Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: Mondlicht    12/07/2020    0 recensioni
New York City è una delle più grandi megalopoli del pianeta, ed è lì che vira la bussola del giapponese Levi Ackerman, un ragazzo alla pari desideroso di apprendere la lingua anglofona.
Eren Jaeger, appartenente alla famiglia ospitante ed emergente speaker radiofonico, ha sempre considerato l'occasione di lavorare per la Titan's Radio come una delle più importanti della sua vita, ma si ricrederà su ogni cosa, quando la carriera non sarà più la sua unica priorità.
Genere: Malinconico, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Eren Jaeger, Levi Ackerman
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Si sistema sulla poltrona in pelle nera, accavalla le gambe e schiarisce la voce con un paio di colpi, poi gira la manopola lungo l'asta di metallo, quanto basta per allungare il microfono alla sua altezza. Termina la preparazione di routine e rivolge un unico sguardo al biondo al suo fianco, che gli sorride in rimando, facendo incontrare le nocche dei pugni in un gesto di familiarità. 
In ultimo, posano gli occhi sul rettangolo di plastica attaccato al muro, nel quale una scritta attende di essere illuminata.
Erwin fa l'okay al di là del vetro, al fianco del sound maker seduto dietro il mixer, per informarli che sono pronti per avviare la messa in onda.

Un sottilissimo brivido di eccitazione percorre gli arti di Eren, convergendo ai lati delle sue labbra per arricciarli in un sorriso spontaneo, respirando piano con il diaframma per gestire le emozioni. Controllo, il suo fine ultimo durante la diretta; imprevedibilità, l'impressione che dovrebbe dare ai suoi ascoltatori una volta accesa l'autoradio per ascoltare la sua voce.

Il cantastorie, ecco come è stato battezzato in studio. 
Un affabulatore nato nonostante sia stagista da qualche mese: perché con la sua calda modulazione di voce, con i termini prestabiliti che colpiscono come una tempesta di frecce i cuori di ogni singolo ascoltatore in qualunque parte del mondo, è in grado di incantare chiunque, di inchiodarlo alla sedia fino alla fine della trasmissione. E non è mica un caso che lo share sia aumentato notevolmente da quando vi è lui, una notizia che l'ha fatto esultare per un mese intero quando Erwin Smith, addetto alla regia, gliel'ha comunicato.
Come gli ha detto sua madre Carla, quello è un ottimo premonitore per un contratto a lungo termine.

Una barra rossa illumina il suo campo visivo: la scritta "ON AIR" si è accesa.
Sia Eren che Armin si agitano sul posto alla sua vista, ed il castano si porta il bicchiere di acqua alla bocca per ingoiarne un sorso durante la sigla del programma, per poi umettarsi le labbra secche per essere sicuro che sarà in grado di articolare ogni singola parola con la profondità voluta.
Connie gestisce i parametri sul pannello di controllo, solleva gli indicatori, clicca dei pulsanti di regolamentazione del suono: parte il sottofondo musicale.
La radio si anima, solleva gli occhi e dà il buongiorno al mondo. Respira piano, ed Eren può percepire la sua essenza vitale fluirgli nel sangue: tre secondi, due, uno...

-Cuori lontani e amicizie d'infanzia, amori ritrovati e mai finiti: ecco di cosa parleremo oggi. Da una bollente New York, Titan's Radio va in diretta coi qui presenti Eren Jaeger ed Armin Arlert. La puntata di oggi si intitola: sopravvivere al tempo. Ed ora, il pezzo Serenade dei Hardtruth. Restate con noi.-

Il brano inizia e sul computer dinanzi a loro compare il cronometro per indicare la sua durata, proprio al di sotto del titolo, dell'album d'appartenenza e del nome della band. Eren si lascia andare contro lo schienale e volta il viso verso Armin, che, microfoni spenti, gli dice che gli starà dietro, tentando di non arrancare come è accaduto l'ultima volta, ma divenendo la migliore spalla sulla quale potrà fare affidamento.

Ed Eren ci crede, ci crede davvero, perché nessuno è in grado di comprendere al volo le sue intenzioni come il suo amico, ed è proprio per quel motivo che hanno deciso di proporsi come speaker per la stessa emittente radiofonica. Da lì in poi tutto è stato un susseguirsi di eventi sbalorditivi, che li ha trascinati fin lì come una corrente indomabile. Per anni ha anelato di diventare conduttore di una emittente, accontentandosi di quella poltrona malmessa ed un'attrezzatura scadente dello studio radiofonico del liceo – se così poteva essere definito, visto che gli unici che ascoltavano quell'emittente erano Armin, Jean, altra componente del gruppo, e qualche altro membro della compagnia.

Poi, grazie alle opportunità che gli ha fornito la sua università - senza risparmiarsi di diventare conduttore radiofonico anche della loro webradio -, qualcuno l'ha ascoltato per puro accidente, mentre navigava su Internet con totale indifferenza. E quel qualcuno è stato Smith, quel rompiscatole dall'indole puntigliosa impressionante e due sopracciglia ad ala di gabbiano che, a parere suo, sono fin troppo definite per non essere curate da un'estetista. Eppure è stato proprio quell'omone dagli abiti improponibili anni '80 ed il perenne cipiglio sulla fronte ad avergli dato una chance, quella che Eren chiama L'occasione d'oro della vita. Fino a quel momento ha sempre creduto che nulla, in tutto l'universo, sia in grado di renderlo più gratificato e pago dell'aver ottenuto quel lavoro. E quella calda mattinata a New York è soltanto una delle tante in cui ha avuto conferma che il suo sogno si stia avverando, e che niente sia di egual importanza. 
O, per meglio dire, ancora non si è presentato qualcosa che sia in grado di capovolgere il suo punto di vista, spostando il focus della sua attenzione altrove.

