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Autore: Alisa Sato    20/06/2020    2 recensioni
[Questa storia partecipa al contest “A noi i personaggi, a voi la storia” indetto da elli2998 e Inchiostro_nel_Sangue sul forum di EFP]
I sentimenti che proviamo durante un viaggio iniziano a sgorgare durante questi momenti, come anche l'incontrare persone che, in qualche modo, segnano il tuo cammino. Alcune vite segnate da un oscuro passato cercano di redimere i sensi di colpa provati. Altre hanno la necessità di trovare pace dopo un eterna fuga da ciò che si cerca di essere. Essenzialmente durante il percorso può succedere di tutto, anche di trovare se stessi quando si è convinti di essersi persi.
Genere: Generale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Shoujo-ai
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Mi sentivo elettrizzata dall’idea di poter andare a vivere in una delle città più belle e speciali per la storia della musica, dov’erano nati i più importanti musicisti degli ultimi cinquant’anni, insomma quel posto era la Mecca dei veri appassionati.

Sin da piccola amavo la musica, una passione che mio padre mi ha tramandato, visto che mi faceva ascoltare tutti i dischi dei suoi gruppi londinesi preferiti. È stato grazie a lui se adesso ero su questo treno diretto per Londra, un biglietto di sola andata verso il sogno di una vita, con la chitarra in spalla e pronta a spaccare il mondo.

Una volta diplomata ero partita per l’estate, per andare a vivere a casa dei nonni ad Edimburgo, certamente il volo Milano-Londra sarebbe stato meglio. Visto che però volevo guadagnarmi da vivere e trovare io stessa un posto dove stare, per quel motivo avevo iniziato a fare qualche lavoretto part-time, per mettere da parte almeno i soldi per l’affitto di una casa in comune con la ragazza che amavo e la mia migliore amica, e finalmente quel giorno tanto atteso era arrivato.

“Non vedo l’ora di arrivare.” Mormorai entusiasta non appena presi posto vicino al finestrino e sistemando il vestito azzurro nel mentre, posando poi la chitarra ai miei piedi ed osservando le mie accompagnatrici che si sedettero accanto a me: Esther Lloyd e Joann Griffiths erano più o meno mie coetanee, anche se erano più grandi di me, avendo entrambe 19 anni.

Esther indossava quel giorno una camicia smanicata bianca con una specie di fiocco giallo, un jeans chiaro con gli strappi copriva le gambe snelle, notando però i suoi bracciali borchiati ai polsi. Invece Joann era vestita con jeans e t-shirt nera, dando modo così di sfoggiare l’immenso drago che scendeva lungo tutto il braccio, con un numero infinito di piercing nelle orecchie, senza considerare quello sul sopracciglio e sul labbro inferiore.

“Fissi così tutte quelle con cui stai uscendo?” Una voce familiare e particolarmente femminile mi parlò in modo pacato e quasi divertito, come se mi avesse sussurrato. A primo impatto non capii da dove fosse arrivata, ma mi resi conto che era proprio la mia amica, percependo le guance diventarmi calde per la vergogna.

“Mi dispiace! Non era mia intenzione sembrare una maniaca!”

“Non ho mica detto questo, relax bionda, ti stavo solo prendendo in giro.” La sentii ridere con gusto, dandosi qualche pacca sul ginocchio e stringersi meglio i capelli fiammanti in una treccia stretta. “Comunque sei troppo agitata Alice, vedi di calmarti un po’, ti prometto che andrà tutto bene. E poi vedi un po’ com’è rilassata Joann, sembra quasi che dorma.”

“Scusa per prima, Esther, è che non mi sembra vero che tra qualche ora saremo nella città dei nostri sogni.”

“Non preoccuparti, non nego che mi sia piaciuto vederti andare tutta su di giri, ma posso darti ragione.”

“Ha ragione la rossa, tesoro, dovresti essere più tranquilla.” Mormorò con il suo tipico timbro greve l’altra, massaggiandosi il mento e poi allungando la mano nella mia direzione e poggiandola sulla testa. Le sue dita s’intrecciarono tra alcune ciocche bionde, districandole lentamente e con gesto affettuoso, facendomi appoggiare la testa sulla sua spalla. “Chi l’avrebbe mai detto che una tale fortuna ci capitasse proprio quando hai deciso di trasferirti?”

