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Autore: _ A r i a    17/06/2020    0 recensioni
{ sequel di Dark Necessities | au | tematiche delicate }
Il pennello danza lentamente nell’acqua, lasciando scie di colore azzurro all’interno di essa.
Jude resta ad osservarlo, come incantato. Per un momento gli sembra di dimenticare la tela davanti a sé, su cui sta dipingendo un paesaggio dai colori freddi, una spiaggia deserta, dalla sabbia grigiastra, e un mare in tempesta, onde agitate e schiuma bianca che schizza nell’aria.
È un paesaggio invernale che ha imparato a conoscere bene, in quell’ultimo periodo. Ha la mente troppo piena di pensieri, di dubbi e di dolore, così, appena può, si rifugia a Back Bay, da solo, senza che nessuno sappia nulla. Si siede alla fine di un pontile, accoccolandosi alla ringhiera in ferro, e resta lì anche per ore, incurante del vento freddo che ruggisce e gli fa sbattere i vestiti contro la pelle, ad ascoltare lo sciabordio nervoso delle onde e cercando di trarre da esso le risposte di cui sente di aver così disperatamente bisogno, in quell’ultimo periodo, ma che crudeli continuano a sfuggirgli.
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Caleb/Akio, David/Jiro, Joe/Koujirou, Jude/Yuuto
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Do-Iwanna-know

Baby we both know
That the nights were mainly made for saying things
that you can’t say tomorrow day.
Artic Monkeys — Do I Wanna Know


Broadway, Boston, 27th January
h. 04:03 p.m.


