Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: NanaK    27/06/2020    1 recensioni
Non c'era nulla di molto valoroso in lei, ma la storia non viene sempre raccontata dagli eroi.
Genere: Avventura, Erotico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Armin Arlart, Eren Jaeger, Levi Ackerman, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo nono
 
Questo senso di niente
Passa se ci sei tu
 
 
«Un’altra volta».
Era da poco passata l’alba. Il freddo era tagliente, la rugiada scivolava ancora sui fili d’erba e alcuni uccelli si sentivano in lontananza. Tallulah però riusciva solo a sentire i suoi stessi respiri pesanti e i muscoli bruciare: l’aveva fatta correre per un’ora lungo il campo di allenamento, per riscaldarsi. Poi le aveva detto: colpiscimi.
Era rimasta immobile a guardarlo, per la prima volta quasi intimidita davanti quel lato di Levi, uno che non aveva mai visto e che si era palesato la sera prima, quando un luccichio furioso aveva preso posto nei suoi occhi. Quello sguardo arrabbiato l’aveva colta così di sorpresa che era filata a letto senza più dire una parola. Da un lato le era piaciuto vederlo senza la sua solita compostezza; i risvolti negativi però si erano rivelati quella mattina. Ad alzarsi presto ci era abituata, ma a quello no. Quando aveva capito che non scherzava, ci aveva provato, a colpirlo: inutile dire che fosse assolutamente impossibile. Ad ogni attacco fallito le toccavano novanta addominali. Poi, da capo. Non era mai stata così stanca in vita sua, e per un soldato, voleva dire molto.
«Non ce la faccio più» disse, ignorando il sudore che le scivolava sulle guance ed aveva ormai impregnato i capelli. Levi si staccò dal tronco su cui aveva poggiato la schiena e le si avvicinò, incrociando le braccia. Quando, alcune ore prima, l’aveva sorpresa intenta a sgattaiolare fuori aveva capito subito le sue intenzioni e non gli erano piaciute affatto: il solo pensiero di saperla a bere da sola per le vie buie gli aveva sollevato un’ondata di fastidio. In ogni caso, si sarebbe limitato a rispedirla a dormire se poi non si fosse rivolta a lui in modo così insolente.
«Non ti ho chiesto se ce la fai o no. E poi non eri tu a volere un corpo a corpo?».
Se il tono e la sua espressione non fossero stati così vuoti, Tallulah avrebbe giurato che la stesse prendendo in giro. Onestamente, stava iniziando ad irritarsi. Pensava che l’avrebbe punita facendole pulire da sola le stalle o raddoppiandole i turni di lavoro, sarebbe stato più sensato. Strinse i denti e si rialzò, avendo completato la settima serie di esercizi; il fianco aveva ripreso a farle male dopo lo sforzo dell’ultima missione e una notte di riposo non era bastata a farglielo passare. Osservò la sua postura rilassata, non fingeva nemmeno di prepararsi alla difesa e questo ferì il suo orgoglio anche più dei precedenti tentativi andati a vuoto.
«Quanto-» disse tra i respiri veloci «Quanto durerà? Fino a che non stramazzerò al suolo? Lo sappiamo entrambi che non riuscirò a colpirla»
«Fossi in te risparmierei il fiato» rispose l’uomo, quasi annoiato.
«È ingiusto»
«Stai contestando gli ordini?».
Tallulah ingoiò un grido frustrato e si rimise in posizione, sollevando le braccia e allargando meglio i piedi a terra. Con uno scatto in avanti sferrò un pugno verso il suo viso per distrarlo e ne approfittò per mirare allo stomaco con il ginocchio. Levi le afferrò il polso, parando il colpo con il suo stesso braccio, e le sfuggì un gemito di dolore; aveva perso il conto dei lividi che le stavano affiorando sulla pelle. Il viso le si contrasse in una smorfia infastidita e stavolta non indietreggiò: con la mano libera gli agguantò la giacca dell’uniforme in una stretta rabbiosa e avvolse la gamba dietro la sua, quella sana, dandosi con l’altra una potente spinta. Probabilmente Levi non si aspettava quell’improvviso cambio di atteggiamento perché barcollò leggermente, giusto prima di fare perno sul terreno e spingerla all’indietro con il suo corpo, il fantasma di un ghigno sul viso. Per qualche secondo lottarono per l’equilibrio, o meglio, era Tallulah che stava disperatamente tentando di non cadere, divisa tra la stizza che cresceva e il profumo dell’uomo che improvvisamente le inondò le narici. Levi la osservò dibattersi, soddisfatto finalmente di essere riuscito a tirarla fuori: aveva notato con disappunto che non combatteva al pieno delle sue capacità, i suoi movimenti erano troppo lenti e controllati, senza alcun istinto, né iniziativa. In quel momento doveva essere scattato qualcosa perché finalmente vedeva i suoi occhi pulsare e la rabbia la stava aiutando a indirizzare meglio gli attacchi. Con la gamba sinistra le calciò la caviglia che gli bloccava i movimenti, pronto a gettarla a terra con una gomitata sullo sterno, ma Tallulah ripiantò i piedi a terra e schivò il colpo, allontanandosi poi per riprendere fiato.