“Già, è talmente assurdo che ho la sensazione che tra poco mi sveglio e che tutto quanto sia stato un sogno.” Sospirai e chiusi gli occhi per qualche secondo, godendomi del calore che il corpo di Joann emanava, oltre al profumo speziato che invadeva le mie narici, percependo poi un doloroso fastidio sulla guancia quando delle dita la strizzarono. “Ahia! Mi hai fatto male Esther! Ma che ti prende?”

“Ti ho dato un pizzicotto così che ti sei resa conto che non stai dormendo e che siamo davvero insieme dirette per Londra per metter su la nostra band.”

“Ho capito, ma non c’era bisogno che facevi così forte!”

“Suvvia, Esther, non maltrattare la principessa.” Mi difese la ragazza mentre le dava colpetti con la mano, dandomi quel nomignolo che sapeva farmi sciogliere.

“Ma Joann! Non ho messo nemmeno un quarto della mia reale forza, la tua bella è proprio delicatina!” Joann rise ancora una volta e scese la mano sulla spalla per stringermi contro di lei. Per ripicca ad Esther, le ricambiai il gesto di prima sulla coscia, facendola sussultare sul posto. “Ehi! Non vale!”

“Ecco! Così impari a prendermi in giro, anzi, la prossima volta che usciamo a fare shopping ti pianto sul posto.”

“Sei crudele a trattare così male la tua migliore amica! Altro che principessa, Alice è proprio una strega cattiva!” Iniziammo a ridere tutte e tre, scambiandoci un abbraccio di gruppo. Una volto sciolto, le mie mani e quelle di Joann si congiunsero, con entrambe che accarezzavamo i polpastrelli dell’altra, induriti dal duro e lungo allenamento con gli strumenti a corde.

Joann era una chitarrista pazzesca, l’avevo sentita qualche volta quando ci vedevamo tramite Skype oppure dal vivo quando finalmente ero andata da lei e faceva qualche spettacolo in alcuni pub assieme a Esther, che si era dedicata alla batteria. Entrambe avevano deciso di formare una band durante il loro periodo del liceo e poi, quando mi ero aggregata, eravamo diventate un trio inseparabile.

“Non è stato scomodo per te iniziare a suonare il basso?” Quando Esther iniziò a dormicchiare con la testa a penzoloni e le braccia conserte, chiesi questo alla mia amata incrociando i suoi intensi occhi neri e accarezzandole la nocca del pollice col mio.

“In verità no, e poi non è poi così strano, sai? Inoltre così possiamo già suonare dal vivo se ci prendono, abbiamo già tutto il necessario.” Mi baciò sulla fronte a fine risposta e ricambiò il mio sguardo con uno altrettanto dolce. Quanto mi piaceva vedere quest’espressione sul suo volto, sembrava tanto una tipa tosta quando nella realtà era una gran romanticona come me.

“Vero, che tu abbia in mano una chitarra oppure un basso, resti comunque una tipa cool. È uno dei tanti motivi del perché mi piaci.” Confessai con le guance che prendevano colorito, chiudendo gli occhi ed appoggiarmi meglio su di lei, sentendo la presa alla mano rafforzarsi.

“Lo so, me lo dici sempre, e ti ringrazio. Ora puoi pure riposarti, resterò sveglia per avvisarvi quando siamo arrivate.” Annuii debolmente conciliata dal calore confortevole che diffondeva il suo corpo, scivolando man mano verso il mondo di Orfeo, cullata da una dolce e debole melodia che Joann mormorava.

Quel mondo luccicante mi ha sempre affascinata, dove le persone portavano tante emozioni col solo potere delle canzoni, bastava il ritmo giusto o il testo ascoltato al momento esatto per scaturirti dentro al petto mille sentimenti. Joann aveva fatto la stessa cosa con me, incontrata per caso su un social dove postava sempre le sue live o le foto nel backstage, mi aveva incuriosita sin dalla prima volta.

Era come se ci conoscessimo da una vita, magari eravamo destinate ad incontrarci, è sempre bello pensare alla reincarnazione se trattata in chiave romantica. Pensare che in ogni vita il fato ti faccia unire alla tua anima gemella, non importa l’aspetto che assumi in quel momento, l’amore vi unirà sempre.

 

“Sta dormendo?” Chiese Esther sbadigliando e stirandosi le braccia sopra la testa, allungando il collo verso noi, osservando il volto dormiente e rilassato di Alice.

“Da quasi un’ora, non la biasimo, dopotutto è un viaggio lungo.”