La porta dell'appartamento emette un tonfo alle sue spalle, e subito uno scalpitare di passi ritmici e rapidi preannuncia l'imminente comparsa di due codine corvine ed occhi chiari in un volto tondo e paffuto, braccine tese al cielo per richiedere tacitamente di essere sollevata. -Hey tu, birbante! Come mai a casa? Pensavo che mangiassi da Annie e che la mamma ti venisse a prendere alla fine del turno.-

Come può la pelle di una bambina profumare tanto? Di qualcosa che sa di dolcezza e libertà, una sorta di spensieratezza arrogante che lo fa sorridere ogni qualvolta sono insieme, accompagnata da quelle smorfie sdentate che non possono non strappargli una risata. -È venuto a prendermi lui!- esclama con ovvietà in un acuto, portandolo ad aggrottare la fronte dubbioso.

-Lui... chi? C'è qualcosa che- Eccola, l'ovvietà di Mikasa che ha un volto, all'incirca la sua età, capelli di carbone e occhi dal taglio sottile, occhi da gatto. Il ragazzo è rigido nella sua postura ingessata, ha fatto capolino proprio dal corridoio che collega il salotto e la cucina alle camere da letto. Con Mikasa ancora stretta al petto si dirige verso il ragazzo, il quale fa meccanicamente lo stesso, finché le loro mani non si incontrano a mezz'aria, stringendosi appena.

-Levi Ackerman,- dice accennando un sorriso, la t-shirt bianca che gli accarezza le spalle larghe, ora tese per il gesto compiuto. -sono il nuovo babysitter di tua sorella. O meglio...-

-Alla pari!- Per grazia divina, il ricordo di ciò che Carla, sua madre, gli ha comunicato il giorno prima mentre stavano mangiando il cibo thailandese, e tutti quelli precedenti per almeno due mesi, si decide a balzargli alla mente nel momento giusto, più o meno. -Sei il ragazzo alla pari che viene dal Giappone, giusto?-

Il sorriso di Levi Ackerman è una fila di chicchi di grandine, ed è più che certo che sappia di essere oggettivamente attraente. O forse, ancora peggio, rientra nella categoria di ragazzi che si ritengono poco avvenenti, causa scarsa autostima. O, come se al male non ci sia una fine, è etero, e quindi la telenovela da relazione coll'affascinante, seppur timido, ragazzo alla pari, irresistibile per quel fascino esotico che colpisce chiunque, non potrebbe mai avere luogo. Ciò non toglie che può ancora bearsi della presenza di un simile individuo in casa sua.

-Esattamente, resterò qui per sei mesi per imparare la lingua.- spiega in un inglese dall'inflessione smorzata dalla sua lingua madre, cosa che non può frenarlo dal ridacchiare, per poi chinarsi e far sedere Mikasa su uno sgabello di cuoio posto di fronte alla cucina ad isola. È forse per quel suo gesto, catalogato l'istante seguente come una mancanza di rispetto da Eren stesso, che Levi si porta le dita alle labbra, quasi a nascondere l'imbarazzo nell'ombra della mano.

-Scusami Levi!- si affretta a dire, gesticolando impacciatamente mentre accorre per raggiungerlo, Mikasa che si gusta la scena con il volto fra le mani mentre sgambetta sotto il tavolo. -È che-

-Lo so, lo so.- risponde sorridendo l'altro, affondando l'istante seguente la mano nella tasca del pantalone. -tendo a smorzare alcune lettere, ad esempio pronuncio la "r" al posto della "l", come in balance.-

-Sì, sì, cioè, non voglio che torni in Giappone pensando che il tuo convivente fosse uno scostumato che ti rideva in faccia ad ogni parola!- esclama mentre un caldo fastidioso, sebbene ben conosciuto, gli tinge le orecchie di rosso.

-Eren,- lo richiama l'altro, di nuovo quell'ambiguo, sebbene intrigante, modo di pronunciare il suo nome che gli calamita gli occhi sulla bocca sottile. È il fascino dell'esotico, maledetto il fascino dell'esotico! -non ti devi mica preoccupare così tanto. E poi siamo a New York, la città più cosmopolita del pianeta, non credo proprio che mi sentirò messo sotto giudizio se riderai quando dirò qualche parola con la mia inflessione, sai?-

Ci deve essere sicuramente qualcosa che non so, qualcosa di anomalo in questo individuo, tipo il bagaglio del passato di cui parla Barney in How I Met Your Mother, perché altrimenti non si spiegherebbe un simile fascino. C'è un tranello, me lo sento.

-Okay, però sappi che voglio ricevere qualche lezione di giapponese.- asserisce mentre si dirige verso il frigo, aprendone l'anta l'istante seguente per afferrare il prosciutto in busta.

-Anche io, anche io!- grida Mikasa alzando la mano al cielo, neanche voglia raggiungere il soffitto per quanto stia tendendo il braccio.

Levi ride di gusto, per poi fare spallucce ed annuire deciso. -Va bene, va bene, ed io mi impegnerò per apprendere al meglio la vostra lingua. Ci stai?- domanda sedendoglisi di fianco, mentre Eren racimola gli ingredienti per fare un panino.

