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Autore: Lyris    16/06/2020    1 recensioni
[loungebar!AU] [yoonmin]
Jimin è un barista che non si limita a servire i cocktail e i drink richiesti: ascolta i suoi clienti e se può dà anche qualche consiglio, offrendo conforto. Così sfilano davanti a lui un manager in crisi, un attore che non digerisce le critiche, un progamer annoiato, un fattorino che ha dedicato la sua vita al sassofono, un tennista che offre sempre da bere ai suoi avversari, ognuno con i propri problemi e con i propri sfoghi. Poi, c'è Occhi Tristi, il ragazzo solitario che ha attirato l'attenzione di Jimin da quando è entrato nel suo locale. Riuscirà il barista a scoprire cosa si cela dietro la sua malinconia?
Genere: Commedia, Drammatico, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai, Slash | Personaggi: Kim Taehyung/ V, Min Yoongi/ Suga, Park Jimin
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Tematiche delicate
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BTS Lounge Bar


Drink della settimana: Bourbon con ghiaccio


"Il bello dell’alcool è che, per due ore, i tuoi problemi sono di altri"
Anonimo


Le note suadenti del sassofono vibravano nell’aria, rendendo l’atmosfera rilassata e allo stesso tempo viva. I pochi avventori che erano presenti e che non avevano gli occhi stanchi socchiusi dal sonno, parlavano tra loro a bassa voce, sussurrando le chiacchiere e ogni tanto inciampando sulle parole. L’orologio dietro al bancone del bar segnava mezzanotte passata. Kim Namjoon distolse lo sguardo dal quadrante dell’orologio e tornò a guardare il ghiaccio che lentamente si scioglieva nel suo bourbon. Mescolò il drink e buttò giù un sorso, l’alcol che scendeva rovente nella gola. Non era decisamente la sua giornata. Effettivamente non era la sua giornata da un po’ troppo tempo. 

Era uscito dall’ufficio per ultimo, come sempre, con il buio che che era calato da un pezzo. Stava per andare verso la fermata della metro, quando i suoi piedi avevano improvvisamente cambiato direzione, quasi di propria volontà. Aveva vagato un po’ per i vicoli e le strade, bagnate dalla pioggia e si era sentito, per la prima volta da un po’ di tempo a questa parte, più leggero. Poi l’insegna del locale aveva attirato la sua attenzione - c’era già stato, una volta, e non gli era dispiaciuto. Le prime gocce d’acqua che avevano ricominciato a cadere dal cielo lo avevano convinto ad entrare. Così, si era diretto verso il bancone, aveva posato la giacca accanto a lui, si era arrotolato le maniche della camicia fino ai gomiti e si era seduto su uno degli sgabelli alti. Aveva ordinato un bourbon al barista, per rilassarsi, e un po’ la tensione era andata via.

Si allentò la cravatta e mandò giù quello che rimaneva del suo bourbon in un colpo solo e posò il bicchiere sul bancone, con quanta più delicatezza possibile. Il risultato fu un tonfo piuttosto forte del vetro sul legno, seguito dallo sguardo un po’ preoccupato che gli lanciò il barista.

«Merda» bofonchiò. Si sistemò sullo sgabello, pentendosi per l’ennesima volta di essersi appoggiato al bancone e non a uno dei tavolini più comodi che riempivano il locale. Si schiarì la voce e fece un segno al barista. Il giovane posò il bicchiere che stava pulendo nel lavandino e lo raggiunse. 

«Un altro, per favore» disse Namjoon indicando il bicchiere vuoto davanti a lui. Il piccolo pezzo di ghiaccio superstite che galleggiava placido nel sottile strato di acqua tintinnò appena quando il barista afferrò il bicchiere. 

«Sempre un Bulleit con ghiaccio?» il sorriso che gli rivolse il barista insieme alla domanda, riscaldò un po’ il cuore di Namjoon. 

«Mh» grugnì di rimando. Cielo, stava diventando un uomo delle caverne. Si schiarì ancora una volta la voce e riprovò con un «Si, grazie» imbarazzato. Il giovane barista sorrise ancora e si affrettò a preparare il drink. Nel frattempo, l’assolo del sassofono aveva virato su un ritmo più vivace, forse per risvegliare dal torpore la clientela che sembrava sempre più addormentata, anche se il ragazzo che lo suonava sul piccolo palco del locale non sembrava far molto caso ai suoi ascoltatori. 