“Per arrivare sono 4 ore, più o meno, lo sappiamo bene.” Finì per me la frase sorridendo, sporgendo la mano per sistemarle una ciocca fuori posto, sentendola entrambe mugugnare durante il sonno. “Sei sicura di quello che stiamo facendo? Non vorrei che facendo così non risolviamo nulla.”

“Non lo so nemmeno io, però non posso lasciarla, dopo quello che ho passato finalmente ho qualcuno che mi accetta.” Sussurrai osservando anch’io il visino della giovane appoggiato sulla mia spalla, accarezzandole delicatamente la guancia quasi col timore di romperla al solo tocco, sentendo la mia amica d’infanzia sospirare con rassegnazione.

“Come se non ti conoscessi abbastanza da dire che non faresti pazzie per lei.” Disse con calma, ridendo però sotto i baffi nel notare il mio volto accaldarsi, era davvero fastidiosa quando doveva sfottere in quel modo.

“Un giorno pagherai per tutte le volte che mi prendi in giro.” Le mormorai con il sorriso sulle labbra, tornando poi seria e guardarla dritta negli occhi nocciola. “Tu invece? Pensi che scappare da quella situazione sia stata la soluzione migliore?” Il suo viso s’incupì e tornò ad appoggiarsi del tutto contro lo schienale del sedile, le braccia conserte e con le unghie impiantate nella carne.

“Sai che è argomento che preferisco non si tocchi, nemmeno da te che praticamente sei come una sorella, pensavo che t’importasse di come mi senta.”

“Ma è così, lo sai che anche tu sei importante per me, però non puoi evitare ciò che è successo… Non ti fa bene…”

“Grazie, ma non voglio. Dovresti preoccuparti del tuo, di passato, visto che hai una fidanzata così pura che non oso immaginarmi la sua reazione se dovesse scoprirlo.”

“Non credo sia necessario, è già a conoscenza del mio trascorso con quello schifo e dovresti sapere meglio di chiunque che sono pulita da anni.” Nel dirglielo mi guardò con aria sorpresa, tanto che i suoi occhi si sgranarono e la bocca rimase aperta.

“Sei seria? Gliel’hai detto davvero?”

“Ovvio, perché non avrei dovuto? È una cosa vitale e non voglio nasconderle niente.”

“E lei come l’ha presa?”

“Potrei dire bene, era preoccupata, però ha capito e mi ha sostenuta. È stato in quel momento che credo di essermi resa conto di amarla.” Chiusi gli occhi e strinsi appena la mano contro la sua, portandola verso le labbra e baciarle le nocche prima di riposarla, osservando Esther con determinazione. “Non ti chiederò di dimenticare, ma ti prego, appena siamo arrivate in città andiamo da qualcuno e diciamolo. Non deve passarla liscia quel bastardo.”

“Certo che sei davvero insistente…” Borbottò e giocherellò con uno dei bracciali, mirando poi titubante verso di me, sospirando profondamente e sonoramente. “Mi prometti che mi accompagnerai? Se, e dico se, avessi intenzione di fare la denuncia?”

“Che domande, è scontato che venga pure io, non ti faccio andare sola proprio per una questione così grave. Conta pure su di me.” Nel dirlo notai che le scese qualche lacrima silenziosa, che cacciò subito via e con le labbra tirate in un sorriso amaro. “Sia tu che lei siete le persone che amo più al mondo, non vi lascerò mai da sole, soprattutto nel momento del bisogno.”

“Scema, guarda che lo sapevo già, non c’è bisogno di atteggiarsi da principe azzurro con me. Mi fa senso, lo sai.” Rise e altre lacrime le scesero senza controllo, ricambiai il sorriso e allungai per come potevo la mano libera per appoggiargliela sulla spalla, percependo la sua mano stringersi con forza alla mia. “Ti ringrazio di cuore… e scusami se mi comporto sempre da stronza… Mi permetti di stare così per un po’?”

“Non scusarti, prenditi tutto il tempo che ti serve.”

 

٭  ٭  ٭

 
Quella mattina, fuori dalla stazione, pioveva senza sosta, con i tuoni che rombavano di sottofondo, sperando in cuor mio di riuscire a prendere il treno in tempo. Osservai il cielo carico di nubi nere per poi darmi una rapida occhiata alla vetrata, sistemandomi meglio il ciuffo con le dita e rifare appena l’eyeliner leggermente sbavato sugli occhi smeraldini, così simili alle foglie di quegli alberi che venivano mossi dal vento.

