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Autore: Kim WinterNight    10/07/2020    6 recensioni
È domenica mattina.
Joe vorrebbe riposare fino a tardi dopo una lunga settimana di lavoro, eppure Martin sembra avere dei programmi ben diversi per lui: vuole finalmente realizzare uno dei tanti desideri che il suo fidanzato porta con sé da un po' di tempo.
Sarà una lunga mattinata per entrambi, specialmente per Joe: irritato da puzze moleste, persone un po' troppo espansive e animali terrificanti, si renderà conto a proprie spese che forse è meglio stare attenti a ciò che si desidera.
- QUARTA CLASSIFICATA a pari merito con evelyn80 al contest "Wish upon a star" indetto da Inzaghina.EFP sul forum di EFP.
Genere: Comico, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Martin&Joe'
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Di desideri, cani e paure
 
 
 
 
 
 
Attento a ciò che desideri, perché potresti ottenerlo.
[Oscar Wilde]
 
 
 
 
 
 
Il freddo umido di metà novembre non faceva che aumentare in me la voglia di stare accucciato sotto le coperte, eppure per quella domenica Martin sembrava avere dei programmi ben diversi.
Mi svegliò bruscamente, tirando via le coperte dal mio corpo caldo; imprecai tra i denti e scalciai nella sua direzione, chiedendomi per quale motivo mi stesse torturando in quel modo.
«È domenica, Martin! Almeno oggi potresti lasciarmi tranquillo, visto che mi alzo presto tutte le mattine per andare al lavoro!» protestai.
«Sei impazzito? Hai dimenticato che oggi abbiamo un appuntamento importante?»
Mi misi a sedere di malavoglia e strofinai gli occhi. Cercai di pensare a quale appuntamento si riferisse, eppure non mi veniva niente in mente.
Martin appoggiò le mani sulle mie spalle e si chinò per baciarmi lievemente sulla fronte; avvertii il calore di quei contatti così familiari e mi sentii confortato, proprio come ogni volta in cui stavamo insieme.
«Mi dici cosa dobbiamo fare?» borbottai.
«Dobbiamo andare al centro di addestramento per cani guida!»
Non potevo vederlo, eppure sapevo che sul suo viso era dipinto un ghigno divertito. Lo conoscevo fin troppo bene.
«Martin, io… ho cambiato idea, non penso di volerlo fare» mormorai, passandomi le mani tra i capelli ricci e scompigliati.
«Ne abbiamo già parlato, ricordi? Mi hai detto che uno dei tuoi più grandi desideri è quello di superare la paura dei cani, in modo da avere finalmente un’alternativa al bastone bianco per i tuoi spostamenti. O sbaglio?»
Feci un cenno di noncuranza con la mano sinistra. «Sì, ma scherzavo!»
Martin rise. «Non scherzavi. Smettila di fare la femminuccia, scendi dal letto e preparati: usciamo tra mezz’ora» mi ordinò.
Sospirai e mi maledissi: come mi era venuto in mente di parlargli di quel dannato argomento?
Cercai a tentoni le sue mani, risalii lungo le braccia e raggiunsi il volto, avvertendo sotto la pelle la barbetta ispida che ricopriva le guance di Martin. Lo afferrai saldamente e finsi di incenerirlo con lo sguardo, anche se chiaramente non avevo idea di dove le mie pupille fossero dirette.
«Quanto sei minaccioso con quella smorfia!» ironizzò.
«Devo ricordarmi di non confidarti mai più una fantasia o un desiderio, a meno che non sia reale e importante per me!»
«Questo è importante, Joe! Piantala di lagnarti, andiamo!»
Sbuffai e lo spinsi via, scendendo lentamente dal letto.
Il meritato riposo della domenica mi era appena stato strappato via senza alcuna pietà.
 
