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Autore: FalbaLove    15/06/2020    2 recensioni
-È il suo coprifronte e vorrei che lo tenessi tu- disse lasciandosi sfuggire un timido sorriso che andò in contrasto con i suoi occhi ricolmi di tristezza. Tenten deglutì a fatica portandosi una mano al petto: mentalmente iniziò a tenere conto della sua frequenza cardiaca cercando di rilassare quanto più riuscisse i suoi muscoli. Ma questo gesto risultò solo vano.
-Io ...- sibilò la castana reprimendo a fatica le lacrime sempre più insistenti.
-Non lo voglio- disse fredda e tagliente talmente tanto che Hinata indietreggiò scossa. Uno strano sentimento di rabbia avvolse le provate membra di Tenten regalandole una forza che non pensava mai più di avere.
-Non mi interessa averlo- continuò stringengo con forza i pugni lungo i fianchi.
-Tenten ...- sibilò con le lacrime agli occhi la figlia di Hiashi Hyuga.
-Hinata, vattene!- urlò con disprezzo la castana con una ferocia che non pensava neanche di avere.
-Non voglio niente che appartenesse a lui, prima riuscirò a dimenticarlo e meglio sarà- disse lasciandosi sfuggire un leggero tremolio delle labbra. Hinata strinse al petto il coprifronte come se suo cugino potesse difenderla come era solito fare.
-Lui avrebbe vol...-
-Lui è morto- disse seria Tenten sfidando con lo sguardo la sua interlocutrice.
Genere: Malinconico, Sentimentale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Sakura Haruno, Tenten | Coppie: Neji/TenTen
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la serie
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Tsunade sospirò pesantemente allontanando da sé la pila di scartoffie che oramai le impediva anche solo di vedere la superficie della scrivania. I suoi occhi, stanchi e provati, osservarono per alcuni secondi la penna che teneva tra le mani dalla sera precedente: le sue dita erano intorpidite mentre il sole faceva sempre più capolinea dalle montagne che circondavano il Villaggio della Foglia. Una smorfia si dipinse sulla sua candida pelle constatando che un altro giorno stava per iniziare, ma quello decisamente non sarebbe stato un giorno come gli altri. Digrignò i denti maledicendosi mentalmente per aver, in un vano e stupido tentativo, passato l’intera notte nel suo ufficio con la insensata speranza di ritardare il più possibile quel giorno. Continuò a mantenere lo sguardo basso sapendo perfettamente che questa sua debolezza sarebbe dovuta rimanere in quell’ufficio: lei era il Quinto Hokage, non poteva permettersi di comportarsi così, soprattutto non oggi. Mentre i raggi del sole si fecero sempre più insistenti gli occhi della Principessa delle Lumache di Konoha si soffermarono involontariamente sul nero vestito che la sera prima Shizune aveva appeso alla porta. Il solo pensiero che per una ennesima volta quel colore si sarebbe accostato alla sua pelle di porcellana la faceva rabbrividire. Con uno scatto si alzò in piedi rovesciando la sedia dietro di sé, ma la Hokage non parve neanche accorgersene. Pensierosa si diresse verso la grande vetrata del suo ufficio lasciando che il suo sguardo ricadesse sul suo amato Villaggio distrutto, ma ancora vivo. Si sarebbero rialzati, ne era certa, ma si domandava se mai l’oscurità e il dolore avrebbero lasciato i loro cuori così provati.
 
Kiba si aggrappò ad una parete respirando a fatica: il fiatone intaccò il suo respiro mentre la sua fronte si riempì di una miriade di goccioline di sudore.  Il suo corpo non si era ancora ripreso a pieno, ma questo non aveva impedito al ragazzo di svegliarsi all’alba e di correre libero tra i boschi come era solito fare quando era ancora un semplice allievo dell’Accademia. Era talmente stanco e privo di forze che per un attimo davanti alla sua vista offuscata comparì Akamaru ancora cucciolo seguito da un bambino dalla capigliatura castana e indomabile. Sorrise amaramente Kiba mentre il suo respiro si fece più regolare. Quei momenti di pura gioia e felicità erano talmente tanto lontani che per un attimo si domandò come facessero a coesistere nella sua mente insieme agli episodi di morte e distruzione a cui aveva dovuto assistere. Velocemente si passò un dito sulle labbra raccogliendo il sangue che fuoriusciva dal suo labbro inferiore mentre i suoi appuntiti canini continuavano a rimanere profondamente affondati nella carne.
I suoi occhi scuri e felini osservarono per alcuni secondi il rosso vermiglio spalmato sui polpastrelli: lui e Akamaru sarebbero ritornati a correre felici e senza pensieri, glielo aveva promesso al suo migliore amico.
