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Autore: morgana85    29/06/2020    7 recensioni
Come spesso capita, le cose evidenti sono le più difficili da riconoscere. Per chiunque. Anche per una strega.
Dal testo:
(...)«Non pensare di venire da me per farti scaldare i piedi».
Daphne sorrise, gettando un’occhiata fugace alle sue spalle, «Pensavo fosse il tuo sport preferito».
«Solo perché tu sembri divertirti tanto a tormentarmi in quel modo», Theodore le si affiancò, le mani in tasca e la divisa slacciata, quasi fosse appena uscito da una lotta molto appagante.
«È passato così tanto tempo dall’ultima volta, che quasi non me lo ricordo», spostò il peso da un piede all’altro, muovendo il destro in circolo e facendo increspare la superficie dell’acqua.
«Non per mia volontà».
«Non mi piace essere il terzo incomodo». Un gridolino sorpreso le sfuggì dalle labbra, quando due braccia forti le strinsero la vita e una risata profonda si infranse contro i suoi capelli.
Theodore inspirò a fondo, scendendo con il viso fino a posarle un bacio sulla guancia, «Non puoi essere gelosa di qualcosa che è tuo da sempre».(...)
[SECONDA CLASSIFICATA al contest "Merlino li fa e e poi li accoppia" indetto da Shellcott sul Forum di EFP]
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Astoria Greengrass, Daphne Greengrass, Draco Malfoy, Theodore Nott | Coppie: Draco/Astoria
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
Capitoli:
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[Storia partecipante al contest "Merlino li fa e poi li accoppia" indetto da Shellcott sul Forum di EFP]

 
~L’essenziale è (in)visibile agli occhi
 

 
 
18 Marzo 2002
Greengrass Manor
 
«Lena! Lena!».
Solo una persona al mondo – due in realtà, ma preferiva non pensarci -  la chiamava in quel modo. Strinse gli occhi, mentre la voce di sua sorella le giungeva da lontano. Fin da bambine avevano l’abitudine di chiamarsi con il secondo nome, un piccolo vezzo che la madre odiava e di cui loro andavano molto orgogliose.
Cercò di ignorarla, rimanendo concentrata sul meraviglioso stallone pezzato che aveva di fronte. Era bello e possente, ma ogni stalliere si era rifiutato anche solo di avvicinarsi. Le continuavano a ripetere che era una bestia forgiata dal fuoco e con il vento nel sangue, non andava bene per una ragazza come lei.
Per contro, non aveva dato retta a nessuno di loro. I primi tempi erano stati difficili, il livido bluastro che le ricopriva tutto il fianco sinistro ne era una prova. Ma non aveva rinunciato, guadagnando la sua fiducia un giorno alla volta. Erano simili, più di quanto fosse immaginabile. Ed ora erano anche inseparabili.
«Lena!».
Un altro richiamo, che continuò ad ignorare. Mosse la mano lungo il collo dell’animale, godendo della morbidezza della criniera sotto i polpastrelli, posando la fronte contro il suo muso, «Non vogliono proprio lasciarci in pace, vero Kronhos?». Il cavallo nitrì in risposta, scattando all’indietro quando una figura esile piombò all’improvviso nel grande recinto dietro le scuderie.
«Daphne Lena Greengrass, mi vuoi ascoltare?».
«Si può sapere cosa c’è di…», le parole le morirono in gola, mentre si voltava con uno sbuffo verso Astoria, trovandola con le mani appoggiate alle ginocchia per riprendere fiato e il viso rigato di lacrime. «Helene, cosa succede?», le si avvicinò in fretta, stringendole le spalle e facendole alzare il volto con una carezza.
Astoria le buttò le braccia al collo, iniziando a ridere tra i singhiozzi, «È successo Lena, è successo».
Daphne la strinse appena, cercando di capire i mormorii indistinti oltre il pianto – ora lo intuiva, sembrava gioioso - di sua sorella, «Posso sapere di cosa stai parlando?».
Astoria non le rispose, limitandosi a scostarsi quel tanto che fu sufficiente per mostrarle un piccolo bocciolo di rosa bianca, da cui spuntava un bigliettino. Lo srotolò con attenzione, leggendo le poche parole che custodiva, scritte con una calligrafia stretta ed elegante.
 
