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Autore: Ghostro    16/06/2020    6 recensioni
Alice White è una ragazza esuberante, bionda naturale. Non cerca guai, ma se capitano è certo che se li è andati a cercare. A dispetto di tutto, questa ragazzina tutto pepe è riuscita a cavarsela. Perché il suo aspetto non è la sua vera arma, ma una maschera.
Questa storia partecipa al contest “A noi i personaggi, a voi la storia” indetto da elli2998 e Inchiostro_nel_Sangue sul forum di EFP”
Genere: Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La tazzina che sorseggiai era bollente!
Ne vuotai il contenuto tutto d’un fiato e strizzai così forte i miei occhioni blu che temevo mi sarebbero schizzati fuori dalla nuca! Gonfiai le guance. «Brucia!» E afferrai il tovagliolo per passarmelo sul muso, prima di gettarlo nella pattumiera. «Grazie mille. Arrivederci!» Urlai così forte che l’intero salone si voltò per guardarmi.
Tanto non aveva importanza se avessi fatto brutta figura. Dovevo sbrigarmi! Il treno sarebbe partito a brevissimo ed ero in super ritardo. Molleggiai sulle gambe, accadeva spesso quando l’ansia mi assaliva, un attimo prima di chinarmi piegando le ginocchia, dritta come un lampione, per raccogliere la valigia e correre verso l’uscita. Maledetta Jess! Lei e quel delizioso vestitino che mi aveva prestato. Dovevo fare visita ad Agii, il mio ragazzo, non una romantica passeggiata al chiaro di luna!
La valigia era pesante, il borsone a tracolla fino a esplodere da mia madre e gli occhiali da sole che tenevano lontani dalla fronte i miei riccioli biondi scivolavano sul mento di continuo. Fattori che, accavallandosi durante la corsa, m’impedirono di approcciare l’uscita in equilibrio su entrambi i piedi.
Andai a sbattere contro qualcosa e solo due braccia forzute m’impedirono di cadere. Avevo gambe lunghe. Ero alta per i miei miseri diciassette anni. Eppure mi resi conto immediatamente che non arrivata alla spalle dell’omone che mi si parò davanti neanche con altri dieci centimetri di tacco. «Wow.» L’avevo detto ad alta voce? Oddio che imbarazzo! Avrei dovuto controllarmi, ma l’aroma di dopobarba era così invitante che per un attimo non ci capii più nulla.
Due metri, forse un po’ di più; giusto per affibbiarmi il metro e ottanta preciso. La giovinezza stava sbiadendo. Tra i capelli scuri si poteva intravedere qualche ciocca bianca e sul viso squadrato più di qualche ruga. Doveva avvicinarsi alla cinquantina. Occhi nocciola penetranti e vivi come quelli di un ragazzo, incupiti da un grosso paio di ispide sopracciglia aggrottate.
C’era qualcosa, in essi, che mi ricordò Agii.
Forse perché era armato.
Stressai un sorriso nervoso, ma Sguardo magnetico, o come accidenti si chiamava, mi ignorò bellamente e mi spinse da parte senza dire una parola; che tipo!
Salvo fare subito dietrofront e strapparmi il biglietto dalle mani prima che potessi abbozzare qualche logica scusante. Jake Walker, c’era scritto. Mi sarei ricordata questo nome.
Dopotutto, avremo viaggiato sullo stesso vagone.
 
“Mai fidarsi di un uomo armato.” Agii me lo ripeteva spesso.
Avevo notato subito il rigonfiamento della fondina nel nostro scontro fortuito. La nascondeva sotto un impermeabile consumato, appena sotto la spalla destra, accanto al costato. Altro fatto curioso: di Jake Walker non c’era alcuna traccia. Social, schedari, non figurava da nessun parte. Quell’uomo era un fantasma.
Mi sporsi leggermente verso il corridoio per adocchiarlo. Una delle telecamere di sicurezza incastonate sul soffitto asettico lo inquadrava, ma lui non sembrava curarsene. Teneva un braccio aderente al bordo del finestrino, ancora bagnato dalle ultime gocce di pioggia; quel giorno, nuvole scure solcavano il cielo e non lasciavano spiraglio al più sottile raggio di Sole. Si trovava a poche file di distanza da me, sull’altro lato del vagone. Teneva occhi chiusi, come stesse dormendo, ma era solo apparenza. In realtà stava ascoltando tutto con attenzione: dalla bambina che protestava e si protendeva verso il cellulare della madre, alla coppia di anziani seduta dietro di loro, che parlottava piano.