Il ticchettio forte delle campane scosse il ragazzo che solo in quel momento parve risvegliarsi dai suoi pensieri: deglutì a fatica percependo chiaramente un gusto ferroso in bocca.  Doveva muoversi, era in ritardo. Ad un certo punto però un odore dolce e familiare solleticò il suo naso mentre le orecchie si drizzarono percependo di non essere più solo in quella desolata stradina di Konoha.
-Buongiorno Kiba- una voce allegra venne accompagnata da un passo deciso e svelto e non ci volle molto prima che una figura snella e asciutta si accostasse alla sua.
-Tenten ...- mormorò il giovane sconvolto mentre un sorriso ampio accompagnò una chioma castana sapientemente sistemata in due codini.
-Ti auguro una buona giornata- continuò imperturbabile la ragazza senza rallentare il suo passo e superando il Cane Ninja.
 
Ino socchiuse gli occhi beandosi del freddo contatto che la vetrina le regalava sui polpastrelli: quando era solo una bambina adorava passare ore davanti al vetro del negozio di fiori dei suoi genitori ad osservare il suo riflesso. Passava il tempo ad ammirare i suoi lunghi capelli dorati sicura che lei fosse il fiore più bello tra tutti. Ora il suo aspetto, stanco e provato, quasi stonava in contrasto con il biondo pallido e spento della sua folta chioma accroccata in una chignon alto fatto all’ultimo minuto. Molti anni prima passava ore a spazzolare il suo più grande vanto e ammirando ciò che di più caro potesse avere ossia la bellezza.
-Stolta- biascicò mentre le sue sottili labbra si dipinsero in un sorriso amaro. Provava solo pena nei confronti di quella boriosa e sfacciata ragazzina che era stata costretta da una profonda guerra a perdere ciò che egoisticamente aveva sempre dato per scontato. Una solitaria lacrima scivolò veloce sul suo volto segnato da tagli e cicatrici mentre finalmente si decise ad aprire la porta. Un terribile odore maleodorante accompagnò la sua entrata e una enorme nuvola di polvere si liberò tutta intorno a lei. Gli occhi tristi e lucidi di Ino fissarono per alcuni minuti i vasi ancora ordinatamente sistemati sugli scaffali e alcuni fiori appassiti che sembravano non vedere acqua da settimane. Mosse un passo esitante percependo chiaramente le ginocchia farsi sempre più deboli di fronte a quello spettacolo: poi, senza pensarci, afferrò il vaso vuoto sul bancone scaraventandolo con forza a terra. Una miriade di pezzi di terracotta si sparsero sul pavimento polveroso mentre un forte urlo rimbombò per tutto il negozio. La Yamanaka si fermò a respirare affannosamente per alcuni secondi accecata dalla rabbia e dal dolore. La foto di suo padre, il grande Inoichi Yamanaka, giaceva a terra ricoperta quasi completamente dalle schegge del vaso: senza pensarci un attimo la bionda la raccolse da terra avvicinandola al petto. Copiose lacrime scivolarono veloci sulle sue pallide guance fermando la loro corsa sul freddo pavimento. Ino Yamanaka era considerata la ragazza più aggressiva, arrogante ed egocentrica di tutta Konoha, ma in quel momento si sentiva solo la più patetica. Suo padre e molti altri valorosi combattenti del Villaggio della Foglia avevano sacrificato la loro vita per un futuro migliore e lei cosa faceva? Si ritrovava completamente sola in uno stupido negozio distrutto a piangere disperata anziché godersi ogni singolo secondo di vita, la stessa vita che molti oramai non possedevano più. Forse sarebbe dovuta morire lei al posto di uno di loro.
Improvvisamente una folata di vento mattiniero spalancò con forza la porta del negozio facendo sollevare i lunghi e biondi capelli della ragazza: la fredda aria risultò come uno schiaffò sulle gote bagnate risvegliandola da quei pensieri così dolorosi e bui. Senza neanche rendersene conto l’attenzione della giovane ricadde su un piccolo vaso appoggiando in un angolo del negozio. Come un automa si avvicinò incredula: i suoi polpastrelli accarezzarono dolcemente i petali dei tre gigli che stranamente non erano ancora appassiti. Il dolce profumo dei fiori circondò la sua alta figura avvolgendola in un abbraccio che fece finalmente rilassare i suoi muscoli. Forse c’era ancora qualcosa per cui valeva la pena di vivere. Attentamente sciolse lo chignon lasciando che i suoi lunghi capelli ricadessero sulle sue spalle e permise che le sue dita affondassero in mezzo ad essi. Un timido sorriso si dipinse sul suo volto pensando che effettivamente i suoi capelli erano davvero bellissimi.
