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Autore: _EverAfter_    03/07/2020    4 recensioni
Come sarebbero andate le cose se Black Star fosse andato alla ricerca di Excalibur da solo?
Era stato un errore, uno dei peggiori che potesse commettere.
Se l’avesse saputo non si sarebbe certo messo alla ricerca di quel mito della malora. Se ne sarebbe rimasto a pulire fino all’ultima insipida particella di pulviscolo che aleggiava nella vecchia biblioteca della Shibusen.

Attenzione: presenza di linguaggio lievemente scurrile.
✦ Prima Classificata al Contest "Il Colore Del Peccato" di Laila_Dahl sul forum di EFP.
Genere: Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Black Star, Excalibur
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Era stato un errore, uno dei peggiori che potesse commettere.
Se l’avesse saputo non si sarebbe certo messo alla ricerca di quel mito della malora. Se ne sarebbe rimasto a pulire fino all’ultima insipida particella di pulviscolo che aleggiava nella vecchia biblioteca della Shibusen. Avrebbe sistemato i libri sugli scaffali in ordine cronologico e l’altra metà in ordine alfabetico. Avrebbe grattato via la muffa dai tomi più vecchi e riverniciato le pareti consumate dall’umidità.
Black Star sarebbe stato disposto persino a scrostare via dal bancone del bibliotecario tutte le fottute chewing gum che puntualmente lo schifoso panzone appiccicava sotto al legno della scrivania, come uno studentello da quattro soldi che non avesse voglia di alzarsi per buttarle nel cestino dell’aula.
E invece no. Era lì, in quella grotta umidiccia e fangosa, con una sottospecie di bipede dal discutibile colore bianco tendente al giallo – della stessa tonalità dei moribondi mangiati dall’ittero – e gli occhi allucinati di chi abusava un po’ troppo di marjuana. Come se non bastasse già il bizzarro e grottesco aspetto, la creatura portava un cappello più alto della sua stessa statura ed un fastidiosissimo bastone che continuava a puntargli contro, attentando in continuazione alla sua pazienza – non che il meister ne avesse molta. In pratica, quell’irritante gargoyle gli pareva la misera riproduzione d’un formichiere travestito da mago.
Black Star s’era ritrovato quel coso davanti perché aveva impugnato piuttosto incautamente la splendente elsa, forgiata dal giallo sfolgorante tipico dell’oro. V’era stata un’immensa luce che aveva illuminato la grotta buia, sbattendo con violenza lungo le ombre delle stalattiti e riflettendosi nell’acqua stagnante. Avrebbe potuto aspettarsi di tutto: un demone, un angelo, un messia. Ed invece era apparso lui.
— E tu saresti la Sacra Spada? — aveva farfugliato tentando di contenere una risata, ancora ignaro di chi si trovasse davanti. — Conciato in quel modo? È patetico.
Excalibur aveva sbuffato con nonchalance, puntandogli il bastone contro e rispondendogli con tono imperioso: — Scusa se mi permetto, ma in quanto a look tu hai ben poco da criticare.
Black Star, la cui indole era votata esclusivamente alla piena consapevolezza della sua forza, non sapeva ancora che la superbia non fosse un vizio esclusivo della sua persona, ma che potesse esprimersi anche attraverso altri individui. In quel caso, altri esseri.
— La mia leggenda comincia nel Dodicesimo secolo —, esordì la Sacra Spada, interrompendo la presentazione del ragazzo che aveva tentato di dirgli il suo nome. — Tu sembri essere un meister, da dove vieni?
Black Star tentò di fare appello al suo buonsenso, limitandosi a spostare il bastone che il formichiere giallognolo continuava a sbattergli contro. — Piantala di puntarmi quel bastone addosso. Comunque vengo dalla Shib…
— Lo so! — Excalibur lo interruppe ancora. — Voglio mostrarti una cosa.
Il meister accigliò lo sguardo, concedendosi d’osservare lo stravagante animale mentre camminava, rimanendo in realtà sempre nello stesso punto. — Non sente neanche quello che gli si dice —, mormorò innervosito, ignaro che – a dirla tutta – anche lui non fosse un campione ad ascoltare gli altri compagni.