«Tutto qui?» disse lui, senza nemmeno una parvenza di affaticamento. Stavolta lei grugnì a piena voce e scrocchiò il collo; poi avanzò tenendo i pugni davanti al viso e con la gamba davanti colpì appena il suo stinco, prima di sollevare l’altra fulminea, mirando al collo. Lo vide scansarsi all’indietro, ma lo seguì con un pugno che Levi intercettò al volo, prendendole il polso e voltandola di spalle. Poi serrò il braccio intorno al collo di lei, il petto che aderiva alla sua schiena. Tallulah si morse le labbra per evitare di affondare i denti su quella pelle chiara e tentò di divincolarsi da quella stretta, ma invano. Si prese qualche secondo per respirare pienamente e poi infilò nuovamente un piede dietro il suo per slanciarsi all’indietro con veemenza. Non avrebbe mai pensato che sarebbero caduti davvero ed in un altro momento avrebbe addirittura potuto riderne. Ma sapeva di dover approfittarne e non perse tempo: si sollevò in fretta, voltandosi, e lo bloccò a terra, le gambe ai lati del suo bacino e un braccio sotto la sua gola. Lui osservò dal basso l’espressione feroce che aveva in volto e si sentì compiaciuto nel vederla così infuriata, così diversa dal solito.
Così più simile a lui. In quel momento si rese conto del suo errore: il suo tentativo di punirla, di metterle in testa il rispetto che doveva mostrare ai suoi superiori, a lui, gli si stava ritorcendo contro. Avrebbe dovuto evitarla, invece adesso si ritrovava ad avercela addosso, ansimante e con le guance rosse. Lo assalì la frustrante consapevolezza che non stava riuscendo affatto a comportarsi come avrebbe dovuto.
«Ce l’ho fatta!» esclamò con un sorriso incredulo e affannato.
Levi si trattenne dallo sbuffare e con un colpo di reni, fece presto a ribaltare la situazione, afferrandole le braccia e piantandole saldamente a terra. L’impatto con il terreno le fece girare appena la testa e Tallulah sbatté le palpebre un paio di volte, fissandolo. Il volto era fermo, ma gli occhi azzurri gli lampeggiavano come un mare in tempesta e le cancellarono ogni segno di ilarità. Lo sguardo le cadde sulla sua bocca così vicina ed ebbe una strana sensazione di dejà vu: d’impulso allungò il collo, ma Levi si tirò indietro all’istante, aggrottando le sopracciglia. Spostò una mano dal braccio alla sua bocca e le spinse il capo nuovamente a terra.
«Cosa diavolo vorresti fare, mocciosa?».
Tallulah si sentì arrossire, senza sapere se per la vergogna o se per quelle dita che scivolarono via dalle sue labbra troppo presto, lasciandole la responsabilità di rispondere.
«Mi scusi» mormorò, tornando a dargli del lei senza nemmeno accorgersene «Non so cosa mi sia preso».
L’uomo si sollevò e Tallulah si affrettò a imitarlo, scrollandosi poi la terra dai vestiti.
Non lo sapeva davvero, ogni volta che era con lui finiva in questo vortice di emozioni così forti da stordirla e forse iniziava a percepire quanto fossero deleterie. Poteva capire come dovesse apparire ai suoi occhi, una ragazzina sciocca, superficiale, debole e insolente, mentre lui ai suoi era un uomo così forte, sicuro e giusto.
«Se ricapita una terza volta sarò costretto a prendere provvedimenti» esclamò Levi, chinandosi a sistemare il suo stivale e sancendo la fine di quella punizione.
«U-una terza?».
Tallulah sgranò gli occhi e lo vide fermarsi e lanciarle uno sguardo sinistro che la mise in guardia. Una strana ondata di risentimento lo investì: stava scherzando o l’aveva sul serio dimenticato? Osava coinvolgerlo in quelle situazioni sconclusionate per poi rimuoverle completamente? Allora era una farsa, quel visetto appassionato che lo guardava bevendosi ogni sua parola, era finta quella sciocca cotta che vantava d’avere? Ritornò sui suoi passi, improvvisamente preda di qualcosa di indefinito e fuori dal suo controllo, e Tallulah indietreggiò, avendo come l’impressione di aver fatto qualcosa di sbagliato. Il sole era ormai sorto e i suoi raggi le colpirono il viso tanto da farle socchiudere gli occhi. Fu per questo che non si rese bene conto come e quando le fosse venuto così vicino e si ritrovò ad osservare la mascella serrata in una linea dura e la linea gonfia della vena alla base del suo collo.