«È bravo, vero?» fece il barista. Namjoon quasi sobbalzò, distratto com’era dalla musica. «Come?»

«Taehyung, quello che suona il sassofono» rispose il barista, indicando con un cenno della testa il ragazzo che, ad occhi chiusi, continuava a suonare indisturbato «Sono in pochi a prestargli attenzione, ma una volta che si ascolta è difficile non essere rapiti dalla musica».

«Si, è bravo» ammise Namjoon, ed era sincero «Suona spesso qui?». 

Il barista annuì.

«Quando può viene, quasi ogni sera in effetti». Il giovane dietro al bancone posò il bicchiere pieno davanti a Namjoon e lo spinse leggermente verso di lui. Namjoon prese un sorso e deglutì a fatica. 

«Non l’ho visto quando sono venuto qui l’ultima volta» rifletté. Beh, in realtà l’ultima volta che era capitato lì era stata anche la prima in cui aveva messo piede in quel locale. Prese un altro sorso. Non che ricordasse molto di quella serata, la sua memoria era un po’ annebbiata. Era uscito insieme al suo team per festeggiare un contratto che erano riusciti a chiudere in modo brillante. I suoi colleghi gli avevano fatto vari brindisi che erano finiti con un un grande mal di testa il mattino dopo e una nausea da cui si era ripreso solo dopo un’intera giornata. Doveva mettersi in testa una volta per tutte che non era più un adolescente.

«Mi ricordo bene di te, eri insieme a quel gruppo di impiegati» ridacchiò il barista. Namjoon sbattè le palpebre e lo guardò stupito.

«Davvero?»

«Beh, sì. Quella sera si sono rotti tre bicchierini in un’ora al vostro tavolo» il barista sollevò un sopracciglio, ma non sembrava tanto irritato quanto più divertito dalla faccenda «Non capita tutti i giorni»

Ora riusciva a ricordare. Aveva rotto lui tutti e tre i bicchierini, e poi aveva dato la colpa al collega seduto vicino a lui. Namjoon abbassò lo sguardo sul suo drink, ma questo non venne in suo aiuto per scampare all’imbarazzo. 

«Ah, mi dispiace» Namjoon si passò la mano fra i capelli e sospirò. Ogni cosa che toccava, gli scivolava via dalle mani e si rompeva. Sembrava la storia della sua vita. Il barista scrollò le spalle, come a dire di non preoccuparsi.

«Quanto...» iniziò a dire Namjoon. Almeno questo problema avrebbe potuto risolverlo.

«Tranquillo, quella volta hai insistito così tanto per pagare i danni e mi hai anche dato una mancia» rise ancora il barista, prendendo un panno per asciugare le stoviglie lavate. 

«Oh». Namjoon quello non se lo ricordava, ma il fatto di essere riuscito a rimanere abbastanza lucido lo rincuorò. Che figura doveva aver fatto nei confronti dei suoi sottoposti… non riusciva a credere che lo prendessero ancora sul serio. Ma in effetti, da quel poco che ricordava, anche loro non dovevano essere messi così bene. La chiusura di quel contratto aveva dato alla testa un po’ a tutti quanti.

«Noi… eravamo venuti per festeggiare e abbiamo alzato un po’ il gomito» disse, per giustificarsi. Il barista annuì, con l’aria di chi la sapeva lunga e ne aveva viste tante. Poi, fece un cenno verso il drink che Namjoon aveva in mano, appoggiato sul ripiano. 

«Spero che almeno questo si salvi»

Namjoon lo lasciò di istinto, ma il movimento troppo brusco quasi rovesciò il bicchiere che per un lungo secondo di pure terrore traballò, sul punto di cadere, per poi fermarsi. Namjoon ritornò a respirare e lanciò uno sguardo di scuse imbarazzate verso il barista. Il barista scoppiò a ridere. Aveva davvero un bel sorriso, di quelli che risollevano una giornata storta. 

«Non… capiterà più» disse Namjoon. Il barista fece un’espressione poco convinta, prima che la sua attenzione fosse catturata da un cliente che l’aveva chiamato. Namjoon lo osservò mentre prendeva l’ordinazione e preparava quello che sembrava essere un cocktail abbastanza elaborato. La melodia del sassofono rallentò di ritmo, mantenendo però una certa vivacità. Namjoon sorseggiava il bourbon cercando di non far troppo caso al sapore. 