 
Nonostante stringessi il manico del bastone con la mano sinistra, tenevo la destra artigliata convulsamente al braccio di Martin e non avevo alcuna intenzione di lasciarlo andare.
Non appena avevamo messo piede nel centro, il forte puzzo di cane misto a quello del disinfettante mi invase le narici; quel mix era insopportabile, perché nonostante là dentro si ostinassero a pulire diligentemente, non potevano certo mascherare l’odore prodotto dal migliore amico dell’uomo.
Avevo paura, non potevo negarlo: i cani mi spaventavano perché in un certo senso mi sentivo impotente di fronte ai loro assalti e al loro modo esuberante di dimostrare affetto; non sopportavo che mi saltassero addosso e che mi leccassero ovunque, anche se non lo facevano con delle cattive intenzioni.
Martin mi aveva spiegato che, come i cani da salvataggio nautico, anche quelli per non vedenti erano addestrati e selezionati secondo razze specifiche e tratti caratteriali ben definiti.
Sarà, ma come faccio a fidarmi di quei cosi? Sono imprevedibili!
«Buongiorno!» esordì una donna dalla voce gracchiante e piuttosto fastidiosa.
«Salve. Io sono Martin Harris, lui è Joe Sandys. Siamo qui per la prova con il cane guida» spiegò subito il mio ragazzo, avanzando e trascinandomi con sé.
Tentai di piantare i piedi a terra, deciso a non seguirlo: non poteva obbligarmi a fare qualcosa che in fondo non desideravo più!
«Oh, ma certo!»
Avvertii la presenza della donna a pochi centimetri da me e il suo profumo fruttato e nauseante mi raggiunse.
«Io sono Trixie, molto piacere!» strillò, avvolgendomi in un abbraccio soffocante.
Dovetti trattenermi per non spingerla via. «Sì, piacere…» biascicai.
«Tesoro, sei pronto a conoscere il tuo nuovo amico a quattro zampe?» proseguì Trixie, prendendomi la mano destra tra le sue.
Mi basterebbe sollevare il bastone e colpirla, del resto non la vedo e sarebbe classificato come un incidente, pensai irritato.
«Ehi, con calma, ancora non so se…»
«Uh, tesoro! Vedrai che quando conoscerai Arturo te ne innamorerai, non ho dubbi! Non è vero, eh?» Lasciò andare la mia mano e prese a picchiettarmi in modo fastidioso sulla spalla. Parlava con un tono accondiscendente, come se si stesse rivolgendo a un bambino o a qualcuno affetto da gravi ritardi mentali.
Martin si schiarì la gola. «Mi scusi, signorina…»
«Macché signorina e signorina, chiamami Trixie, cioccolatino!» esclamò, spostandosi di fronte a Martin.
Non potevo vedere cosa stava succedendo, eppure sentir uscire dalla sua bocca parole come tesoro e cioccolatino mi dava il voltastomaco; quella era una persona che a pelle mi infastidiva, anche e soprattutto per il fatto che tendeva ad allungare un po’ troppo le mani.
«Non ti dà fastidio se ti tocco, vero? So che è molto importante per un non vedente avere un contatto fisico con chi gli parla, tesoro!» mi si rivolse nuovamente, passandomi una mano sul viso.
«Veramente…» tentai di protestare.
«Oh, ma basta perdere tempo! Venite, vi faccio conoscere Arturo e Oscar!»
Arturo e Oscar? Chi sarà il cane e chi l’addestratore?
Trixie mi afferrò per il polso destro e fece per trascinarmi con sé, ma a quel punto ne ebbi abbastanza: sollevai lentamente il bastone e colpì a casaccio.
La sentii sobbalzare, poi mi lasciò andare. «Ahi!» sibilò.
«Ops» sussurrai, fingendomi mortificato.
«Joe! Fai attenzione!» intervenne Martin in tono severo; io però lo conoscevo bene e potei udire un’inflessione divertita nella sua voce.
«Scusi, davvero! Non l’ho vista! Le ho fatto male?»
«Ma no, non preoccuparti!»
Martin mi si affiancò e io subito mi aggrappai nuovamente al suo braccio. «Vada pure avanti, Trixie, mi accompagna lui» la tranquillizzai, felice di essermene liberato.
La donna riprese a camminare e noi la seguimmo.
Poco dopo Martin si fermò un istante e si chinò a mormorare al mio orecchio: «Lo hai fatto apposta?»
«Chi, io?! Certo che no!» ironizzai.
Lo sentii ridacchiare e mi lasciai sfuggire a mia volta una risata.
Quella giornata si stava rivelando più divertente del previsto.
Ancora non ho conosciuto il cane, meglio non cantare vittoria.
 