-Ino?-
-Tenten, cosa ci fai tu qui?- mormorò confusa la bionda mentre l’allegro viso della sua amica fece capolinea sulla soglia della porta precedentemente aperta dal vento.
-Compere- rispose con una strana semplicità la castana.
-Compere?- ripeté  ancora più turbata la Yamanaka mentre Tenten si avvicinò saltellando a lei. I suoi occhi castani brillarono di fronte ai tre bei gigli e velocemente affondò una mano nella tasca dei pantaloni.
-Ora scusami, ma ho un mucchio di cose da fare- concluse correndo fuori dal negozio non prima di averle schioccato un veloce bacio sulla guancia. Profondamente scossa Ino osservò la banconota che teneva tra la mano mentre gli unici due gigli rimasti le parvero appassire all’istante.
 
Choji aprì con bramosia famelica il pacchetto di patatine che teneva tra le mani: il rumore della carta che si strofinava aumentò ancora di più la sua foga e solo quando ebbe la patatina tra le mani sentì i suoi muscoli rilassarsi. Appena il sapore salato solleticò la sua lingua un grosso sorriso sornione si dipinse sul suo volto paffuto e pieno di escoriazioni. Senza neanche accorgersene dopo pochi secondi accartocciò il sacchetto oramai vuoto tra le sue mani e lo lanciò lontano. La pallina di plastica cadde sul terreno terroso e venne portata via dal vento che sembrava essersi alzato. Choji si leccò le labbra beandosi del sapore salato e sentendosi finalmente felice. Oramai il cuore dell’Amikichi era avvolto dall’oscurità e solo il cibo sembrava regalargli una effimera gioia, ma il membro del vecchio Team 10 non pareva farci neanche caso. Dalla fine della battaglia passava tutto il tempo a mangiare schifezze e a nulla erano valse le preoccupazioni dei suoi amici per una dieta così squilibrata. La verità era che a Choji non importava più cosa dicesse la gente, ne aveva passate talmente tante che tutto sembrava scivolargli addosso coperto da una corrazza che inconsciamente aveva creato. Con bramosia prese tra le mani un ennesimo pacchetto di patatine sbattendo il nero tessuto dei suoi pantaloni e lasciando cadere a terra le briciole. Non parve neanche accorgersi delle 20 cartacce che aveva già precedentemente buttato a terra. Lui voleva solo mangiare le patatine, cosa c’era di male in tutto questo? Non si era neanche interpellato il perché non riuscisse ad entrare più in nessuno ristorante, non si era chiesto se centrassero i dolorosi ricordi dei frequenti pranzi che il suo maestro Asuma gli prometteva alla fine di ogni estenuante allenamento, non si era neanche domandato se cercasse con quello stupido cibo spazzatura di riempire un vuoto che si era creato alla morte di quello che considerava il suo più grande eroe. Choji non si chiedeva niente, Choji voleva mangiare patatine e basta.
-Ciao Choji, buon appetito- una insolita, per quel periodo post-guerra, voce allegra e pimpante costrinse l’Akimichi a fermare le sue dita sporche e unte dall’accartocciare l’ennesimo sacchetto vuoto. Tenten, senza aspettare alcuna risposta dal suo amico, gli passò correndo davanti e riservandogli un grande sorriso poi, nuovamente, il silenzio di prima mattina avvolse il castano. Choji sbatté per alcuni secondi le palpebre immobile senza riuscire forse a capacitarsi che la ragazza che lo aveva appena salutato in maniera così cordiale e felice era veramente lei. Il ninja sentì il sangue gelare nelle vene e tremando abbassò lo sguardo: i suoi occhi marroni osservarono il pacchetto vuoto che stringeva tra le mani e per la prima volta capì che si sentiva vuoto anche lui.
 
Shino si sistemò gli occhiali sul naso lasciando che il capo si adagiasse sullo spesso tronco dell’albero: le sue dita sfiorarono per alcuni secondi il ramo su cui si era arrampicato prima di abbandonare le gambe a penzoloni. Una fresca brezza mattiniera fece svolazzare la spessa casacca nera che avvolgeva quasi completamente il suo volto, ma Shino non provò niente di fronte a quel freddo contatto. Shino Aburame era da sempre così: lui non provava alcun tipo di emozione, lui non sorrideva, lui non piangeva. Era sempre riuscito a farsi scivolare tutto addosso lasciando che nessun tipo di sentimento attanagliasse il suo cuore sapientemente celato anche se spesso si era chiesto se lui veramente lo avesse. Shino era strano, tutti al Villaggio lo pensavano, e a lui era sempre andato bene. Molti rabbrividivano di fronte alla freddezza e apatia che il giovane considerava le sue più grandi doti innate, ma solo in quel momento aveva capito quanto fosse stato stolto di fronte a quella stupida convinzione.