Era da circa nove mesi che cercavo quella donna, non poteva sfuggirmi proprio ora che ero riuscita finalmente a mettere insieme i pezzi del puzzle, dovevo raggiugerla e prenderla prima di chiunque altro. Mi era arrivata una soffiata, riguardo una certa signora in età avanzata che era stata vista qualche giorno prima parlare con il mio informatore, che il sospettato stava per lasciare la città per dirigersi a Londra.

Ed ora eccomi qui, seduta su una di queste poltrone scomode a guardare fuori dal finestrino il paesaggio che cambiava velocemente, in viaggio per la capitale alla ricerca della criminale a cui davo da troppo tempo la caccia. Davanti a me c’era un’anziana signora che leggeva un romanzo giallo poco conosciuto, ma ne avevo sentito parlare dal mio collega durante un’uscita di bevute dopo il lavoro, desiderando ora di poter bere qualcosa di alcolico per far passare in fretta il viaggio. Decisi che per distrarmi avrei osservato il suo aspetto così solenne, mi capitava spesso di farlo quando ero nervosa con chi mi stava attorno, era più forte di me e ne ero quasi dipendente.

La donna in questione portava una spessa montatura di occhiali, che coprivano un paio di occhi nocciola stanchi, sul naso aquilino ed i capelli argentei tenuti in ordine in una crocchia perfetta, quasi fosse stata fatta da un parrucchiere. Indossava dei gioielli di madreperla su un tailleur composto da blazer e gonna in motivo Principe di Galles sui toni del beige, donandole un’aura quasi regale per essere solo una donna anziana che viaggiava in seconda classe, magari era come quelle persone avare che volevano risparmiare sul biglietto e godersi lo stesso il momento senza preoccupazioni.

Nel guardarla mi venne in mente mia madre, potevano avere più o meno la stessa età, e mi fu inevitabile recuperare il cellulare dalla borsa, restando a fissare però lo schermo spento con mille pensieri in testa, riponendo di nuovo al suo posto il dispositivo. Non avevo il diritto di chiamarla dopo la discussione avuta l’ultima volta, anche se sapevo bene che lei era ancora contraria della mia scelta di vita, per quanto ormai avevo 34 anni e potevo fare ciò che credevo, ma non potevo farci nulla: entrare nella sezione omicidi era un sogno che dovevo portare avanti al posto di mio padre, anzi, ero certa che fosse il mio destino.

Notai comunque che l’anziana signora mi rivolse uno sguardo per una frazione di secondi che parvero interminabili, con un debole e tirato sorriso sulle labbra nel mentre mi porgeva un sacchetto di stoffa, portandomi a scrutare l’oggetto nelle sue mani.

“Non avere timore, ragazza mia, sono solo delle caramelle con delle erbe balsamiche che ho fatto io stessa. Ti ho vista annoiata e magari, con qualcosa di forte in bocca, ti avrebbe tenuta sveglia un po’ più a lungo.” Ancora dubbiosa allungai la mano per inserirla nel sacchetto, afferrando poi tra le dita il dolciume ed ispezionarlo con occhi attenti. Era di un colore verde chiaro dall’aroma pungente, tipico appunto delle caramelle balsamiche, doveva essere Eucalipto misto a della Menta quello che sentivo. Decisi di provarla pur di stare lucida.

“È buona, anche se piuttosto forte, ma comunque in queste giornate è l’ideale.”

“Vero? Me lo diceva spesso anche mio marito, ogni volta che andavamo a fare le vacanze nella sua baita sperava di sperimentare nuovi sapori, così mi portava a fare dell’escursioni sui monti lì vicino.”

“Devono essere stati dei momenti unici e deve averlo amato molto, per come ne parla, non è venuto con lei suo marito?”

“Come scusi?” I suoi occhi si sgranarono appena nel sentirmi dire quelle parole, chiudendo il libro e poggiandolo sul grembo, prendendo anch’essa una caramella dal sacchetto per mangiarla. C’era qualcosa di strano nei suoi movimenti e nel suo porsi che m’incuriosì molto.

“Mi perdoni se le sono sembrata scortese, magari ho toccato un argomento doloroso per lei, faccia finta di non aver sentito nulla di ciò che ho appena detto.”