Excalibur si girò nuovamente verso il ragazzo, puntandogli ancora una volta l’asta contro. Black Star, se fosse stato abbastanza vicino, gliel’avrebbe volentieri spezzata in due.
— Vuoi conoscere la mia leggenda? — gli chiese, tra le minacce del meister che continuava ad ammonirlo sul togliere quel fottuto bastone. — È una storia eroica! — continuò, poi chiese: — Allora, da dove vieni?
— Ti ho già detto che vengo dalla Shibusen.
— Qual è il tuo numero preferito da uno a dodici?
Quella domanda pareva non aver senso – come tutte le cose che Excalibur aveva detto fino a quell’istante – eppure Black Star rispose con un sicuro: — Mi sembra così ovvio! Non può che essere l’uno, proprio come me. Io sono il numero uno!
Che il giovane dai capelli cianotici fosse ormai consacrato alla hybris[¹] era già cosa nota a tutta la gente della Shibusen, che ormai considerava il meister alla stregua d’un fanatico superbo e immodesto, convinto che non potesse esistere nessuno migliore di lui – nonostante la sua inconsapevolezza di non essere certamente il migliore del mondo, cosa che Tsubaki non faceva altro che ripetergli. Per cui non fu semplice per Black Star rimanere impassibile di fronte alla voce autoritaria e insopportabile del triste omuncolo, mentre asseriva con dispotica fermezza: — Sei un cretino.
Excalibur gli puntò ancora una volta il bastone verso il suo naso. — Non hai alcun diritto di scegliere! — Poi, con la solita aria che forse era ancor più altèra di quella di Black Star, ripeté: — La mia storia comincia nel Dodicesimo secolo.
— Ma prima mi hai chiesto il mio numero preferito! — biascicò tra i denti il meister, trattenendo un ringhio dovuto alla frustrazione.
La Sacra Spada scaraventò il bastone contro di lui. — Vuoi conoscere la mia leggenda o no?
La prima vena pulsante spuntò dal nulla sulla tempia del ragazzo, che sibilò: — Ti ho detto di piantarla con quel maledetto bastone.
La seconda apparve sullo zigomo, quando sentì Excalibur ripetere: — La mia leggenda comincia nel Dodicesimo secolo. — La terza sorse sull’altra tempia quando lo sentì cianciare su cosa bevesse la mattina, il pomeriggio e la sera prima di coricarsi.
— Un bicchierino? — lo interruppe il ragazzo, prosciugato da ogni energia. — Mi sembra adatto per un vecchietto come te.
— Cretino! — lo rimproverò la spada. — La serata comincia mettendomi il pigiama!
All’inizio Black Star s’era imposto di trattenere la risata per la grottesca figura che gli era apparsa davanti. Eppure, in quel momento l’ilarità che aveva provato prima aveva ceduto il passo ad un’inquietante ira, ch’era uno di quei vizi che non aveva mai davvero sperimentato. Ammesso che ne avesse mai provati altri, oltre alla superbia. — Tutto questo non c’entra un bel niente.
— Cretino! — Excalibur scrutò il ragazzo con quei suoi assurdi occhi fatti solo di pupille. — Sai cos’è questo cappello?
— Che?
— Ti ho chiesto se sai cos’è questo cappello!
— Come faccio a saperlo, scusa?
— Cretino! Allora se non lo sai te lo dirò io! — Con un’aura incredibilmente austera nonostante la sua schifosamente ridicola altezza, la spada continuò con gravità: — Più è alto il cappello di uno chef, più è grande lo chef.
— Quindi stai cercando di dirmi che sei un grand…
— Cretino! Io non sono uno chef!
Black Star si convinse a ritrattare tutto quello che aveva pensato della Sacra Spada fino a quell’attimo: Excalibur non era affatto posseduto dalla superbia. Era solamente il più grande imbecille che avesse mai incontrato – il che, da un certo punto di vista, era persino consolante.
— Lo sai che non hai un minimo di coerenza? —  domandò retoricamente, consapevole di non potersi irritare più di tanto con quel folle omuncolo. D’altronde, era convinto che i pazzi andassero sempre assecondati in una maniera o nell’altra.
— È per questo che non sopporto i paesani —, asserì infine il formichiere giallo, voltandogli le spalle. — Dopotutto, non sono il migliore del mondo. Anche se penso che nessuno sia meglio di me.

