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Autore: Calime    14/06/2020    1 recensioni
[Vita all'Università]
Il primo giorno all'Università Anteros di Morgan tra il caldo asfissiante, la "cortesia" del responsabile amministrativo e un particolare incontro.
«Magari facci un salto, in mensa», ammiccò lui. «Hai un’aria un po’ disidratata», ridacchiò stringendosi nelle spalle come a scusarsi della sincerità. «Ma evita la signora dall’aria imbronciata… Non vede di buon occhio i nuovi studenti, soprattutto quando non sanno che devono prima attivare il badge e poi ordinare».
Morgan cercò di tenere a mente tutte quelle informazioni aggiuntive e prestare meno attenzione alle sue labbra.
Genere: Commedia, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Alexy, Morgan, Rosalya
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Indicazioni piuttosto chiare





Il primo giorno era sempre il peggiore. Tutto iniziava dal trovare un maledetto posto libero nel parcheggio, proseguiva poi nel capire dove fosse la segreteria e finiva nel farsi una fila di almeno un’ora – se si era abbastanza fortunati – soltanto per venire sballottolato da un capo all’altro del campus, perché “non è a me che deve chiedere”, e così arrivare nel posto indicato e dover tornare indietro – dopo un’altra, chilometrica, fila – perché “no, guardi, deve parlare con la signorina in segreteria”. Era un continuo andirivieni, fino a quando non si fosse impietosito qualcuno di fronte agli evidenti segni di stanchezza.
Il caldo non aiutava, ma aumentava fatica e impazienza, mettendo a dura prova i nervi.
Morgan prese una boccata d’aria condizionata, iniziando a contare per evitare di esplodere: non era che il primo giorno, passato il quale avrebbe avuto l’intero weekend per dimenticarlo. Il segreto era, infatti, lasciarsi scorrere addosso quella giornata fino all’ultimo secondo, fino a quando non avrebbe toccato il letto della sua nuova sistemazione per dormire e svegliarsi non prima di lunedì.
In fondo, quel girare a vuoto non era stato del tutto inutile: per esempio, adesso sapeva dove si trovavano la mensa e la biblioteca, nonché la facoltà di Belle Arti in cui gli avevano detto di recarsi per la consegna dei moduli compilati e il ritiro delle chiavi della propria stanza.
Anche dal fondo della fila di matricole si riusciva ad intravedere il responsabile amministrativo che pareva la disponibilità e la cordialità fatta persona…
Morgan sospirò stanco, ma pronto ad affrontarlo.
Il tipo non faceva che brontolare, borbottando di vacanze, Italia e pizza… Non che fosse in disaccordo con il fatto che una bella vacanza in Italia a mangiare pizza, magari in un posticino caratteristico, sarebbe stato mille volte meglio del trovarsi lì ad avere a che fare con novellini spauriti, a raccogliere plichi di fogli e distribuire chiavi; tuttavia, non era giusto traumatizzare quei poverini già dal primo giorno.
Quando toccò a lui, il responsabile non gli rivolse neanche un saluto, prese le carte e alla domanda sulla stanza allo studentato, gli rispose con una svogliatezza, nei modi e nel tono di voce – come se stesse ripetendo la stessa solfa da ore a tutti –, che lo rese ancora più insopportabile di quanto non lo fosse stato da lontano.
«Sì, la chiave. La stanza è la 202 e la dividerà con un altro ragazzo. Sì, funziona così. No, non abbiamo singole disponibili. No, non posso cambiare le cose».
Morgan evitò di replicare e, quando il responsabile amministrativo lo ignorò passando allo studente successivo, si allontanò dalla calca.
Perfetto, pensò facendo girare le chiavi attorno alla punta dell’indice. Il tintinnio del metallo, che cozzava sulla plastica del portachiavi con il numero della stanza, scandì i passi che lo portarono fuori dall’edificio.
Quanto ci metterò a trovare il dormitorio?