È a quella proposta che lascia il sandwich nel piatto di plastica ed allunga la mano verso di lui, soltanto per stringerla una seconda volta, un sorriso che gli raggiunge gli occhi. -Ci sto.-

***

Levi non è il tipo di persona che apprezza l'ascolto radiofonico, nonostante ami la musica. Ecco uno dei tanti aspetti di Levi Ackerman che Eren ha scoperto nell'arco di un solo mese, causa: serate spese a chiacchierare, e chiacchierare, e ancora chiacchierare fino a notte fonda, quando, distrutti entrambi per il lavoro, si addormentano sul divano ad isola, l'uno appisolato sulla spalla dell'altro. E così Carla è divenuta l'addetta a doverli svegliare, solitamente quando fa una puntatina notturna in bagno e li trova ancora lì, illuminati dalla luce bluette artificiale e i volti stanchi.

Insomma, Levi non ama, o meglio non tollera in alcun modo possibile, la radio come media di comunicazione, men che meno come strumento per ascoltare della buona musica. Non che non vi siano delle emittenti radiofoniche degne di nota, magari quelle più di nicchia che riescono a mandare in rotazione alcune delle sue canzoni preferite. Ma, per l'appunto, sono ben poche quelle che si dedicano a sottogeneri musicali che gli interessano, ben distanti dal mondo commerciale tanto amato dalle emittenti maggiori. E ad Eren di sicuro non è sfuggita quell'alzata di occhi al cielo quando gli ha giurato che la stazione per cui lavora lui sia ben diversa dalle altre.

-Sì, ti credo sulla parola. Sulla tua si manda in alta rotazione il K-Pop? O, che so, l'Heavy Metal? No, aspetta, indovino, l'Elettronica!-

-Ah, ah!- lo canzona Eren, avvolgendogli il polso per condurlo in camera sua, nient'altro che una stanza sulle cui mensole sono accatastate decine di CD e neppure un libro di narrativa, insieme a volumi che trattano della musica e della storia della radio attraverso le decadi. Una stanza che Levi, ormai, conosce più che bene, visto che vi trascorre interi pomeriggi quando è Carla ad occuparsi di Mikasa. -Assolutamente divertente, Signor Lancy.-

-Ancora con questa storia?- cantilena il corvino mentre si lascia andare sul letto, sulla cui testata è attaccato un post dei Green Day, a detta di Eren risalente agli anni del liceo. -Ti ho detto che ci sto lavorando. Non so perché, ma proprio questa parola non mi viene giusta.-

-Eppure balance non mi sembra più difficile di lullaby.- lo schernisce l'amico, stendendoglisi di fianco mentre armeggia col cellulare alla ricerca del podcast della sua emittente radiofonica.

-E infatti hai pronunciato la seconda parola più difficile del vostro vocabolario, non per dire.-

-Addirittura tra le più difficili?-

-Guarda che finirò questa esperienza che parlerò inglese meglio di te.-

-Ci sto assolutamente credendo.-

-Che stai cercando?- domanda allora Levi, tirandosi a sedere per scorgere cosa stia digitando, ma fallendo nell'impresa quando Eren blocca il cellulare, una smorfia beffarda sul volto. La sigla allegra della stazione radiofonica Titan's Radio si diffonde nella stanza, e le sopracciglia scure di Levi si stringono all'udire quel suono. -Ren, guarda che tra venti minuti devo scendere per andare a prendere Mikasa a scuola e per fare la spesa.-

Per tutta risposta il ragazzo si porta un indice alle labbra per intimarlo a fare silenzio, guadagnandosi l'ennesima occhiataccia della giornata. -Cuori lontani e amicizie d'infanzia, amori ritrovati e mai finiti: ecco di cosa parleremo oggi. Da una bollente New York, Titan's Radio va in diretta coi qui presenti Eren Jaeger ed Armin Arlert. La puntata di oggi si intitola: sopravvivere al tempo. Ed ora, il pezzo Serenade dei Hardtruth. Restate con noi.-

Quando le prime note infrangono il patto silenzioso instauratosi fra i due, Levi ne sfrutta la rottura ed espone il suo dubbio. -Che cosa vorresti farmi sentire? Una delle tue puntate?-

-Non una delle tue puntate, ma La puntata. Poi dimmi se non la amerai, e comunque si parla di "ascoltare", non "sentire", bada bene ragazzino.-

-Eren-

-Venti minuti, capito. Tu ascolta questa storia,- sussurra ora, mentre le prime parole dell'Eren di quel mese prima, dello stesso giorno in cui ha incontrato per la prima volta Levi Ackerman, raccontano una storia agrodolce che non vede l'ora di essere conosciuta. -e poi dimmi cosa ne pensi.-

I capelli di cacao profumano, Levi ne percepisce forte l'agrumato odore delizioso quando, in uno sguardo di intesa, Eren si allontana bruscamente da lui e si dirige in cucina, chiudendosi la porta alle spalle. Osserva il cellulare mentre la voce suadente del giovane speaker aleggia nella stanza, e soffia una risata quando, ad una pessima battuta di Armin, Eren tenta di mantenere alto il gioco d'intesa che si dovrebbe instaurare con la propria spalla. Eppure non è soltanto il modo in cui scandisce le parole, accompagnate da una musica ritmica e gioiosa, bensì come, seppur affermi di star leggendo un pezzo prescritto da qualcun altro, ogni cosa sembri esser frutto di improvvisazione, come se si trattasse della miglior storia costruita su due piedi. -Siamo in diretta amici di New York, ed ora cominciamo a raccontare. Nata e cresciuta in Canada, Izzy ora ha ventitré anni, e mica la sua storia diventa avvincente a partire dagli ultimi avvenimenti della sua vita, anzi! Incominciamo col dire che è una gran patita di calcio, e suo padre è proprio un allenatore...-