“Oh, nient’affatto, mia cara… Ero solo rimasta sorpresa, niente di più, non devi scusarti per qualcosa che non hai fatto.” Sorrise amareggiata e accarezzò la copertina del libro, mentre i suoi occhi assottigliati erano fissi sul movimento della mano, portandosi l’altra sotto il mento una volta appoggiato il gomito sul bracciolo. Sembrava persa nei suoi pensieri in quel momento. “Mio marito Albert è venuto a mancare il mese scorso, è triste, ma purtroppo è così che va’ la vita.”

“Mi dispiace tanto per lei.”

“Non preoccuparti, sono una donna piuttosto forte, anche se non si direbbe.” Rise debolmente e mi guardò negli occhi, con una tale intensità che per qualche strano motivo non mi permetteva di distogliere lo sguardo da esso, poi una specie di campanello d’allarme trillò nella mia testa. “Sei ancora piuttosto giovane, eppure hai una certa perspicacia per quanto riguarda ciò che ti circonda. Scommetto che questa tua indole ti aiuti molto anche nel lavoro.”

“Sì, abbastanza, direi essenziale. Se non fossi portata per il mestiere che faccio, credo proprio che avrei rimesso più volte la pelle.”

“Lo posso comprendere, anche nel mio operato ci vuole molto intuito e soprattutto una buona capacità di intendere i desideri degli altri, non sarei riuscita altrimenti ad andare avanti senza la conoscenza sul campo.” Mi sorrise, mentre lo diceva con aria compiaciuta, sistemandosi velocemente gli occhiali con l’indice e togliendo una piega alla gonna.

“Fa un lavoro pericoloso?”

“Non esattamente, faccio l'erborista, ma è meglio non scherzare con quello che la natura ti dona, può esserti fatale se non conosci bene ciò che essa fa nascere.” Chiuse gli occhi finita la frase e comparve un sorriso quasi inquietante sulle sue labbra, il brivido sulla schiena che mi percorse in quel momento era di una violenza tale da portarmi le braccia a stringersi a vicenda. Era improbabile che fosse stato ciò che aveva detto, eppure qualcosa non mi quadrava e quella donna iniziava a darmi delle sensazioni sgradevoli, quella pacatezza che emanava era solo una copertura ed ora ne ero più che convinta.

“Capisco, l’avevo intuito che siete una donna con un certo portamento, sembrate una regale.” Risposi in quel modo come per scherzare, sentendola ridere appena con le rughe sugli occhi che si evidenziavano maggiormente con quel gesto, prendendo di nuovo in mano il romanzo sulle sue gambe ed aprirlo nel punto dove vi era il segnalibro.

“Chi lo sa? Il mio albero genealogico è talmente vasto che potrei davvero avere degli avi nobili.”

“Posso comprendere, comunque quel libro vi deve piacere molto, è piuttosto consumata la copertina.”

“Dite? Effettivamente ora le pagine si sono ingiallite e qualche volta l’inchiostro sembra andare via da qualche carattere.” Al mio commento osservò con cura il volume, accarezzando la superfice con delicatezza e sfogliando lentamente qualche foglio, tornando poi a dove si era interrotta con la lettura. “È un vecchio regalo, potrei dire che sia una di quelle storie che ti appassionano ogni volta che la leggi e non ti stanchi mai di rivivere i fatti scritti, è affascinante come uno scrittore possa trasmetterti delle emozioni così intense.” Il silenzio regnò tra noi due, una volta che annuii alla sua affermazione, continuando ad osservarla con un fastidioso dubbio che ronzava nella testa.

Il viaggio sembrò lunghissimo e quel pensiero che continuava a perseguitarmi non faceva che aumentare, poi una specie di lampadina si accese e recuperai dalla borsa un quaderno contenente gli indizi al caso che stavo seguendo, cominciando a sfogliarlo alla ricerca di quel qualcosa che mi era balenato in mente. Il nome del marito della signora, Albert, mi sembrava di averlo già visto. Mi soffermai sulla pagina dove si parlava di una delle vittime. Albert Sullivan di anni sessantanove, deceduto per infarto causato da un arresto respiratorio indotto dopo l’ingerimento di bacche velenose.

Ragionai con attenzione per studiare attentamente ogni minimo indizio che potesse tornarmi utile. Possibile che si trattasse proprio del marito della signora? Ora che ci facevo caso il signor Sullivan, secondo i documenti, si era sposato di recente con una donna non più di tre mesi fa… senza considerare che lui era il CEO di una famosa azienda agricola.