 
All’interno della grande sala il puzzo di cane bagnato e piscio stantio era ancora più forte. Non avevo idea di come un cieco potesse sopravvivere dentro un luogo simile. Il mio olfatto era piuttosto sviluppato e sensibile: molte volte non riuscivo quasi a respirare a causa dell’intensità di certe fragranze.
«Oscar, ecco qui il tuo nuovo amico Joe! È qui per una prova, non vedeva l’ora di conoscere te e Arturo!» squittì Trixie; la sua voce rimbombò nell’ambiente circostante e questo la rese ancora più acuta e stridente.
«Salve, Joe! Io sono Oscar, piacere di conoscerti!» La voce dell’uomo che si fermò di fronte a me era profonda e molto calda, gli avrei dato una quarantina d’anni, ma certamente non potevo esserne certo.
Sollevai la mano destra e le nostre dita si incrociarono: la sua stretta era salda e la sua pelle ricoperta da una lieve peluria che mi solleticò i polpastrelli.
«Lui è Martin, il mio ragazzo» dissi, accennando con il capo alla mia destra.
Oscar e Martin si presentarono, poi Trixie finalmente annunciò che doveva tornare subito all’accettazione e se ne andò.
Che peccato, mi dispiace proprio!
«Quindi Arturo sarebbe il… cane?» chiesi titubante.
«Esattamente. Arturo, vieni!» ordinò Oscar.
Con la mano sinistra strinsi più forte il bastone, mentre con la destra artigliai maggiormente il braccio di Martin. Udii i passi decisi del cane – doveva essere un bestione bello grande! –, il suo scodinzolare e un leggero ansimare.
Questo mi mangia, altro che aiutarmi ad attraversare la strada!
Oscar mi sfiorò appena la mano. «Ti va di richiudere il bastone? Arturo si sentirebbe più a suo agio.»
«Ha paura?» domandò Martin curioso.
«Non come un qualsiasi cane, ma è meglio farne a meno.»
Quel tipo mi stava più simpatico di Trixie: almeno non mi parlava come fossi un deficiente e non mi metteva le mani addosso con impertinenza.
Lasciai andare il braccio di Martin e cominciai a ripiegare il bastone, partendo dal manico per poi giungere alla punta; il mio ragazzo me lo sfilò gentilmente dalle mani e mi batté con fare incoraggiante sulla schiena.
Ho capito perché l’hanno fatto: senza bastone non potrò scappare!
Oscar mi posò piano le dita sul polso. «Posso? Se fai un paio di passi avanti, potrai conoscere Arturo.»
«Ho un po’ di paura…» ammisi.
«Stai tranquillo, è addestrato e non farà mai qualcosa che non vuoi. Cosa ti spaventa di preciso?»
«Beh, non voglio che mi salti addosso o mi faccia le feste, non lo sopporto. È come se perdessi il controllo» spiegai a disagio.
«Non lo farà. Dovete imparare a fidarvi l’uno dell’altro, il cane guida diventa realmente il migliore amico del non vedente, più di un qualsiasi cane con una qualsiasi persona. Ha la responsabilità della tua vita e tu devi riporre tutta la tua fiducia in lui. Si accorge se hai paura, se sei a disagio, sente ogni cosa proprio come la senti tu.»
«Quindi i ciechi e i cani sono molto simili per quanto riguarda le percezioni. È questo che intende dire?» scherzai.
Oscar rise appena. «Più o meno è così. Vieni avanti.»
Mossi due piccoli passi e mi fermai di botto: mi ero appena scontrato contro qualcosa di duro e umido. Feci leva su tutte le mie forze per non ritrarmi e per non rabbrividire di disgusto: il naso del cane era intento ad annusare la mia mano destra con estrema attenzione.
Se sente l’odore del mio bagnoschiuma al cocco, mi azzanna di sicuro!
