Film > The Avengers
Segui la storia  |       
Autore: _Lightning_    08/07/2020    4 recensioni
Si chiede se si possa elaborare una sintesi chimica, per dimenticare, per farsi scappare i ricordi dal cervello e lasciare dietro di loro una tavola intonsa e spoglia, pronta ad essere incisa di nuovo con lettere meno aguzze. Non lo sa. Sa risolvere problemi e nodi quantistici, ma la scienza delle emozioni gli è sempre stata troppo oscura per anche solo tentare di approcciarla. No, non sa quale sia la formula della dimenticanza. Non spetta a lui scoprirla, e di certo non ha nulla a che fare col perdono.
[post-Endgame // What If? // Stark&Barnes // Civil War fix-it // Introspettivo // PoV Tony // Capitolo 1/2]
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: James ’Bucky’ Barnes, Tony Stark/Iron Man
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<  
- Questa storia fa parte della serie 'As if it never happened'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
*Avviso importante nelle NdA

Dimentica il mio nome



SHYLOCK: Is that the law?
PORTIA: Thyself shalt see the act.
For as thou urgest justice, be assured
Thou shalt have justice more than thou desirest. 
[1]

Parte II – Vetro



L’aria è solida e deve essere intaccata con uno scalpello ad ogni respiro, immettendo sottili schegge nei polmoni. Tony si sente in uno di quei vecchi film con due pistoleri intenti a fronteggiarsi sotto il sole a picco, e quasi gli pare di sentire una musica di fischiettante tensione nelle orecchie.* Ma l’unico suono a cadenzare i loro sguardi in rotta di collisione è la sporadica goccia che sfugge dal rubinetto impattando seccamente contro il lavello.

Tony deglutisce il caffè percependolo come magma – troppo caldo, troppo viscoso – ma lo manda comunque giù oltre al pomo d’Adamo che gli si è incastrato in gola. Barnes serra le dita metalliche sulla spalliera del divano, ritmicamente, seguendo una marcia tutta sua, ed è un movimento ipnotico che ricorda lo strizzare di un grilletto. Il caffè gli arriva nello stomaco e poi risale, bloccandosi nel cardias a premere contro il diaframma. Gli fa male lo sterno lungo le sottili fratture rimarginate ormai da anni, e crede di sentirlo spezzarsi come un osso di seppia da un momento all’altro.

Non sa più cosa sia un ricordo e cosa una sensazione reale. Si chiede se si possa elaborare una sintesi chimica, per dimenticare, per farsi scappare i ricordi dal cervello e lasciare dietro di loro una tavola intonsa e spoglia, pronta ad essere incisa di nuovo con lettere meno aguzze. Non lo sa. Sa risolvere problemi e nodi quantistici, ma la scienza delle emozioni gli è sempre stata troppo oscura per anche solo tentare di approcciarla. No, non sa quale sia la formula della dimenticanza. Non spetta a lui scoprirla, e di certo non ha nulla a che fare col perdono.

Ma ha a che fare con le gabbie. Con quella toracica che gli hanno fracassato in Siberia, con quella arrugginita in cui vede chiuso Barnes e con quella venefica che rinchiude il suo stesso cervello. Forse serve una chiave, o forse va semplicemente divelta una sbarra alla volta. Ha una certa esperienza, in evasioni.

«Non mi piace avere sospesi,» proferisce infine, e le parole slittano verso Barnes con più lentezza di quanto dovrebbe essere possibile, suscitando una reazione tardiva.

Un leggero strizzare d’occhi e una contrazione della mascella unito al capo che si solleva, impercettibilmente. A metà tra attacco e difesa, di nuovo, e il braccio metallico riluce in modo innaturale, catalizzando la sua attenzione.

«Abbiamo sospesi?» chiede poi, lentamente, e se Tony ha l’istinto primario di prenderla come una provocazione, capisce poi all’istante che è una vera e propria domanda che richiede risposta.

«Non ne abbiamo?» è tutto ciò che offre, tastando un terreno apparentemente solido che nasconde sabbie mobili e paludi nere in cui è facile sprofondare.

Le dita metalliche si stringono di nuovo sulla fodera del divano; la stoffa si tende, e potrebbe strapparla con una semplice trazione, come decenni fa, quando si sono chiuse a pugno per abbattersi sul volto indifeso di Howard. Batte le palpebre e il sangue nerastro che le macchia sparisce assieme a un altro sorso di caffè dal nauseabondo retrogusto ferrigno.