Poco, in effetti. Un’ora e mezza circa, durante la quale aveva scoperto dove si trovassero le facoltà di Psicologia, Ingegneria ed Economia.
E dello studentato nessuna traccia.
Avrebbe fatto prima a chiedere in giro, ma dall’aria spaesata di chi incrociava per strada intuì che quella era la giornata dedicata alle iscrizioni dei nuovi studenti. Probabilmente i veterani erano rinchiusi nelle aule a studiare o sostenere esami.
Quella sì, che era la sua giornata fortunata!
«Serve aiuto?»
Morgan distolse lo sguardo dal cartellone con le peggiori indicazioni di orientamento mai scritte e lo rivolse ad un ragazzo dagli sgargianti capelli azzurri e lo smagliante sorriso. Non rispose, sorpreso di trovare un soggetto tanto originale nella zona di…
«Sociologia. Stai cercando…?»
Arrossì, colto nell’atto di leggere nel maledetto cartello la risposta che gli serviva.
«Il dormitorio» gli rispose, guardando altrove e grattandosi la nuca in un gesto nervoso.
«Ah, sì. Avrei dovuto immaginarlo dalle chiavi». Il ragazzo ridacchiò, accennando con la testa verso il dito da cui pendevano.
Morgan aggrottò la fronte: anche i suoi modi erano sfacciati come il colore dei suoi capelli.
«Ah, non preoccuparti! Anche io, al mio primo giorno, ho fatto almeno una decina di volte il giro del campus, prima di trovarlo!» Il ragazzo gli si avvicinò per prenderlo sottobraccio e voltarlo nella direzione da cui era venuto. «Non è difficile! Vai dritto, in fondo, verso l’uscita. Sulla destra hai l’edificio di Arte e a sinistra proprio lo studentato. Non puoi sbagliare: lì, dove c’è la mensa».
«Ok», annuì convinto e sorpreso da tanta praticità. «Torno indietro… Sinistra, vicino la mensa» ripeté per memorizzare e verificare di aver compreso.
Il ragazzo confermò con un cenno e quel sorriso che pareva splendere più del sole che non gli dava tregua – almeno, il sorriso, non lo faceva grondare di sudore ma, al contrario, soltanto rimestare lo stomaco e colorare le guance.
Aveva degli occhi, poi. Rosa, fucsia… viola? Ma era legale che brillassero in quel modo?
«Magari facci un salto, in mensa», ammiccò lui. «Hai un’aria un po’ disidratata», ridacchiò stringendosi nelle spalle come a scusarsi della sincerità. «Ma evita la signora dall’aria imbronciata… Non vede di buon occhio i nuovi studenti, soprattutto quando non sanno che devono prima attivare il badge e poi ordinare».
Morgan cercò di tenere a mente tutte quelle informazioni aggiuntive e prestare meno attenzione alle sue labbra. Chissà se erano-? Scosse la testa e si divincolò dalla sua stretta, a disagio per la confidenza che si era preso, ma, soprattutto, per le proprie reazioni.
Stava impazzendo per il caldo! Sì, per forza. Altrimenti non riusciva a spiegarsi perché…
Perché non riuscisse a distogliere lo sguardo dal suo viso.
Il ragazzo continuò a parlare come nulla fosse. «Ma adesso che lo sai, vai tranquillo! Anche se ti consiglio di fermarti all’edificio di Medicina, già che ti viene di strada. È proprio quella sciccheria architettonica piena di vetrate e piante nell’atrio. Hanno una caffetteria in terrazza da mozzare il fiato! E il miglior caffè, ovviamente – ah, i medici! Con quel camice bianco…». S’interruppe con aria trasognata. «Ti ci porterei volentieri, ma purtroppo devo scappare… La mia amica mi sta uccidendo con lo sguardo», ammiccò e indicò con un gesto dietro di sé.
L’amica in questione, un bel tipetto dai capelli chiari, sorrise e salutò con un cenno della mano, come se si conoscessero. Morgan ricambiò d’istinto e per buona educazione, intontito dal fiume di parole di lui.
«Sarà per la prossima volta! Ci si vede».
Fu quel saluto a svegliarlo dal torpore e riuscì solo a cogliere un assaggio dell’ultimo, vispo sorriso, prima che il ragazzo si voltasse.
«Grazie! Alla prossima!» esclamò d’impeto.
Lo vide girare appena la testa con espressione sorpresa e lusingata insieme.
«Morgan!»
Morgan distolse lo sguardo al richiamo e individuò un volto amico – il primo, in quella mattinata infernale. Gli rivolse un cenno, prima di riportare gli occhi dov’era il ragazzo con cui stava parlando che, sfortunatamente, era già di spalle e lontano.
Sospirò, dandosi dell’idiota per come si era comportato – forse, era stata solo colpa del caldo e della stanchezza e non dei suoi occhi e del suo sorriso.
«Morgan! Tutto bene? Chi era quello?»
Già, realizzò d’un tratto. Chi era?
Rise divertito, scrollando le spalle. «Non lo so», tagliò corto. «Tu che ci fai qui?»
Dritto, sinistra, mensa, edificio d’Arte… Ripeté tra sé le indicazioni ricevute, mentre cercava di condurre una normale conversazione e non pensare che sì, quel ragazzo gentile poteva anche avere dei modi fin troppo estroversi, ma ci aveva visto giusto: aveva davvero bisogno di un bel bicchiere d’acqua per contrastare quelle temperature africane.
Magari in sua compagnia.