Sei l’unica scelta che ho avuto il coraggio di fare in tutta la mia vita.
Per sempre.
Tu cosa scegli?
 
«Ma questa è…», balbettò, spostando ripetutamente lo sguardo dal pezzo di carta al viso di Astoria.
«Vuole sposarmi Lena, ti rendi conto?», le prese le mani, portandole all’altezza del cuore, fissandola con gli occhi ancora lucidi di lacrime e splendenti di gioia, «vuole me. Per tutta la vita. Me!». Le mostrò l’anello di smeraldi e diamanti che le adornava l’anulare sinistro, probabilmente qualche cimelio di famiglia di casa Malfoy.
«Sarebbe stato uno sciocco se avesse scelto qualcuno di diverso della mia meravigliosa sorellina», si sforzò di sorriderle, mentre qualcosa in un punto imprecisato del petto si incrinava. «Sono felice per te, mia piccola Helene».
Astoria si congedò in fretta e furia, mentre blaterava qualcosa riguardo alla sarta che la madre aveva già fatto chiamare per confezionarle l’abito da sposa. Daphne non riuscì a fare altro che rimanere ad osservare la figura esile di sua sorella rimpicciolire ad ogni passo, fino a quando scomparve completamente dalla sua vista.
Quando era successo, che Astoria fosse cresciuta e lei era invece rimasta ferma sempre nello stesso identico punto? Era contenta per sua sorella, ed invidiosa dell’amore semplice e totale che Astoria provava per Draco. La vedeva felice e più di una volta si era chiesta come ci riuscisse. Come potesse avere tutta quella fiducia in un sentimento volubile come l’amore. Sicuramente le avrebbe risposto «non stai guardando con attenzione Lena. Lo vedono tutti, ma tu chiudi gli occhi per non farlo».
 
 
12 Marzo 1997
Hogwarts
 
Il sole era timido ma piacevole sulla pelle, insolitamente caldo per quella stagione. Il mese di Marzo nella migliore delle ipotesi non era altro che il prolungarsi dell’inverno, alternando improvvise nevicate a scrosci di pioggia incessante.
Si stiracchiò come una gatta, muovendo il collo indolenzito dalle due ore trascorse china sul calderone. Si azzardò persino a immergere i piedi nel Lago Nero, nonostante l‘acqua fosse gelata. Mosse le dita appena sotto la superficie, osservando incuriosita gli strani riflessi delle increspature sulla sua pelle chiara.
«Non pensare di venire da me per farti scaldare i piedi».
Daphne sorrise, gettando un’occhiata fugace alle sue spalle, «Pensavo fosse il tuo sport preferito».
«Solo perché tu sembri divertirti tanto a tormentarmi in quel modo», Theodore le si affiancò, le mani in tasca e la divisa slacciata, quasi fosse appena uscito da una lotta molto appagante.
«È passato così tanto tempo dall’ultima volta, che quasi non me lo ricordo», spostò il peso da un piede all’altro, muovendo il destro in circolo e facendo increspare la superficie dell’acqua.
«Non per mia volontà».
«Non mi piace essere il terzo incomodo». Un gridolino sorpreso le sfuggì dalle labbra, quando due braccia forti le strinsero la vita e una risata profonda si infranse contro i suoi capelli.
Theodore inspirò a fondo, scendendo con il viso fino a posarle un bacio sulla guancia, «Non puoi essere gelosa di qualcosa che è tuo da sempre».
 