«Non posso ripagarli, Stark,» enuncia infine, in punta di rasoio. «E lo sai che non posso, né da vivo né da morto. O mi avresti ucciso già in Siberia.»

«La tentazione c’è stata,» ribatte, senza una stilla d’emozione nella voce. C’è ancora, quella tentazione, bollata come disumana e incatenata nei reconditi del suo inconscio, e sa che Barnes riesce a vederla in trasparenza assieme a tutto il resto. «Non posso dire che sarebbe stata una scelta produttiva. Sono un tipo pragmatico. E appunto per questo non mi piace avere sospesi, considerando che l’ultimo ha collateralmente portato al dimezzamento dell’universo.»

Butta via quell’affermazione come fosse un commento casuale sul tempo, o su una qualunque incombenza casalinga di poco conto, e vede un lampo di sorpresa scorrere negli occhi cristallini del soldato. Dura una frazione di secondo, prima che le saracinesche tornino a calare sulle sue iridi.

«Steve?» chiede semplicemente, e Tony pensa tra sé che si è meritato la fama di cecchino, anche se forse Kennedy avrebbe da ridire in proposito.

«Potrebbe esserti giunta la voce che i nostri rapporti si sono… raffreddati, dopo che ha giocato al gioco del silenzio per qualche anno di troppo per poi concludere il tutto con una partita di Acchiappa la Talpa sul mio petto. Devo ancora presentargli il conto dell’osteopata.»

Cala una cortina di silenzio gelido, e vede che Barnes abbassa gli occhi per una frazione di secondo sul punto in cui Steve ha abbattuto lo scudo, per poi tornare a fissarlo negli occhi, teso.

«Non avremmo dovuto,» esala infine, e non capisce se stia parlando con rimorso o, più probabilmente, con la vergogna di un soldato che è uscito dai ranghi lasciando qualcuno indietro.

«Non avrebbe dovuto,» lo corregge d’impulso Tony, scrollando le spalle con una fitta che percuote la destra. «Tu ti reggevi a malapena in piedi ed eri un po’ troppo smontato per essere utile. Non è certo da te che mi sarei mai aspettato aiuto… insomma, per quanto ne sapevo eri ancora programmato per eradicare la stirpe degli Stark.»

Stavolta l’espressione che contrae il volto di Barnes è innegabilmente rabbia, tenuta a freno unicamente dalla particolare circostanza di stare parlando con lui, e non con chiunque altro. Tony sospira a mezza bocca, per poi gettare lo sguardo lontano da lui, oltre la vetrata affacciata sull’Hudson.

«So che non sei stato tu,» mormora infine, sentendo di pescare ogni parola come un pesce riottoso tirato all’amo, e vede il piccolo scatto degli occhi di Barnes, come se credesse che quella frase sia rivolta a qualcun altro. «Sono un genio: invento roba, scopro cose, creo e risolvo crisi mondiali… posso arrivarci. Eppure,» fa un cenno del mento verso il suo braccio artificiale, «non è così facile ricordarsene, con quell’affare davanti agli occhi. O dimenticare, se è per questo.»

«Non è stato questo braccio,» replica Barnes, in quello che adesso sembra un tono cauto e quasi… gentile che lo prende in contropiede. Ruota la protesi per mostrargli l’assenza della stella cremisi sulla spalla e il vibranio perfettamente immacolato del Wakanda, ma vede comunque il metallo sovietico cromato e la stella a cinque punte in sovrimpressione, tatuata nelle retine. «Ma non mi aspetto che dimentichi. Ne so qualcosa, di associazioni mentali involontarie.»

Tony si ritrova ad annuire una volta, capendone abbastanza di intrusioni nella propria testa per provare una sparuta pagliuzza di empatia che gli incenerisce le sinapsi, inaspettata e indesiderata. Abbassa gli occhi a incontrare il fondo della propria tazza: vorrebbe qualcosa di più forte del caffè, in questo momento.