Non m’ingannava. Conoscevo quel giochetto. Era più forte di me, non potevo farne a me; Agii me lo rimproverava sempre e io gli rispondevo facendo la linguaccia.
L’uomo in giacca e cravatta che di soppiatto allungava la mano verso la borsa della donna al suo fianco; bel travestimento per un ladro, ma quella barba poco curata non ingannava nessuno. Il senzatetto poco più avanti; infilarsi in mezzo a tante persone era un classico se non si voleva dare nell’occhio, e complimenti per il profumo! Un peccato che continuasse a osservare ossessivamente al di sotto della borsa logora che teneva in grembo. Era in ritardo? Era teso? Molto sospetto.
E c’era almeno un’altra decina esempi e situazioni su cui i miei occhi indagavano senza sosta.
Ma una persona, soprattutto del mestiere, per svolgere un lavoro rischioso tendeva a scivolare in uno stato di assoluta concentrazione. Nessun gesto nervoso che potesse tradirla, nessuna esitazione. Si distanziava dal mondo e nello stesso momento ne veniva assorbita. La prima volta che incontrai Agii, intuii subito cosa stesse per succedere e da quel giorno finii nel suo radar. Sfuggire a un buco nero sarebbe stato più facile. Me ne innamorai.
Quanti parallelismi con mister Walker! Anche lui così serio, anche lui impenetrabile, come una muraglia fatta d’acciaio spesso. C’era solo una piccola crepa: l’insofferenza, Come se provasse un profondo fastidio. Non saprei come altro descriverlo. L’accenno di un broncio, forse. Il tendenziale e leggero incresparsi delle labbra agli strepiti della bambina e le voci di fondo; potevo vederglielo stampato in faccia nonostante lo spazio che ci separava. Credevo che ce l’avesse con i presenti perché lo stavano distraendo, ma poi ripensai al modo in cui mi aveva strappato il biglietto dalle mani.
Capii di stare osservando un lupo solitario.
«Ehi! Ragazzina. Vedi di ricomporti.» La signora che sedeva davanti a me.
Sbattei le palpebre. Diressi la mia attenzione su di lei e subito nella direzione dove puntavano quegli occhi verde bottiglia. Oddio che imbarazzo! Radunai i lembi del vestitino azzurro e cercai di coprire quanto più grembo e gambe possibile, rossa in viso come un peperone. Risi nervosamente, abbozzando scuse.
La donna scosse la testa. Dopo essersi aggiustata sul naso l’enorme montatura d’ottone, si rimise a leggere il suo libro. Continuava a sfogliarlo da quando si era seduta. Datato, la rilegatura nera, squamata come la pelle di un serpente. Sembrava un vecchio testo enciclopedico. Le lettere dorate sul bordo della copertina si erano sbiadite, usurate dal tempo. Nulla che mi attirasse particolarmente. Piuttosto, lo strano bagliore che per un attimo attraversò quegli occhi severi…
Preda dell’imbarazzo cercai di distogliere lo sguardo. Calai gli occhiali da sole sul viso per facilitarmi. Protetta da lenti scure, mi sentii più libera di esaminarla con attenzione. L’età era di una persona a un passo dal pensionamento, ma quel lungo ed esageratamente spesso cappotto viola, in piena estate, e il berretto a cilindro d’annata, suggerivano che fosse benestante e poco avvezza ai lavori manuali. Le mani, il viso, erano invece solcati da rughe vistose. La posa così austera che nemmeno i sobbalzi del vagone riuscivano a smuoverla.
«Ti vedo» la sentii mormorare, e per un momento non capii a chi si stesse rivolgendo. «È sfacciato osservare gli estranei con insistenza, non te l’hanno insegnato?»
«Oh!» Mi grattai la nuca. «M-Mi scusi. Ho la tendenza a fantasticare sulle cose che trovo curiose.» Oh, no! Perché l’avevo detto! Mannaggia alla mia linguaccia!
Un sopracciglio d’argento s’incurvò verso l’alto. «E mi dica: da dove nasce questa tendenza a ficcanasare, signorina White?»
«C-Come sa il mio nome?» 
Resse il mio sguardo timoroso per un lungo momento che vissi in totale apnea, prima d’indicare la valigia. Sopra c’era inciso “I.White”. Ideo White, mio padre. Approfittando del mio viaggio a Londra, mia madre aveva pensato bene di chiedermi di consegnare a papà la sua vecchia valigia di riserva, dove figuravano le iniziali del nome ma non del cognome, per non confonderla con un suo ex collega, Isacc Willoby, ora in pensione.