«Non te lo ricordi?» le chiese con una voce bassa che le diede i brividi.
Cosa?
Ripercorse in fretta tutte le occasioni in cui erano stati insieme, era sicura che non avesse fatto nulla di così inappropriato. Non rispose, temendo di peggiorare la situazione, e quasi sobbalzò quando sentì le dita dell’uomo afferrarle il mento e sollevarle bruscamente il viso per costringerla a guardarlo negli occhi.
«Sei scesa di notte a disturbare la mia lettura e ti sei addormentata sul tavolo della mensa».
Tallulah risentì lo scrosciare della pioggia sui vetri, il profumo delle foglie di thè, un calore avvolgente. Annuì quasi impercettibilmente, ma lui non la mollò, continuando a specchiarsi in quelle pozze di miele che brillavano al sole.
«Poi ti ho presa in braccio e ti ho riportata a letto».
Risentì delle braccia forti che la sostenevano come se non pesasse niente, il pervasivo senso di leggerezza e di sicurezza, un dolore serrato all’altezza del petto.
Non lasciarmi.
Levi vide la consapevolezza attraversarle il volto e attese la sua reazione con pazienza innaturale, non si era mai sentito così fuori controllo ed allo stesso tempo così padrone di sé. La ragazza rabbrividì ed il cuore accelerò di colpo: allora quello non era stato un sogno, era reale, quelle labbra rigide le aveva davvero sentite sulle sue. Mille pensieri confusi si affollarono nella sua mente, ma alla fine un dettaglio prevalse su tutto.
«Mi volevi» esclamò senza filtri, incredula e turbata. Non era una domanda quella, non prevedeva scorciatoie o vie di fuga, e Levi si chiese come poteva star lì a rinfacciargli la verità come se lui non fosse ciò che fosse, come se un attimo prima non l’avesse trattata come un soldato inutile e debole. Non gli era mai parsa così bella come in quel momento, mentre lo sfidava a testa alta nonostante le ultime due ore in cui aveva tentato di stremarla in tutti i modi. Iniziò a pensare che dovesse essere una sorta di punizione per tutte le porcherie che aveva commesso in quella vita.
«Ti sfugge il senso di questa conversazione» disse, ammonendola.
«Se il mio non era un sogno, non posso ignorare il tuo ruolo nel-».
«Il mio vero ruolo è quello che continui a dimenticare» rimarcò tra i denti che si accorse d’aver stretto solo quando sentì il leggero sapore del sangue sulla lingua. «Forse perché vorrei vedere oltre» esclamò quasi senza fiato a causa di quella vicinanza. Stava disperatamente tentando di mantenere ordine nella sua mente annebbiata, di non perdere il filo, di capire ciò che stesse accadendo. Solo un soffio di vento li separava dal prendersi, Tallulah si leccò le labbra e Levi seguì quel movimento con gli occhi, mentre quelle ultime parole continuavano ad aleggiare nella sua testa: la mano scivolò dal mento e scese lungo il collo di lei, sancendo una sconfitta inconsapevole. Avvertì un palmo delicato e tremante risalire piano lungo il bicipite, sfiorargli la spalla lievemente contratta e curvarsi con delicatezza dietro la sua nuca. Sotto i polpastrelli la sua pelle era fredda e Tallulah azzardò a sfregare le dita contro di lui, in una carezza muta. Levi sentì affiorare la pelle d’oca al suo passaggio e inconsciamente si sporse in avanti: le loro labbra si fusero in una stretta così intensa che per qualche secondo lasciò entrambi senza fiato. Poi si separarono di qualche millimetro e si cercarono con gli occhi, il viso ormai privo di qualsiasi maschera, leggendosi addosso lo stesso disorientamento. Tallulah si sporse ancora e Levi arretrò di poco, in un ultimo attimo di esitazione, le palpebre calate a metà. Forse fu quel sole a dissuaderlo, o forse tutto quel lottare di prima, perché tornò da lei, il naso che sfregava contro il suo, e si incontrarono ancora, più a lungo. Levi mosse le labbra sulle sue e le circondò la vita con un braccio per tirarsela addosso: il sospiro flebile con cui lei accolse quella stretta fu il colpo di grazia, tutto perse di importanza e si ritrovò in una distesa d’erba dal cielo troppo azzurro e un vento troppo caldo. Tallulah lo strinse in un abbraccio talmente forte che dovette piegare leggermente la testa all’indietro e Levi approfittò di quel migliore accesso per carezzarle le labbra con la lingua. Le tremarono appena nel momento in cui le schiuse e sentì il suo muscolo caldo farsi strada nell’interno umido della bocca, carezzarle i denti, strofinare contro la sua lingua. Si sentì debole e leggera, un po' impacciata mentre tentava di seguire quel ritmo nuovo, senza immaginare che la sua inesperienza non faceva altro che accenderlo di più. Macchiare qualcosa di così puro, c’era una sorta di soddisfazione perversa in quella consapevolezza che gli destava i sensi come non accadeva da tempo. Dal canto suo, la ragazza percepì qualcosa nel modo in cui l’uomo la stava baciando, una nota di sofferenza pacata che si rese conto di aver sempre percepito in lui quando le stava vicino, come se fosse lei a causargliela. Levi indugiò a lungo sulle sue labbra, lambendo quello inferiore tra le sue, infilando le dita tra le sue ciocche corte, affondando in quella voglia che cresceva. Nel momento in cui si rese conto di star per perdere completamente la testa, si costrinse a rallentare; una lenta presa di coscienza accompagnò gli ultimi baci umidi che le lasciò a fior di labbra con una dolcezza così inaspettata che le fece venir voglia di piangere. Le sembrò un addio e tentò di ribellarsi, spingendoglisi contro e solcando con le dita la sua schiena, ma non poté impedire la fine.  