«Arturo, lui è Joe. Tranquillo, Joe, sta solo imparando a conoscerti.»
Ci riflettei su, pur rimanendo impalato e incapace di muovere un muscolo. «Anche io riconosco le persone dall’odore. E dalla voce» esalai.
«Bravo, parlagli. Deve conoscere anche il tuo timbro vocale» suggerì pazientemente Oscar.
«Uhm, okay… ehi, Arturo! Non mi mangi, vero? La mia pelle sa di cocco, lo so. Ma a te non piace il cocco, ci scommetto! Un cane non può mangiare certe cose, giusto? E i cani di norma non apprezzano la carne umana, anche se sono onnivori… mi fai il solletico, amico. Ne hai ancora per molto?»
Oscar e Martin risero.
«Non prendetemi in giro, me la sto facendo sotto!» sbottai, tentando di indietreggiare.
Martin tuttavia me lo impedì, premendo appena al centro della mia schiena per infondermi coraggio. «Non avere paura. Non ti rendi conto di quanto è buono?»
«Arturo, stop» ordinò Oscar, facendosi mortalmente serio.
Il cane si allontanò immediatamente da me e io tirai un sospiro di sollievo.
«Sei sicuro di volere un cane guida, ragazzo? Sai, dovrai vivere con lui, prendertene cura, affidarti ai suoi servizi e trattarlo come fosse un prolungamento di te» spiegò l’addestratore.
«Beh, io…»
L’uomo mi poggiò una mano sulla spalla sinistra e potei avvertire il suo sguardo addosso. «Sai, da piccolo ho sempre desiderato avere un animale domestico. Non mi interessava di quale si trattasse, avrei pagato pur di poter adottare perfino un serpente a sonagli. Beh, i miei genitori non me l’hanno mai permesso. Mio padre diceva sempre una frase, ma solo da adulto ho capito cosa intendesse.»
«Ovvero?»
«Molti uomini, come i bambini, vogliono una cosa ma non le sue conseguenze. Lui sapeva che non sarei stato in grado di occuparmi di un cane o di qualsiasi altro essere vivente che non fossi io, e ora lo ringrazio per quest’insegnamento. Scusa se sono così schietto con te, ma voglio che ogni cieco o ipovedente intenzionato a servirsi di un cane guida si renda conto fin da subito di ciò che questo comporta.»
E poi dovrei fargli il bagno, portarlo a passeggio anche quando non ho voglia di mettere il naso fuori di casa, e l’appartamento puzzerebbe di pelo bagnato e di piscio stantio. Specialmente in autunno e inverno, quando c’è un sacco di umidità e di pioggia.
«Dovrei pensarci, ha ragione, signore.»
«Non deve decidere subito, non è vero?» domandò Martin.
«Certo che no!» Oscar scoppiò a ridere. «Non volevo spaventarti, ragazzo. Vuoi giocare un po’ con Arturo? Possiamo fare un giro di prova qui dentro, ci sono degli ostacoli che il cane è abituato a riconoscere e dai quali ti proteggerà.»
L’idea di tornare ad avere a che fare con quel bestione mi mise subito in agitazione.
«Se non te la senti, possiamo parlare di cose più tecniche: costi, permessi, corsi da sostenere…»
Avrei voluto dirgli di no, ma non volevo essere scortese: in fondo lui stava mettendo il suo tempo a disposizione il suo tempo per me, sperava davvero che potessi far amicizia con il cucciolo peloso.
«Parliamo, va bene…» bofonchiai.
Martin intervenne ancora: «Oscar, posso accarezzarlo?»
«Ma certo! Tu sei Martin, giusto? Okay, Arturo, vieni!»
Sentii il mio ragazzo parlottare con il cane a qualche metro da me, mentre l’addestratore mi spiegava alcune cose che non mi interessavano più di tanto: non vedevo l’ora di uscire di lì e dimenticarmi di quel coso enorme che voleva azzannarmi.
Certo che sono proprio codardo…
 
