciò cadere sul pavimento, con la schiena a tener compagnia al legno grezzo della porta; pianse, ma senza far rumore, ché aveva paura di svegliare i suoi compagni. Non ricordò neppure quante volte s’accusò d’essere una sciocca, mentre le farfalle riprendevano a volarle nello stomaco e la gola tratteneva il tormento per delle grida che avrebbe voluto sputar via, anche solo per placare il dolore che s’era posato sul diaframma contratto dai singhiozzi.
E si consolò solamente al pensiero che, forse, vi sarebbero state altre occasioni come quella. In fondo, erano solo due semplici parole che non aveva il coraggio di pronunciare.
Le stesse parole che non sarebbe più stata in grado di dirgli.





Quando sei innamorato non riesci a dormire perché la realtà è migliore dei sogni.
Era strano che, ad un passo dalla morte, le tornasse in mente proprio quella frase. Eppure, durante i suoi ultimi respiri, non riuscì a fare a meno di pensare a quanto quelle parole rappresentassero una vacua idiozia: se si fosse trovata nei beati vagheggiamenti della sua mente, in quel momento non sarebbe stata di certo schiacciata da un gigante. Con lei ci sarebbe stato Levi e l’avrebbe salvata. Lei gli avrebbe detto che era innamorata di lui e – chissà – forse lui avrebbe ricambiato i suoi sentimenti. Si sarebbero sposati, avrebbero potuto ritirarsi dal Corpo di Ricerca e vivere una vita tranquilla, un po’ come quella dei suoi genitori. Certo, un sogno sarebbe stato molto meglio.
Peccato che quello non fosse affatto un sogno. Di fronte all’enorme piede che si avvicinava pericolosamente a lei, Petra era solo in grado di rammentare la scena di Erd ch’era stato appena spezzato in due dalla fitta dentatura del gigante biondo, mentre la parte più razionale di lei s’ostinava ancora a trovare un modo per sottrarsi al calcio che presto l’avrebbe travolta.
Ancora una volta, la sua vita dipendeva da degli attimi. Attimi che aveva sprecato, occasioni non colte e momenti di stallo in cui s’era convinta che sarebbe andata bene così. S’era limitata a sorridere allegramente, a tranquillizzare i giovani cadetti. Aveva detto ad Eren di fidarsi, ch’era tutto a posto. Aveva mentito ancora, ma questa volta senza che lo sapesse.
D’improvviso, quella paura ch’era diventata tanto brava a nascondere, proruppe in tutta la sua immensa potenza, facendole tremare le mani che stringevano l’impugnatura del movimento tridimensionale e inumidire gli occhi. Petra non voleva morire, ma sarebbe accaduto comunque, con o senza la sua volontà.
Si ritrovò ancora una volta a ripensare a tutto quello che le mancasse ancora da fare, e non riuscì a trattenere la pena nell’istante in cui s’accorse che non avrebbe mai più potuto rivedere il suo capitano.
Una parte di sé aveva ancora la forza di vergognarsi per quella missione che non sarebbe mai stata portata a termine. Sperò, in cuor suo, che Levi riuscisse a trovare la forza di perdonarla. Di perdonarli tutti, quei sottoposti che avevano perso la vita esattamente come lui aveva comandato di fare qualora Eren si fosse trovato in pericolo.
Petra ci aveva creduto davvero a quell’ordine. Per questo aveva la forza di portarlo a termine, persino nel momento in cui osservò l’ammasso di muscoli che rivestiva il piede del gigante appressarsi sempre più spietato alla sua figura, che appariva più minuta del solito.
Avrebbe avuto molti rimpianti, questo lo sapeva. S’era lasciata scivolare dalle mani una vita pusillanime e piena di cose che aveva consapevolmente scelto di non fare. Aveva lasciato che fossero gli altri a decidere per lei e s’era allontanata sempre più dalla vera sé solo per avere la facoltà di mostrare al mondo che bravo soldato fosse.
Eppure, in quell’istante la figura eroica del milite a cui aveva sempre aspirato sembrava sfocarsi, come sfocati erano i suoi occhi velati di lacrime. Doveva capirlo durante la cerimonia di diploma: gli eroi erano già tutti morti.
Sentì una forza sovrumana spingere contro la sua schiena, mentre in lontananza Auruo le gridava qualcosa che le sue orecchie non avevano più l’abilità di sentire. Sentì il corpo, divenuto più pesante, avvicinarsi pericolosamente ad un albero a causa dell’urto. Mancavano secondi, forse frazioni di secondo. Lo schianto l’avrebbe uccisa sul colpo, eppure Petra si dimenticò d’aver paura.
Ripensò alla sera precedente, alla mancata occasione di poter rivelare al capitano i suoi sentimenti. E si tranquillizzò al pensiero di non avergli detto niente, perché sarebbe stato davvero patetico ammettere d’essere innamorata di lui e morire in quel modo rozzo e privo di valore. Era convinta che Auruo l’avrebbe presa in giro persino da morta. Dopotutto, lei lo avrebbe fatto.
Nonostante la serenità con la quale scelse d’arrendersi all’ormai palese destino, Petra non riuscì a mentire a sé stessa: sentiva le lacrime solcarle le guance e i singhiozzi appropriarsi dell’esofago, mentre ripensava a quanto le sarebbe piaciuto stare con Levi, poter condividere il suo tempo insieme a lui, scoprire l’uomo e non il superiore ch’era sempre stato.
Se la morte fosse stata benevola, forse le avrebbe concesso di vivere all’interno del bel sogno ad occhi aperti che s’era appropriato dei suoi ultimi istanti di vita. Petra, in fondo, era una ragazza che non sarebbe mai stata donna, che non avrebbe mai conosciuto l’amore. Era consolante saper almeno di poter scegliere in quale illusione perdersi per sempre.
Non ebbe il tempo di chiudere gli occhi, mentre il corpo si schiantava contro l’albero secolare e il collo le si spezzava. L’ultima cosa che percepì fu un urlo lontano e indistinto. Forse era di Auruo. O forse di Eren, non avrebbe saputo dirlo.
Chissà cos’avrebbe detto suo padre, nel saperla morta. Doveva ancora ricevere la lettera di risposta a quella in cui gli spiegava cosa provasse per il capitano Levi, e della scelta di consacrare la sua vita a lui e alla causa del Corpo di Ricerca. Il sigillo recava ancora la cera laccata con lo stemma delle Ali della Libertà. Quelle ali che, ormai, le erano state recise.
Sperò che il suo adorato capitano non dovesse vederla in quel penoso stato: voleva che la ricordasse com’era solita essere, col sorriso raggiante e dai modi cordiali, invece della brutta copia d’un insetto spiaccicato malamente contro una quercia secolare.
Tuttavia si disse che, se fosse stato così necessario esser paragonata ad un insetto, non le sarebbe dispiaciuto somigliare ad una farfalla.

