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Autore: Dregova Tencligno    24/06/2020    0 recensioni
L’odio è un gioiello prezioso da portare al polso, al collo, o come un diadema. Per portarlo ovviamente è necessario ovviamente avere una buona dose di eleganza e di grazia, altrimenti ciò che gli altri vedono è solo un cieco iracondo che sprizza veleno da ogni poro.
Genere: Drammatico, Generale, Noir | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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L’innocenza dell’odio
 
L’odio è una emozione strana, subdola e suadente che si insinua al centro del cervello e lì prende dimora. L’odio non è acqua, è più un carbone ardente che non si lascia togliere con facilità, e perché mai dovrebbe? È così liberatorio provare rabbia verso qualcuno o qualcosa, immaginarsi di vedere la propria vendetta servita calda, fumante, su un piatto di argento intarsiato con filigrane d’oro e tempestato di lapislazzuli e diamanti.
La cosa assurdamente divertente è che l’odio non è mai gratuito, a meno che non si è uno psicopatico armato di rasoi da barbieri, con poche lame di ricambio, così da essere costretti a usare spesso la stessa lama, da non infliggere più un bel taglio netto, degno di un chirurgo con la sindrome della divinità scesa in terra, ma qualcosa di molto più simile a un graffio lacerante da parte di un nekker o di un ghul. No, l’odio nasce, ha fondamenta ben radicate e difficilmente si può, dall’oggi al domani, dimenticare la fonte dell’emozione.
A rendere questo legame così solido è anche la reazione che il corpo instaura in risposta al nuovo coinquilino. Il cuore accelera, ma non come l’ansia, è un tamburo da guerra, lento e solido, l’animo soffia nelle orecchie sussurrando strategie di combattimento, e l’eccitazione cresce aspirando all’ultimo gesto, in un concatenarsi di travolgenti passoni e impazienti desideri.
Non esiste niente di più entusiasmante.
L’odio è una risposta a un attacco, non c’è cattiveria in essa, solo una normale reazione che non sarà della stessa intensità dell’attacco, troverà il modo di superarlo, di rendere l’apoteosi della vendetta una sublime espressione del proprio essere. E lasciatemi dire una cosa. La vendetta non è per nulla simile a quello che gli altri dicono, dall’alto dei loro piedistalli di avorio, tronfi di falsa sapienza e colmi di una sfrenata ingordigia per tutto ciò che è fascinosamente tempestato da brillantini, false stelle di mera plastica, mica diamanti grezzi pronti a scintillare di luce propria. No. Parole vomitate contro l’odio, contro il perpetrare di vendette e ire, vengono sputate solo da chi non ha mai avuto la possibilità di provare vero odio verso qualcuno.
No, nel modo più assoluto.
L’odio è un gioiello prezioso da portare al polso, al collo, o come un diadema. Per portarlo ovviamente è necessario ovviamente avere una buona dose di eleganza e di grazia, altrimenti ciò che gli altri vedono è solo un cieco iracondo che sprizza veleno da ogni poro. L’odio deve essere subdolamente mostrato e celato, ostentando un filo di perle di falsità, arma sottile da usare con sapienza e centellinata con maestria, ma allo stesso tempo è da mostrare una modestia limata che adombra il sentimento dando, a chi lo possiede, una fonte di fascino naturalmente propria. L’odio è come un abito di seta preziosa, con gocce di cristallo ad abbellirne lo strascico.
Se è l’odio a guidare la vendetta non può che riempirla di significato, le conferisce sostanza e potere. Non lascia vuoti, come si continua a leggere in giro, a udire dalle bocche ancora più false del proprio animo, perché nate false e non false per difesa. Lascia un senso di pienezza, un essere dolcemente satollo che fa dormire sonni pesanti e vivere sogni frivoli e pieni di felicità. Perché se nel mondo bisogno essere forti, essere ciò che il mondo costringe a essere, nei sogni tutto è ancora possibile. Si ha ancora la libertà di sognare realtà completamente diverse.
Per quanto mi riguarda, la mia realtà si fonda su una vallata in fiore, dipinta con sfumature impossibili da trovare nella realtà, create ad arte dal più folle dei pittori. Corolle turchesi e pesca, foglie risuonanti di smeraldi. Il cielo composto da schegge brillanti illuminate da soli caldi e splendenti. C’è pace. Musica soffice e sottile che si alza come sbuffi di vento, si insegue, circonda, si adorna di petali e cade e si infrange. È il luogo più bello. E io sono creatore, regnante e abitante. Sono un dio capace di plasmare la realtà.
Perché privarsi di quel potere una volta sveglio, perché trascinarsi nel mondo e rimanere indifesi contro chi meriterebbe tutto l’odio?
No. La sensazione di potere è estasiante, un merletto delicato e deliziosamente elegante da sfoggiare assieme all’odio. Una rapsodia celestiale che risuona a ogni mio passo, una colonna sonora degna dei momenti più epici della vita.