 
Una volta fuori dal centro di addestramento, tirai un profondo sospiro di sollievo e ringraziai mentalmente l’insistente pioggerella umida che cadeva sul mio viso e portava via dalle mie narici il puzzo di quel posto in cui non sarei neanche voluto entrare.
«Adoro l’autunno, l’odore di terra bagnata e di foglie secche!» esclamai entusiasta.
«E da quando?» indagò Martin sospettoso.
«Da quando ho capito che ogni odore è più buono di quello che c’era dentro quell’inferno!» replicai.
«Io non ho sentito nessun odore particolare.»
Sospirai. «Ah, i vedenti: non avete senso dell’olfatto!»
«Sei più simile a quel Labrador di quanto pensi!» mi punzecchiò Martin.
«Di’ un po’, Harris: hai intenzione di prendermi in giro e di paragonarmi a quel coso per l’eternità?» Gonfiai il petto e feci un passo verso di lui.
Lui mi afferrò per le braccia e scoppiò a ridere. Potevo avvertire la sua stretta attraverso la giacca a vento e la camicia in flanella che indossavo, e finalmente mi sentivo un po’ meglio grazie alla sua vicinanza e alla sua risata calda e rassicurante.
«Senti, ho fame! Non ho fatto colazione perché mi hai buttato giù dal letto per venire a conoscere un dannato cane, e ora devi farti perdonare!»
«Vuoi un pancake con il tuo schifosissimo burro di arachidi?»
Annuii. «Esattamente. Come hai fatto a indovinare?»
«Sei prevedibile.»
Ghignai divertito. «Invece sai che ti dico? Lo vorrei con le castagne!» esclamai.
Martin mi sfiorò il mento con un dito. «Con le castagne?» chiese sorpreso.
«Lo fanno da Seasons, ci sono andato l’altro giorno con Maddy e lo abbiamo mangiato! È spettacolare!» esclamai.
Ripensai al pomeriggio trascorso con la mia migliore amica nel nostro locale preferito: il Seasons era particolare perché offriva sempre ricette originali e tematiche a seconda della stagione.
«Le castagne piacciono anche a me, quindi penso che rinuncerò allo sciroppo d’acero per stavolta!»
«Oh, grazie al cielo! Se sento un altro odore nauseabondo durante questa giornata, giuro che non so se riuscirò a contenere il mio stomaco!»
La pioggia continuava a caderci addosso, eppure non ci importava più di tanto: Martin aveva parcheggiato l’auto poco distante e ci bastò percorrere un breve tratto per raggiungerla.
«Comunque, a proposito del cane…» disse il mio ragazzo, una volta seduti nell’abitacolo della sua macchina.
«Non mi parlare mai più di quel coso! Te l’ho detto: devo stare attento a cosa desidero e soprattutto a chi lo dico, perché poi finisce che ci rimetto io e le cose mi si ritorcono contro! Ti rendi conto che quella bestia va accudita, pulita, curata, portata a spasso e chissà che altro? Io non ho il tempo e non ne ho nemmeno voglia! Ho decisamente cambiato idea: il bastone mi va benissimo, sul serio! Mi sento anche più sicuro, insomma, gli animali sono pur sempre animali e sono imprevedibili!»
Martin sbuffò e mise in moto. «Quanto sei melodrammatico!»
«Non sono melodrammatico, ma realista! Tu mi ci vedi a star dietro a un animale simile? Non se ne parla!»
«Ma volevi superare la tua paura dei cani!» mi fece notare.
«Sì, ma… ho cambiato idea, ecco! Non sono pronto, ho sempre il terrore che mi aggrediscano, non vivrei tranquillo con una bestia simile dentro casa!» Fui investito da un brivido di freddo. «Accendi il riscaldamento?»
Sentii Martin armeggiare con qualche tasto o manopola e poco dopo una ventata d’aria gelida mi raggiunse, scatenando altri fremiti in tutto il mio corpo.
«Ma sei cretino? Siamo a novembre, metti l’aria calda!»
«Devi darle il tempo di scaldarsi, mica ho una macchina nuova e fiammante!»
«Sì, sì… comunque abbiamo fatto bene a fare la prova: almeno mi sono reso conto che non fa per me.»
«Secondo me sei partito prevenuto. Arturo è un cucciolo molto dolce, pensa che ha solo sedici mesi!» spiegò Martin in tono eccitato.
«Ed è già così grande?!» sbottai sconvolto.
«Ma se non l’hai neanche toccato, come fai a sapere che è grande?»
«Me ne sono accorto, cosa credi?»
«Però è davvero buono» insistette ancora il mio ragazzo.
«Adottalo tu allora! Ma prima cercati un altro appartamento: non potrei mai sopportare di dormire e mangiare con quella puzza orribile!»