Era incredibile come quella signora riuscisse a prestare attenzione e allo stesso tempo non distogliere mai lo sguardo da quel tomo nero. «Voglio darti un consiglio, signorina White. Fossi in te, eviterei di provocare i maliziosi con certi atteggiamenti. Non si può mai sapere come possano reagire. Certi uomini non aspettano altro che essere provocati» aggiunse bisbigliando.
Non stava parlando del vestito.
Una comitiva di ragazzi attraversò il treno parlottando, spingendosi a vicenda. I miei occhi frenetici ne colsero uno, di sfuggita, intento a sbirciare le mie gambe lisce mentre passava. Il passaggio obbligato del treno in una galleria rabbuiò l’intero vagone e mi concesse l’opportunità di sgattaiolare via. Prima che la luce tornasse a risplendere negli interni, mi lanciai nel primo posto libero, lontano, molto lontano dallo sguardo stranamente acuto di quella megera; anche se, sporgendomi leggermente per controllarla, ebbi l’impressione che sapesse esattamente dove mi trovavo.
Da brividi.
«Ehm, tutto bene, signorina?»
Mi drizzai come un giunco che tornava al proprio posto. Trovai davanti a me una donna fatta, massimo una trentina d’anni. Le sue labbra morbide erano arricciate, segno che stava gentilmente trattenendo una risata. Touché. Dovevo esserle piombata tra capo e collo all’improvviso, un miracolo che non si fosse spaventata; per di più, eravamo le uniche a sedere in quell’anfratto composto da due coppie di sedili rivolte l’una verso l’altra. Il genere di donna che mia madre pagherebbe oro pur di ritrarre nei suoi dipinti. Un viso pulito e lucido, occhi sottili, di un verde intenso macchiato di bianco, come piccole scaglie di cioccolato a latte che nuotavano in un oceano fatto di menta. Se un corvo si fosse appollaiato sulla sua testa, le penne sarebbero impallidite al confronto di quel caschetto di capelli corti. Più neri, più lucidi, lisci come quelli di una modella. Uno schianto in jeans e anfibi, sormontati da una maglietta beige a spalline sottili e scollo modesto, a V, dove un lato si sovrapponeva all’altro.
«Mi scusi. Dovevo fuggire da un’imbarazzante», o meglio inquietante, «conversazione con una signorotta scrupolosa.»
Mi sorrise. Wow, era bellissima! Una stella nana bianca che proiettava fotoni abbaglianti. I miei occhi non riuscirono a lasciarla, vittima dell’intensa forza attrattiva. Non scherzo affermando che stavo iniziando a rivedere i miei orientamenti e scelte di vita.
Non potevo lasciare che l’imbarazzo fosse ancora libero di correre tra di noi. Sapevo di essere più sbadata di un mulo che cerca il recinto quando ci si trova già dentro, ormai ci avevo fatto l’abitudine. Agii lo trovava delizioso, ma non tutte le persone in questo vasto globo terraqueo erano Agii. E se c’era una cosa che il mio ragazzo mi ripeteva sempre, era che presentarsi, offrire il proprio nome allo sconosciuto, aiutava a metterlo a suo agio; un po’ come un cucciolo che offriva il pancino in segno di pace e amore.
Porsi la mano. «Alice White.»
«Lora Smith.» La strinse ridacchiando.
«Ok, so che ci siamo appena conosciute e tutto. Devo chiedertelo: viaggi mai a Brighton o dintorni? Mia madre è una famosa pittrice e farebbe i salti mortali pur di ritrarti. Ne sarebbe lietissima.»
Per un attimo quasi impercettibile sgranò gli occhi. «Ti ringrazio, ma... no» Silenzio imbarazzante. «S-Scusami. Non amo particolarmente ritrovarmi al centro dei riflettori. Mi sembri una ragazzina a posto, Alice, ma…»
Misi le mani avanti e agitai forte. «No, no! Non devi. Sono stata inopportuna.» Già m’immaginavo Agii che rideva di me. «Mi catapulto via.»
«No, non devi. Davvero, non mi crei nessun disturbo. Puoi rimanere, se lo desideri. E, detto tra noi...» Si sporse leggermente verso di me, per bisbigliare: «Certe volte, la trovo anch’io troppo scrupolosa.»
Il mio imbarazzo, quando fece l’occhiolino, avrebbe potuto scatenare una fusione nucleare. Era sua madre? Fa’ che non fosse sua madre! «Ah, sì?»