Che nessuno sia meglio di me.
Che nessuno sia meglio di me.
Che nessuno sia meglio di me.

— Bastardo! — Fu tutto quello che uscì dalla bocca di Black Star, mentre la rabbia prendeva il sopravvento e la furia mandava al diavolo la sua discutibile pazienza. Non aveva mai conosciuto un essere così sorprendentemente insoffribile e indigesto, ed una parte di sé arrivò persino a chiedersi se lui apparisse in quel modo agli occhi dei compagni. Non sapeva come, ma se fosse davvero stato così, avrebbe dovuto trovare ben più d’una maniera per scusarsi con loro. — Ti odio con tutto me stesso! Sacra Spada un cazzo! Questa merda di libro è completamente inaffidabile! — Strinse tra le mani il tomo, controllando l’autore e sorprendendosi di trovarci scritto sopra il nome della spada incriminata. — L’hai scritto tu?!
Excalibur gli puntò il bastone contro. — Non rilascio autografi.



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S’accorse che persino la sua risata supponente gli stava sulle palle: non avendo una bocca, quel formichiere giallognolo si limitava ad un grugnito scomposto e decisamente poco opportuno, che tuttavia aveva la singolare caratteristica di far incazzare Black Star ben più di quanto sarebbe stato in grado di fare quel secchione di Kid. Se il figlio di Shinigami fosse andato con lui, almeno in quel momento sarebbero stati in due a soffrire.
Invece il discendente della Stella era solo, ed in mano stringeva una risma intera di fogli che, come il loro proprietario, parevano ingialliti a causa della muffa e dell’umidità. Si ritrovò a sfogliarne qualcuno, incapace di comprendere a cosa servissero e soprattutto titubante su che razza di assurdità ci fossero scritte sopra. Il meister alzò un sopracciglio diffidente, mentre si concedeva alla scialba lettura dei numeri scritti in cima al primo foglio, volgendo poi lo sguardo verso la Sacra Spada. — Che diavolo sarebbe?
Excalibur si limitò ad ignorare la domanda, mentre con le pupille dilatate si lanciava in un appassionante sermone sui vari compiti di un maestro d’armi. Black Star, che di certo non spiccava per sagacia e capacità di concentrazione, si limitò a concepire l’ingrata omelia come una noiosissima lezione del professor Stein, mentre la sua mente vagava alla ricerca del perché si trovasse lì con quel ridicolo omuncolo. Avrebbe potuto fare molte altre cose quella mattina: allenarsi, studiare in vista dell’esame, aiutare Tsubaki con la pulizia della biblioteca. Invece s’era fatto infinocchiare da Kid sulla ricerca dell’arma più potente di tutte, dannandosi per non essere stato abbastanza lungimirante da non rendersi conto che Excalibur sarebbe potuto essere una fastidiosa palla al piede, col vizio dell’egocentrismo e con quel suo fottutissimo bastone che gli avrebbe volentieri infilato in ogni posto dove non battesse il sole.
Il meister non s’era mai troppo interrogato sul concetto di superbia. Forse perché essa costituiva una parte della propria indole, o forse più semplicemente perché per lui essere arrogante e sicuro di sé non aveva mai costituito davvero un problema, al contrario. Considerava la sua presunzione come un vantaggio, un punto da cui partire per poter sminuire chi gli stava di fronte. Non s’era premurato di migliorarsi, perché non ve n’era mai stato bisogno: sapeva – e questo per via della sua incrollabile sicurezza – che gli altri non gli avrebbero rimproverato in nessun caso quella condotta, che in situazioni di pericolo s’era persino rivelata utile, se non indispensabile.
Black Star, così pieno di sé che avrebbe dovuto esser alto almeno altri due metri per poter contenere tutta la presunzione della sua anima, non s’era mai trovato dalla parte di chi gli stava di fronte. Lo provò solo in quell’istante, mentre Excalibur continuava ad ammorbarlo con la storia della sua esistenza, perdendosi nei meandri della sua mente contorta e che si dilettava a passare rapidamente in rassegna tutte le sue discutibili e fantasiose esperienza di vita – ammesso che fossero vere, perché al meister non parevano poi così convincenti.
Quell’arma, che gli pareva possedere il suo stesso vizio[²], rasentava il perfetto individuo da cui stare alla larga, e nonostante questo Black Star si sorprese di quanto gli somigliasse: considerarsi il migliore e credere che non potesse esistere nessuno capace d’essere in gamba almeno quanto lui; era questa la prerogativa che più li accomunava. E la cosa risultava così fastidiosa che persino Dio s’era rifiutato di mandarli all’Inferno, condannandoli a quel limbo chiamato Purgatorio ch’era prerogativa di quelli che in vita avevano scelto il proprio ego a scapito di una vita umile[³]. Black Star, in quel momento, si sentì proprio come le cariatidi descritte dal Sommo Poeta, con un pesante fardello sulle spalle che sembrava soffiargli all’orecchio: “Visto? Questa è la tua punizione.”
— Cretino! — sentì gridare all’improvviso. — Non stai prestando attenzione! Sai che ora è?
Il meister lo fissò imbambolato, perso nelle sue deprimenti elucubrazioni. — Cosa?
— Ti ho chiesto se sai che ora è.
— Non ho un orologio.
— Cretino! — Excalibur gli puntò il bastone contro. — Torniamo al compito numero cinque.
— Quanti diavolo di compiti sono? — sbiascicò stanco il ragazzo, certo di non aver mai provato prima quel senso di affaticamento.
— Cretino! Non hai ascoltato. I compiti sono mille.