Perché fra le labbra di Eren persino la storia più banale del mondo, come quella di una certa Izzy che ha rincontrato l'amore perduto dei suoi quindici anni proprio durante uno degli allenamenti, acquisisce un senso nuovo, una valenza stravolgente che allieta l'ascoltatore. Il cantastorie l'hanno battezzato in studio, non tarda mai a ricordarglielo quando si millanta per quel titolo guadagnato per una vocazione naturale, per quanto l'aria da uomo saputo non gli si addica affatto, e questo lo sanno bene entrambi. È per quel motivo che, quando la puntata si conclude, Levi lascia il cellulare sul letto e, con quel tripudio di sensazioni ambigue in petto, si dirige verso la porta, la apre ed ecco che è in salotto. La chioma castana fa capolino dal divano, il profilo adesso ben in vista mentre gli si avvicina a passo lento; poi, con quel solito sorriso giulivo tatuato in viso, Eren punta gli occhi verdi nei suoi.

Lunghi attimi passano, e anche Levi viene affetto da quel compiacimento che gonfia il ragazzo, la cui origine è quel talento persuasivo innato. Eppure non se ne sente neppure lontanamente infastidito, semplicemente Eren Jaeger non appartiene a quella tipologia di persone che rinnega la propria dote, soprattutto quando pienamente consapevole di essa. Lui, al contrario di molti, la porta come uno stemma fiero in petto, e la sfoggia orgogliosamente a Levi per guadagnarsi la sua stima, con tutto l'affetto che ne consegue.

-Avrei tanto voluto conoscere Izzy, durante il racconto.-

Sfavilla qualcosa nelle biglie verdi, e Levi arriccia le labbra a quella vista.

Obiettivo compiuto, si dice Eren al contempo. -Magari un giorno racconterò la tua storia in radio, semmai me la vorrai spedire per e-mail come fanno i miei ascoltatori.-

Sembra una promessa, o forse una richiesta, Levi non decifra l'intenzione nella sua voce, ma pensa fra sé che -Forse la scoprirai prima.-

Ultimo sorriso, l'ennesimo quel pomeriggio, e poi una risata di cristallo -Magari sì.-

***

Levi non è il tipo di persona che apprezza il fast food. 
Nonostante ciò quel pomeriggio caldo in cui il sole somiglia più ad una torcia rovente sul capo, si rivela qualcosa di inaudito.
Levi ama i corndog, e mica quelli di consumo internazionale, ad esempio della grande catena di produzione Papaya Dog. Il giovane giapponese si rivela amante dell'hotdog allo spiedo ricoperto di farina di pastella di mais, ma soltanto di quello prodotto dalle mani di Mr Scott, un signorotto afroamericano che di giorno vende corndog, hotdog e molto altro, nel suo fidato chioschetto sulla Madison Avenue, e di notte, come dice lui con una fila di perle nella bocca piena, suona del Blouse da paura in un localino grazioso, che Levi ed Eren non si sono risparmiati di visitare. Una birreria di tutto rispetto in verità, dove la Guinness è regina ed una grande televisione al plasma mostra le novità sul canale BBC World News, intervallate dalle tanto amate pubblicità americane, alcune delle quali che hanno concorso al Super Bowl dell'anno precedente. 
E poi, una volta acquistato il corndog, Eren ha mostrato a Levi l'ingresso del Central Park lì vicino, polmone naturale della città, sebbene si chieda come riescano a mantenerlo in vita con tutto quello smog. Ed ecco che si ritrovano su una delle tante, tantissime panchine del parco, mentre gustano il wurstel a stecco, ora meno bollente rispetto a prima, nonostante la temperatura ambientale non aiuti affatto. Un lieve venticello soffia sull'Harlem Meer, lo specchio d'acqua che si estende dinanzi ai loro occhi, ed entrambi pensano che il tempo dovrebbe fermarsi in quel preciso istante, congelarsi in un momento perenne di sollievo. Un acero rosso fa singhiozzare i raggi del sole sulle loro teste, e ha voglia di danzare.

A New York non ci si riposa mai, la metropoli corre, corre e corre, maratoneta di un'impresa folle, per poi cedere il passo a quei brevi momenti di quiete assoluta, quasi anomala nella sua naturalezza, che i newyorkesi apprezzano per poter spezzare il tram tram quotidiano. Nel paese in cui vive Levi quei brevi assaggi di silenzio sono molto più frequenti, dice che non è abituato ad un simile ritmo frenetico, eppure non lo disdegna. Dopo i primi tempi in cui tutto sembrava troppo, ora, dice, ha l'impressione che quando farà ritorno a casa tra quattro mesi ed una manciata di settimane, sarà quella l'anormalità.

-Normalità è dove è casa.- asserisce Eren senza guardarlo, umettandosi le labbra che sanno di nostalgia. Assurdo, come anche un cibo spazzatura come quello abbia tutto l'aspetto per diventare qualcosa che porterà con sé il ricordo di una persona.

Levi gli rivolge la sua attenzione, con quegli occhi d'argento che Eren, una volta, ha definito ad alta voce "occhi di gatto". "Come l'anime famosissimo in tutto il mondo?", ha domandato allora il corvino ridendo. "Esatto, ma nessuno dei due perde la memoria."