«Si chiama Emily Green. Una ricca ereditiera locale. Da quando il marito è venuto a mancare, ormai cinque anni fa, viaggia per il paese in lungo e in largo per cercare di talenti da valorizzare. Ci conoscemmo a un convegno tre anni fa. Avevo ventisei anni.»
«Capisco. Quindi state viaggiando insieme?»
Impiegò davvero molto tempo prima di rispondere. «No, non direi. Non siamo amiche del cuore. E tu? Come mai sei diretta a Londra?»
Strano, molto strano. Quel cambio di soggetto, l’improvviso bisogno di occupare le mani dietro con il portatile nero che mise sulle ginocchia. Colsi persino una goccia di sudore che scivolava dalla tempia. Faceva caldo, eppure…
«Sì, a Londra. È quel giorno del mese.» Arrossii. «C-Cioè, il giorno in cui vado a trovare il mio ragazzo in città, intendevo questo!»
Lora si coprì le labbra con le punte delle dita. Aveva una risata solare. «E come si chiama, se posso chiedere?»
«Agii. Lo so, è un nome pittoresco. Gli piace farsi chiamare così.»
«Agii?» Si lisciò il mento. «Mi pare di aver già sentito questo nome…»
«Davvero? Dove?»
«Non saprei. Forse un username che mi è balzato all’occhio su qualche forum. Oppure in un MMO. So che mi è familiare.»
Beh, su un aspetto lo erano: due nerd di prima classe. L’avevo capito appena aveva messo mano al portatile. C’erano segni di colla e pezzettini di carta ancora appiccicati, come se avesse dovuto strappare molti adesivi di fretta e furia. Parlare di forum e MMO con una tale disinvoltura, il suo modo di reagire al nome di Agii. Era dell’ambiente.
«Tu ne hai uno? Potrebbe conoscerti. Di solito mi parla del suo mondo fatto di codici e dati. Mi piace ascoltarlo, anche se non mi ci sono mai appassionata.»
Lora scosse la testa con energia. «No, non credo proprio.»
Sbattei le palpebre. Che strano tipo. Sembrava ben disposta, eppure certi argomenti sembravano dei veri e propri tabù. Forse pretendevo troppo da una sconosciuta. «Lora, è stato un piacere. Ora controllo che la signora Green non mi veda e cerco di sgattaiolarle più lontano. Mi sembra di esserle troppo vicina. Mi mette i brividi.»
«Non ce n’è bisogno, davvero. Resta, magari il destino vuole lanciarmi un messaggio.»
«Il destino? Ti prego, ti prego. Dimmi che non fai la cartomante di mestiere.» Le odiavo quelle.
Lora sorrise. «Sono un’informatica. Scrivo codici, metto assieme dati. Sai cos’ho imparato dopo tanti anni d’esperienza? Il caso non esiste. Ci sono leggi non scritte che lo regolano l’universo in modi che non comprendiamo. Si dice che la mente non possa percepire tutto ciò che accade attorno a noi, eppure esiste ed è l’universo stesso a fornirci delle coordinate da inseguire. Strumenti per comprenderlo. Io credo che il destino sia una legge universale, un sistema binario fatto di eventi negativi e positivi che si ripetono all’infinito. E come ogni sistema, deve trovarsi in perfetto equilibrio: né sbilanciato verso il bene, o il male.»
Non pensavo fosse così profonda. «E quale sarebbe il mio ruolo?»
Lora si strinse nelle spalle. «Abbiamo ancora mezz’ora per arrivare a Londra. Forse lo scopriremo.»
Non ne parlammo più. Forse quella storia sul destino era solo questo: una storia, per tenermi buona a rifletterci sopra. Trascorsi interi minuti ad occhieggiare compulsivamente tra i bagagli, lasciati nello scomparto sopra il testone della signora in viola, e il cellulare.
Lora aveva ragione: Emily Green era praticamente una star locale. Suo marito aveva vinto il Nobel, un ventennio fa. Astronomo e scienziato di fama eccezionale. “Mi ha conquistata parlandomi delle stelle” recitava un vecchio articolo. La ritraeva in una foto scattata negli anni settanta. Una giovane donna che abbracciava un sorridente uomo dagli occhiali spessi e tondi. A quanto pareva, Emily era stata attiva in quel periodo come attrice e cabarettista. Purtroppo, suo marito venne a mancare a causa di una rara malattia contratta in un viaggio di lavoro in Cile. A quanto sembrava, gli occhiali che portava indosso erano l’ultimo regalo del marito: un legato testamentario.