 
Si riscosse quando un muso caldo le sfiorò la mano, spingendola più volte per attirare la sua attenzione. Un sorriso amaro le incurvò le labbra, mentre permetteva a Kronhos di frugarle nelle tasche per rubare qualche zuccherino. Gli accarezzò la stella bianca, prendendo un profondo respiro, «Forse hanno ragione. A noi piace essere senza vincoli, vero?». Guardò le redini e la sella appoggiate sulla staccionata, pronte per essere usate, poi tornò a posare lo sguardo sul cavallo, che scosse il muso e nitrì, dando una risposta alla sua muta domanda. «Cosa ne dici, voliamo insieme?», un altro nitrito, che interpretò come un mentre si issava con agilità sulla groppa, lasciando che Kronhos partisse al galoppo senza una destinazione.
Strinse con forza le gambe attorno ai fianchi pulsanti dell’animale, avvertendo l’energia scorrere dentro e sotto di lei, mentre il paesaggio le sfumava intorno perdendo consistenza. I profumi della primavera alle porte la investirono con prepotenza, il vento tra i capelli che scioglieva ogni tensione. Era una bella sensazione.
Si ritrovò inconsciamente a guidare lo stallone oltre il bosco, superando le basse colline che circondavano le proprietà dei Greengrass e attraversando la piana punteggiata di fiori in cui digradavano. Rise come una bambina quando guadarono un piccolo fiume, gli schizzi d’acqua sollevati dagli zoccoli che la bagnarono quasi completamente.
Si rese conto di dove era arrivata solo nel momento in cui gli imponenti cancelli del Maniero dei Nott le sbarrarono la strada, spalancandosi non appena fu abbastanza vicina, quasi l’avessero riconosciuta. Smontò da cavallo con un unico movimento fluido, mormorando sottovoce qualche parola per rassicurare l’animale mentre lo lasciava pascolare nel prato.
Non fu necessario bussare perché un piccolo elfo domestico aprì la porta accogliendola sulla soglia, stropicciando il sudicio straccio che lo copriva a malapena. «Miss Greengrass, signora. Non la aspettavamo», si diede un colpo in testa, punendosi per il tono sconveniente che aveva utilizzato. «Felby chiede perdono Miss, Felby non voleva essere maleducata. Avviso subito il padroncino…».
«Felby, puoi andare», una voce pacata giunse dall’oscurità oltre la porta, «me ne occupo io». Theodore Nott fece capolino, posando il gomito contro il legno e fissandola con fare curioso, «Sta per caso scoppiando un’altra guerra?».
«Davvero spiritoso», ribatté incrociando le braccia sotto al seno, «ma se così fosse, saremmo già morti nell’attesa che tu ti decida a farmi entrare».
Il ragazzo scosse la testa con un ghigno, facendole spazio e permettendole di scivolare oltre l’uscio. Le fece cenno di seguirlo, mentre si incamminava lungo un corridoio poco illuminato che terminava di fronte ad un'unica grande porta a due battenti. Daphne aveva perso il conto delle volte in cui l’aveva oltrepassata, sin da quando andavano a scuola. Sapeva esattamente cosa l’aspettava, eppure la familiare sensazione di essere in un luogo che avrebbe tranquillamente potuto definire casa, la tramortì come la prima volta.
La stanza di Theodore era luminosa e ben arredata, occupata per la maggior parte da librerie e da una scrivania su cui erano sparsi un numero indefinito di fogli pieni di schizzi, appunti e bozzetti per qualche disegno. Daphne ne prese uno, trattenendo quasi il respiro alla vista di un meraviglioso corpo di donna, ritratto nudo e languidamente adagiato tra cuscini che sembravano di velluto. «Sei il solito pervertito», cercò di ricomporsi, rivolgendogli una rapida occhiata e iniziando a passeggiare per la camera. Una volta – in quella che sembrava un’altra vita - gli aveva chiesto di essere uno dei soggetti dei suoi ritratti, ma lui aveva sempre rifiutato. Non aveva mai capito perché.
«In mancanza di altro, un uomo deve pur sopravvivere», le rispose con un’alzata di spalle. «Dev’esserci un motivo davvero grave, per farti tornare qui».
La Serpeverde non rispose, limitandosi a far scorrere le dita lungo il dorso dei libri dall’aria antica appoggiati sul piccolo tavolino accanto alla finestra. Ne prese uno, sfogliandolo senza particolare attenzione e lasciando poi vagare lo sguardo tutto intorno. «Non è cambiato niente dall’ultima volta».
Era poco più di una bambina, quando era entrata in quella stanza per la prima volta. Aveva accompagnato suo padre ad un incontro d’affari con il signor Nott, quando aveva incontrato due grandi occhi blu che la fissavano dal fondo di un corridoio. Si era avvicinata incuriosita, incrociando le mani dietro la schiena e sollevando un sopracciglio, «Mi chiamo Daphne Greengrass e sono qui per importanti questioni d’affari. Quando sarò grande, diventerò la capofamiglia. Tu chi sei?».
«Theodore», le aveva risposto quasi scocciato, prima di voltarle le spalle, «e non mi piacciono le bambine con i capelli gialli».
Da quel giorno, Theodore era diventato parte integrante della sua vita, in un rapporto di odio e dipendenza a cui non aveva mai saputo dare una spiegazione. Quella camera si era trasformata nel suo porto sicuro, un rifugio sconosciuto in cui nascondersi quando le cose nel mondo che la circondava non andavano come aveva immaginato.
Quando la signora Nott era mancata, lei era stata l’unica a cui Theodore aveva aperto la porta. Avevano passato intere notti sdraiati sul pavimento, fissando il soffitto in silenzio con le mani che si sfioravano appena. Non erano mai state due persone dai gesti plateali, le emozioni dispensate con cautela e i pensieri tenuti al riparo da giudizi indiscreti. Ma c’erano, in ogni istante. Nessuno dei due sarebbe mai caduto, perché l’altro sarebbe sempre arrivato al momento giusto per evitare un crollo rovinoso.
Poi avevano affrontato l’adolescenza, i primi amori, le prime esperienze e l’inevitabile allontanamento. Si cercavano sempre nel momento sbagliato: Daphne persa dietro l’immagine di Draco Malfoy e Theodore alla ricerca di chissà cosa nelle ragazze che gli passavano tra le lenzuola, senza che nessuna riuscisse a restare. L’unica che non aveva mai lasciato indietro, era lei.
Lo aveva visto cambiare, crescere, diventare un uomo dal fascino non indifferente. Le donne amavano i suoi modi gentili e lo sguardo profondo, e lei si era scoperta infastidita quando aveva trovato un profumo sempre diverso in quella stanza che per molto tempo aveva considerato un suo preciso territorio. Aveva iniziato ad andarci sempre meno, fino a quando Theodore aveva smesso di chiederle perché e lei non lo aveva cercato per spiegargli il motivo. Un motivo che in realtà non c’era, o a cui rifiutava di dare un nome.
 