I compiti sono mille.
I compiti sono mille.
I compiti sono mille.

— Ma tu sei completamente pazzo! — ringhiò iracondo il meister, buttando al vento la risma di fogli che, per qualche strano scherzo della mente, stringeva ancora tra le mani. — Chi cazzo vuoi che prenda sul serio questa cretinata? Hai idea di quante altre armi esistono nel mondo?
— Cretino! — Excalibur si concesse ad un’altra supponente risata, mentre il riflesso dell’acqua stagnante gli rigava il volto d’un giallo sempre più acceso, rendendolo la perfetta allegoria del peccato col quale Black Star sembrava scontrarsi. — Potrò non essere l’arma migliore del mondo, ma penso che non ne esista nessun’altra migliore di me!
— Che diavolo vuoi che m’importi se sei l’arma migliore? — Il ragazzo digrignò la mascella e dilatò le pupille, contenendo il fumo che sembrava uscirgli dalle narici e che lo rendeva simile a un cinghiale pronto a caricare. — Sei un rompiballe colossale, non sopporto di vederti un secondo di più!
Gli voltò le spalle, deciso a prendere la via del ritorno. Era certo che, di lì a poco, il suo cervello avrebbe avuto un’embolia se non fosse stato abbastanza scaltro da sfuggire al molesto formichiere; ma nonostante i suoi sforzi, la voce di Excalibur si fece più imperiosa, dicendogli: — Ehi tu! Non vuoi diventare il meister più forte?
Certo che lo voleva. Passava la maggior parte dei giorni ad allenarsi come un folle, impiegava ore per cercare d’imparare – seppur senza molto successo – ad essere un bravo assassino, aveva persino dedicato gran parte del suo tempo ad ascoltare le infinite prediche di Tsubaki, che puntualmente lo sgridava per la sua discutibile condotta. Black Star non aveva mai bramato altro nella vita se non la consapevolezza d’essere il migliore di tutti, celando il suo obiettivo dietro ad una facciata fintamente buonista e mostrandosi per ciò che era solamente nei momenti più difficili. Quel suo spietato orgoglio era il sintomo più genuino della sicurezza che nutriva verso sé stesso, eppure in quell’istante – per la prima volta – vacillò. Excalibur, con lo sguardo dilatato e il bastone puntato contro il suo naso, sembrava la personificazione della sua stessa indole e Black Star si ritrovò a pensare che ciò che si portava dentro facesse davvero schifo, se aveva assunto le fattezze d’un fastidiosissimo formichiere giallo col cappello e il bastone, simile a una brutta copia d’un triste cabarettista di squallidi locali notturni.
— Più forte un cazzo, — sbottò infine il meister, che iniziava a percepire un’insolita spossatezza, — non ho alcuna intenzione di farmi venire un esaurimento per causa tua! Vattene al diavolo!
Si voltò, sguazzando ancora una volta per la stessa via dalla quale era venuto. A nulla valsero i compromessi che Excalibur tentò di negoziare, accettando persino di ridurgli gli ingrati compiti. Black Star non si voltò mai a guardarlo, e in quella sua decisione l’orgoglio non sembrava avere voce in capitolo: il meister era semplicemente distrutto, incapace di pensare ad altro che non fosse tornarsene alla Shibusen.
Quando si ritrovò di fronte al grande palazzo, il suo sguardo riuscì a stento a tollerare la fiamma gialla delle candele, di quella lucentezza che gli ricordava l’essere molesto che aveva appena abbandonato nella caverna. Tsubaki, come un cane che aspettasse fedelmente il padrone, era di fronte al portone con quella sua solita aria innocente e trasognante.
— Black Star! — la sentì chiamare, con il tono di chi era visibilmente preoccupato. — Ma dove sei stato?
Il meister afferrò saldamente le spalle sottili e morbide della sua arma, ch’era il gesto più simile ad un abbraccio che avesse mai potuto concederle. — Tsubaki.
— Sì?
— Sono stato in Purgatorio.
Tsubaki lo fissò, sbarrando lo sguardo in preda alla confusione. Sapeva quanto fosse pericoloso contraddire Black Star, perciò si limitò a domandargli: — E… E com’è stato?
Black Star ripensò ad Excalibur, ai piagnistei, ai continui battibecchi, alle storie inventate e ai mille compiti trascritti in duplice copia sulla risma di fogli. Poi si concesse al ricordo più angosciante: quella risata molesta gli riecheggiò alla mente come l’eco distorto d’un terrificante incubo.
Storse il naso, concedendosi ad una smorfia tormentata.
— Un inferno.