Gli scorrono in fondo alla mente vecchie foto di guerra, immagini rubate alle pause tra i combattimenti. Suo padre non amava mostrarle, contrariamente a quanto avrebbe suggerito la logica. La guerra e la sua rievocazione era solo un mezzo per infondergli un po’ d’acciaio nella spina dorsale: dei lutti, dei rimpianti, dei soldati perduti, di Steve Rogers e James Bucky Barnes non parlava mai. Era Capitan America, ad occupare la scena, la cui figura imponente oscurava il mondo ai suoi occhi di bambino e adolescente diventando un ostacolo da abbattere o aggirare.
Barnes sorrideva, in molte di quelle foto, impettito nell’uniforme come fosse in uno smoking a un gran galà al Plaza, nella Manhattan degli anni Quaranta. Sembrava nel suo ambiente naturale, ma Tony sa fin troppo bene quanto sia facile fingere davanti all’obbiettivo di una macchinetta fotografica. Ad alcune persone viene naturale, è un dono innato, e si ritrova a pensare che qualcosa in comune ce l’hanno, dopotutto, in quel contrasto di ferro inespugnabile e vetro falsamente trasparente.

Il rancore è corrosivo, gli torna in mente, dopo mesi da quando ha pronunciato quella frase. [2] Rischia di intaccare entrambi, continuando a scavare ferite una goccia d’acido alla volta.

«Cosa vuoi dirmi, Stark?» sbotta infine Barnes, facendolo quasi trasalire e procurandogli una schicchera al lato ferito e sempre più indolenzito con ogni minuto che passa in piedi. «Non sei tipo da aprir bocca senza un intento, e preferirei capire cosa vuoi da me, o cosa ti aspetti che faccia,» continua, raddrizzandosi un poco e scagliandogli contro uno sguardo acuto al quale non si sottrae, rigirandosi in mano la tazza in modo assente.

I suoi occhi lo mettono in difficoltà: sono glaciali, ma in qualche modo addolorati. Non riesce a capire se per se stesso, per lui, o per chi è capitato nel suo cammino teleguidato.

«Visto che siamo sempre in vena di giochi, vorrei solo vincere questa partita di Indovina Chi e tirar giù qualche figurina nel mio campo per capire con chi sto parlando adesso,» proferisce infine, dopo un lungo momento in cui fa combaciare il manico della tazza con una delle piaghe che gli solca il palmo.

Se le cose fossero andate storte, avrebbe potuto ritrovarsi anche lui con un braccio di metallo. La sorte sa essere ironicamente beffarda, ma a volte tiene per sé i suoi tiri mancini. Non per questo si astiene dal sogghignare verso di lui attraverso ogni cicatrice, a ricordargli il brutto scherzo che avrebbe potuto giocargli, camminandogli di fianco in modo che lui non lo dimentichi mai.

Vede Barnes aggrottare le sopracciglia, con un velo di smarrimento nello sguardo, e la sua figurina in vetro si colora di tinte diseguali: soldato, uomo, assassino. Oscillano e si rimodellano sotto al calore improvviso suscitato da quella domanda indiretta che esige una risposta convincente, per seppellire davvero i rancori.

«Non il Sergente Barnes, né il Soldato d’Inverno,» risponde dopo qualche istante, con determinazione graffiante. Incassa la testa nelle spalle, come se avesse subìto uno scossone inatteso. «E nemmeno più “Bucky”, in effetti.»

Tony arriccia la fronte, con quelle due affermazioni contrastanti che non lo aiutano nel suo gioco mentale di sospetti, aggiungendo solo identikit ammantati d’ombra davanti a lui e una massa di vetro informe in continuo rimodellamento. Sente le schegge nel suo petto rimestarsi, cercando di tenere il suo passo nel trasformarsi.

«Nemmeno Bucky?» ripete, perplesso e avvertendo una nota di pericolo in un fatto simile. Ha sempre considerato Bucky l’identità legante tra tutte la svariate che gli ruotano impazzite attorno, come lune che si eclissano a vicenda, e sentirlo negare questa convinzione lo mette in allarme.

Barnes scrolla la testa, passandosi una mano a stringere i capelli corti sul davanti, in quel tic nuovo e al contempo consumato.

«Credo che l’unica persona a vedermi davvero ancora come Bucky sia Steve,» risponde poi, tirando le labbra in una smorfia che sa d’ironia, ma anche di frustrazione.

«Uh, sì, Mr. Patriottismo ha una discreta tendenza a bollare a vita le persone. Sai com’è… una volta mercante di morte, per sempre mercante di morte,» si lascia sfuggire a raffica, cercando di camuffare la propria sorpresa nel sentirlo effettivamente criticare l’amico d’infanzia che dovrebbe essere la sua ancora di sicurezza. Si affretta a continuare, notando lo sguardo interdetto che gli rivolge Barnes: «E quindi, chi saresti?»