Martin scoppiò a ridere e allungò per un istante la mano destra per sfiorarmi il ginocchio. «Mi arrendo! Del resto perché dovrei aver bisogno di un cane? Ho già te, specialmente quando ti crescono i peli nelle orecchie!»
Scacciai la sua mano e misi il broncio, sicuro che potesse vedermi almeno con la coda dell’occhio. Incrociai le braccia al petto ed evitai di replicare, ma poco dopo mi scappò un sorriso e scossi il capo.
«Preferisco definirmi un orso, o al massimo un lupo! Soprattutto se penso alla fame che ho adesso: mangerei anche te se solo avessi più carne e non fossi così tanto muscoloso!»
Continuammo a battibeccare per tutto il tragitto, ridendo e punzecchiandoci come al solito.
Quando Martin parcheggiò, fummo costretti ad attendere qualche minuto prima di poter scendere dall’auto: la pioggia era aumentata in maniera esponenziale e batteva con furia contro i vetri e il tettuccio, accompagnata da un forte vento che dava l’impressione che fosse ancora più violenta.
«Detesto l’autunno» borbottai contrariato.
«Devo dire che sei una persona coerente!» esclamò Martin.
«Che vuoi dire?»
«Poco fa hai detto che ti piace un sacco, con tutti i suoi odori…»
«Era tanto per dire, ovviamente!»
«Certo, certo, come no…»
«Senti, Martin: sono una persona originale, dovresti saperlo! Alla gente piacciono i cani, a me no! La gente va matta per l’autunno, io lo detesto! Sono un rivoluzionario!» mi pavoneggiai.
Il mio ragazzo sospirò e rise. «Ti prego, scendi dalla macchina e andiamo a mangiare il pancake con le castagne!»
«Ma diluvia» protestai.
«Grandina, per la precisione. Ma non mi interessa, non possiamo trascorrere tutta la mattina qui dentro: mio padre ci aspetta per mezzogiorno a pranzo da lui.»
Mi battei una mano sulla fronte. «Cazzo, me n’ero dimenticato! E io che speravo di tornare a casa e buttarmi nuovamente a letto!»
«Invece no!» Mi poggiò una mano sul braccio. «Pronto a correre?»
«Correre? Ma sei matto?»
«No!» Senza aggiungere altro, Martin spalancò lo sportello, saltò giù dall’auto e lo richiuse. Trascorsero alcuni istanti, poi fece lo stesso con il mio e mi trascinò in fretta e furia fuori.
«Non ho preso il bastone!» gridai.
«Fottitene, andiamo!» Mi afferrò saldamente per il polso e mi portò con sé.
Solitamente mi sentivo a disagio a camminare in quel modo, però Martin riusciva sempre a trasmettermi sicurezza anche in momenti come quello; sentivo la grandine picchiare sulla mia schiena, mentre correvo maldestramente chinato in avanti. Brancolavo nella mia solita oscurità, ma avevo l’impressione che quella fosse una scena talmente assurda e surreale che non potei impedirmi di ridere come un matto.
Raggiungemmo goffamente il locale e ci scaraventammo al suo interno, sghignazzando rumorosamente come due idioti. Sicuramente tutti ci guardavano male, ma io potevo ignorarlo ed ero certo che anche Martin non ci badasse: avevamo imparato a passare oltre a cose futili come i giudizi gratuiti da parte degli sconosciuti.
«Potevamo almeno prendere l’ombrello!» ansimai, asciugandomi il viso con la manica della giacca.
«Non ci ho pensato, non so neanche se ne ho uno in macchina…»
«Permesso!» grugnì una voce femminile, palesemente irritata.
«Oh, scusa!» disse Martin, facendomi scostare dalla porta e conducendomi verso un tavolino.
Mentre procedevo là dentro al braccio di Martin, immerso nella dolce fragranza di pancakes e caffè, mi resi conto che in fondo il mio più grande desiderio si era già esaudito tre anni e mezzo prima.
Avevo conosciuto un ragazzo stupendo, capace di amarmi e accettarmi per quello che ero, con tutte le mie paure e insicurezze.
Cosa cazzo me ne faccio di un Labrador che puzza come un bisonte?
Mi lasciai scappare un sorriso e strinsi un po’ più forte il braccio di Martin.
«Che c’è?» mi chiese, fermandosi nei pressi di un tavolino. «La sedia è proprio di fronte a te.»
Allungai le mani e trovai la spalliera in legno, così presi posto e aspettai che lui facesse lo stesso prima di continuare.
«Allora?»
«Grazie per avermi accompagnato al centro, anche se non è andata bene» dissi. Gli ero davvero riconoscente, non scherzavo.
«Almeno ci abbiamo provato, e poi sei sempre in tempo per cambiare idea!» replicò scherzosamente Martin.
«Credo che non lo farò. Ora concentriamoci sulla mia meritata colazione!» tagliai corto.
«Affare fatto. Due pancakes con le castagne?»
«Andata!»
 