Il suo sguardo, celato dietro a degli spessi occhiali, scrutò con insistenza le sue mani fredde ripercorrendo un episodio che non riusciva più ad abbandonare la sua mente.
Il suo indice ben presto venne circondato da delle dita piccole e da una mano paffutella: il sorriso coinvolgente e sdentato della piccola Mirai aveva fatto per la prima volta capire a Shino che anche lui possedeva un cuore. Aveva fissato in silenzio la piccola giocherellare con i suoi insetti rotolandosi nella culla senza mostrare alcun tipo di irrequietudine di fronte a un individuo strano come lo era lui. E l’Aburame l’aveva osservata domandandosi se avesse mai visto in vita sua una creatura più perfetta. Quella piccola neonata era speciale, quella piccola umana aveva rotto qualcosa nel ragazzo che per la prima volta aveva provato uno strano calore crescere nel petto scuotendo le sue stanche e fredde membra.
Ma questo a Shino non andava bene, lui era un perfetto osservatore e sapeva perfettamente quanto le emozioni potessero far male, ancora più della carne squarciata dai kunai.
Il castano si risvegliò da quei suoi pensieri udendolo lo sfrusciare delle foglie attorno a lui: Shino aggrottò la fronte domandandosi se quel sentimento di angoscia mai provato prima non attanagliasse solo il suo cuore, ma anche quello delle persone più care a lui.  I suoi contorti ragionamenti vennero spazzati via da una allegra cantilena: Shino raccolse le gambe al petto mentre una ragazza con due alti codini castani passò sotto all’albero su cui si era rifugiato. Il ragazzo riconobbe immediatamente chi fosse mentre la fanciulla continuò a camminare ignara di essere osservata. Le labbra del ninja della squadra 8 si mossero involontariamente in una espressione rassegnata: valeva veramente la pena provare emozioni per poi ridursi così?
 
 
 
Una espressione accigliata costrinse i muscoli facciali di Shikamaru a contrarsi: i suoi occhi assonati e contornati da profonde occhiaie rotearono mentre le nuvole, che precedentemente stava osservando, vennero spazzate via quasi violentemente dal vento. Al giovane Nara non rimase che osservare scocciato e annoiato un limpido e terso cielo azzurro. Il moro sbuffò sonoramente portandosi le mani dietro la testa: era sdraiato da quasi una mezz’ora ad osservare il cielo e il suo corpo iniziava ad intorpidirsi, ma ciò che veramente lo disturbava era il calore insopportabile a cui era sottoposto viste le sue vesti nere come la pece. Schioccò le labbra rumorosamente chiedendosi se la sua pigrizia sarebbe stata più forte del caldo e quasi si mise a ridere da solo di fronte a quella domanda di cui conosceva così bene la risposta. Si sentiva estremamente stanco e per tutto il tempo in cui era rimasto sdraiato non aveva fatto altro che sbadigliare: i suoi occhi parevano cercare di chiudersi da soli, sfiniti, e anche il ninja desiderava ardentemente abbandonarsi a quella che considerava la sua attività preferita, ma sapeva benissimo che sarebbe stato tutto inutile. Da quando era finita la guerra il giovane non aveva chiuso occhio e mai più lo avrebbe fatto anche al costo di impazzire: appena le sue palpebre avevano provato, stremate, a socchiudersi gli incubi avevano iniziato a tartassare la sua mente già provata. Il passato era passato, aveva sempre trovato patetico ricordare qualcosa che non si può più cambiare, ma ogni volta che provava a ripetere il precetto che da sempre considerava la sua filosofia di vita il suo cervello iniziava a vagare senza sosta obbligandolo a rivivere i momenti peggiori della sua vita. Un sonoro sbadiglio fuoriuscì dalla bocca di Shikamaru che provò a cercare un minimo di ristoro stiracchiandosi in modo scomposto sul freddo marmo dalla panchina.
-Che seccatura- biascicò raccogliendo i suoi capelli mori in una coda.
-Ciao Shikamaru- il ragazzo intuì perfettamente da chi provenisse quel saluto e non si scompose, ma si limitò ad osservare attento che ore fossero. La sua interlocutrice sbuffò seccata sentendosi perfettamente ignorata e con un abile salto superò il cancello del parco raggiungendo l’amico.