"E allora come si inizia una vita insieme se si è distanti?"

"Si fugge in America, e si resta lì, insieme, ma si ricorda tutto", ha risposto Eren quella sera trascorsa a sgranocchiare patatine in busta davanti alla tv. Anche quella frase sembrava portare il volto della promessa, la seconda in quasi due mesi, ed ecco la terza, una nuova che fa sentire Levi più piccolo di fronte ad un affetto che gli sta fiorendo in petto.

-Normalità è dove sono i ricordi. I nuovi, i vecchi.- conclude il giovane americano.

Eren lo sa, che Levi ha la passione di gettare giù con un po' di inchiostro ed un taccuino che ha portato con sé dal Giappone delle frasi che sente nascere da dentro, brillare nella mente finché non gli scivolano dalle dita fino alla carta sottile. E quella sera scriverà nel suo taccuino questo:

Culla dei ricordi,

accoglimi quando 
arriverò,

non dimenticarmi quando partirò,

perché dietro la foglia d'un acero rosso,

lascerò me 
stesso.

-E ora normalità cos'è per te?- chiede mascherandosi di ingenuità, quando la risposta la sanno entrambi, e la porterà via il vento.

-Questo.-

E poi, in seguito, ci sarà una seconda poesia che reciterà così:

Tinto di rosso sanguigno,

ti sei vestito,

per ingoiare la mia anima,

in un bacio corrivo.

***

Un'altra delle cose che Levi ama sono le farfalle, e allora perché non mostrargli il Butterfly Gardens? Con aiuole ben tenute, piante di ogni tipologia e fiori dalla fragranza pungente, dolce, ora più delicata e invece adesso intensa. Eren gli mostra quel giardino, tappa successiva dopo aver visitato il mosaico "Imagine" dedicato a John Lennon come memoriale e la statua di Balto, nella speranza che Levi lo apprezzi. Ma, contrariamente alle sue aspettative, il ragazzo non si esprime neppure. Si aggira fra le piante con un'eleganza tale da sembrare un abitante di quel cuore di terra, ogni tanto chinandosi per osservare qualcosa con maggiore attenzione, scomparendo dalla sua visuale.

-Lee? Ti hanno mangiato le piante come in Harry Potter?- domanda allora Eren mentre si gira e si rigira in cerca del coinquilino, che vorrebbe poter denominare compagno, ma con cui il rapporto pare ancora essere troppo indefinito. Non che ne abbiano parlato, né tantomeno che vi siano state altre occasioni – o meglio, forse è stato proprio Levi a non permettere che si ripresentassero – di scambiarsi effusioni. È anche per quel motivo che sono lì, da soli, finalmente, in un pomeriggio tiepido di settembre. Sono trascorse due settimane da quando il fattaccio è accaduto, e sente visceralmente la necessità di parlargliene, di chiarire se abbia sbagliato, quel giorno, a sporgersi verso di lui e baciarlo piano sotto l'acero rosso.

Ma Levi non parla, muto come non è mai stato in sua presenza, neppure la prima volta che si sono incontrati.

Una mano si staglia al cielo, proprio dietro un'aiuola, e si affretta a svoltare l'angolo di un muretto per trovarlo lì, come ben immaginava, accovacciato con le mani sulle ginocchia ed il volto sporto in avanti, nella grottesca imitazione di un bambino incuriosito. -L'hai mai vista questa?- chiede allora, senza però distogliere lo sguardo dall'insetto, come se potesse volatilizzarsi nel nulla in un unico battito di ciglia.

Non può resistere dal sorridere mentre cammina lentamente per raggiungerlo, finché non gli si affianca assumendo la medesima posizione, stando ben attendo a non allarmare la farfalla. -È una farfalla monarca, a quanto so.-

-Dimmi che te la sei inventata, perché se veramente ti riscopro insettologo me ne vado.-

Eren ridacchia silenziosamente e poi, un po' redarguendo se stesso dall'obiettivo fallito di non guardarlo, ecco, invece, che si volta. Profilo fine il suo, labbra sottili, ha voglia di sporgersi per sfiorargli quell'angolo irresistibile al lato della bocca, soltanto per riscoprirsi bramoso di volerne ancora. Non lo fa, ma continua con -L'ho studiata a scuola in biologia. Lo sai che ne migrano a milioni, e lo fanno per tipo cinquanta giorni?-

Catturata, la farfalla d'argento vira verso di lui, l'unica alla quale Eren sia veramente interessato, e riaffiora quel tenero aspetto infantile col quale Levi gli chiede sei sia vero, gli occhi limpidi e sgranati.

-Te lo giuro, a casa possiamo fare delle ricerche se vuoi.-

-Allora è ostinata, la farfalla monarca...- incomincia il corvino, liquidando senza malizia la proposta dell'altro, impensierito dalla questione. -Se tu fossi una farfalla, saresti sicuramente una monarca.- conclude, per poi fare leva sulle gambe e spezzare la quiete sia di Eren, che dell'insetto, che sbatte freneticamente le ali per svolazzare altrove.

-E perché questa cosa, ora?- chiede seguendolo, anche se non sa dove si stiano dirigendo.

-Perché sei la persona più testarda che conosca, e non mi dire che non sia vero.- lo canzona Levi mentre fa oscillare un indice al cielo, ma senza voltarsi nella sua direzione. Al contrario continua a camminargli davanti, per poi afferrare il cellulare ed annuire alla vista di ciò che compare sullo schermo.