Mi serviva solo un altro indizio e avrei trovato anche l’ultimo pezzo mancante del puzzle, ed ero certa che quel qualcosa che mi mancava solamente la donna davanti a me poteva garantire, non avevo ormai più tanto tempo. Girai il foglio seguente e controllai anche le altre due vittime, ma qualcosa mi fece piantare lo sguardo su un dettaglio che fino a quel momento avevo considerato futile. Aspetta un attimo... anche gli altri erano morti nella stessa modalità? E tutti e tre erano personaggi importarti e sono stati sposati con la stessa donna…

Stavo per porle la fatidica domanda, quando il cellulare squillò nella borsa facendomi sussultai per lo spavento. Dannazione! Proprio ora dovevano seccarmi? Lo recuperai e controllai di chi fosse la chiamata, promettendomi che avrei mandato a quel paese chiunque fosse stato. Schioccai la lingua nel leggere il nome sul display. Che tempismo… Avviai la chiamata.

“Ciao mamma, cosa vuoi?”

“Ciao figliola, come stai? È da un bel po’ di tempo che non ci sentiamo.”

“Sì, da quando mi hai detto che non volevi più che mi facessi viva, perché mi hai chiamata?”

“Capisco che sei sempre indaffarata e mi dispiace se mi sono comportata in quel modo con te…”

“Taglia corto che al momento sono, appunto, impegnata e non ho tempo da perdere per farci due chiacchiere.” Sospirai amareggiata e poi controllai l’orologio sul polso, dando di tanto in tanto un’occhiata all’anziana signora che mi antistava, sperando che quella chiamata finisse al più presto.

“D’accordo, come vuoi tu, volevo solo dirti che oggi sono venuti degli agenti, credo tuoi colleghi. Affermano che sei fuggita ed hai con te delle prove per un caso che ti hanno tolto, oltre ad averti sospesa… Che storia è questa? Stai per caso facendo di nuovo di testa tua?” Sbiancai di colpo quando sentii quelle parole. Come avevano fatto a scoprire tutto così velocemente? Eppure non avevo lasciato nulla che potesse condurmi a loro.

“Non sono affari che ti riguardano. Ora scusami che ho un lavoro da finire.”

“Lora! Aspe-” Chiusi la chiamata e spensi il cellulare, riponendo tutto quanto dentro la borsa e osservare con occhi apatici l’ultimo oggetto sul fondo. Ormai non si poteva più tornare indietro.

“Mi scusi, posso porle una domanda?” La donna alzò il viso dalle pagine del libro e lo ripose nuovamente sul grembo.

“Certamente, mi dica.”

“Per caso sa dirmi qualcosa su una certa pianta? Sembrava un mirtillo, l’ho vista l’altra volta quando sono andata in campeggio, anche se aveva un odore alquanto strano.”

“Oh, credo che parliate della Belladonna. Fa parte delle solanacee, come il pomodoro, la patata, i peperoni e le melanzane. Ha appunto un odore piuttosto sgradevole ed i suoi frutti sono velenosi, anche se assomigliano a dei mirtilli, quindi faccia attenzione e non si faccia trarre in inganno.”

“Grazie, è stata davvero esaustiva, signora Green.” L’altra, nel sentirsi chiamata, mi guardò con occhi guardinghi e con un’espressione dura sul volto.

“Come conosce il mio nome, scusi?”

“Suvvia, non prendiamoci in giro, sappiamo bene entrambe che lei è la famosa assassina dal pollice verde che ultimamente ha fatto scalpore, non è poi una novità se qualcuno, prima o poi, ha scoperto la sua vera identità.”

“Vedo che sei davvero una persona con grande intuito, signorina, o forse dovrei chiamarla detective?”

“Non si preoccupi di queste formalità, non sono in servizio, anzi non ci sono da un bel po’ di tempo a causa sua. Vorrei solamente sapere il perché ha fatto quelle cose a chi, in teoria, dovrebbe amare. C’entrano i soldi per caso?” Afferrai con forza l’arma metallica, percependo il freddo materiale sui polpastrelli mentre lo sguardo della signora Green si faceva sempre più cupo.