A te, mai.




FINE





✤ Lo sclero di ver
Penso che ormai lo sappiate, per cui non vi è davvero bisogno che ripeta in continuazione quanto sia inevitabilmente attratta dal dramma - sono pesante, lo so.
A dirvela proprio tutta, non sono una simpatizzante della Rivetra, eppure adoro entrambi i personaggi, in particolare Petra. Mi è sempre piaciuta, non saprei se per quel suo atteggiamento sempre cordiale e un po' trasognante oppure per la sua incredibile lealtà nei confronti del suo capitano. Non so voi, ma tuttora quando ripenso a quella scena mi viene un magone allucinante.
Mi sono detta che scrivere qualcosina su di loro non fosse poi così male, e d'improvviso sbuca il fantastico contest di Zukiworld, "Le quattro fasi dell'amore", e la prima cosa a cui ho pensato è che capitasse davvero a fagiolo. Il perché è molto semplice: volevo raccontare la storia di Petra, i suoi pensieri e quella che considero la dedizione più bella all'interno di tutto L'attacco dei Giganti.
Mi piace sempre dare un po' di spazio a quei personaggi che sono rimasti dietro le quinte, per cui diciamo che questa storia è nata dall'esigenza di parlare di una giovane donna alla sua prima cotta. Petra era l'unica che si prestasse davvero bene a questo scopo.
Perciò eccoci qua. Il titolo è un richiamo alla famosa frase: "A te, fra 2000 anni" che è presente sia nell'anime che nel manga. Volevo trovare qualcosa di breve, ma che fosse in grado d'esprimere a pieno l'impossibilità di Petra di dichiararsi a Levi. Non so se sia riuscita nell'intento, ma comunque questo è quello che è uscito xD.
Spero davvero che questa storia sia piaciuta a qualche anima in pena qui nel fandom! *^*
A presto,

_EverAfter_
  
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