Di quali falsità la gente infanga l’odio. L’odio fa sentire pieni, fa crescere.
L’odio non è buono o cattivo, rende super partes. Equilibrati. Non più costretto ad essere una bandiera trasportata dai venti, dà la possibilità di essere sé stessi e agire secondo la propria coscienza, senza preoccuparsi di ciò che gli altri dicono o potrebbero dire.
Quale sensazione sublime, quale piacere carnale simula l’affondare la lama direttamente nel cuore del nemico, vedere la luce del suo sguardo spegnersi, perfettamente consapevole della vita che lo sta abbandonando, consapevole che alla fine il karma gira sempre, che si raccoglie tutto ciò che si semina, che sia frutto o mostro.
Preferisco essere un mostro, libero dalle leggi che regolano l’uomo, capace di farmi giustizia da solo, perché l’uomo, con il suo prosperoso egoismo, non farà che proteggere i suoi simili appena saranno disposti a sborsare soldi o a vendere corpi.
E se un giorno il karma dovesse bussare alla mia porta, lo accoglierei come un atteso amante. Parlerei di glorie, lascerei che il vino rendesse più leggeri i pensieri e scattante la lingua. Gli darei l’impressione di sedurmi, di essere a un passo dal farmi suo, per poi ricordargli che io sono una sua creatura e che il potere che crede di avere su di me è solo quello che io gli concedo. Ho sopportato cose più gradi della sua presenza, posso giacere con lui quanto vuole, legarmi al sesso consapevole che a stringere il pugnale sono io.
Perché dopo tanto ho capito chi scegliere.
Chi scelgo? Scelgo me stesso. Scelgo il potere che ho sempre tenuto lontano, scelgo la rabbia e l’odio, l’amore e la felicità. Scelgo tutti i sentimenti e le emozioni e mi permetto di viverle come andrebbero vissute. Perché limitarmi a essere una scialba immagine spiaccicata sul creato.
La vita è stata bastarda e io lo sarò di più.
Che gioia! Un bicchiere di whisky che scende caldo e denso nella gola e infiamma il corpo.
Mi hanno tolto tutto e io me lo riprendo. Con zanne. Con artigli. Con tutti ciò che posso afferrare.
Sono il loro più grande errore, il più abominevole dei peccati. E lasciate che lo sia.
Io sono l’odio impersonificato, e ho le mie ragioni per esserlo. Rispondo a offese che mi sono state fatte, uno stillicidio eterno di angherie che per troppo tempo ho permesso che mi piovessero addosso, senza nemmeno la difesa di un ombrello, anche se rattoppato.
Ho atteso tanto. Ho atteso che qualcuno mi tendesse una mano, mi prendesse e mi baciasse, mi stringesse e mi facesse sentire amato e voluto.
Che stupide illusioni.
Solo quando ho lasciato che l’odio esplodesse ho finalmente aperto gli occhi. Sono io ciò di cui ho avuto sempre bisogno. Per troppo tempo ho lasciato che le fette di prosciutto colassero olio sui e nei miei occhi, e non contento ho anche suturato le palpebre. Ora dico basta. Ora prendo la mia vita e quello che mi spetta.
Che mi additino pure, che mi ringhino contro, che mi schizzino addosso con la loro fede.
Io sono io. Nessuno può più strapparmi la mia identità.
Che gli altri sappiano.
Non sono cattivo, ma posso esserlo, eccome se posso esserlo. Posso essere l’incarnazione del più spregevole dei mali, un carnefice dell’inferno pronto a fare sfoggio delle proprie arti sullo sfortunato essere che tenterà di straziarmi il cuore. Sarò giudice, giuria e boia.
Non sono nemmeno buono, ma posso esserlo. Tantissimo. Quel tanto che basta per riempirmi di emozioni e tornare a vedere il mondo un bellissimo paradiso pieno di boccioli in fiore, senza però lasciarmi illudere. Tantissimo. Tanto da poter ammaliare, diventare magnetico e saper godere della vicinanza di anime e corpi. Tanto da poter riconoscere le emozioni degli altri e saper sorridere e ridere ancora.
Sono una bellissima via di mezzo. Per niente una grigia realtà, ma sfaccettata, una multicolore sinfonia di sfumature di cui posso vestirmi all’occorrenza in base al mio umore.
Ho l’indipendenza, ho l’odio, ho la vendetta. Ho me stesso. Cosa potrei mai volere di più dalla vita?
 
Odio divino, figlio di Stige, noi ti preghiamo
gioia e incanto concedi ai nostri cuori.
Guerra e amore ti chiediamo
e che il marcio del mondo ai nostri piedi sia prostrato.
Chi ha sputato sui nostri volti,
chi di amare parole ha vestito i nostri corpi,
si pentirà della riprovevole stupidità che ha mostrato.
Che il sangue sia versato!
Che rose rosse brucino sul sentiero rivelato!
Che i segugi della rabbia sian liberati,
che vaghino pure sciolti a mostrare i denti
e con spirito di vendetta marcino su macerie di fuoco e di peccato.
Odio divino, amante neutrale,
libertà elargita, comprata a suon di lacrime amare,
guida la spada, guida la parola,
mostra la Giustizia che nel petto tuo la sua vita implora.
Attenti nemici, udite con attenzione il nostro canto,
mille e più di mille occasioni di redenzione vi abbiamo dato,
non dovete stupirvi se dal vostro perseverare uno zelante mostro sia nato.
   
 
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