Voci insistenti la volevano al vertice di una società giovane, fondata grazie ad una distinta abilità negli affari e sulle ceneri dell’associazione del marito. Tuttavia, faticava a stabilizzarsi sul mercato, causa anche dei continui attacchi alla rete informatica. Un gruppo di hacker, il cui leader, un certo Zoldeg, era stato trovato morto circa una settimana fa. Un infarto fulminante, mentre cercava di hackerare il complesso algoritmo che proteggeva il server della vecchia associazione, dietro il quale il compianto marito di Emily Green aveva nascosto gran parte del patrimonio ereditario; gli articoli si contraddicevano sulla cifra esatta, ma la somma si stimava sui milioni di sterline.
Apparentemente, la sola Emily conosceva la chiave per risolverlo. Si diceva che fosse la prova d’amore del defunto verso la consorte, poiché le sorelle avrebbero cercato d’impugnare il testamento e non voleva che la sua signora finisse sul lastrico senza neanche un centesimo. Ovviamente Emily Green ne aveva negato l’esistenza. Si era ricostruita da sola con quel poco che le era stato lasciato; sebbene le malelingue continuassero a tormentarla, sostenendo fosse inverosimile che ex un’attrice potesse radunare una tale fortuna in così poco tempo, che lei già disponesse dell’intero patrimonio.
Mentre mi asciugavo una lacrima, mi accorsi che Lora si era sporta. Avevo notato qualche movimento strano già da qualche minuto, ma la storia di Emily mi aveva così presa da impedirmi di scollare gli occhi dallo schermo. Quella bellissima, misteriosa donna osservava attentamente. Non la signora Emily. Oltre, verso la fine del vagone.
Agii mi ripeteva spesso di essere troppo impicciona, ma cosa ci potevo fare? Era la mia natura, con pregi e difetti. Lui non avrebbe potuto darmi torto neanche se fosse stato presente. «Stai aspettando qualcuno?»
Lora s’irrigidì. «Dici a me? No, assolutamente. A volte mi dimentico che ci troviamo in seconda classe e credo sempre che passi un cameriere. Che sbadata!»
Sbadata. Certo, come no? Finsi un sorriso di cortesia, ma, dentro, il mio sesto senso ruggiva.
Mi alzai. «Devo andare in bagno. Sai dirmi dove posso trovarlo?»
L’informatica indicò alle sue spalle. Il largo bracciale che portava al polso penzolò fino alle dita. «All’inizio del prossimo vagone, non puoi sbagliare.»
Ringraziai e mi lisciai l’abito. Mi concessi un respiro per riordinare le idee e proseguire. Attraversai il corridoio con disinvoltura. Cercai di mantenere la calma e catturare quante più informazioni possibili. La signora Green continuava a leggere il suo maledetto libro. Non sembrava che mi avesse notata, eppure temevo di essere al centro dell’attenzione. Osservai bene. L’uomo in giacca e cravatta. La donna che rifiutava le attenzioni della bambina.
Ogni cosa.
Quando chiusi la porta del bagno alle mie spalle, afferrai il cellulare. Tre squilli e lui mi rispose. In sottofondo, uno strano rumore ritmico, come se l’interlocutore fosse immerso in un bacino d’acqua. «Pronto?»
Sorrisi di fronte allo specchio. «Non dovrebbe esserti permesso di rispondere al cellulare. Sarai mica scappato di nuovo?»
Agii rise. «Certi ambienti non fanno per me, lo sai. Preferisco la strada.»
Mi morsi il labbro inferiore. Adoravo quel suo lato ribelle; anche se, da cocca di papà qual ero, mi metteva in una posizione difficile. «Beh, siccome non hai niente da fare, che ne diresti di aiutarmi? Conosci una certa Lora Smith?»
«Mai vista.»
Alzai gli occhi al cielo. «Bugiardo.»
«Può darsi. Ma, Lilli, se ti aiutassi, mi perderei tutto il divertimento.»
«Come sarebbe a dire?»
Chiuse la chiamata. Sbuffai e gonfiai le guance. Agii certe volte era davvero insopportabile.
 
Rientrando, la mia prima meta fu Sguardo magnetico e mi sedetti accanto a lui. Lui aprì un occhio solo e tanto bastò per riconoscermi. Il suo viso accattivante si trasformò in una maschera d’antipatia. «Ancora tu?»
«Buongiorno a lei, signore.» Sbattei le ciglia con malizia.