Eccola lì, la merda fino al collo, pensò Levi.
Poteva solo immaginare quanto sarebbe stato più difficile d’ora in poi stabilire dei confini netti. D’altronde chi voleva prendere in giro, confini netti non c’erano mai stati, né fuori, tra di loro, men che meno dentro di lui. Tallulah si portò le dita sulle labbra umide tenendo gli occhi bassi, il cuore ancora martellante, e Levi rimase per qualche secondo a guardarla quasi in trance. Si rese conto dell’enorme gravità di quell’errore quando sentì la voglia dirompente di baciarla ancora, di più: aveva acceso la miccia e quel silenzio poteva condurre a due direzioni molto diverse.
Al niente o al tutto.
«Non deve più accadere» le disse infine, mortalmente serio, mostrando una calma che non aveva e ignorando lo sguardo ferito che la ragazza gli rivolse. Quelle parole le fecero venire la nausea, forse avrebbe vomitato l’emozione che le aveva fuso le viscere. Il suo primo vero bacio doveva morire così, in un lago di negazione bollente?
«... Perché?» gli chiese con una punta di disperazione che lo disorientò. Già, perché?
Non le rispose, limitandosi a scrollare le spalle con un fare indifferente che le gelò il sangue. Era così facile per lui rifiutarla ogni volta, così difficile per lei sentirsi sempre sconfitta e sciocca. Forse per lui non aveva un vero significato, forse era solo qualcosa di carnale. Era un uomo, in fondo, ed essere il soldato più forte dell’umanità non lo rendeva meno umano. Tallulah si voltò, con l’improvviso impulso di scappare via, come era fuggito Armin quando le aveva confessato i suoi sentimenti. Solo adesso comprendeva a pieno quanto dovesse essersi sentito vulnerabile.
 
Doveva fare una doccia. Forse anche due.
Quello era il suo unico pensiero mentre tornava ai suoi alloggi, un bisogno talmente impellente da fargli venir voglia di grattar via la pelle dal corpo. Si sentiva sporco, in molti modi. L’aveva baciata senza curarsi di nulla, nemmeno del sudore che le impregnava i vestiti, e questo non faceva altro che aumentare i suoi timori. Ce l’aveva con sé stesso per la reazione avuta davanti agli occhi stupiti della ragazza quando U-una terza? Perché gli aveva dato così fastidio l’idea che lei potesse non ricordare? Odiava sentirsi debole ed in quel momento era proprio così che si considerava. Qualcosa in Tallulah innescava la sua parte più grezza e impulsiva, più vera, e i suoi tocchi inesperti lo avevano infiammato più di quanto gli piacesse riconoscere. Era abituato al sesso, da molto prima di diventare un soldato dell’armata ricognitiva, perciò non riusciva a spiegarsi quell’effetto intossicante che gli aveva trasmesso con un semplice bacio. Forse era tutta quella passione che lui le vedeva sempre strabordare dagli occhi, dai gesti, dai sorrisi. Se l’era sentita tutta riversata addosso quando l’aveva stretto come se fosse importante, no, essenziale.
Forse era questo ciò a cui non era abituato.
Forse era questo che rifuggiva.