-Ma dove stiamo andando?-

-Tu seguimi, siamo quasi arrivati.-

Una risata divertita scuote sonoramente le spalle di Eren, mentre nega appena col capo, incredulo -Non ci posso credere: fino a due minuti fa ero io la tua guida, e ora stai conducendo tu.-

Riceve in rimando un'occhiata complice da sopra la spalla e, quando il corvino si volta nuovamente per proseguire la camminata, Eren sente il profondo bisogno di afferrargli il polso, farlo girare e baciarlo una, due, tre volte, fino a far scivolare il tempo veloce, e desiderando al contempo che duri per sempre. Finché le nuvole non saranno migrate altrove, insieme al sole, fino a cedere il posto alla luna sovrana. Così, vorrebbe averlo così fino a notte, ma tiene per sé quel desiderio e continua a seguirlo, i pugni un po' più stretti nelle tasche del jeans per sopperire alla mancanza della mano di Levi nella sua.

Proseguono il tragitto in un religioso silenzio che non può non metterlo in allarme, tacitamente pregando che quelle parole mancate non siano in realtà sintomo di un disagio sorto a seguito del suo gesto. Spera per tutto il tempo che quella rottura che avverte fra loro, non abbia alcuna attinenza con la realtà dei fatti. E allora perché, da quando l'ha baciato, Levi ha fatto di tutto, pur di sottrarsi alla possibilità di un secondo incontro più ravvicinato? Più ravvicinato dell'averlo in casa h24, e sentirlo distante come un fantasma che abita il suo appartamento.

-Ecco,- dice a bassa voce mentre guarda per l'ultima volta il cellulare, prima di bloccare lo schermo e riporlo in tasca. -ci siamo. Probabilmente l'avrai già visto, però chiudi gli occhi, okay? Fammi credere che sia una novità per te.- conclude, arrestando il passo per aspettare che Eren gli sia di fianco, palpebre strizzate ed un sorriso immenso sul volto.

-Va bene, va bene, giuro solennemente che non li aprirò.- promette incrociando le dita, e quasi sussulta quando una presa delicata, quanto salda, gli avvolge il polso come ha anelato che facesse solo qualche istante prima, e lo guida verso la destinazione.

Basta soltanto un unico passo, per sentire il calore del sole spegnersi sulla pelle e lasciar spazio ad una piacevole frescura che lo fa sospirare di sollievo. L'umidità accresce man mano che avanzano e, quando Levi arresta la sua avanzata, fermando anche lui a sua volta, percepisce lo stomaco infiammarsi di aspettativa, e tanto più essa accresce, tanto più lo coglie una risata nervosa, disorientato com'è. -Lee, ma dove siamo?-

La temperatura tiepida di quell'arco di pietra naturale è quasi piacevole quanto il refrigerio che gli trasmettono le sue labbra, pace pura e assoluta mentre si lascia scoprire, svelare dalla bella bocca. Le lingue si assaggiano piano, perché vogliono respingere l'angoscia di ciò che avverrà a distanza di qualche mese. I ragazzi sospirano mentre si allontanano, soltanto per ricominciare l'istante seguente, mantenendo un ritmo lento e riposante.

Quando Levi si distacca dal suo volto ed Eren solleva le palpebre, non possono fare a meno di sorridersi ubriachi di emozioni, con un'espressione sbilenca e l'animo stanco per la tempesta che li ha stravolti. -L'arco Huddlestone? Come mai mi hai portato qui?- soffia Eren, intrecciando le dita delle mani con le sue, mentre si china a baciargli uno spicchio di pelle della spalla lasciato nudo dalla t-shirt.

-Perché nel mio paese in Giappone ne esiste uno abbastanza simile, e volevo per un momento...- esita, china il capo, forse vergognoso di quanto stia dicendo; l'altro non tarda a capirlo, ed è per questo che gli bacia la fronte, poi lo zigomo, infine, quando Levi solleva il capo per richiedere conforto, Eren lo asseconda senza indugio alcuno, baciandolo sulle labbra.

-Volevi portami in Giappone per qualche minuto?- domanda in un sussurro.

Non c'è bisogno di una risposta, basta il silenzio come tale.

***

Assurdo come persino la cosa più semplice, rimandi al ricordo di una persona. E no, non si tratta soltanto della pastella di mais dei corndog. 
Quella sera, mentre entrambi guardano distrattamente Hell's Kitchen alla TV, con Gordon Ramsay che strepita ed insulta concorrenti, perfettamente immedesimato nella parte dello showman dissacrante ed aggressivo, sgranocchiano pop-corn sotto una copertina di plaid per rifugiarsi dal freddo novembrino. La luce della televisione singhiozza sui loro volti, e sono diverse le occasioni in cui Eren si volta appena per osservare il viso del coinquilino e quella stessa luce specchiarsi nelle iridi chiare. Ecco, che cosa gli ricorderà Levi nei mesi successivi alla sua partenza: le carezze colorate che quell'apparecchio proietta sulla sua pelle, riflettendosi nelle biglie grigie impreziosite da sfumature oceaniche.

Amanti, si possono definire tali? Hanno la libertà di scambiarsi effusioni quando ne sentono l'esigenza, trascorrono quanto più tempo possibile insieme quando ne hanno la possibilità, e sembra tutto così perfetto, così completo quando sono insieme che le giornate divengono ricordi dolci nello scatolone infinito della sua memoria. Come quando hanno visitato un monumento diverso di New York ogni weekend per mesi, oppure quando sono andati al parco con Mikasa e Carla, insieme come una famiglia, e si scambiavano occhiate fugaci tipiche di due adolescenti alle prime armi. E anche se ragazzini non lo sono più, e neppure inesperti in amore, si sentono proprio come se avessero fra le mani un gomitolo di una storia nuova da tessere con cura, muovendosi cautamente fra le corde più intime di loro stessi.