«Buon Dio» borbottò, prima di puntare su di me il nocciola intenso del suo sguardo. «Tornatene dai tuoi genitori, chioccia al telefono con le tue amiche come le altre teenager! Va bene qualunque cosa ti faccia evaporare prima che perda la pazienza.»
«Intende forse farmi del male con la sua pistola, agente Walker?» replicai con innocenza.
L’uomo non diede segno di essere sorpreso, ma si capiva che qualcosa era cambiato. Era come un lupo che adesso scrutava la preda.
Avevo la sua attenzione.
«Sa, dovrebbe prestare maggiore attenzione, signore. Mi è bastato conoscere il suo nome per capire che c’era qualcosa di strano. Senza contare l’arma sotto il cappotto.» L’uomo tastò in prossimità del fondina. «Non c’è nessun Jake Walker, nessuna informazione, nessun numero di previdenza sociale. Il che la rende un impostore o…» Con discrezione, puntai il senzatetto a pochi metri da noi. «Un agente segreto. Un principiante tradisce sempre del nervosismo. Lei è troppo esperto ed è fin troppo in trappola per essere un criminale.»
Si guardò attorno. «In trappola, dici?»
«Statisticamente parlando, i criminali tendono ad agire in gruppo. A meno che non si tratti di killer seriali o professionisti e, ammettiamolo, non è il suo caso.» Indicai la telecamera di sorveglianza che sporgeva dal soffitto. «Chi teme la legge non desidera che il proprio volto venga ripreso.»
«Inizio a perdere la pazienza.»
«Allora sarò breve» replicai, stavolta seria. «Si dice che l’hacker Zoldeg sia morto per infarto. Nelle vicinanze di Brighton, tra l’altro, proprio da dove siamo partiti. Chissà come, ho l’impressione che i morti siano tornati a camminare tra i vivi. Anche se il puzzo della fossa non li ha abbandonati… Sa, dovrebbe spiegare al suo protetto che non è bene guardare al cellulare con ossessione quando si è sotto copertura. Si potrebbe pensare che stia chiamando un amico. Oh, a proposito: un hacker, in effetti, su questo treno c’è.»
Non poteva farmi nulla, avrebbe minato la copertura, ma il sorriso di circostanza fu letale come la lama di un coltello nelle viscere. «Non amo le lingue lunghe, né le ragazzine…»
«Sono la figlia di Ideo White, Commissario di Scotlad Yard.» Mostrai dal cellulare la foto che ci ritraeva insieme. «Prego, se vuole verificare.» Me lo strappò di mano. Dovette scorrere per mezzo minuto l’album di fotografie. «Non avrò la competenza di mio padre, ma possiedo il senso civico di dover intervenire quando uno 007 si trova in difficoltà. In questo vagone in molti fingono ciò che non sono. Ne ho contati una decina, se non di più.»
Jake Walker non era ancora convinto. «E chi mi dice che tu sia davvero chi affermi di essere? Se io fossi un agente segreto, mi staresti intralciando e dovrei arrestarti. E credimi: se fossi tuo padre, adesso te le suonerei.»
Attraente un paio di scarpe! Questo troglodita non aveva un centesimo della classe di Daniel Craig. Presi un respiro profondo ed evitai di rispondergli a tono solo perché era pur sempre un agente. Gli strappai il telefono di mano e mostrai la chat a cui ero riuscita ad accedere poco prima, in bagno. «Forse dovrebbe suonargliele. Il suo protetto sta deliberatamente aggiornando a un estraneo sui vostri spostamenti.»
Sguardo magnetico sgranò gli occhi e perse l’ultima goccia del suo charme. «Ma come…?!»
«Non sono la cocca di papà che pensa. Per come la vedo, ha due possibilità: può arrestarmi perché possiedo uno strumento in grado di hackerare un cellulare da remoto… o credere che le sto salvando la vita e seguire il mio piano. In fondo al vagone, questo stesso lato. La riconoscerà subito.»
Cinque secondi. Quattro, tre, due, uno.
Il vagone fu oscurato per l’ennesima volta. Come da piano, l’agente segreto decise di fidarsi e si alzò borbottando. Mentre si avvicinava a Lora, mandai un altro messaggio. Il senzatetto, Zoldeg, lo ricevette. Si guardò attorno preoccupato, soffermandosi su tutti i soggetti che gli avevo suggerito. Infine mi notò. Con la testa di gli feci cenno di andare.