 
Li avevano interrogati uno alla volta, confrontando le loro versioni su ciò che era successo nel Wall Sina. A quanto si diceva in giro, anche il Comandante Erwin era stato messo sotto torchio e stavolta, non a torto. Annie era completamente irraggiungibile, si beffava di loro dall’interno del suo bozzolo di cristallo, mostrando quanto inutili fossero stati tutti quegli sforzi, tutte quelle morti. Non le era andato molto a genio il modo in cui le avevano posto domande assurde, come voi eravate al corrente dei morti che avreste causato?, con spocchiosa superiorità. Sembrava piuttosto che le stessero chiedendo se ne fosse stata contenta, ma si era sigillata la bocca; alla fine, per quanto sgradevole fosse stata, Tallulah aveva accolto a braccia aperte quella distrazione da Levi e da ciò che era accaduto tra di loro. Nonostante la situazione fosse critica, rischiavano che la legione venisse sciolta, poteva percepire ancora vivo il sapore di lui sulla lingua e questo le faceva venire le gambe molli. Ancora non riusciva a credere di averlo toccato, stretto, in quel modo così intimo. Non si era pentita di quel bacio, ma sapeva che lui avrebbe voluto non averlo mai dato e quel pensiero la fece nuovamente sprofondare in una tristezza pastosa molto diversa da tutti gli altri dolori che aveva provato. Fissò le bende di Eren, ancora a letto, mentre aspettava pazientemente che anche Armin e Jean tornassero da quell’inquisizione. Mikasa era stata al suo fianco fino a che non si era svegliato ed anche dopo aveva rifiutato di andare a riposare. Si sentiva quasi di troppo a quel punto, così si alzò con l’intento di lasciarli da soli: avevano già così poche occasioni di godere di quei momenti.
«Vado a prendere una boccata d’aria, ragazzi. Eren, cerca di mangiare» gli sorrise appena e posò una mano sulla spalla di Mikasa.
«Sì, ci provo»
«A dopo, Tallulah».
Si dileguò dietro la porta e tirò un sospiro: quella stanza vecchia e maltenuta la stava soffocando. Dei passi veloci provenienti dal corridoio le fecero voltare la testa di scatto e vide la chioma bionda dell’amico svolazzare per la corsa.
«Armin, cos’è successo?!» gli chiese, irrigidendosi davanti alla sua espressione sconvolta.
«La situazione è grave! I giganti sono oltre il Wall Rose!».
Allargò le labbra in una o a metà tra lo stupore e l’inorridito. Ritornò sui suoi passi per rientrare dagli amici, ma la porta si spalancò prima che potesse arrivarvi.
«Ho sentito bene? I giganti hanno di nuovo sfondato il muro?».
Eren e Mikasa spuntarono sull’uscio con la stessa aria preoccupata.
Armin annuì con foga «È appena arrivato un emissario, sono stati avvistati a sud»
Il cipiglio sulla fronte di Tallulah si fece più profondo «Ma da dove? Ci deve essere un’altra breccia»
«Non c’è altra spiegazione»
Cosa dobbiamo fare?»disse Eren, con sguardo deciso. Era pronto.
«Jean è ancora di là. Siamo stati convocati dal Comandante Erwin, Eren, fai in fretta a vestirti».
Il ragazzo si affrettò a prendere la sua divisa e Tallulah fece per aiutarlo con il dispositivo quando Armin la fermò, posandole la mano sul braccio.
«Lu, Hanje invece chiede di te, vuole che tu la raggiunga nel suo laboratorio»
«Me? E perché mai?».
L’amico scosse la testa e sollevò leggermente le spalle: nemmeno lui ne aveva idea, ma dovevano seguire gli ordini. Non le piaceva il fatto di doversi di nuovo separare da loro, ma sapeva che qualcuno era sicuramente già morto e non potevano star lì a trastullarsi. Si congedò quindi in fretta, attraversando il cortile e dirigendosi verso gli uffici dei capisquadra, dove c’erano anche la biblioteca e il laboratorio di Hanje. La trovò quasi completamente al buio, circondata da libri, scartoffie varie e qualche candela.
«Capitano». Si fece avanti, bussando sullo stipite della porta per segnalare la sua presenza.
«Tallulah, finalmente. Qui sta succedendo il finimondo» le fece segno di avvicinarsi.
«Spero di poter essere d’aiuto» rispose la ragazza, anche se non riusciva proprio a immaginare come.
«Ti sarai chiesta perché ti abbia mandata a chiamare. In realtà mi piacerebbe molto che tu entrassi nella mia squadra, ma è un discorso che faremo dopo, non abbiamo tempo. Dobbiamo finire prima di metterci in viaggio verso il Wall Rose per la ricerca della breccia. Passami quel microscopio e il misuratore lì sopra, per favore».
Hanje le indicò l’aggeggio senza nemmeno alzare gli occhi dalla pergamena che stava leggendo e Tallulah annuì, senza esitare ad eseguire ciò che diceva, i suoi sensi improvvisamente catturati dalla curiosità. La donna le sembrava di nuovo su di giri, come quando stavano per catturare Annie, e pensò che dovesse avere tra le mani qualcosa di importante.
«Sai cos’è questo?».