Il suono dell’ultima campanella della giornata risuona ancora nell’aria, mentre giovani studenti esausti si riversano nel piazzale all’ingresso del rinomato istituto Cambridge Rindge and Latine School.
Ragazzi che stringono tra le dita gli spallacci delle cartelle, mentre un gruppo di loro compagne si allontana compatto, risa che vengono portate via dal freddo pungente di gennaio.
Caleb picchietta la punta dell’indice sulla sigaretta, una nuvoletta di fumo che si alza verso il cielo, mentre residui di cenere svolazzano indisturbati in direzione del suolo, nel loro cadere così simili a fiocchi di neve.
Tutto sommato, quella davanti ai loro occhi è una scena pacifica, che a lungo hanno vissuto in prima persona, mentre adesso si limitano ad essere spettatori di quel teatro.
Uno sbuffo spazientito si leva alle spalle del leader della banda.
«Dobbiamo aspettare ancora molto, Caleb?» cantilena la voce impigrita di David.
Caleb Stonewall sogghigna malevolo. Detesta il modo in cui i suoi sottoposti siano incapaci di seguire gli ordini, eppure, in tutto ciò, non riesce ad ignorare il divertimento nel rimetterli in riga ogni volta.
«Cos’è, hai forse paura del giudizio dei tuoi ex compagni di classe, David?» li ammonisce infatti, poco dopo, ostentando una divertita crudeltà che non del tutto gli appartiene. «Se ci tenevi così tanto, potevi evitare di unirti a noi. Comunque manca poco, ormai.»
David fa roteare gli occhi, per poi sollevarsi il cappuccio della felpa sulla testa. Joe gli lascia una pacca simpatetica sulla spalla, il che spinge il turchino ad espirare lentamente e con un’intensità appena maggiore che in precedenza, sperando di non scatenare nuovamente le ire del capo della banda.
Ovviamente, però, quel mutamento nel respiro di David non passa inosservato a Caleb.
«E, per la cronaca, mi pare che vi avessi chiesto di restare in silenzio – o sbaglio?» domanda, a tal proposito, di lì a breve.
«Non ho parlato!» si difende David, gli occhi color ruggine che scintillano ricolmi di stizza.
«Ora no, ma poco fa sì, idiota» lo rimbecca Caleb, senza perdere l’occasione. «Adesso non è il momento di occuparci di questo, ne riparleremo una volta alla tana.»
Il ragazzo si volta per un momento in direzione dell’ingresso e, non appena i suoi occhi incontrano la figura che stava cercando, una scintilla d’eccitazione gli attraversa lo sguardo.
Eccola lì, eterea la sua presenza, i capelli lilla che ondeggiano lentamente a ritmo del vento, mentre il freddo le fa subito arrossare le guance. Ha una sciarpa sottile avvolta attorno alla gola candida, mentre la giacca di tweed fascia con eleganza le sue forme piccole ma sode, senza soffocarle. Ha un sorriso luminoso che le splende sul volto, mentre discorre allegramente con una sua compagna di corso – probabilmente in merito a qualcosa che dev’essere avvenuto durante quella mattinata di lezioni.
«È lei» annuncia Caleb, in tono conciso.
Avverte distrattamente i suoi compagni affilare lo sguardo e allungare il collo in direzione dell’ingresso, ma non ci fa caso. Ormai è perso nei suoi pensieri: si chiede come potrebbe essere se adesso, al posto di quella ragazza, potesse esserci lui, ad ascoltare i suoi racconti, a ridere con lei. Immagina il dorso della sua mano che, con un gesto casuale, sfiora il tessuto candido del vestito che indossa, sotto la giacca blu. Può quasi sentirne la morbidezza tra le dita, e questo potrebbe bastare a farlo impazzire completamente.
Perché sì, ormai Caleb è consapevole di star perdendo del tutto il senno della ragione, eppure non è convinto che la cosa gli importi. Quando ha deciso di mettere su quel gruppo di giovani scapestrati si era imposto di lasciare fuori i sentimenti, di non farsi coinvolgere sentimentalmente da niente e da nessuno.
E poi aveva incontrato lei.
«Beh, cavolo, è carina, capo!» commenta Joe, accompagnando la frase con un fischio di approvazione.
«Certo che è carina, dubitavate forse del mio gusto in fatto di ragazze?» replica Caleb, con un’espressione soddisfatta, mentre si rimette in piedi.
Nel frattempo, la ragazza dalla chioma violetta è sparita tra la folla.
David si lascia sfuggire un nuovo sospiro annoiato, ancora seduto sui gradini di pietra dell’ex biblioteca, situata proprio davanti alla scuola che frequentava con assiduità, fino a pochi mesi prima.
«Bene, l’hai vista, possiamo andare, adesso?» domanda, di lì a breve. «Fa freddo.»
«Però quando siamo con lo skate alla ferrovia abbandonata non lo senti il freddo, eh?» lo provoca Caleb. Tuttavia, per evitare la successiva replica lamentosa di David che già immagina – qualcosa del tipo “Il freddo non lo sento perché con lo skate faccio movimento!” – si affretta a concludere:«Ad ogni modo, l’avete vista. Ora possiamo andare»
Sente distintamente David mormorare alle sue spalle “Era ora!”, tuttavia Caleb decide di non prestarci troppa attenzione, non subito perlomeno. Avrà modo di occuparsene, una volta tornati alla tana, abbondando ancora una volta con l’alcol sulle sue ferite.
Sorprendentemente, però, non è David la prima persona ad alzarsi, subito dopo di lui.
«Io devo entrare a recuperare una cosa che ho lasciato nel mio armadietto, l’ultima volta» annuncia una quarta persona, il cappuccio scuro calato sul volto.
Caleb si volta nella sua direzione, un’espressione dubbiosa stranamente dipinta in viso.
«Uhm?» domanda infatti, confuso. «Va bene, basta che ti muovi.»
La figura col cappuccio annuisce, per poi scendere in fretta i gradini e schizzare verso la scuola. Gli altri tre, invece, restano ad attenderlo all’ingresso, piuttosto sicuri del fatto che il loro compagno abbia appena rifilato loro una balla colossale.
Jude è consapevole del fatto che gli vengano lasciate tutte quelle libertà solo perché è il vice leader, ma in fin dei conti gliene importa relativamente poco. Finché questo gli avesse permesso di ricevere i vantaggi di cui aveva bisogno, non vedeva il motivo per cui avrebbe dovuto preoccuparsi.
I suoi passi veloci riecheggiano nella tromba delle scale, mentre percorre uno ad uno quei gradini che conosce così bene. Arrivato al pianerottolo del primo piano gli sfugge un salto sul posto, evidentemente per salire aveva preso uno sprint troppo veloce, dunque si affretta a recuperare una certa compostezza, per poi avviarsi lungo il corridoio centrale, con passo sempre svelto ma adesso decisamente più adagio.
Mentre cammina, getta furtivamente uno sguardo a destra e a sinistra, controllando che tutte le aule siano vuote. Rivedere quei banchi, che fino a qualche giorno prima lui stesso occupava, è un vero pugno allo stomaco, tuttavia il ragazzo cerca di concentrarsi su qualcos’altro.
Sta giusto per raggiungere l’ultima aula del piano, ma di colpo Jude è costretto a rallentare, quando ha ormai superato la penultima classe già di qualche passo. Torna indietro, non è sicuro di aver visto bene, eppure ben presto i suoi dubbi trovano conferma.
Il professor Dark è lì, le maniche della sua camicia bianca arrotolate fino ai gomiti, gli occhiali da riposo dalle lenti tondeggianti, piccole, sottili e trasparenti poggiati sul naso. È immerso nella lettura di un compito, probabilmente non si è neppure accorto del suono della campanella.
Jude entra con impeto nella stanza, facendo trasalire l’uomo.
«Jude…!»
«Dobbiamo parlare.»