 
17 Marzo 1998
Nott Manor
 
Era ubriaca, non aveva mai bevuto tanto come quella sera.
Ma l’effetto era del tutto diverso da quello che si era aspettata. Si sentiva potente e libera e in grado di poter dire qualunque cosa, senza subirne le conseguenze.
Barcollò per qualche passo, ritrovandosi in un ampio atrio elegante e buio, cercando a tentoni la giacca del suo accompagnatore e tirandolo contro di sé, ritrovandosi con le spalle contro la porta e un corpo caldo premuto contro il suo.
«Ti sentiranno fino in Galles, se continui a fare tutto questo chiasso», una mano si posò sulla sua bocca, ma non c’era prepotenza in quel gesto, solo un avvertimento.
«E allora trova un modo intelligente per farmi stare zitta», lo provocò, accarezzandogli il collo in punta di dita e sogghignando. Per Salazar, si sentiva onnipotente.
«Sei ubriaca».
«E tu sei un fifone», gli slacciò un bottone della camicia, posando un bacio goffo e impacciato sulla gola.
«Domani non ti ricorderai nemmeno che scarpe indossavi».
«E allora devi essere così bravo da farmi ricordare di te soltanto». Non ebbe tempo di fare altro che accogliere l’assalto di labbra morbide ed esigenti, che si posarono sulle sue senza darle tregua. Ma lei non aveva alcuna voglia di combattere. Era stanca e se quella doveva essere la sua sconfitta, arrendersi le sembrò la cosa più giusta e meravigliosa da fare. Non si oppose nemmeno quando, barcollando e incespicando nei suoi stessi piedi, si lasciò trasportare verso la prima stanza che riuscirono a raggiungere. Aprì gli occhi solo quando il bacio si interruppe per un motivo che lei non riusciva a comprendere, lasciandola senza fiato e con il cuore in subbuglio. Solo in quel momento riuscì a scorgere di sfuggita un piccolo salotto e un grande tavolo su cui erano sparsi diversi libri. Si sentì spingere in quella direzione, fermandosi solo quando sbattè contro il bordo della scrivania, prima che due mani forti la sollevassero facendola accomodare sopra.
«Se non ti fosse abbastanza chiaro», la voce di Theodore era bassa e roca, infiammandole il sangue e i sensi come la migliore delle droghe, «dimmi cosa devo fare ancora per fartelo capire».
«Non mi sembra che tu me lo abbia mai detto», poggiò la fronte contro la sua, aprendo le gambe e premendo le mani alla base della schiena per poterlo sentire finalmente addosso.
«Non ricordo che tu lo abbia gridato ai quattro venti», Theodore infilò una mano sotto la l’abito elegante, lasciando andare un verso animale contro le labbra di Daphne quando la sentì armeggiare con la cintura dei pantaloni.
«E toglierti la soddisfazione di dirmi per primo che mi ami?», una risatina divertita la scosse, mentre si allontanava appena per poterlo guardare negli occhi. Nessuno l’aveva mai guardata così. Nessuno sapeva guardare come lo faceva Theodore. Era come se in quel blu senza fondo e colmo di qualcosa che lo rendeva disarmante, ci fosse soltanto lei. Uno specchio in cui osservarsi e vedersi inondata di amore e desiderio. «Sarebbe crudele», slacciò i bottoni della camicia, lasciandola scivolare dalle spalle ampie e lungo le braccia. Si domandò quanto tempo sarebbe riuscita a resistere, prima di impazzire definitivamente di desiderio. Avrebbe voluto baciare ogni centimetro di quel petto, soffermarsi nel punto in cui avrebbe sentito il cuore battere veloce ed eccitato quanto lo erano loro.
«Non avevo intenzione di dirti che ti amo», percorse tutta la schiena in punta di dita, inebriato dalla morbidezza di quella pelle che aveva immaginato di accarezzare ogni notte.