-Potresti anche rispondere quando ti saluto- lo sgridò la ragazza picchiettando con insistenza il piede cosa che innervosì il ragazzo.
-Non dovresti essere qui- disse serio Shikamaru rivolgendole una veloce occhiata prima di rialzarsi. Lei lo fissò interdetta per alcuni secondi continuando a mantenere le braccia incrociate sotto al seno. Poi, con fare dispettoso, lasciò che il suo sguardò esaminasse la alta e snella figura del membro della squadra 10.
-Non dovresti essere qui e non dovresti essere vestita così- continuò con tono ancora più duro il Jonin sistemandosi i pantaloni neri spiegazzati. Tenten alzò gli occhi al cielo domandandosi come mai avesse da ridire anche sui suoi vestiti, i soliti che tra l’altro indossava sempre.
-Ho capito sei di pessimo umore, ti saluto Shikamaru- borbottò sconfitta riprendendo a camminare, ma qualcosa la bloccò: la calda mano del Nara scivolò veloce attorno al suo polso costringendola a fermarsi.
-Smettila di comportarti così- le mormorò duro incrociando i loro sguardi. I suoi occhi allegri e privi di alcun pensiero furono obbligati a scontarsi con quelli pieni di dolore e rassegnazione dell’amico.
-Non capisco cosa intendi- bisbigliò scossa il membro del Team Gai. Shikamaru allentò la presa sospirando con forza: poi, come sua abitudine, si grattò la testa.
-Tenten, ti prego- disse con tono sconsolato lasciando che i suoi muscoli si rilassassero. La ragazza sembrò non capire, ma con un forte strattone si liberò dalla presa del compagno.
-Non capisco quale sia il tuo problema, ma oggi sono troppo di buon umore per permettere a uno come te di rovinarmelo- concluse allontanandosi nervosa. Al moro non rimase che osservarla, impassibile, allontanarsi: poi, appena fu solo, si sedette sospirando sulla panchina. Si portò istintivamente le mani sul volto chiudendo gli occhi. Per un secondo le sue mani si dipinsero di rosso scarlatto mentre un denso fluido scivolò veloce sulle sue braccia. Con forza il Jonin scosse la testa ripetendosi che tutto questo era solo un incubo e che doveva assolutamente svegliarsi. Quando, finalmente, i suoi stanchi occhi furono nuovamente circondati dall’azzurro del cielo, Shikamaru si domandò se forse anche il mondo in cui viveva era solo un incubo e se da qualche parte il maestro Asuma e suo padre lo stessero aspettando.
 
 
 
 
Un kunai lanciato a grande velocità si conficcò perfettamente sul palo della luce che si trovava poco lontano dalla figura allenata che l’aveva appena scagliato: Tenten digrignò i denti con rabbia percependo ancora perfettamente la calda mano dell’amico stretta sul suo polso. Con fare bambinesco incrociò le braccia sotto al seno domandandosi quale fosse il problema dei suoi amici: era da quella mattina che si comportavano tutti in maniera strana e sembrava facessero di tutto per rovinarle l’umore. Tenten sospirò stizzita reclinando il capo all’indietro: da quando era finita la guerra i momenti di vera e propria felicità erano stati davvero pochi e quindi non capiva il perché gli altri avrebbero dovuto rovinarle l’umore per una volta che si sentiva realmente felice.
-Oh, ciao Tenten- all’udire il suo nome il membro del Team Gai non si scompose, ma si limitò a sedersi sulla panchina situata dietro di lei. La sua interlocutrice aspetto per alcuni secondi una sua eventuale risposta, ma di fronte al solo silenzio decise di raggiungerla. Tenten venne circondata da un dolce profumo pescato che la fece starnutire.
-Salute- replicò stranamente pacata la sua vicina.
-Grazie- rispose seria la ninja senza abbassare la guardia. Sakura si morse debolmente il labbro liberando i suoi capelli dalla treccia: Tenten corrugò la fronte trovando estremamente di cattivo gusto il contrasto tra il rosa accesso dei capelli dell’amica e il nero dell’abito che stava indossando. Quel colore, quel giorno, sembrava perseguitarla.
-Allora come stai?- domandò la kunoichi del Villaggio della Foglie piegando leggermente di lato la testa.
-Tutto bene- rispose seria richiudendo gli occhi a una fessura. Che l’avessero mandata gli altri?
Passarono altri secondi nel più completo silenzio e permettendo al forte vento, che pareva essersi alzato, di scompigliare i capelli troppo lunghi di entrambe.
-Se ti ha mandato qui Shikamaru sappi che è tutta fatica sprecata- sibilò seria.