Broadway, Boston, 2nd October
h. 09:47 a.m.



«Ricordami perché lo sto facendo, ti prego.»
Caleb si trascina dietro due secchi di vernice, con aria svogliata. Davanti a sé, Jude procede spedito, stringendo tra le dita il manico di un singolo recipiente, apparentemente senza alcun tipo di sforzo. Il ragazzo si volta di scatto, con un ampio sorriso sul volto.
«Riqualificazione dell’edificio.» Jude riattacca con la solita solfa, e probabilmente Caleb vorrebbe ammazzarlo per questo. «L’amministrazione cittadina ha messo a nostra disposizione dei nuovi edifici, che possiamo usare a scopo didattico. La scuola ci permette di usufruirne, a patto che a sistemarli siamo noi studenti.»
Caleb si arresta sul posto, poggiando i secchi a terra solo per potersi schiaffeggiare la fronte con una mano.
«Dio, Jude, essere fidanzato con quello ti ha fritto definitivamente il cervello al punto che hai iniziato a parlare come una circolare?» gli domanda poco dopo, con un sorrisetto cinico.
Jude si limita a fulminarlo con lo sguardo, per poi voltare il capo in direzione dell’ingresso dei locali. Ray li attende lì davanti, in piedi sui gradini di pietra bianca, le braccia conserte e un sorriso apprensivo dipinto sul volto. Questo basta a tranquillizzare in un solo istante il ragazzo: ora che finalmente il nuovo anno scolastico è iniziato, non ha più niente da temere. È riuscito a far tornare sulla retta via quegli idioti dei suoi compagni, per cui l’unica cosa di cui debbano preoccuparsi adesso sono gli esami di fine anno. Poi dopo, chissà, magari potrebbe esserci perfino Harvard ad attenderlo.
Il pensiero fa allargare sorprendentemente il sorriso sul volto di Jude. S’immagina assieme a Ray, in un appartamento all’interno della città universitaria, alzarsi al mattino e prendere un cappuccino da sorseggiare in bicchieri di cartone lungo la via dell’ateneo, parlando nel mentre del più e del meno. È ancora indeciso su quale facoltà frequentare, e lui e Ray devono definire ancora alcuni dettagli – ad esempio se l’insegnante si presenterà all’università in veste di docente o di ricercatore –, tuttavia Jude è certo che insieme riusciranno a risolvere qualsiasi problema. Già in passato sono stati in grado di superare un ostacolo non da poco come quello della banda, per cui in confronto questo dovrebbe essere un gioco da ragazzi.
Caleb riprende a camminare, così a Jude non resta altro da fare che seguirlo; in realtà, poco dopo, entrambi sono costretti a fermarsi nuovamente, poiché hanno ormai raggiunto la loro meta. Insieme ad altri ragazzi, infatti, dovranno occuparsi di ritinteggiare la facciata esterna del nuovo edificio.
Un’impalcatura in tubi d’acciaio è posta alla loro destra, e su di essa è stata posata una tavola in legno: serve principalmente come sostegno, infatti alcuni ragazzi ne hanno approfittato per poggiarvi sopra alcuni pennelli già pregni di pittura.
Caleb si inginocchia a terra, aprendo con un solo rapido gesto il secchio di vernice; il ragazzo osserva il colore con un’espressione leggermente contrariata in volto.
«Che schifo questo celeste, è troppo chiaro» brontola, diffidente.
Jude, nel frattempo, recupera un pennello, facendolo muovere nell’aria con una rotazione del polso. «Come se l’avessi scelto io» ribatte, poco dopo, spostando il peso del corpo da un piede all’altro, con fare canzonatorio.
Caleb sbuffa, come se una mosca fastidiosa gli stesse ronzando attorno, tuttavia decide di non dare soddisfazione a Jude, così si limita a non raccogliere la sua provocazione e a immergere il proprio pennello nella pittura.
Jude, d’altro canto, sorride soddisfatto: un tempo Caleb non avrebbe perso tempo per raccogliere quella lieve punzecchiatura e trasformarla in un valido motivo per attaccare briga; ora, invece, sembra aver capito che non è più tempo per quei giochi. In effetti, in quell’ultimo periodo pareva che Caleb fosse molto maturato, e di questo Jude non può che esserne lieto. È piuttosto sicuro che quel cambio radicale di atteggiamento sia dovuto all’influenza benevola che Camelia riesce ad avere sul proprio ragazzo, tuttavia Jude decide di non infierire oltre: in fondo, quella momentanea calma non gli dispiace affatto.
Il ragazzo si affretta ad imitare l’amico, immergendo a sua volta il pennello nella vernice e iniziando a passarlo sul vecchio muro scrostato dell’edificio. Jude riflette in fretta che quella è un’attività piuttosto rilassante: stancante a lungo andare, certo, eppure mentre il pennello prosegue lungo le sue traiettorie lui può dedicarsi nel frattempo a ben altri pensieri. Finisce infatti per andare avanti a memoria, le sue mani che si muovono in automatico, mentre volta la testa di lato e gli occhi si puntano sulla figura di Ray. L’uomo, al momento, è impegnato a supervisionare tutte le varie attività in corso nel piazzale, tra le mani il progetto delle lavorazioni. È, apparentemente, soprappensiero, gli occhi persi in quelle carte. Jude si domanda quante altre volte l’abbia visto così, assorto, perso nella lettura di qualcosa, eppure si ritrova ad ammettere a sé stesso che, con ogni probabilità, non si stancherebbe mai e poi mai di osservare quella scena.