Non ci pensò due volte. Si fece largo e corse a gambe levate verso la testa del treno. L’agente, scivolato fino al posto di Lora, lo trovò vuoto. Solo allora si accorse dell’accaduto, e non solo. Mio padre era solito dire che alla fine della fiera ogni mela d’oro ritornava ad essere un cedro. Gli impostori, liberi dalla vigilanza del cane da guardia, si precipitarono all’inseguimento e l’agente Walker li inseguì a sua volta; superandomi, mi lanciò uno sguardo di fuoco.
Avrebbe dovuto ringraziarmi.
Adesso il lavoro era nelle mani sue e di Zoldeg. Dovevo solo aspettare. Accavallai le gambe e tirai sulla testa gli occhiali da sole.
Emily Green mi raggiunse a passo misurato, mentre la folla, agitata dall’inizio di una vera e propria sparatoria, si precipitava verso la coda del treno. Si sedette di fronte a me, il suo libro ancora tra le mani.
«Ma lo è davvero, un libro, signora?» Domandai con impertinenza.
Nel sorriso di Emily c’era curiosità e cattiveria insieme. «Sì e no. La Divina Commedia parla di un viaggio di purificazione. Dante Alighieri mette alla prova la sua fede e risale la strada verso l’illuminazione. A Luke piaceva leggerla.» Assottigliò labbra rugose. «Eravamo cresciuti insieme, io e lui. Ma un giorno le nostre strade si divisero e cadde in una profonda depressione. “Avevo perso la mia Beatrice.” Lo sussurrava spesso, ogni notte fino al giorno in cui ci ritrovammo. Il giovane di cui m’innamorai, colui che guardava le stelle con quella bellissima luce negli occhi, aveva perso la sua voce. Ho sessantasei anni, eppure lo ricordo come se fosse soltanto ieri. Mi stavo esibendo come attrice, una sera come un’altra. Lui era lì, lo riconobbi immediatamente. Sorrideva. Un sorriso spento rispetto a quello luminoso che avevo lasciato. Forse perché io non ero più la donna illusa di un tempo. Credo che questo libro sia la prova che Luke avesse sempre saputo, ciò che io ero. La sua ultima volontà. Credeva fossi il suo angelo.»
«Invece ha sposato un diavolo» sputai.
Emily congiunse le mani in grembo. «Come l’hai scoperto?»
«All’inizio credevo fosse solo antipatia. Poi ho notato il bagliore riflesso dai suoi occhiali. In questo vagone non ci sono fari, è chiaro che non può essere un riflesso. Nemmeno quello del Sole, è una giornata nuvolosa. Siamo in piena Estate, eppure porta un abito decisamente troppo caldo. Devo continuare?»
«Il freddo entrerà anche nelle tue ossa, un giorno.»
«O la paura. Un’emozione che suggerisce a indossare un giubbotto antiproiettile, quando temi che possa scoppiare una sparatoria. C’erano troppe persone sospette in questo treno. Non sono molto intelligenti, dico bene? Aveva bisogno di muscoli. E guarda caso c’è un agente governativo, a bordo. Per quale ragione un calderone così male assortito di teste calde dovrebbe trovarsi nello stesso posto e nello stesso momento? Forse lo stesso che spinge una donna facoltosa a muoversi in seconda classe, invece della prima. Un informatico, magari, che sappia risolvere un algoritmo lasciato incompiuto. Lo stesso, presumo, che risiede nei suoi occhiali. Li mostri, se mi sbaglio. E si tolga l’auricolare. I suoi scagnozzi sono impegnati, adesso.»
Emily chiuse il libro. Se li tolse con fare pieno d’ammirazione. «Deduzioni esatte, miss White. Questi sono l’ultimo regalo del mio amato Luke. Lenti molto speciali. Il vetro si anima come un calcolatore. Ogni pagina di questo libro, queste lenti la catturano ed evidenziano parole chiave nel testo. Sono le coordinate dell’algoritmo. Ho cercato d’ingaggiare i migliori esperti, ho persino sovvenzionato un gruppo in hacker, in forma anonima, pur di risolvere questo enigma. Nessuno c’è riuscito, solo io posso. Luke l’ha creato per me. Ma l’amore non può nascere tra un criminale e un uomo onesto. Mi sta chiedendo di leggere dentro la sua anima e non lo posso fare, non è nella mia natura.» Una lacrima le scivolò sulla guancia. «Non riesco a smettere di portarli sempre con me, anche se non posso raggiungerlo. Eppure necessito di quei soldi, se voglio sopravvivere. Vivo imprigionata in un limbo.»
Per un momento non seppi che cosa dire.
«Non credo di sbagliare se penso che Luke non sia morto per malattia. Perché l’ha ucciso?»