«Solo James, suppongo,» risponde lui, con prontezza minata dall’oscillazione della sua voce, che quasi vira su un interrogativo riflesso nelle sue pupille.

«”Solo James”, mh,» borbotta tra sé Tony, poggiandosi infine al bordo della penisola per alleviare la pressione dalle ferite, che hanno un picco di fitte a quelle parole.

«Non posso offrirti di più, perché è tutto ciò che ho adesso,» conclude lui, con una semplicità non artefatta e una scrollata di spalle disarmante. «Basta, a togliere di torno qualche “sospeso”?»

Tony alza a sua volta le spalle in automatico, evitando il suo sguardo che, da incolore, si tinge di una nota che non riesce – o non vuole – identificare. Non avrebbe mai pensato di trovarsi dalla parte di chi riceve ramoscelli d’ulivo, e per un secondo non gli sembra poi così folle che Rogers abbia rifiutato il suo, così tanti anni fa.

Quel pensiero lo folgora sul posto, bloccando il suo intento di avviarsi verso l’uscita gettandosi alle spalle una qualche affermazione sarcastica arrabattata sul momento, che avrebbe continuato a tenere in aria la questione con getti roventi di risentimento e rancori. E prima o poi sarebbe crollata addosso a entrambi di schianto, infrangendo il vetro e spaccando il ferro. Forse farla atterrare in modo meno distruttivo non è un’impresa impossibile, con un briciolo di spina dorsale d’acciaio.

Si blocca nei suoi passi zoppicanti, rivolgendo uno sguardo al braccio metallico ben in vista – un pugno in volto e un grido strozzato che ha solo potuto immaginare – e soffermandosi poi sul volto di Barnes. Gli sembra stanco, semplicemente, a dispetto del suo apparire roseo e giovanile come il soldato di settant’anni fa.

Il perdono è una formula che non ha mai perfezionato del tutto, perché non è mai stato capace di applicarla nemmeno su se stesso, né è mai riuscito ad accettarla da altri. Non gli è stato offerto spesso. Ne ha avuto un breve assaggio in quell’istante di determinato terrore prima di schioccare le dita, evaporato nell’attimo in cui ha riaperto le palpebre sul mondo.

Si può dire che nemmeno Pepper l’abbia mai perdonato nel senso stretto del termine. Lei l’ha sempre accettato così com’era, ha sempre visto oltre la corazza, perfettamente consapevole di chi era e di chi sarebbe potuto diventare. Non c’è perdono, nell’amare in modo incondizionato, e anche quello è un concetto con cui fa fatica a venire a patti.

La sua mente si ritrae, ma poi corre comunque all’indietro, scavalcando anno dopo anno fino a tornare nella grotta. Torna agli occhi limpidi e acuti di Yinsen sull’orlo della morte. Forse lui è stato l’unico ad averlo davvero perdonato in vita sua, a credere di poter essere migliore di quanto non fosse al punto da sacrificare la propria vita per permetterglielo. Un atto di fiducia cieca che ancora lo tormenta, e che al contempo allevia il peso delle proprie scelte.
In fondo però, lo sa, quella di Yinsen è stata anche una bugia rivolta persino a se stesso. Una bugia di perdono che l’ha di fatto guidato sin qui, all’alba di un mondo che ha salvato per non sprecare la propria vita, né quella di nessun altro. E si chiede se non sia il suo turno per fare lo stesso, se quello non sia una sorta di eterno ritorno con personaggi sempre diversi a calcare il palco e a portare avanti lo spettacolo.

Un altro schiocco di dita.

«Sì,» dice infine, in un respiro, con lo sguardo rivolto altrove e i pensieri che balzano al futuro più prossimo staccandosi dal presente. «Forse sì.»

Coglie di sottecchi il cenno d’assenso di Barnes – di James – a tempo con l’etereo martelletto di un giudice che schiocca nelle loro orecchie. Vede ancora il braccio, la stella, un filmato in bianco e nero che scorre in sovrimpressione quando lo guarda; ricambia comunque il gesto in un’eco di conferma – e la seduta è tolta.