Un colpo alla testa arriva a destarlo dai suoi pensieri poco dopo. Caleb lo osserva, un’espressione divertita dipinta in volto.
«Stavi per finire col pennello nella mia porzione di muro» lo schernisce, talmente trova esilarante la situazione in cui ora si trovano. «Che c’è, stavi forse pensando a qualcos’altro?»
Le guance di Jude si colorano appena di rosso, tuttavia il ragazzo tenta comunque di dissimulare il proprio imbarazzo.
«Ti sbagli» ribatte infatti, poco dopo. «Mi sono solo distratto un po’, tutto qui.»
Caleb si china in direzione di Jude, rendendo più basso il suo tono provocatore, affinché la loro conversazione non sia udita dagli altri ragazzi presenti.
«Te l’ho sempre detto che sei pessimo a raccontare balle» lo ammonisce infatti, prontamente. «Che dici, ce la fai a staccare gli occhi di dosso dal tuo prof sì o no?»
Jude sgrana gli occhi,  metà tra la sorpresa e l’indignazione, salvo poi lasciar prevalere quest’ultima: intinge rapidamente il pennello nella vernice, per poi tracciare una linea cerulea lungo l’avambraccio di Caleb.
Per un breve istante, la stessa espressione che poco prima si era formata sul volto di Jude compare anche su quello di Caleb; prevedibilmente, tuttavia, quest’ultimo finisce per ripetere la stessa azione dell’amico, cancellando il sorriso fiero che già si era impadronito delle labbra dell’altro.
Quella piccola scintilla, in maniera piuttosto ovvia, finisce per scaturire una breve quanto intensa battaglia tra i due ragazzi, senza vincitori né vinti e con l’unico risultato per entrambi di un disastroso pasticcio di colori sulla loro pelle. Perlomeno, nel mentre, sul volto di entrambi torna il sorriso, ecco perché Ray non sembra affatto intenzionato a fermarli: dopo tutto quello che avevano dovuto passare nei mesi precedenti, è il minimo che possano finalmente divertirsi un po’.
Per il resto, la mattinata prosegue in fretta e tranquillamente, senza ulteriori colpi di testa di Jude e Caleb né di altri ragazzi. Per l’ora di pranzo, ormai, almeno metà della prima facciata è stata abbondantemente tinteggiata, e sia i ragazzi che gli insegnanti che supervisionano l’andamento delle attività sembrano piuttosto soddisfatti del risultato.
A breve ci sarà la pausa pranzo, perciò gli studenti, che iniziano ad avvertire la stanchezza dopo tutte quelle ore di tinteggiatura, lasciano andare i loro pennelli sui muri con molta meno lena che in precedenza.
Proprio in quel momento, tuttavia, la campanella che determina la fine delle lezioni della mattina risuona nell’aria, facendo sì che le teste di tutte le persone presenti nel piazzale si voltino in direzione dell’ingresso. Le prime classi iniziano ad uscire da lì a breve, giovani del primo anno che, finalmente liberi dalle lunghe ore di lezioni, si lasciano sfuggire sbadigli o profondi sospiri di sollievo.
Gli occhi di Caleb saettano tra la folla, vagando da una parte all’altra alla massima velocità, senza mai fermarsi. È evidente che stia cercando qualcuno, senza però – almeno all’apparenza – trovarlo.
Quando anche gli ultimi studenti sono scesi giù dai bianchi scalini marmorei, lasciando l’ingresso vuoto – se non per la bidella che si appresta a chiudere il portone – Caleb abbassa lo sguardo, sconsolato.
«Sono giorni che Camelia non si presenta a scuola» ammette, prima che Jude possa chiedergli qualsiasi cosa.
Il ragazzo si sente in effetti preso un po’ in contropiede; l’assenza di Camelia è un fatto strano, di solito la ragazza è così diligente che verrebbe a scuola perfino con la febbre. Jude si rende conto che, tuttavia, probabilmente deve essersi sentita poco bene, non riesce ad immaginare un altro motivo per cui si sarebbe potuta assentare. Resta comunque una circostanza alquanto bizzarra: se davvero non si fosse sentita bene avrebbe avvisato Caleb, no?
Jude si sente però in dovere di rassicurare l’amico; poggia perciò una mano sulla sua spalla, rivolgendogli un sorriso incoraggiante.
«Vedrai che sarà tutto a posto» commenta infatti. «Magari è solo un po’ raffreddata e ha preferito non venire a scuola per non contagiare i suoi compagni. In ogni caso puoi sempre chiamarla per sentire come sta, no?»
Caleb si limita a sorridere mestamente, annuendo appena, lo sguardo ancora basso. Jude è il primo a non sentirsi convinto delle proprie parole, si rende conto tuttavia che non è mai stato bravo a risollevare il morale agli amici.
Lancia uno sguardo in direzione di Ray. Lui se la sarebbe cavata sicuramente meglio, in una situazione del genere – Jude ha ormai perso il conto delle volte in cui l’uomo gli ha fatto tornare il sorriso. Eppure questa volta, quando i loro occhi si incontrano, legge in quelli del professore solo una cieca necessità di parlargli.
E, apparentemente, quelle che ha da dargli non sono buone notizie.
per poi inoltrarsi nelle tenebre insieme agli altri due.





