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Autore: gabryTheGift    02/07/2020    1 recensioni
Ho provato a mettere su carta i pensieri e le emozioni che ho provato durante la quarantena, giorni fatti d'angoscia e di monotonia che hanno visto il mondo cambiare.
Genere: Generale, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Marzo

È arrivata la primavera, una primavera che non potrai mai dimenticare.
Improvvisamente ti accorgi che una piccola finestra è diventata tutto il tuo mondo e ti rendi conto che qualcosa, in quel mondo che cerchi di riassaporare dal buco della tua stanza, è cambiato. Forse per sempre.
Le giornate passano e sono tutte uguali, che il cielo sia sereno o che ci sia una pioggia torrenziale non ha molta importanza.
Sei chiusa in casa, devi rimanerci a causa del virus, del covid19, del coronavirus.
Puoi scegliere il nome che più ti aggrada.
A causa sua non puoi più chiederti se oggi i treni saranno puntuali o se arriveranno più in ritardo del solito.
Devi stare a casa.
Non c’è bisogno di sostituire il cappotto con un giubbotto più leggero, per non sudare mentre corri trafelata da un capo all’altro della città.
Tutto è fermo, anche se i giorni passano e senti il cinguettio degli uccellini sul davanzale della tua amata, oggi più che mai, finestra.
Il caffè, quello che avresti dovuto fare il giorno dopo con la tua amica, è ancora sospeso.
Ogni tanto ti chiedi quando potrai recuperarlo.
Nei giorni di sfrenato ottimismo ti dici che, magari, tra un paio di mesi potrai sederti di nuovo al bar e passarci le ore per parlare di quel pettegolezzo che dovete sviscerare, con dovizia di particolari.
Altri giorni, invece, quelli più tetri, ti dici che non tornerà mai nulla come prima, che ormai la tua vita, la vita dell’intero mondo è cambiata per sempre.
Non si può uscire.
Devi farlo solo se strettamente necessario, per ragioni di salute, lavoro o per recarti al supermercato.
Uno spot che passa tutti i giorni, tutti i minuti, alla tv insieme ad una stupida musichetta che hai finito per odiare profondamente. Una musichetta fastidiosa che ormai è diventata parte della tua quotidianità.
Dopo una decina di giorni quasi non senti più quello stupido componimento musicale.
E un pensiero ti ronza improvvisamente nel cervello: abituarsi è molto peggio.
Egoisticamente ti chiedi perché sia capitato adesso. Perché, questo virus che ti ordina di essere distante, di non avere contatti con nessuno, di restare solo, chiuso in casa, di avere paura, sia arrivato proprio adesso. Sia arrivato nel mondo quando ci sei ancora tu e ci sono ancora tutti i tuoi affetti, quelli che nel corso della vita ti sono rimasti.
Poi capisci che è un pensiero orrendo, che nessuno dovrebbe avere paura di vivere e ti penti di ciò che hai pensato.
Il pentimento è, in qualche modo, rassicurante perché ti rendi conto che sei ancora un essere umano, nonostante tutto.
 
 
Aprile.
Ad aprile sei stanco.
Lo sono tutti.
La gente vuole riprendere a lavorare.
Il virus fa paura ma non tanto quanto rimanere senza soldi, senza cibo, senza lavoro.
Ti rendi conto che questa malattia arrivata da lontano, di cui nessuno conosce nulla e di cui nessuno ha una risposta, ha mietuto tante vittime. Ti rendi conto che ne farà altre. Tante altre.
I giorni passano, come è accaduto a marzo. Ci sono giorni buoni, giorni particolarmente apatici, giorni cattivi ma sempre uguali. Cambia solo il tuo approccio alle giornate, il tuo umore.
Ma quello cambia ogni ora.
Resta a casa.
Esci solo se strettamente necessario: per lavoro, salute o per recarti a fare la spesa.
Quante volte l’ho letto in tv? Ormai non lo ricordo più.
Resta a casa. Non uscire.
 
Maggio.
È passato un altro mese, lo sai vivendo.
Il 4 maggio comincia la fase 2: la convivenza con il virus.
Da oggi si può uscire, con mascherina e guanti. Hai diritto ad una piccola passeggiata.
Puoi camminare con gli altri ma devi avere una distanza di sicurezza di almeno un metro.
Non puoi toccare nessuno.
Devi pensare che tutti siano potenzialmente degli “untori”, si spera inconsapevoli.
Improvvisamente ti rendi conto che ti sei quasi tolta il vizio di mangiare la pellicina attorno alle unghie.
Non era mai successo.
Ti rendi conto che la paura è un grande motore.
Devi stare distante almeno un metro.
Non portarti le mani al viso.
Lavale spesso con acqua e sapone oppure usa un gel a base alcolica.
Ormai sono parole talmente radicate nel tuo quotidiano che forse, se non passassero costantemente alla tv, ne sentiresti quasi la mancanza.
Alcuni sono tornati al lavoro.
Qualcuno, prima di entrare, ti controlla la febbre prima di poterti sentire dire che puoi passare, che sei idoneo, che forse non sei malato.
Se la tua temperatura corporea supera i 37,5 gradi devi stare a casa.
Chiamare il tuo medico e sperare che sia solo una stupidissima influenza.
Com’è strano il mondo in cui vivi adesso.
Non puoi fare assembramento ma puoi vedere un congiunto.
Congiunto.
Una parola che molti prima non conoscevano. Una parola che i più grandi magari hanno cercato sul dizionario e che, forse, i più piccini hanno cercato su Google.
È una cosa che ti fa sorridere perché in fondo non cambieremo mai.
Da una parte ti spaventa ma dall’altra è così consolante che forse, davvero, la vita potrebbe tornare ad essere normale tra qualche mese.
Forse davvero, con il tempo, potremmo tornare a vivere. A vivere davvero.
Forse, questa, diventerà solo una pagina di storia.
Una pagina da raccontare quando sarai più grande.
Una pagina da raccontare quando i tuoi capelli saranno bianchi e sarai seduta su quella stessa panchina che, tanti anni fa, in quegli stessi giorni, ti era proibita.
  
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