«Bugiardo», sorrise ancora, trovandosi improvvisamente nuda e finalmente libera di poterlo toccare ovunque. Al contrario della frenesia che li stava cogliendo, le carezze che le stava riservando erano leggere e dannatamente irresistibili, portandola ad inarcarsi e a cercare nuova aria in un altro bacio. Non sapeva più nemmeno lei cosa stava facendo, ma non le importava.
«Amami», la fece adagiare sul tavolo, assecondando i suoi movimenti e posandole un bacio tra i seni, «ti chiedo di amarmi Daphne». Sorrise davanti al suo sguardo perplesso, «Non adesso, nemmeno domani», immerse il volto tra i suoi capelli, prendendo un profondo respiro e stuzzicandole il lobo con la lingua e con i denti. «Prometto di non andarmene finché non lo farai».
«Si», fu poco più di un sospiro soffiato contro le sue labbra, mentre finalmente si faceva largo dentro di lei con una sola, dolcissima spinta. Boccheggiò, stringendogli le gambe attorno ai fianchi e contraendosi contro quella mascolinità calda e pulsante che la riempiva completamente.
 
 
«Sono un gran sentimentale in fondo», il Serpeverde si lasciò cadere su una poltrona, allargando le braccia a mo’ di scusa. Nello stesso istante Felby comparve con un sonoro pop, posando sul tavolino davanti al divano un vassoio con due bicchieri pieni di un liquido dal bel color ambrato e una caraffa d’acqua. La ragazza scosse la testa all’offerta di qualcosa da bere, avvicinandosi alla finestra socchiusa per prendere una boccata d’aria. «Non ti ho vista al ricevimento dei McNair», Theodore cambiò discorso, prendendo uno dei bicchieri e bagnandosi le labbra con il whisky.
«Non ero dell’umore adatto e Astoria se l’è cavata egregiamente senza di me».
«Oh sì, senza ombra di dubbio. Indossava un abito meraviglioso e i commenti invidiosi che ho sentito erano musica per le mie orecchie», sogghignò dell’espressione che vide comparire sul volto di Daphne. «Credo sia ufficialmente diventata una delle donne più invidiate del Mondo Magico».
«Se continui così, farai concorrenza a Zabini», la Serpeverde liquidò quelle idiozie inutili con un gesto indispettito della mano, «stai diventando pettegolo quanto lui». La risata che accolse le sue parole, così vibrante e calda, la fece tremare. C’era stato un tempo in cui quella risata era solo per lei, come un segreto svelato tra amici. Lo stesso tempo in cui aveva creduto – anzi, si era resa conto – di amarla così tanto da non poterne più fare a meno.
«Se non sono le chiacchiere da salotto a portarti qui, di certo non è la nostalgia. Che cosa vuoi?».
Avrebbe voluto urlare a squarciagola che invece si, era vero, le era mancato da morire ma che era stata troppo orgogliosa – non per niente era il suo peccato preferito, l’orgoglio – per ammetterlo perfino a sé stessa. Fece finta di niente, come la maggior parte delle volte, «Non posso essere passata semplicemente per salutare un vecchio amico?».
«Dopo quanto, tre anni?», si accarezzò distrattamente il mento, fingendosi impegnato in un calcolo complicato. «E guarda caso proprio il giorno in cui Draco ha chiesto la mano di tua sorella», scoppiò in una risatina ironica, «una bella coincidenza, non c’è che dire».
Daphne rimase nuovamente in silenzio, sostenendo il suo sguardo con la stessa risolutezza che lui le aveva sempre detto di trovare irresistibile. «E tu come lo sai?», chiese infine riprendendo a muoversi, quasi non riuscisse a stare ferma.
«Il testimone dello sposo lo sa prima di tutti, mi sembra ovvio».
  