-Perché dovrebbe mandarmi Shikamaru?- domandò sorpresa però la fidanzata di Sasuke fissandola interdetta: finalmente i muscoli di Tenten, all’udire quella frase, parvero rilassarsi.
-Niente, lascia perdere- bofonchiò non riuscendo a trattenere un sorriso soddisfatto.
-Tu invece come stai Sakura?- domandò decisamente più allegra e ritornando a sorridere. La sua compagna abbozzò un sorriso.
-Tenten- mormorò ignorando completamente la domanda che la ninja le aveva rivolto pochi minuti prima.
-Hinata mi ha detto cosa è successo ieri- concluse assumendo una espressione seria. Un brivido freddo percorse la schiena della castana che si limitò ad abbassare lo sguardo mortificata.
“ Tenten aprì a fatica gli occhi mentre il buio più totale continuava a regnare sovrano nella piccola e disordinata stanza in cui stava dormendo. Confusa e intontita si liberò dei lenzuoli che lambivano la sua pelle per poi allungarsi verso il comodino. Tastò per alcuni secondi il freddo legno prima di individuare una piccola sveglia che schiacciò con fatica: una luce artificiale e giallastra la fece mugugnare mentre lesse velocemente l’orario sul display. Erano le nove di sera, questo significava che aveva dormito per tutto il giorno. A ricordarle l’ora tarda ci pensò il suo stomaco che si mise a gorgogliare ed effettivamente la ragazza si sentiva estremamente affannata. Con non poca fatica abbandonò il caldo materasso e lentamente si apprestò a dirigersi verso la porta stando attenta a non calpestare la miriade di oggetti buttati a terra. Tenten era un ninja e la prima regola che il maestro Gai le aveva insegnato era che si doveva vivere nel più completo ordine: solo facendo così si poteva sperare di tenere anche i pensieri e le emozioni in ordine. Tenten si lasciò sfuggire una amara smorfia di fronte a quel precetto che ora considerava formato solo da parole dette a vanvera. Una volta raggiunta finalmente la porta, la castana tastò per alcuni secondi il muro affianco a lei e finalmente la luce illuminò la stanza limitrofa alla camera da letto. Tenten sbuffò venendo accecata per alcuni secondi e muovendosi a tentoni: non era più abituata alla luce e oramai i suoi occhi si erano abituati al buio completo. Quando finalmente le pupille parvero abituarsi al cambio di luminosità la Jonin si diresse verso il piccolo frigo aprendolo: una espressione delusa si dipinse sul suo volto constatando quanto fosse vuoto e privo di provviste. Iniziò nervosamente a mangiarsi le unghie osservando i pochi e improponibili ingredienti che occupavano i ripiani dell’elettrodomestico. Poi, sbuffando sonoramente, lo richiuse con forza lasciandosi andare sulla sedia. Era estremamente affamata, questo era vero, ma non si sarebbe abbassata a mangiare quelle poche cose rimaste sicuramente scadute. Doveva uscire a fare la spesa, non poteva fare altrimenti. Tutta la determinazione che aveva animato il suo animo pochi istanti prima scomparve all’istante una volta che la Jonin passò davanti all’unico specchio presente in camera sua. Tenten serrò le labbra osservando il suo volto distrutto riflesso: tremante accarezzò il grosso graffio presente sulla guancia mentre un pallore grigiastro le regalava una cera tutt’altro che sana. Il quarto conflitto mondiale ninja non era solo uno dei tanti incubi che turbavano i suoi sonni, doveva ricordarselo. Intanto il suo battito iniziò ad accelerare e Tenten parve accorgersi di quanto mancasse l’aria in quella stanza. Si sentiva soffocare e voleva a tutti i costi aprire una finestra, ma i suoi piedi erano come bloccati e altrettanto lo erano i suoi occhi che non riuscivano a staccarsi dal suo malato riflesso. La castana si aggrappò alla sedia posta dietro di lei ansimando sempre più forte: le pareti si fecero sempre più piccole e si sentiva sempre più in trappola. Accecata da un sentimento che sembrava corroderla dentro afferrò il piccolo specchio buttandolo rovinosamente a terra. Non appena la miriade di vetri si dispersero a terra la Jonin si sentì meglio.
Tenten crollò quasi sfinita: gli attacchi di panico si stavano facendo sempre più frequenti e a nulla pareva servire la respirazione che il maestro Gai le aveva insegnato. Ansimante si portò un dito alla bocca succhiando il sangue che fuoriusciva copioso dalla ferita che si era provocata con il gesto avventato di poco prima.  Con la mano tramante si asciugò la fronte sudata cercando di calmare il suo battito cardiaco: per una Jonin come lei era deplorevole farsi sopraffare da sentimenti così effimeri.