Non sapeva ancora perché si trovasse lì, in quel momento. Quando con il team di cui era responsabile erano usciti a festeggiare non avevano scelto un locale specifico, si erano detti di entrare nel primo posto aperto che sembrasse abbastanza tranquillo e così avevano fatto. Avevano notato l’ingresso di un locale un po’ nascosto, l’insegna a neon che passava inosservata fra le luci della città. Si erano stupiti, entrando, di trovare un lounge bar accogliente e spazioso, che ricordava un po’ quelli che si vedevano nei noir americani in bianco e nero. La parete dietro il bancone faceva mostra di varie bottiglie di alcolici e, tra di esse, si muoveva rapidamente un giovane che doveva avere all’incirca la sua stessa età, indaffarato a servire un paio di signore. Sulla sinistra, addossata al muro, vi era una pedana rettangolare, dove erano collocati uno sgabello e un microfono fissato su un’asta, ma al momento nessuno li stava usando: quello che sembrava essere un piccolo palco adatto alle esibizioni era vuoto. 

Namjoon si era avvicinato al bancone, accolto da un sorriso di benvenuto, e aveva chiesto un tavolo per sei. Il barista aveva finito di servire le due signore, che lo stavano guardando con una certa adorazione, e poi aveva preparato i tavoli per i nuovi arrivati. E poi avevano ordinato molto soju che Namjoon aveva dovuto prima servire a tutti, per poi ritrovarsi il proprio bicchierino sempre pieno quasi per magia ogni volta che lo prendeva per bere e quindi aveva continuato a bere, perché no, dopotutto erano usciti per festeggiare, e le cose nellasua testa avevano iniziato a fluttuare e tutto era più leggero e senza pesi.

E sì, lui era… felice, il contratto con gli americani era chiuso, non era capace a usare un bicchiere senza rischiare di romperlo, ma era il più giovane manager della sua azienda a essere messo a capo di un team, nonché il migliore tra quelli assunti negli ultimi anni e il fatturato quell’anno era aumentato del 10% solo grazie a lui e alle sue idee, e sì era felice. Lo era, davvero. Stava andando tutto bene. Aveva un lavoro, un buon lavoro, pagato bene, aveva degli amici, e presto avrebbe avuto anche il tempo di uscire e trovare una persona con cui provare a costruire qualcosa, ora che la mole di lavoro era diminuita. Era felice. Felicissimo. Namjoon si scolò il resto del bourbon. 

«Fanculo» bofonchiò, le parole iniziavano a essere impastate nella sua bocca e le venature del bancone sembravano raddoppiate. Quanti ne aveva bevuti di quei drink? Quello era il terzo o il quarto? Guardò il liquido ambrato che rimandava i bagliori della luce soffusa del locale. Eccolo, il ragazzo che ha ottenuto il massimo risultato per entrare all’università, il migliore del suo corso, il migliore impiegato del mese - se fosse esistita la nomina di impiegato del mese - e non riesce nemmeno a ricordarsi quanti drink abbia in corpo, perché si trovi lì in quel momento e soprattutto a capire quante cazzo di venature abbia quel maledetto bancone. 

Namjoon alzò lo sguardo dal bancone - aveva rinunciato alla conta delle venature del legno - e con gli occhi cercò il barista, lo trovò che finiva di servire un paio di uomini dalle guance rosse per l’alcol. Attirò la sua attenzione con un cenno della mano e si fece portare un altro bourbon. Tanto valeva la pena prendersi un’altra sbronza. Mentre il barista riempiva il suo bicchiere - sempre Bulleit con ghiaccio, appena mescolato - Namjoon appoggiò il gomito al bancone e la testa sulla mano. La verità è che doveva semplicemente prendersi un paio di giorni di riposo. Quel lavoro l’aveva sfiancato e non aveva fatto altro che preoccuparsi giorno e notte che tutto procedesse alla perfezione. Quello che gli serviva in quel momento era una pausa, per smettere di pensare, e l’alcol l’avrebbe decisamente aiutato. Poi, dal giorno dopo, sarebbe tornato tutto come prima. Come prima. Il bourbon in quel momento era la soluzione. E dire che nemmeno gli piaceva così tanto.