Tallulah si avvicinò al cristallo posto sul tavolo e lo osservò attentamente.
«Posso toccarlo?»
«Certo, tocca pure» le rispose Hanje, quasi soddisfatta da quella richiesta. Era leggero, ma durissimo e freddo e le ricordava quasi..
«Non mi dirai che è la roccia di Annie»
«E invece te lo dico. Non sai che fatica riuscire a recuperare questo frammento; la cosa sorprendente è che non si è dissolto, è intatto anche se staccato da lei. Adesso devo solo verificare una cosa»
«Cioè?»
«Sai cosa abbiamo scoperto all’interno delle mura ieri, dopo il disastro?».
Tallulah scosse la testa, salvo poi rendersi conto che Hanje non poteva vederla, abbassata com’era sul microscopio.
«No, che cosa?»
«Il volto di un gigante era ben visibile da una crepa del muro».
La ragazza sgranò gli occhi e si curvò sul tavolo «Il gigante era nel muro?»
«Già. E non è tutto» sollevò il viso e si tolse gli occhiali per qualche secondo per pulirli con una pezzetta lì vicino «Qualcuno lo sapeva».
Quell’informazione le fece cadere le braccia: qualcun altro li aveva traditi, no, chissà quanti avevano tradito il genere umano, chissà quanti tacevano. Per quale motivo, cosa c’era di più importante?
«Chi?» chiese a voce bassa e Hanje la guardò.
«Un membro eminente del culto delle mura. Ci ha implorati di non diffondere questo segreto tra la popolazione, ma nonostante minacce e interrogatori non ci ha detto una parola. Forse se vedesse in che condizioni si vive fuori da Sina cambierebbe idea. Vedi questi libri? Dovresti cercare nozioni sulla composizione delle mura, se qualcosa è cambiato nel corso degli anni».
Una lampadina si accese nella sua mente e capì le intenzioni della caposquadra.
«Vuole confrontare i materiali» esclamò la riccia, allungando fulminea le mani sui tomi per iniziare a consultarli. Se davvero le mura e quella roccia fossero risultati simili voleva dire che le prime erano state create grazie ai giganti stessi: quella scoperta avrebbe avuto implicazioni vastissime e Tallulah ne capì subito l’importanza
«Bingo» ghignò Hanje «E ci sono molto vicina, ma dobbiamo sbrigarci».
Lavorarono per quasi un’ora, in cui Tallulah mise da parte l’indignazione per il fatto che qualcuno potesse tenere nascosta una cosa del genere, e le rivolse più domande di quante ne avesse mai sentite. La donna si stupì di quanto risponderle la aiutasse a tenere sotto controllo ogni singola informazione. Sorrise tra sé e sé sentendo il fruscio dei suoi movimenti svelti e una parte di lei si convinse ancora di più: Tallulah era perfetta come sua assistente, aveva uno spiccato senso di osservazione, nessun pregiudizio e l’istinto di seguire ciò che riteneva giusto. Moblit entrò di colpo spezzando la concentrazione che si era instaurata tra la due.
«Caposquadra, perché proprio adesso?? Mancano cinque minuti!»
«Accidenti, non so perché sono circondata da gente che mi crea ansia» si lamentò Hanje, asciugandosi il sudore con la manica. Poi si sollevò di scatto fissandola, come se stesse facendo qualche calcolo mentale e Tallulah le vide l’espressione incupirsi.
«È lo stesso materiale, vero?» le domandò, avendo già letto la risposta sul suo viso.
«Ehi».
Una voce le fece rizzare i capelli sulla nuca e si voltò verso la porta. Levi era appena apparso e se era rimasto sorpreso dalla sua presenza, non lo diede a vedere. Indossava un elegante completo nero ed una camicia bianca, oltre al suo solito fazzoletto, e a Tallulah tornarono le farfalle nello stomaco. Le sembrava bello da togliere il fiato e si sentiva divisa tra la voglia di adorarlo come un dio e un nuovo impulso di urlargli addosso. Se non indossava l’uniforme voleva dire che non era ancora guarito del tutto; e allora come mai l’aveva trascinata all’alba per combatterlo? Man mano che i giorni passavano l’uomo diventava sempre più un mistero. Non immaginava che Levi si fosse irrigidito impercettibilmente, cercando di ignorare il ricordo della sua bocca morbida.
«Sbrigatevi» disse tra i denti ed Hanje si riportò gli occhiali sul viso, indagando il suo sguardo. Qualcosa non quadrava affatto, se ne rese conto percependo la strana tensione elettrica che si stava diffondendo nell’aria.
«Sì, scusa. E lui?».
«È da un sacco che aspetta»
«Andiamo».
 
«Armin!».