“Non credo che lei sia davvero in grado di fare quello che ha intenzione di fare, non le conviene se fossi nei suoi panni, signorina Smith.” Una voce maschile, dal timbro prettamente virile e cavernoso, mi sussurrò all’orecchio nel mentre una mano si appoggiava sulla spalla. “Non dovrebbe evitare certe scenate in pubblico? Soprattutto con quell’arma.” L’uomo mi si sedette accanto ed incrociò le braccia al petto con aria stanca, spostando lo sguardo tra me e la donna, mostrandole poi il distintivo che teneva alla cinta. “Le conviene non muoversi anche lei, signora Green, arrivati al capolinea una volante della polizia la scorterà in centrale per l’arresto.”

“Tanto ormai mi ero stancata di scappare, ciò che volevo l’ho ottenuto, e sì, signorina Smith, erano i soldi. Vivere nella povertà, il più delle volte, può renderti avido e geloso di chi ha più di te. Avevo a cuore solo le piante, gli esseri umani non sono affascinanti quanto loro, eppure hanno su di noi un effetto diverso in base a come la si usa. Comunque, se non vi dispiace, ora vorrei finire di leggere visto che sarà l’ultima volta.” Cordialmente fece quell’affermazione, chinando il capo e tornando come se niente fosse alla lettura. Ero davvero scioccata sia dal fatto che quella donna avesse detto con una tale tranquillità quella confessione, sia che il mio partner, o dovrei dire ex, fosse davvero sul treno. Che mi avesse seguita?

“Cosa ci fai qui, Jake?” Mormorai a bassa voce, sapendo che di norma lui preferiva quei toni quando eravamo da soli, soprattutto quando eravamo in pubblico.

Jake Walker era un uomo maturo che aveva da qualche anno superato la quarantina, i capelli corti erano ben curati e brizzolati, un po’ sale e pepe avrebbe detto mio padre. Era solito indossare anche d’estate le camice a maniche lunghe con le sue immancabili cravatte, oltre a lisciarsi di tanto in tanto, e soprattutto quando era nervoso, i baffi folti. Per quel che ne sapevo di lui, non era nemmeno sposato, ma aveva un figlio adolescente di cui si prendeva cura.

“Dovrei farti la stessa domanda, stupida, non credi che sia stato avventato da parte tua fare quella bravata ed arrivare addirittura a fregarmi l’arma? Ma dico io… Tu guarda se dovevano assegnarmi una partner come te…” Sbuffò dopo che si allentò il nodo della cravatta, grattandosi poi seccato il mento e squadrandomi torvo, incrociando i suoi glaciali occhi azzurri.

“Allora avresti dovuto lasciar perdere, dopotutto non siamo più colleghi, visto che mi hanno sospesa.”

“Non m’importa, sapevo che stavi cercando questa criminale da tempo, ti ricordo che il tuo informatore è anche il mio, quindi ero già a conoscenza di questo tuo folle piano.” Si sporse leggermente ed allungò la mano per afferrare la mia borsa, poggiandosela sulle gambe ed esaminarne il contenuto. “Oh, ma tu guarda che bottino interessante, questa intanto me la riprendo prima che qualcuno si faccia male.” E recuperò la pistola per inserirla nel suo fodero accanto al distintivo. “Poi le prove che hai raccolto in questi mesi le daremo al Colonnello quando torneremo alla base, ci siamo intesi?”

“Fai come ti pare, tanto lo so che anche io dovrò farmi qualche giorno in galera, visto il casino che ho combinato.”

“Non è detto, magari il risultato potrebbe sorprenderti, alla fine hai trovato una delle più micidiali femme fatale dei nostri tempi. Chissà se ai piani alti la cosa non passasse inosservata.”

“L’unica cosa che voglio ora è andare a rilassarmi, non hai idea del desiderio di birra che ho al momento.”

“Tranquilla, una volta arrivati ti porto in un pub, non credi che hai bisogno del tuo compagno di bevute in questi casi?” Lo vidi fare un flebile sorriso divertito, gesto alquanto raro da vedere sul suo volto, e la cosa mi sorprese. Era sempre e perennemente imbronciato, come se odiasse tutto e tutti, eppure in mia compagnia qualche volta sembrava lasciarsi andare. Quell’uomo era davvero un tipo strano.

“Hai ragione! Dobbiamo festeggiare!” Sorridemmo entrambi come se ciò che ci circondava non potesse guastare il nostro buonumore.

 


 

Ed il viaggio continuò, con la pioggia che picchettava sui finestrini, in attesa che le vite incrociate per caso su quel treno potessero di nuovo incontrarsi in futuro. Cosa successe a loro una volta arrivati a destinazione è un’altra storia.

  
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