«Vuoi che ti prepari un’altra cosa?» il barista aveva smesso di versare il Bulleit e teneva la bottiglia a mezz’aria.

«Come?» Namjoon lo guardò confuso e stupito.

«Hai detto che non ti piace il bourbon, ti preparo qualcos’altro?». Il barista posò la bottiglia, inclinò leggermente il mento in attesa. Namjoon gemette internamente. Perfetto. Ora si metteva anche a parlare a voce alta e nemmeno se ne rendeva conto. 

«No, va bene. Tanto è uguale»

«Se va bene per te»

Il giovane finì di preparare il drink e glielo porse. Namjoon lo guardò sperando di trovarci la soluzione a tutti i suoi problemi. Il bourbon, però, rimase in silenzio. 

«Ormai ci sono abituato. Non mi piace così tanto ma ormai non ci faccio più caso, l’ho iniziato a bere quando abbiamo iniziato il contratto con gli americani» Namjoon sollevò lo sguardo verso il barista - anche se a tratti gli pareva di vederne due «E poi ho continuato perché pensavo mi desse un tono» e qua ridacchiò quasi fra sé e sé.

«Ma va bene così. Tanto ci si abitua alle cose no? Si può essere felici anche con il bourbon, anche se non ci piace molto perché è il bourbon, giusto? Magari andando avanti mi piacerà tantissimo, un giorno. Un giorno mi sveglierò, berrò il bourbon e capirò che era la cosa che ho sempre voluto e quindi devo solo saper aspettare».

Il barista stava asciugando i bicchieri, ma sembrava ascoltarlo con attenzione. Non sapeva nemmeno perché avesse iniziato a parlare a vanvera del bourbon, ma Namjoon sapeva che doveva parlarne. Anche con un perfetto sconosciuto. E poi il perfetto sconosciuto in questione aveva l’aria di una di quelle persone - del tipo che si incontra raramente - che sono abituate a sentire i problemi degli altri senza annoiarsi, senza giudicare, senza interrompere.

«Tu… da quanto lavori qui?» gli chiese Namjoon, tanto per evitare che il suo divenisse un monologo invece di una conversazione e perché iniziava a sentirsi un po’ ridicolo.

«Un po’» fu la risposta del barista. Dal tono almeno non sembrava infastidito.

«Ah, beh, quindi avrai avuto a che fare un sacco di tempo con gli alcolici e saprai che non sempre un drink piace all’inizio, ci si abitua e poi piace. Forse, credo. Giusto…?»

«Jimin»

«Jimin. Ecco, non ho ragione? Se una cosa non piace subito non vuol dire che non faccia per noi»

Il barista -  che adesso aveva un nome, Jimin - si fermò per un attimo, come a riflettere, poi riprese a lucidare il bicchiere. 

«Credo… che la cosa importante sia non rimpiangere di aver scelto il bourbon invece di qualcos’altro» disse.

«E se il bourbon fosse l’unica scelta sicura? Perché ne conosci già il sapore e sai cosa può darti, non può deluderti. Certo ho bevuto cose migliori del bourbon, ma sono cocktail così complicati che non sempre riescono e sono rari e basta tanto così per fallire e non sono nemmeno sicuro di poterli bere»

«Perché?»

«Perché non ne sarei capace. Almeno credo. Forse potrei, in un angolino della mia testa credo di poter essere capace di poter fare certe cose ma in realtà… sono bravo in quello che faccio ora, sono dannatamente bravo, e forse un giorno mi piacerà davvero. Un giorno mi sveglierò e capirò che è sempre quello che ho desiderato»

Jimin posò il bicchiere e alzò lo sguardo su Namjoon.

«Quindi fino ad allora berrai sempre il bourbon»

«Si, non posso fare altro. Sarebbe da stupidi, no? Voler provare a scegliere qualcos’altro adesso. Da stupidi. E non posso fare una cosa stupida, non posso. Le cose stupide non fanno per me. E poi troppe persone fanno affidamento su di me» 

L’aria era più pesante, calda e tutto intorno a lui galleggiava con una calma placida. Anche il sassofonista aveva iniziato a suonare una musica più triste e lenta. Oppure era lui che adesso la sentiva a quel modo. 