 
3 Marzo 1999
Highlands scozzesi
 
«È inutile, perderai. Ancora».
«Non puoi contare sempre sulla fortuna», Theodore si voltò verso di lei, il vento freddo delle lande scozzesi che si impigliava tra i capelli scuri, scompigliandoli e donandogli un’aria quasi selvaggia.
Daphne lo trovò bellissimo, tanto da farle venire voglia di farlo scendere da quel cavallo e fare l’amore con lui lì, sulla spiaggia. Arrossì di quel pensiero, ma lui la rendeva dipendente dalle sue carezze, dai suoi baci, dalla sensazione di completezza che la avvolgeva quando entrava dentro di lei.
«E tu non puoi pensare che ti faccia vincere».
«Ti stai forse ritirando?». Rise guardandola alzare gli occhi al cielo e scuotere la testa, mentre si sistemava meglio sulla sella. «Avanti allora. Fino a quella collina», indicò un piccolo promontorio fatto di sabbia ed erba rigogliosa che si tuffava direttamente nell’acqua.
«Cosa scommettiamo questa volta?», improvvisò una treccia, legandola con lo stelo di un fiore raccolto tra le dune. «Sei già indebitato con me per le prossime due vite, forse ti conviene pensarci bene».
«D’accordo, se vinci tu», si guardò intorno, alla ricerca di qualcosa di interessante, «avrai manicure e pedicure garantite dal sottoscritto in persona. Per due… tre mesi». La risata di Daphne lo travolse come le onde sulla spiaggia, eccitandolo a dismisura.
«Ci sto. E se vinci tu…».
«Ah-ah-ah», alzò la mano, inclinando le labbra in un ghigno sornione, «se vinco io, scoprirai il mio desiderio solo alla fine».
«Prepara lo smalto», ricambiò il ghigno, spronando lo stallone bianco lungo la battigia.
«Ehi!», la debole protesta di Theodore si perse tra i rumori della risacca, mentre si lanciava all’inseguimento.
Galopparono senza freni tra l’acqua salata, che si alzava intorno a loro come fuochi d’artificio improvvisati. Il sole pallido di Marzo si nascondeva tra le nuvole basse, avvolgendoli in una luce morbida e quasi surreale. Sui rispettivi stalloni, sembravano un lampo e la sua ombra che sfrecciavano cavalcando il vento.
Theodore l’affiancò, arrivandole così vicino da sfiorarla, ma Daphne continuava a galoppare senza degnarlo di uno sguardo. Era un’amazzone straordinaria, fin da quando era una bambina. Se voleva vincere, avrebbe dovuto giocare d’astuzia. Con un piccolo incantesimo richiamò una coppia di gabbiani che volteggiava poco distante, facendoli planare a poca distanza dalle zampe del cavallo della Serpeverde. Lo stallone bianco perse il ritmo, rallentando l’andatura e permettendogli di guadagnare quei pochi metri sufficienti a raggiungere per primo la sommità della collina.
«Ho vinto!», esultò, alzando un pungo al cielo.
«Solo perché hai barato».
«Brucia la sconfitta, signorina Greengrass?», si sporse verso di lei, guardandola dritta negli occhi.
«Sono di buon cuore», inclinò la testa nella sua direzione, lo sguardo ipnotizzato da quelle labbra piene e appena schiuse, pronte per essere baciate, «non volevo farti finire sul lastrico». Non riuscì a resistere, passandogli una mano dietro la nuca e rubandogli il respiro con un bacio dolce ed esigente insieme. Un gemito le sfuggì quando le lingue si incontrarono, facendola spasimare fra le cosce. «Quindi, qual è il tuo premio, signor Nott?».
«Tu».
«Io? Non sono in palio».
«Sposami». Non lasciò per un solo istante i suoi occhi, allungando le dita fino a raggiungere la treccia adagiata sulla spalla, rubando il fermaglio improvvisato con cui l’aveva legata. L’aria salmastra del mare si insinuò tra le lunghe ciocche bionde, sciogliendole e facendole fluttuare come nastri dorati. «Posso appartenerti, Lena?», le infilò l’anello improvvisato all’anulare sinistro, il piccolo fiore bianco che risplendeva come un diamante, «Mi affido a te, come i gabbiani che si abbandonano alle correnti». Baciò il dito con cui aveva consacrato la sua promessa, «Sposami».
 