Era ormai calata la sera e si sentiva a pezzi. Se avesse saputo ciò che sarebbe accaduto non si sarebbe mai azzardata a sfidare la sorte la sera prima. Niente fuga notturna, niente disobbedienza, niente punizione che sfinisce. Ma niente Levi, ricordò. Era logorante fare finta di nulla, non era abituata a tenere le sue emozioni chiuse con un lucchetto e quella sensazione non le piaceva affatto. Precedette chi camminava con lei, avendo visto il carro su cui sedevano i suoi amici, ed il soldato la osservò correre verso di loro, proprio come una mocciosa: il volto del biondino si illuminò di colpo e le porse in fretta la mano per aiutarla a salire.
Quindi è così che spira il vento.
Tallulah era di spalle e non vide affatto l’occhiata tagliente puntata su di loro.
«Scusate l’attesa, non pensavo di metterci così tanto. Fortunatamente c’era Tallulah con me» esclamò Hanje, sventolando un braccio e la ragazza sorrise. In realtà non sapeva proprio in cosa l’avesse aiutata, chiunque sarebbe stato più utile di lei così svampita com’era. Salì sul carro sistemandosi accanto ad Armin. 
«Tutto bene? Cosa vi ha detto Erwin?» sussurrò agli amici, mentre anche gli altri si sedevano di fronte a loro.
«Dobbiamo aiutare con i preparativi per la ricerca della breccia. Pare ci sia qualcosa che non quadri».
Poi, gli occhi dei ragazzi furono attirati dalla figura austera che aveva preso posto in mezzo ad Hanje e Levi.
«S-scusi» si rivolse Armin al Capitano «Che ci fa qui un reverendo del culto delle mura?».
Quando Tallulah l’aveva visto, giusto pochi minuti prima, l’aveva riconosciuto subito: l’aveva già sentito blaterare assurdità al processo di Eren. Una persona come lui, custode di un segreto tanto importante? Non gli aveva detto una parola nonostante la voglia che aveva di scrollarlo fino a farlo parlare: si era limitata ad osservargli il volto teso e gli occhi piccoli e incavati, cercando di capire a cosa stesse pensando.
«Ah, Nick è un mio caro amico, verooo?» cantilenò Hanje, dandogli pacche sulle spalle «Non preoccupatevi! D’altra parte, il nostro era comunque un gruppo strano. Non è vero Levi?»
«No, ci dev’essere un motivo» borbottò il soldato, annoiato da quelle moine «È stato Erwin a sceglierli».
In quel momento il cancello venne aperto e i soldati si apprestarono a partire a cavallo. In lontananza, il Comandante dava ordini sulla disposizione delle truppe: la loro zona di sicurezza arrivava fino a Elmiha e lì avrebbero ultimato l’organizzazione della ricerca.
«Parti» ordinò infine Levi e la schiera illuminata da lanterne e torce di fuoco cominciò a sfilare tra i campi fuori da Sina. Arrivarono in piena notte e non ci fu il tempo di fare pause. Gran parte dei soldati si impegnò nello scarico di merci e materiali necessari alla spedizione ed altri si stavano dedicando all’evacuazione della città. A stento si era scambiata qualche parola con Mikasa ed Armin, complice la stanchezza che le appesantiva le membra. Non dormiva da quasi ventiquattro ore. Finì di sistemare alcune funi su un carro e si poggiò ad esso per qualche secondo, chiudendo gli occhi.
«Manca poco».
Armin la distrasse e lei annuì con un sospiro. Poi riaprì le palpebre e guardò il cielo.
«Sono un po' preoccupata per gli altri. Non abbiamo nessuna notizia vero?»
«No. Ma sono con Nanaba, vedrai che se la caveranno. E poi è notte, i giganti non si muovono».
Una voce parecchio alterata attirò la loro attenzione e, voltandosi, Tallulah vide Hanje urlare contro il reverendo: doveva essere appena tornato dal suo giro turistico, a giudicare dalla sua faccia scura. Ignorando la presenza di Levi dietro di lui, si avvicinò con cautela per capire che cosa stesse succedendo e man mano riuscì a distinguere le parole pronunciate dalla donna.
«Non abbiamo tempo, lo capisci?! Parla, deciditi una buona volta!».
Non appena comprese Tallulah si scambiò uno sguardo teso con Eren, che assisteva in silenzio a quello scambio.
«Non posso dire nulla. Anche gli altri credenti vi risponderanno la stessa cosa»
«Grazie tante. Meno male che me l’hai detto!».
Hanje gli diede le spalle, furiosa per quell’ennesimo tentativo andato in fumo. Tallulah non riusciva a crederci. Forse erano stati troppo ottimisti nel valutare il buon senso di quell’uomo, no, il buon cuore. Un grande risentimento si fece strada dentro di lei: perché quegli esseri vivevano al sicuro mentre la gente innocente moriva barbaramente??