Ha compreso che con Levi ci vuole pazienza, perché lui gliel'ha ribadita più volte, la paura di soffrire. "Cosa faremo quando ripartirò? Che senso avrà tutto questo? Dimmelo tu, Eren." Ecco, il motivo per cui non sappia se sono amanti o meno, perché non ha saputo rispondergli. Si è limitato a restare in silenzio mentre gli occhi a mandorla, splendidi nuclei dell'anima, si facevano acquosi di tristezza.

Ma c'è un senso in tutto quello che stanno facendo, in ciò che stanno vivendo. La loro storia avrà un prologo, uno svolgimento, ma la partenza non sarà l'epilogo del loro rapporto; avrebbe voluto dirglielo in quell'istante, rincuorarlo della sua stabile presenza. 
Perché non l'ha fatto? Perché è divenuto anch'egli pedina della paura e delle responsabilità che quella risposta avrebbe comportato? Non gli appartiene quella viltà, ma questo Levi ancora non lo sa, ed è per questa ragione che negli ultimi tempi è divenuto difficile avervi a che fare.

Perché al timore ha risposto con altro timore, ed il divario fra loro si è fatto ampio in quella fossa profonda metri e metri.

-Credo che andrò a dormire.- dice il corvino, spezzando il flusso di pensieri che ha coinvolto Eren per qualche minuto di silenzio. E senza neanche dargli il tempo di ribattere, scosta la coperta e si issa dal divano, lasciandolo esposto al freddo dell'ambiente.

-P-perché?- domanda con una certa agitazione, come se Levi stesse per fare i bagagli e partire proprio dinanzi ai suoi occhi, privandolo di ogni stralcio di possibilità di riparare al danno commesso. Ma non sta accadendo nulla di tutto ciò, e per questo il giovane gli restituisce uno sguardo confuso.

-Perché ho sonno, Eren, tu no?-

-Ma mamma e Mika non ci sono, potremmo fare una maratona di qualche film.- insiste speranzoso, per quanto l'occhiata riluttante che gli indirizza Levi sia già fin troppo eloquente sulla risposta.

-Ha detto Carla che torneranno dalla Georgia nel primo pomeriggio, non vorrei che ci trovassero ancora a dormire. Non voglio essere un peso per tua madre.-

-Oh, andiamo!- inizia il castano mentre sposta la ciotola dei pop-corn sul tavolino di cristallo davanti al sofà e lo raggiunge con un passo. -Sono stati tutto il weekend dai nonni, mia mamma cerca sempre di tornare presto ma alla fine cede all'invito di un'ultima cena da parte degli zii, è un classico. E comunque potremmo sempre mettere una sveglia.-

-Eren, vorrei solo dormire.- lo sfredda algido Levi, indietreggiando per il risentimento che, sanno entrambi, non sia dato dalla richiesta di Eren. Ciò detto fa per voltarsi, ma è fulmineo il gesto del ragazzo nel trattenerlo per il braccio. Poi, una supplica -Avrà senso.- promette ancora, la quarta, e Levi le tiene a mente tutte.

-Che cosa?- chiede allora, mentre si gira nuovamente verso di lui.

-Ti prometto che tutto questo avrà un senso, adesso e domani, anche quando sarai partito. Ti voglio nella mia vita, e non importa quanto distante sarai da me. Io voglio-

Nessuna parola si leva nell'aria, perché Levi la silenzia con la sua bocca. Ingoia quel giuramento, se ne ciba avidamente mentre Eren gli viene incontro famelico, sospirando di sollievo quando si distaccano, le dita affusolate intrecciate coi capelli di inchiostro. Strofinano le punte dei nasi, Levi gli bacia fronte, gote, il labbro inferiore e poi il sopracciglio e le palpebre. -Io voglio che tu non smetta di baciarmi fino a quando non sarà mattina.- mormora, sollevandosi sulle punte per zittire ogni risposta, fin da subito asservendolo ai suoi desideri, avido delle attenzioni tanto bramate.

Si specchiano nei reciproci occhi e, quando raggiungeranno il letto di Eren per spogliarsi vicendevolmente, accarezzare la pelle, venerare scapole, sporgenze e punti sensibili, se lo diranno, al lampeggiare dell'alba, che quella storia ha sempre avuto ragione d'esistere.

***

Marzo a New York è gelido, ed in studio l'impianto di riscaldamento, come se non bastasse, è guasto. Ad incrementare il suo malumore vi può solo essere l'imminente malattia di Armin o, per meglio dire, Armin è letteralmente febbricitante sotto il suo palmo, e nessuno in studio può sostituirlo quel giovedì mattina. Sembra veramente essere il peggior giorno dell'anno, se non fosse che Eren si sente come se lo stesse rivivendo a loop dal sedici gennaio, giorno in cui Levi Ackerman gli ha rivolto l'ultimo saluto. Da quel momento si scrivono quotidianamente, ma la prospettiva di vedersi presto è talmente lontana che, lentamente, quell'angoscia che ha artigliato inizialmente Levi, sta iniziando a beccare dispettosa anche lui.