La porta del locale si aprì e si richiuse, facendo entrare una corrente fredda. Fuori, stava piovendo a dirotto a giudicare dal rumore del temporale. Sarebbe stato un vero problema tornare a casa, ma in quel momento non gli importava. Namjoon sorseggiò ancora il bourbon e con la coda dell’occhio vide il cliente che era appena entrato camminare incerto verso il bancone e sedersi a un paio di sgabelli di distanza. Era bagnato dalla testa ai piedi, probabilmente era stato sorpreso dal temporale. Namjoon vide il barista raggiungerlo, sorridere come faceva ogni volta per dare il benvenuto, prendere l’ordinazione e quindi mettergli davanti una tazza piena. Il ragazzo si limitò a fissarla senza fare nulla, non sembrava molto in sé. Probabilmente era già ubriaco, e la sua non sembrava una sbornia allegra, giudicò Namjoon. Beh, almeno erano in due

Jimin riprese a pulire i bicchieri - probabilmente per quanto erano lucidi ci si sarebbe potutto specchiare - e Namjoon si immerse nuovamente nei suoi pensieri, incantato a guardare le varie bottiglie esposte che avevano preso a ondeggiare. Gli venne in mente quando si era ubriacato per la prima volta, da ragazzino. Era lui che era riuscito a procurarsi delle birre e a spartirle con i suoi amici, voleva provare e credeva di essere abbastanza intelligente per evitare di stentirsi male. Ovviamente era finita con lui che rigettava nel gabinetto in preda agli spasmi della nausea e i suoi amici forse messi peggio di lui. Da allora non aveva più oltrepassato i suoi limiti e aveva sempre evitato di eccedere. Tranne quella sera - e in effetti quella volta con i suoi colleghi. 

Si ricordò che, il mattino dopo quella devastante prima sbronza, si era svegliato e aveva preso la penna, un foglio e aveva iniziato a scrivere, forse perché ancora annebbiato dai fumi dell’alcol sentiva che i pensieri che doveva appuntarsi fossero particolarmente profondi. 

In quel periodo in effetti scriveva molto. Versi o poesie, per lo più. Pensieri di qualche riga o frase. E in quel periodo lui… quando scriveva si sentiva bene. Libero. Come se affidando le sue preoccupazioni e paure alla carta si sentisse più leggero. Si immaginava, una volta grande, in una casa piena di libri a tessere parole che toccassero il cuore delle persone. 

Poi era cresciuto, come tutti. I sogni da ragazzino li aveva riposti in soffitta e si era dedicato allo studio e al lavoro. I suoi genitori ne erano stati felici e Namjoon era contento di non averli delusi. Eppure c’erano ancora dei momenti in cui - c’era a volte questa sensazione che gli prendeva alla bocca dello stomaco, per cui doveva sfogarsi e non sapeva cosa fare. 

A volte… a volte desiderava - aveva quasi la necessità di riprendere in mano la penna e scrivere. Ma quando quel paio di volte aveva provato a mettersi davanti a una pagina bianca non era uscito fuori niente. E aveva rinunciato anche a provarci.

Sentiva il peso delle giornate sempre uguali, della sveglia la mattina presto, della corsa per andare a lavoro, degli incarichi da svolgere, dei successi che otteneva, dei sorrisi dei colleghi - alcuni di loro, lo vedeva, erano felici davvero, e anche quando erano stanchi i loro occhi brillavano di una luce particolare, mentre lui sentiva la stretta della cravatta intorno al collo e il colletto abbottonato fino in cima della camicia e la giacca che gli impediva i movimenti e quella routine sempre uguale che lo soffocava ogni giorno di più. Ma pensare di cambiare vita adesso, era da sciocchi, così come era da sciocchi credere nel sogno di un ragazzino che amava leggere e mettere su carta i suoi pensieri. Doveva solo abituarsi a questa stretta. 

Namjoon fece per bere il suo drink, poi cambiò idea e lo posò sul bancone. Vide Jimin che continuava a pulire il bicchiere e il tipo seduto poco più in là prendere finalmente un sorso dalla sua ordinazione. Rivolse la sua attenzione al barista, a quel povero barista che si era dovuto sorbire tutte le sue lagne da ubriaco.