«Il motivo è che è una questione troppo grande perché possa decidere un singolo individuo. Il nostro credo delle mura esiste per obbedire ad una grande volontà» disse l’uomo, in evidente difficoltà, ma non le fece pena. Sentì di nuovo quella rabbia nuova, la stessa che le aveva suscitato Annie con il suo tradimento.
«Una grande volontà?» fu più forte di lei, non riuscì a trattenersi «Ma con che coraggio parla di una grande volontà, a noi, che abbiamo perso famiglia, amici in un modo che le farebbe torcere le budella? Vorrei che avesse vissuto ciò che ognuno di noi ha dovuto subire e vedere se riesce a starsene lì con le sue vesti da sporco nobile intessute con il sangue. Lei mi-». Sentì Armin prenderle un braccio per tirarla leggermente indietro e prese un respiro per calmarsi da quel fiume in piena «Lei mi disgusta» concluse infine e si rese conto delle guance in fiamme e del cuore che pompava veloce il sangue nelle vene. L’uomo era sbiancato e aveva chiuso gli occhi, un profondo solco lungo la fronte ampia, sembrava fosse invecchiato di colpo.
«I-Io... Io posso dirvi il nome...» mormorò «Il nome della persona su cui la grande volontà ci ha ordinato di vigilare»
«Vigilare?» domandò Hanje.
«Ho sentito che è entrata a far parte del Corpo di ricerca proprio quest’anno».
Gli occhi di Levi saettarono su di lei, temendo per un attimo qualcosa che non sapeva nemmeno cosa fosse.
«Il suo nome è...»
 
Christa le era sempre piaciuta, era gentile e aveva uno sguardo dolce. L’aveva aiutata molte volte nei suoi turni di pulizia e quando era capitato di fare il bucato insieme le aveva insegnato alcune canzoni della sua infanzia. Era buona e sembrava provenire da altre terre, altri mondi, poiché a volte gli occhi le si perdevano su orizzonti che non riusciva a vedere.
«Chi sarebbe questa ragazza?» chiese Hanje, mentre loro si precipitavano ad indossare le attrezzature: dovevano raggiungere i loro compagni in prima linea. Stava iniziando ad abituarsi a quella vita, dove non si aveva il tempo nemmeno di riflettere su ciò che stava accadendo. Era così, o si era bravi a adattarsi in fretta oppure venivi travolto.
«Quella più bassa di tutti» rispose Eren.
«Ha i capelli lunghi e biondi ed è, ecco... molto carina» aggiunse Armin, fissando la caposquadra ed ignorando lo sguardo di Tallulah.  
«La ragazza che è sempre insieme a Ymir».
L’ultima affermazione di Mikasa sembrò aver ricordato ad Hanje qualcosa, ma non riuscì a dire nulla perché Eren si fiondò fuori.
«Dobbiamo raggiungerli!»
«Calmati, Eren».
Era la prima volta che Levi prendeva la parola e a Tallulah si bloccarono le dita che stavano allacciandosi il mantello attorno al collo. Iniziava a non sopportare quell’influenza che aveva su di lei e si guardò bene dall’alzare gli occhi su di lui.
«Ascoltate anche voi. Da qui in poi ci dividiamo; sarete anche un gruppo improvvisato messo in piedi da Erwin, ma possiamo contare solo su di voi. Ci siamo capiti, Armin? Continua a spremerti le meningi assieme ad Hanje»
Armin annuì con forza «Signorsì!»
«Mikasa, non so per quale motivo tu tenga tanto ad Eren, ma usa tutte le tue capacità per proteggerlo».
La corvina non fece una piega «Signorsì. Naturalmente».
«Eren» si voltò verso il ragazzo che trasalì visibilmente «Tu devi controllarti. Non lasciare che le emozioni ti facciano perdere la ragione. Non ripetere lo stesso errore due volte».
Forse a quel punto non stava più parlando solo di Eren.
«E tu» puntò lo sguardo annoiato su Tallulah e lei sentì l’ansia in gola e una punta di gelosia. Aveva chiamato tutti per nome tranne lei.
«Magari la tua parlantina ci sarà utile per tirar fuori da Christa la verità. Ma
sappi che la prossima volta che avrai un’uscita come quella di prima salterai la cena per una settimana».
Si limitò ad annuire ed Hanje le posò una mano sulla spalla con fare incoraggiante.
«Non ascoltarlo, è solo frustrato» le sussurrò al volo, prima di precederla verso i cavalli.
«Ti ho sentita, quattr’occhi» grugnì Levi. A quel punto poteva essere sicuro del fatto che la donna avesse preso quella mocciosa sotto la sua ala protettiva, ma non era ben sicuro del perché: sperò che non avesse nulla a che fare con lui. Di guai, ne aveva già abbastanza da solo.  

 
   
 
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