 
Theodore si piegò in avanti, poggiando i gomiti sulle ginocchia e studiandola con uno sguardo indecifrabile. Era combattuto, ma aveva imparato molto tempo prima a dissimulare ogni emozione, nascondendola dietro un velo di indifferenza. Vederla nuovamente lì, in quella stanza in cui erano stati molto più loro stessi che in qualunque altro posto, lo destabilizzava. Aveva pregato ogni giorno tutti gli dèi di cui conosceva il nome, di vederla affacciarsi da quella maledetta porta che lasciava aperta solamente per lei. «Che cosa vuoi Lena?».
«Una volta non mi avresti mai chiesto il motivo per cui mi trovavo qui».
«Una volta non avrei avuto bisogno di chiedertelo». La Serpeverde si morse un labbro, lasciandosi andare ad un profondo respiro. Perché era lì? Non lo sapeva, ecco tutto. «Visto che sembri aver perso l’uso della parola, proverò a indovinare», Theodore si alzò, avvicinandosi all’ex compagna di Casa e sorseggiando con calma il Firewhisky di ottima annata. «La tua cara sorellina si sposa prima di te, assolvendo i compiti di una perfetta figlia Purosangue, mentre tu…», le arrivò alle spalle, chinandosi appena per poterle soffiare all’orecchio, «tu sei ancora alla ricerca della felicità che ti fa più comodo». Fece ondeggiare il ghiaccio nel bicchiere, prendendo un nuovo sorso, «Così hai pensato di tornare dal caro vecchio Theodore, che non avrebbe fatto domande scomode, offrendo magari anche un po’ di consolazione. Correggimi se sbaglio».
«Cosa ti fa credere che non sia felice?».
«Sei una brava bugiarda Lena, ma con me non attacca», si fece ancora più vicino, troppo perfino per la sua resistenza messa a dura prova. «È come guardare lo spettacolo di un mago di cui conosci tutti i trucchi. Posso applaudire, se è quello che cerchi, ma non aspettarti che ci creda».
Daphne si girò ad affrontarlo, facendo il madornale errore di incontrare i suoi occhi. Erano così blu ed intensi che per un attimo pensò fossero fatti della stessa sostanza della notte. Trattenne il fiato, offrendogli solo la sua espressione più altera in risposta, «Mostrami la tua, di felicità, visto che dispensi consigli di vita non richiesti».
Ci fu un istante di perfetto silenzio, mentre continuavano a fissarsi come un leone e una leonessa a caccia della stessa preda. Bastò la distrazione di un battito di ciglia da parte di Daphne, perché Theodore le passasse rapido un braccio attorno alla vita, cercando la sua bocca quasi con rabbia. Premette la mano aperta alla base della schiena, spingendosela contro e ignorando ogni suo tentativo di protesta, fermando per istinto la mano sollevata per colpirlo. Non fu un bacio romantico, ma sincero e spietato come erano sempre stati loro.
«Mi fai male», mugugnò la Serpeverde quando la presa sul suo polso si fece più stretta, cercando di riprendere fiato e inarcandosi nel vano tentativo di sgusciare dal suo abbraccio. «Sei un idiota, lasciami!».
«Non sono io a trattenerti, puoi andartene quando vuoi», Nott mollò la presa, lasciando che solo le loro labbra rimanessero a contatto e baciandola con una dolcezza nuova.
Daphne sapeva di doverlo fare, bastava un semplice passo indietro e Theodore le avrebbe permesso di uscire da quella stanza e dalla verità che aveva sempre custodito. Ma non ci riusciva. «Cosa volevi dimostrare?», respirava la sua stessa aria, fissandolo da sotto le lunghe ciglia, «Dimmi Theodore, cosa diamine pensavi di dimostrare?». Lo colpì con un pugno sul petto, stringendo la maglia tra le dita con rabbia.