Emily si pulì con il dorso della mano. «Perché uno scorpione punge la rana che vuole aiutarlo a solcare il fiume?» Scosse la testa. «Sei sveglia, ragazzina. Ti ammiro molto. Purtroppo, dovrò metterti a tacere. Non vado fiera delle cose che ho fatto, ma ho contratto troppi debiti, troppe promesse. Non posso tornare indietro.»
Continuai a registrare nonostante l’uomo che sbucò dietro Emily. Aveva una pistola. Come Agii mi aveva insegnato, non mostrai esitazione. Concentrai il mio disprezzo sulla donna in viola. «Lei non merita il perdono di Luke.»
«Per questo sono grata a Zoldeg: m’impedirà di ottenerlo. Se solo l’agente Walker non avesse indagato sugli attacchi informatici, avrei già in mano la soluzione. Può inscenare tutte le morti che vuole, non mi fermerà, né arresterà. Mi libererò di lui, dopo aver finito con te.»
Non poteva sapere che Lora si stava nascondendo. Sgusciata fuori dalla porta del vagone in coda, come suggeritole via messaggio, si avvicinò a passo felpato fino al complice di Emily e lo mise fuori combattimento spaccandogli il portatile sulla nuca. «Oddio! Oddio! L-L’ho ucciso?! Oddio, fa’ che non l’abbia ucciso.» Era sudata, rossa in viso come un peperone. Le sue mani tremavano.
«Tranquilla. Al massimo avrà un bernoccolo.»
«Lora Smith. Non avrei mai pensato ti saresti esposta fino a questo punto per salvare Zoldeg.»
Lora non le rispose. Come pensavo, non dovevano essere rimasta in buoni rapporti. «Hai delle notevoli doti da hacker, sai?»
«Il mio ragazzo le ha. Io mi limito a far quadrare il cerchio e funzionare il programma che mi ha installato sul cellulare.» Jake Walker entrò in quel momento. Portava per la collottola il finto senzatetto. «Salve agente. Avete seguito alla lettera le mie istruzioni?»
Era sporco in viso e furioso.
 
Più tardi, appartata in un angolo lontano, osservai gli agenti mandati dalla centrale arrestare Emily e il suo seguito. La gente era ancora scossa dall’accaduto. I giornalisti assaltarono l’agente Walker, che li cacciò via e sparì subito dopo aver consegnato il cellulare a mio padre; per la riunione di famiglia c’era tempo, prima dovevo sistemare un’ultima faccenda.
Lora e Zoldeg erano stati rilasciati prima dell’arrivo dell’autorità. Alla fine, l’agente Jake non era quel tipo scorbutico che voleva lasciar credere; non del tutto. In cambio della registrazione, e come ringraziamento per averlo aiutato, aveva deciso di ripulire la fedina di entrambi gli hacker in cambio del supporto dell’intera organizzazione all’MI6. Un lavoro onesto.
Prima di seguirlo, Lora si era voltata verso di me. La gratitudine sul viso fu ciò che mi servì per capire che, sì, ne era valsa la pena. Come mio padre sosteneva spesso, il sorriso era il miglior dono che un agente potesse desiderare. E forse aveva ragione: era stato il destino a farci incontrare. Se il suo era stato deciso, però, il mio appariva nebuloso e il ricordo delle parole di Emily non fece che gettare benzina su un dubbio mai spentosi.
«Davvero un bello spettacolo, Lilli.»
Sorrisi, non potevo farne a meno. Agii era apparso silenzioso come sempre alle mie spalle. Rigorosamente in nero, con quel berretto di lana in testa, a ornare un insieme di ciuffi ribelli che erano i suoi capelli scuri. Il mio ragazzo.
«Ti trovavi sul treno, non è così?»
Sorrise. «Si diceva che Zoldeg fosse stato beccato. Sarei intervenuto, se non ti avessi vista. E non potevo perdermi lo spettacolo.» Mi cinse gentilmente per i fianchi. Il richiamo del suo bacio fu irresistibile. «Sai che sei bellissima vestita d’azzurro, Lilli?»
Avrei potuto reagire in milioni di modi, ma ripensai ad Emily, a Luke. Lo abbracciai forte. «E se un giorno, forse, ritornassi suoi tuoi passi?»
Mi attraversò viso e anima con i suoi occhi grigi. «Non potrei. Ti amo, piccola detective.»
Ondeggiammo a lungo. Respirai piangente il suo profumo. «Ti amo anch’io.»

 
   
 
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