Angolo autrice

Se tre anni fa mi avessero detto che Dark Necessities avrebbe avuto un seguito mi sarei fatta una sonora risata in merito. Purtroppo, però, nel 2017 ho peccato d'ingenuità, così, complice la fretta che avevo di scapparmene dal fandom, ho commesso una leggerezza. Mesi dopo mi sono ricordata che, prima di pubblicare DN, avevo postato una os, in cui avevo accennato a delle tematiche che sarebbero dovute essere presenti nella long, ma che, ovviamente, mi ero dimenticata. Così, sul finire di quello stesso anno, iniziai un lavoro che mi sono portata dietro per anni, tra stop più o meno lunghi e le mie varie pare mentali. Mi bloccavo perché ero insoddisfatta del risultato, perché avevo paura che la storia non fosse all'altezza della precedente e molte altre sciocchezze. Tutto questo è andato avanti per due anni e mezzo, finché, il 31 maggio scorso, mi sono decisa a mettere la parola fine a questo progetto. Sicuramente avrei potuto fare di meglio, e continuo a vivere nel terrore di essermi dimenticata qualcos'altro, per cui per me essere qui significa già vincere una grande battaglia.
Dubito che qualcuno che ha seguito la precedente storia frequenti ancora la sezione, ergo se leggete oggi questa potreste non aver chiare alcune dinamiche. Credo di averle chiarite tutte nel corso dei vari capitoli, però in caso di dubbi non esitate a contattarmi.
Questa storia sarà più lunga e articolata della precedente. Alcune cose resteranno invariate, molte altre invece cambieranno
– e per giunta a breve. Per quanto riguarda gli aggiornamenti dei vari capitoli non vorrei spoilerarvi niente, ma se seguivate la vecchia storia potreste già immaginare quale sarà la cadenza, visto che no, quella non cambierà (come ho lasciato invariata anche la formattazione, se ci fate caso). Un piccolo suggerimento: c'entra un numero molto caro al mio beloved Trono del Muori.
Altra cosa che non è cambiata: la formattazione. Sebbene nel corso degli anni le mie abilità di editing siano migliorate, ho deciso di lasciare tutto invariato come omaggio alla prima storia e anche come ideale filo di collegamento. Anche il banner, in effetti, ha delle somiglianze con quello vecchio, principalmente il font e la sfocatura.
Sul prologo in realtà non ho molto da dire, perché più che altro mi è servito
– chiaramente – ad introdurre la vicenda e a farvi reimmergere nell'atmosfera della storia. Okay, forse ci sono un paio di hints per la trama, ma è decisamente troppo presto per coglierli. Magari li riprenderemo nel prossimo capitolo, chissà.
Per ora è tutto. Grazie a chiunque deciderà di imbarcarsi assieme a me in quest'avventura.

Aria
   
 
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