La sua attenzione venne attirata da timidi battiti che provennero dalla porta principale.
-Hinata?- mormorò sorpresa la castana osservando la compagna. La Hyuga le sorrise debolmente mantenendo lo sguardo basso.
-Ciao Tenten, spero di non averti disturbata- sospirò il membro del Team 8 non trattenendo un piccolo rossore. Tenten, di fronte a quella figura così familiare, si lasciò sfuggire un sorriso rilassato appoggiando il corpo allo stipite.
-Tranquilla, anzi mi fa piacere vederti- disse con estrema sincerità: da quando era finita la Guerra la castana non aveva più visto nessuno esclusi Rock Lee e il maestro Gai.
-Oh, ma sei ferita- bisbigliò la ragazza raccogliendo tra le sue mani calde e tremanti quella pallida e fredda della castana.
-Mi sono solo tagliata con un vetro, non è niente di grave- biascicò Tenten ritraendo la mano e ignorando il sangue che stava bagnando la manica della sua maglia. Era bastato un semplice tocco con Hinata per percepire il chakra della famiglia Hyuga, lo stesso che per anni l’aveva vista crescere e diventare più forte.
-Allora ti serve forse qualcosa? Ti inviterei ad entrare, ma ho la casa decisamente in disordine- si scusò Tenten cercando di non dare a vedere quanto stare in compagnia di quella ragazza, dopo quello che era successo, la facesse sentire a disagio. Hinata, continuando a mantenere lo sguardo basso a terra, annuì quasi impercettibilmente.
-Questo è giusto che lo tenga tu- bisbigliò allungando un oggetto verso la sua interlocutrice. La luna non fece in tempo a riflettere la sua luce sul lucido acciaio che Tenten, impallidita, era già indietreggiata. I suoi occhi, gonfi e arrossati, si lasciarono sfuggire una lacrima che percorse velocemente la sua pallida guancia.
-Questo ...- mormorò senza riuscire ad aggiungere altro. Hinata finalmente sollevò i suoi occhi trasparenti e così simili ai suoi incrociando i loro sguardi. Una seconda pugnalata trafisse il cuore già provato della castana.
-È il suo coprifronte e vorrei che lo tenessi tu- disse lasciandosi sfuggire un timido sorriso che andò in contrasto con i suoi occhi ricolmi di tristezza. Tenten deglutì a fatica portandosi una mano al petto: mentalmente iniziò a tenere conto della sua frequenza cardiaca cercando di rilassare quanto più riuscisse i suoi muscoli. Ma questo gesto risultò solo vano.
-Io ...- sibilò la castana reprimendo a fatica le lacrime sempre più insistenti.
-Non lo voglio- disse fredda e tagliente talmente tanto che Hinata indietreggiò scossa. Uno strano sentimento di rabbia avvolse le provate membra di Tenten regalandole una forza che non pensava mai più di avere.
-Non mi interessa averlo- continuò stringengo con forza i pugni lungo i fianchi.
-Tenten ...- sibilò con le lacrime agli occhi la figlia di Hiashi Hyuga.
-Hinata vattene!- urlò con disprezzo la castana con ferocia.
-Non voglio niente che appartenesse a lui, prima riuscirò a dimenticarlo e meglio sarà- disse lasciandosi sfuggire un leggero tremolio delle labbra. Hinata strinse al petto il coprifronte come se suo cugino potesse difenderla come era solito fare.
-Lui avrebbe vol...-
-Lui è morto- disse seria Tenten sfidando con lo sguardo la sua interlocutrice.
-Ora vattene!- concluse richiudendo la porta.
Uno, due, tre, quattro ...
I numeri vennero ripetuti quasi come una cantilena nella mente di Tenten che senza forze si accasciò a terra.
Cinque, sei, sette, otto ...
Mentre scandiva il passare del tempo nella sua mente il suo respiro iniziò a farsi sempre più regolare e i suoi muscoli iniziarono a rilassarsi. Tenten esausta appoggiò la testa sulla porta. Percepì chiaramente il passo veloce di Hinata allontanarsi dalla sua proprietà: nella sua mente forse aveva sperato che non avesse dato ascolto alle sue parole dettate unicamente dalla rabbia, ma lei era Hinata e Tenten sapeva perfettamente che l’aveva ferita. Una smorfia di dolore si dipinse sul volto della Jonin osservando i palmi ricoperti di sangue: quando si era buttata a terra non aveva fatto caso ai pezzi di vetro che ora si ritrovava conficcati nella pelle. Un amaro sorriso fece trapelare la delusione che provava in quel momento mentre l’immagine del coprifronte di Neji era ancora nitida nella sua mente”
-Tenten?- la voce acuta e leggermente preoccupata risvegliò il membro del Team Gai dai suoi pensieri.