«Scusa, non volevo attaccare un monologo senza senso, prima» disse, lasciando il bicchiere sul bancone e decidendo che per quella serata ne aveva avuto abbastanza del bourbon. Jimin lo guardò sottecchi - aveva uno sguardo che sembrava vagliare l’anima e percepire i pensieri e le emozioni nascoste sottopelle, poi gli prese il bicchiere mezzo pieno e lo svuotò nel lavandino. Mentre lo sciacquava, esitò appena, come incerto su come affrontare il discorso.

«Ho preparato molti drink, da quando lavoro qui. Alcuni clienti ordinano il solito, altri invece si fanno consigliare dagli amici oppure prendono quello che prendono gli altri. Poi ci sono quelli che sperimentano e decidono di provare qualcosa di nuovo» Jimin finì di sciacquare il bicchiere e lo asciugò velocemente «Si riconoscono quasi subito perché gli si legge in faccia tutta l’aspettativa, e l’eccitazione».

Jimin ripose il bicchiere su un ripiano insieme agli altri. Namjoon stava ascoltando con attenzione quello che il giovane barista gli diceva. 

«E quando lo provano che succede?»

«Quando assaggiano il nuovo drink alcuni rimangono delusi, altri invece ne sono entusiasti. Io non so mai cosa accadrà, spero solo che ai miei clienti piaccia quello che preparo» Jimin sorrise appena, quasi a schermirsi, poi guardò Namjoon dritto negli occhi «Ma so che nessuno di loro si è mai pentito di averlo preso».

Namjoon annuì lentamente, mentre rifletteva. 

«Forse, potrei... provare qualcosa di diverso dal bourbon» pensò ad alta voce. Jimin gli sorrise ancora. Aveva davvero un bel sorriso, che trasmetteva calore e chissà come infondeva coraggio. 

«Potrei… sì. Di diverso» Namjoon si raddrizzò sullo sgabello, e picchiettò le dita sul bancone. «Preparami qualcosa che non sia bourbon»

«Cosa vuoi che ti porti?»

«Non lo so, fai tu. Non mi importa. Basta che non sia bourbon» Namjoon si sbilanciò appena, perdendo per un attimo l’equilibrio, poi si riprese. «Magari non farmelo troppo forte, però»

«Va bene» ridacchiò Jimin, mentre sceglieva tra le bottiglie cosa prendere. Namjoon lo guardò mentre preparava la sua ordinazione, la musica del sassofono che ancora aleggiava allegra nell’aria. Un’eco di leggerezza e libertà si diffuse poco a poco nel suo cuore, una strana energia che scorreva sottopelle lo risvegliò dal torpore. Jimin gli pose davanti a lui un bicchiere pieno, l’odore sembrava dolce e invitante. Namjoon lo prese e lo accostò alle labbra, sorridendo fra sé e sé. Non sarebbe stata la giornata in cui avrebbe cambiato la sua vita, in cui avrebbe deciso di stravolgere tutti i suoi piani del futuro o in cui avrebbe ripreso a scrivere, ma forse, sarebbe stato il giorno in cui avrebbe smesso di bere il bourbon.


Angolino Timido
Ciao, piacere. Sono nuova nel fandom, così come è da poco che ho iniziato ad ascoltare seriamente i BTS. Solitamente evito di scrivere fanficition su personaggi realmente esistenti - questa è la prima volta per me in effetti - ma poi ho visto l'intervista fatta da Jimmy Fallon nella metropolitana, quando hanno risposto alla domanda sul lavoro che avrebbero svolto se non fossero esistiti i BTS. Da qui l'idea per questa storiella senza troppe pretese, in cui ho deciso di piazzare Jimin a fare il barista psicologo. Volevo ambientare la storia a Seoul, cercando di ricostruire un ambiente il più coerente con la realtà, ma sono una persona pigra e perciò, sebbene ci siano dei riferimenti alla cultura coreana, ho immaginato una collocazione priva di veri e propri riferimenti geografici e temporali. Scusatemi, spero possiate apprezzare lo stesso. Secondo i miei calcoli ci saranno sette capitoli, forse con un epilogo, e ognuno avrà un POV differente, anche se alcuni personaggi ritorneranno spesso. Ecco, immaginatevela come una cosa simile a una raccolta di one-shot collegate tra di loro. Alcune saranno più comiche altre più malinconiche. Spero vi divertiate a leggere, alla prossima!

  
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