È così facile fingere, fondere corazze, rimodellare vetri, dimenticare e cambiare nome per balzare nei vestiti dell’ennesimo ruolo, calpestando il palco con una nuova recita sulle labbra di una maschera. Sono ancora in scena, e quella è ancora una mezza bugia che rende la vita meno corrosiva.

Ma è una bugia di vetro e, almeno per ora, può bastare.



 
–FINE–


 

Note:
 
[1] SHYLOCK: È questa la legge? / PORZIA: Leggi tu stesso l’atto. Poiché, visto che chiedi giustizia, sii certo che l’avrai, e più di quanta ne desideri.”
[2] Frase che Tony rivolge a Steve in Endgame, nell’incontrarlo al Complesso prima della missione per le Gemme.
 
*Un umile e doveroso omaggio al Maestro Ennio Morricone, che ha accompagnato la stesura di questa e mille altre storie nel corso degli anni.


Note dell'Autrice:

Cari Lettori, avevo detto "alla prossima settimana" nell oscorso capitolo, ma... evidentemente qualcosa è andato storto, ovvero la revisione e quasi completa riscrittura del capitolo attuale. Spero che abbiate letto con piacere <3

Il punto è che ci tenevo, a "fare centro" con questa storia e a concluderla in un modo che mi soddisfacesse il più possibile (non del tutto, quello mi è quasi sempre impossibile). Non è perfetta, ma è ciò che volevo scrivere.
Tutto ciò per dire che questo aggiornamento segna di fatto l'inizio di una lunga, lunga pausa dalla Marvel. Con questa storia sento di aver detto tutto ciò che avevo da dire sul personaggio di Tony, e qualunque aggiunta mi sembrerebbe forzata. A conti fatti scrivo sul personaggio dal lontano 2012, con più di quaranta storie all'attivo che lo vedono come protagonista o co-protagonista. Ho scritto probabilmente milioni di parole su di lui e, in tutta sincerità, le reputo sufficienti. Continuare a insistere sul personaggio mi sembrerebbe una forzatura, almeno adesso. Di conseguenza:

 
 
• Tutte le long e raccolte in corso, ovvero 
• Back in Black, invece, continuerà "regolarmente" 
(tra virgolette perché la aggiorno in modo randomico, ma è l'unico progetto di cui posso assicurare al 100% la continuità e il completamento).
• Non smetterò di scrivere su altri fandom, quindi Sotto un cielo di fuoco e Vode An verranno aggiornate.
• I
 progetti in collaborazione con altri utenti continueranno, seppur sporadicamente.
• Continuerò a leggere e recensire sul sito, coi miei soliti tempi biblici.

Mi sembrava quasi troppo egocentrico fare una comunicazione simile in pompa magna... ma poi ho pensato che c'è comunque gente che mi segue, alcuni da anni, spesso in silenzio, e mi è sembrato doveroso avvisare tutti per evitare frustrazione a chi sta aspettando aggiornamenti che, al momento, non garantisco arriveranno e di certo non in tempi brevi. Da una parte mi dispiace dire tutto ciò, ovviamente, dall'altra sento il bisogno di staccare da un fandom che mi ha dato e a cui (spero) ho dato tanto, ma che ormai non stuzzica più la mia vena creativa nel modo che vorrei.

Chi mi segue sa che sto sperimentando altrove, sul fandom di Star Wars, e prossimamente potrei cimentarmi in qualcosa di originale. Posso solo dire che il "cambio d'aria" ha giovato sia a me che alla scrittura, facendomi tornare la voglia di scrivere, mettermi in gioco e uscire un po' dalla mia zona di sicurezza per vivacizzare stile e temi trattati. Magari mi stuferò tra un paio di settimane e tornerò al nido, non so ancora dirlo... ma per ora mi sento a posto con la scelta di mettere in pausa Marvel, Tony&co a tempo indeterminato, chiudendo il cerchio con questa storia che per troppo tempo non ha trovato una conclusione.


Detto questo, posso solo sperare che avrete voglia di seguire le mie disavventure scrittorie anche altrove, ma a prescindere da ciò, grazie. Grazie per aver letto, sia la storia che le note, e a tutti coloro che mi hanno letta nel corso di questi anni: siete stati il motore della mia scrittura e delle mie storie <3
Alla prossima, qui o altrove,


-Light-
   
   
 
Leggi le 4 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Film > The Avengers / Vai alla pagina dell'autore: _Lightning_