Fine




NOTE:
[¹] Un topos (tema ricorrente) della tragedia greca e della letteratura greca. Significa letteralmente "tracotanza", "eccesso", "superbia", “orgoglio” o "prevaricazione". Si riferisce in generale a un'azione ingiusta o empia avvenuta nel passato, che produce conseguenze negative su persone ed eventi del presente. È un antefatto che vale come causa a monte che condurrà alla "catastrofe" della tragedia {Wikipedia}.
[²] Riferito appunto alla superbia, che erroneamente viene definito peccato, ma in realtà è appunto un vizio.
[³] Riferimento alla Divina Commedia di Dante Alighieri.



Angolino di ver

Ragazzuoli e ragazzuole, ammetto che questa storia è davvero uno sclero della mente e non so se abbia la facoltà di poter essere definita decente! xD
Ho passato due settimane davvero infernali, tra il lavoro, i viaggi continui e la mancanza di sonno. Durante le brevi parentesi in cui ho potuto scrivere, la mia mente si è rifiutata totalmente di collaborare sulle storie che mi sono più congeniali, ed ho finito per buttarmi su una vera e propria follia! ^^"
Nonostante tutto sono davvero felicissima d'aver avuto l'opportunità di scriverla: io adoro Black Star, e adoro Excalibur. Cioè dai, chi non ama quel fastidiosissimo omuncoletto da quattro soldi che spara assurdità una dietro l'altra?
Volevo un attimo scrollarmi di dosso l'angst che come sapete mi caratterizza nella mia essenza più intima, so che la commedia non è proprio il mio genere, ma spero comunque di essere riuscita a scrivere qualcosa che valga la pena leggere - se così non fosse, me ne scuso profondamente xD.
Ringrazio Laila_Dahl per avermi dato l'idea per la storia, il suo contest Il colore del Peccato l'ho trovato davvero molto calzante con ciò che volevo scrivere, per cui grazie davvero di cuore!


_EverAfter_
  
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