*

Rosalya sogghignò sorniona. «Carino, eh».
«Oh, sì… Carin-Rosa!» Alexy arrossì vistosamente sulle guance.
«Alto, moro, occhi azzurri. E che mi dici dei bicipiti?», sorrise maliziosa.
«Eh?!» Strabuzzò gli occhi, fermandosi di colpo.
«Dai! Dopo che lo hai palpato ben benino, potresti anche dirmelo».
Alexy desiderò sprofondare. «Non l’ho palpato! È stata una reazione istintiva! Solo per farmi capire meglio».
«Oh, ha sicuramente capito. E l’appuntamento?»
«Rosa, adesso basta!» S’impuntò in imbarazzo. «Non è successo niente di quello che stai pensando!»
«No, certo. Non ho mica assistito a come hai gonfiato il petto quando hai capito che stava pendendo dalle tue labbra, né a come ti luccicavano gli occhi». Rosalya incrociò le braccia al petto, affrontandolo. «È una matricola? Come si chiama? Cosa studia? È fidanzato?» continuò a tempestarlo di domande.
«Rosa, non faccio il terzo grado agli sconosciuti come te! L’ho visto perso e mi sono avvicinato per aiutarlo» le rispose, scuotendo la testa. «Cercava lo studentato-».
«Ah», l’amica lo interruppe, eccitata. «Scommetto che ha preso una camera in affitto! Meraviglioso».
Alexy passò una mano tra i capelli con aria rassegnata: quando Rosalya sghignazzava in quel modo non solo era inquietante, ma sapeva anche che non ne sarebbe venuto fuori nulla di buono.
Riprese a camminare, lasciando che lei gongolasse come se avesse appena vinto alla lotteria.
«Non finisce qui, Alex». Rosalya puntò contro di lui l’indice e lo fissò con aria sorniona. «Dimmi almeno come si chiama, così riusciremo a rintracciarlo facilmente!»
Alexy schiarì la gola, imbarazzato. «Non lo so. Non gliel’ho chiesto… Morgan, forse? Mi è sembrato che lo stessero chiamando così, quando ci siamo allontanati».
Per fortuna gli sguardi omicidi di Rosa erano innocui, altrimenti sarebbe morto sotto quei suoi occhi da gatta assassina.
«Il nome è la base del rimorchio» sbuffò lei. «Non penso di doverti dare lezioni al riguardo». Lo colpì giocosamente con il gomito sul braccio.
«Ah-ah, sei davvero simpatica oggi» ribatté.
Rosalya rise divertita. «Mi preoccupo solo per la tua vita sentimentale! Da quant’è che non-?» Gesticolò affinché il concetto fosse chiaro.
«Rosa!!» la rimproverò, bonariamente.
Tuttavia, la sua migliore amica aveva ragione: se quel ragazzo non l’avesse affascinato – con quegli occhi e quell’aria adorabilmente spaesata–, avrebbe dosato meglio parole e atteggiamenti – e non gli avrebbe chiesto indirettamente di uscire insieme.
«Se continui ad avere quell’espressione, di chi ha appena avuto un colpo di fulmine, mi fai venire voglia di tornare indietro a cercare questo Morgan», lo stuzzicò Rosa.
Alexy sbatté le palpebre, basito. «Salteresti il pranzo per questo?!»
L’amica finse di pensarci su, prima di cedere. «Oh, be’… Hai ragione. Non sarebbe carino presentarmi con lo stomaco brontolante».
Ridendo, si avviarono insieme verso la mensa.




















Grazie per aver letto!
Mi sorprendo sempre a pubblicare in questa sezione… Comunque sia, questa sciocchezza è una vecchia one-shot che giaceva nel mio pc e che adesso mi sembra presentabile.
Il titolo proviene dalla battuta di Morgan nel primo episodio di Vita all’Università: “Eppure, un ragazzo davvero simpatico mi aveva dato delle indicazioni piuttosto chiare, ma penso di aver capito male”.





   
 
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