 
 
 
 
 
♥ ♥ ♥
 
Carissimi lettori, le avventure di Martin&Joe continuano, come vedete! XD
Stavolta li ho voluti mettere alla prova con una cosa che per un cieco non è poi così strana: un incontro ravvicinato con un cane guida!
Joe voleva superare questa sua paura e desiderava rendersi più autonomo, ma le sue speranze si sono miseramente infrante al solo avvicinarsi di quel simpatico Labrador ^^”
Il terrore di Joe per i cani l’ho preso da me stessa, dato che lo provo esattamente come lui! I cani non mi piacciono e non riesco a fidarmi di loro, ma riconosco le loro potenzialità e sono certa che abbiano moltissime qualità che non riesco a cogliere X’D
Per quanto riguarda le cose che ho scritto a proposito dei cani guida, mi sono un po’ documentata su internet, ma non sono una grandissima esperta e già mi scuso se ci sono state imprecisioni in ciò che ho riportato nel testo! Il Labrador è una delle razze più addestrate per questo tipo di assistenza per non vedenti, anche se non l’unica ^^
Spero che tutto il resto sia risultato abbastanza chiaro nel testo, ma in caso contrario non esitate a espormi dubbi/domande/perplessità ^^
Ci tengo molto a ringraziare la mia cara amica Sabriel, perché è grazie a uno dei nostri soliti vaneggi che è nata questa mia storia – in particolare l’idea di attribuire al cane guida il nome Arturo, come il pacchetto da me scelto per il contest ;)
Spero che la lettura sia stata piacevole e che vi abbia strappato almeno un sorriso, anche se io ho riso davvero mentre scrivevo certe scene (tipo quando i ragazzi sono stati accolti da Trixie XD)!
Ringraziò chiunque leggerà e lascerà un commento, alla prossima ♥
  
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