«Assolutamente niente, sto solo rispondendo alla tua domanda», le morse il labbro inferiore, approfittando del suo gemito per cercarle la lingua e provare il suo sapore. Lo aveva immaginato talmente tante volte, da rimanerne sorpreso quando finalmente lo scoprì. «Sei sempre stata la mia dose personale di felicità».
Daphne non fu in grado di fare altro che ricambiare quel bacio. Avevano passato praticamente tutta la vita a guardarsi le spalle a vicenda, che fu come rimanere sorpresi da un attacco traditore da parte del più fidato degli alleati. In qualche modo lo sapeva che era lì, tra quelle braccia e dentro quegli occhi, che si trovava la risposta. Theodore gliel’aveva offerta su un piatto d’argento, fin dal primo giorno in cui si erano incontrati.
Lo allontanò con una spinta, passandosi una mano tra i capelli e poi sul viso. Era troppo semplice, lui non poteva davvero essere la soluzione di tutto e lei non poteva essere stata così cieca per tutto quel tempo. «Io non sono in grado di rendere felice nessuno», si ritrasse di scatto, poggiando due dita sulle labbra quasi volesse una prova tangibile di quello che era successo. Furono ancora una volta quei maledetti occhi color oltremare a infrangere ogni sua debole difesa, ai quali cercò di sfuggire oltrepassandolo quasi correndo.
«Perché hai sempre chiesto alle persone sbagliate».
La voce di Theodore la fermò quando si stava ormai chiudendo la porta alle spalle, avendo su di lei lo stesso effetto di una Maledizione Senza Perdono. Se avesse dato retta al cuore, di sicuro sarebbe tornata sui suoi passi e si sarebbe concessa di crollare finalmente tra quelle braccia che avrebbero nascosto ogni sua debolezza. «Se lo domandassi a te, cosa risponderesti?».
«Cambierebbe qualcosa se te lo dicessi?».
«Non si risponde a una domanda con un’altra domanda, è da maleducati», strinse le dita attorno alla porta fino a farsi sbiancare le nocche.
«Anche tu non stai rispondendo, direi che siamo pari», le voltò le spalle, dedicando la sua attenzione ai numerosi schizzi che aveva abbandonato sulla scrivania, «quindi ti ringrazio per la visita Daphne, mi ha fatto davvero piacere. Ora se non ti dispiace, avrei da fare».
La Serpeverde aprì le labbra per rispondere, ma ogni parola che le passò per la mente scomparve come fumo nel vento. Attese, nella vana speranza che lui ci ripensasse, che si girasse mostrandole quel sorriso indecifrabile che le faceva battere più forte il cuore. Che le offrisse un’altra possibilità – l’ultima, la definitiva – per trovare il coraggio di dirgli tutto quello che meritava di sapere.
Ma Theodore non lo fece, lasciandole come unica scelta quella di chiudere la porta dietro di sé senza fare troppo rumore.



 
Benvenute/i care/i lettrici/lettori ^^
Eccomi qui con un'altra piccola storia - questa volta suddivisa in due capitoli.
Il contest a cui partecipa prevedeva alcuni vincoli, ed una volta scelto il pacchetto Daphne e Theodore si sono
presi il ruolo di protagonisti a forza XD
Io AMO theodore Nott, nonostante di lui si sappia pochissimo. Ma un po' come Blaise, mi piace immaginarlo
come un Serpeverde "atipico", con una buona dose di ironia e una gentilezza innata.
Spero che questo primo capitolo vi abbia incuriositi, tanto da farvi venire voglia di leggere il prossimo!
A presto e grazie a tutti coloro che avranno voglia di
lasciare un segno del proprio passaggio.
Le recensioni sono il pane per noi scrittori, quindi non siate timidi XD
A presto!
Morgana

 
  
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