-Scusami, ero sovrappensiero- si scusò la castana osservando le bende che malamente ricoprivano le sue mani. Anche Sakura parve accorgersene e senza preavviso si chinò davanti a lei.
-Questa medicazione non va bene- disse seria srotolando le bende: Tenten provò a parlare, ma non riuscì a dire niente.
-Oh Tenten- sospirò Sakura osservando le profonde ferite causate dai vetri ancora aperte e sanguinanti. Tenten abbassò lo sguardo colpevole.
-Cosa è successo?- le domandò la ragazza dai capelli rosa iniziando a cercare qualcosa nella borsetta.
-Mi sono tagliata- borbottò la castana cercando di non far trasparire alcun sentimento dalle sue parole.
-Questa medicazione così blanda non è da te- continuò Sakura stringendo tra le mani il disinfettante. Una smorfia si dipinse sul volto della sua interlocutrice.
-Mi dispiace, ma io non sono stata l’allieva del Quinto Hokage- parlò con estrema rabbia e risentimento. Sakura corrugò la fronte accingendosi a rispondere, ma anziché parlare si limitò a rovesciare il disinfettante sulle mani della ragazza. Una smorfia di dolore accompagnò il gesto dell’amica.
-Scusami- sospirò pentita Tenten mentre la Haruno stava tamponando le ferite. Un sorriso soddisfatto si dipinse sul suo volto.
-Tranquilla- rispose finendo di fasciare le mani della ragazza.
-Fatto- mormorò soddisfatta alcuni secondi dopo rialzandosi e stiracchiandosi la schiena. Tenten fissò le dite affusolate sapientemente curate prima di lasciarsi sfuggire un sorriso grato.
-Grazie- Sakura si accomodò nuovamente a fianco a lei non staccando i suoi verdi e brillanti dal viso provato della castana.
-Ho sbagliato con Hinata- sospirò sinceramente pentita Tenten incrociando le braccia sotto al seno.
-Ma tutto ciò che ho detto è vero- continuò riacquistando la determinazione che la contraddistingueva. Sakura sospirò incrociando le gambe e piegando leggermente la testa all’indietro.
-Non lo pensi veramente- rispose la Haruno guardando il cielo terso sopra di loro.
-Tutti abbiamo perso qualcuno- Sakura sorpresa da queste sue parole la fissò interrogativa.
-Il mio dolore è uguale a quello di molte altre persone, ho perso il mio compagno di squadra come molti altri- disse Tenten
-Lo sappiamo tutti che per te Neji non era solamente questo ed è per questo che Hinata ha fatto quel gesto- Tenten di fronte a quella verità serrò le labbra con forza.
-Smettila- urlò con rabbia  alzandosi dalla panchina.
-Smettila di parlare- continuò iniziando irrefrenabilmente a tremare. Preoccupata la Haruno si alzò appoggiando una mano sulla sua spalla.
Uno, due , tre, quattro ...
-Tenten stai bene?- domandò preoccupata l’allieva di Tsunade mentre le membra stanche della castana non accennavano a smettere di tremare come foglie. Uno strano calore riscaldò il punto in cui Sakura aveva appoggiato la sua mano.
Cinque, sei, sette, otto ...
-Sì, sto bene- rispose tagliente respirando a pieni polmoni. Era passato per fortuna.
-Da quanto hai questi attacchi di panico?- le domandò estremamente seria l’amica senza togliere la mano dalla sua spalla.
-Non so di cosa tu stia parlando- rispose fredda allontanandosi dall’amica.
-Tenten non puoi continuare a fuggire. Gli attacchi di panico sono un problema serio-
-Ho detto che sto bene!- l’urlo di Tenten squarciò in un istante l’aria tranquilla e calda che aleggiava su Konoha quella mattina.
-Io sto bene, come devo dirvelo?- continuò stringendo con forza i pugni fino a farsi sanguinare nuovamente le ferite alle mani. Sakura turbata indietreggiò lievemente di fronte a quel comportamento così poco da Tenten.
-Dovete smetterla di preoccuparvi per me perché io non ho più bisogno dell’aiuto di nessuno- concluse seria riprendendo il suo passo. Sakura sconvolta si portò le mani alla bocca: Tenten aveva ragione, l’unica persona che poteva aiutarla non c’era più.



   
 
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