A conti fatti, sarebbe veramente da sciocchi considerare quello il giorno peggiore dell'anno, soltanto perché sono trascorsi due mesi da quando non ha più visto il ragazzo di cui è innamorato, perché Armin si è ammalato e l'impianto di riscaldamento ha deciso di decedere nel momento del bisogno. Perché il giorno, quello che ricorderà come il più deprimente in assoluto, quasi ad inaugurare un felice anno nuovo, è stato proprio il sedici gennaio.

L'aeroporto, da sempre trampolino dei suoi sogni ad occhi aperti, culla di viaggi tanto agognati da bambino, pareva essersi imbruttito quel pomeriggio, ed il nevischio al di fuori della struttura non sembrava voler alleggerirgli l'animo. L'aveva accompagnato personalmente nel posto in cui si sarebbero persi, Mikasa e Carla l'avevano salutato per l'ultima volta nel loro appartamento, ed Eren si era premurato di riservare un momento per loro, prima di vederselo scivolare via dalle braccia. Proprio come è successo. C'è stato un bacio, uno soltanto, ma umido di lacrime, nonostante ce ne siano state di preliminari alla partenza già nei giorni precedenti. Palpebre turgide ed occhi arrossati dallo sforzo, si sono amati un'ultima volta la notte precedente, ore trascorse a sussurrare decine di promesse che resteranno tutte custodite nella camera di Eren, per poi piangere, fare l'amore e piangere ancora.

Incredibile come tanto amore possa comportare una quantità indescrivibile di sofferenza, Eren ci pensa ogni notte, e anche quella mattina, quando il programma sta per iniziare, la sua mente si sofferma sul ricordo di quando Levi ascoltò una delle sue puntate. Ci pensa sempre, quando lavora.

I due speaker si preparano, Armin sistema le storie che Eren dovrà raccontare ai suoi ascoltatori; Connie si prepara, Erwin gesticola, la scritta "ON AIR" si illumina ed ecco che sono in diretta. Si improvvisa allegro come al solito, sorride e spera di coinvolgere i suoi ascoltatori, unico motivo per cui senta ancora un germoglio di gratificazione fiorirgli in petto, anche se nessuno di loro sa quale sia il labile confine tra finzione e realtà. Recita al suo meglio e, dopo aver raccontato una prima storia intervallata da brani musicali prescelti, tocca ad una seconda.

-Una seconda storia che narra di un giovane ragazzo orientale che, dopo aver vissuto per ben sei mesi in America, ha letteralmente amato questo paese.- aggrotta lievemente la fronte e si umetta le labbra, mentre gli occhi scivolano rapidi sulle righe che dovrà rielaborare per creare un racconto in grado di incantare. Ma in quel momento, l'unico stregato da ciò che sta leggendo è lui, e i colleghi non tardano a notare l'incertezza nel loro amato prodigio. -È orientale, il nostro protagonista, e da quando è bambino, ha sempre sognato di venire a vivere in America, o quanto meno a lavorarci. E perché non trovare un lavoretto alla pari proprio a New York City? La famiglia ospitante si è rivelata fin da subito estremamente accogliente, in particolar modo la piccola di casa, con qualche finestrella in bocca ma una risata contagiosa...- Non può essere, non può essere lui. -E poi la madre, che è stata come una seconda mamma per lui, nonostante sia di gran lunga più permissiva della sua. E poi, in ultimo, il fratello maggiore: ostinato, pieno di sé e... coraggioso.-

Sente il cuore pulsargli in gola, gli si gonfia il petto di una dolcissima nostalgia, e non nasconde a nessuno l'effetto che gli stia sortendo quella e-mail, facendogli brillare gli occhi di mancanza. -Coraggioso per quale motivo? Vi starete chiedendo.- Le parole successive vorrebbe poterle tenere gelosamente per sé, ma se dall'altro capo del mondo Levi Ackerman sta ascoltando il suo programma, vuole che senta la sua voce spezzarsi come se fosse il primo giorno che ha vissuto lontano da lui. -Perché fa troppe promesse, così tante che non sa neanche lui come mantenerle. È così, che il nostro protagonista ha trovato l'amore, si è fatto rapire da una promessa di troppo, ci ha creduto fino in fondo, ed ora sta scontando la lontananza in un piccolo paesino sull'Oceano Pacifico. E poi ci racconta che...- la voce lo tradisce, vibra come una scheggia di vetro impazzita e, dopo un breve momento di silenzio, dice -...Ora sono tornato in America, perché con i soldi che ho guadagnato e una spinta di mia madre e mio zio, sono venuto a lavorare qui. E ho intenzione di restarci.-

Solleva lo sguardo su Connie e mima un "Mandalo in onda", così improvvisato che, forse, 'sta volta ha proprio esagerato. Ma Erwin, cercatore di pentoloni d'oro, capisce al volo che umanizzare il suo speaker può soltanto riscuotere un effetto positivo sugli ascolti, perché la spontaneità, come dice sempre l'addetto alla regia, premia.

-Ed ora,- prende la parola Armin, comprendendo quanto sia assurdo ciò che si sta verificando, ma pur sempre volendo dimostrare più che mai d'essere la spalla migliore vi sia. -passiamo la parola al protagonista indiscusso della nostra storia!-

La perturbazione non consente un immediato collegamento, ed Eren crede di non essersi mai sentito così emozionato, perso, eccitato e ansioso in tutta la sua vita. E poi, finalmente, il collegamento ha luogo.

-B-benvenuto nel nostro studio,- incomincia incerto il castano, lo sguardo fisso oltre il vetro che lo separa dai suoi colleghi, che gli restituiscono la stessa occhiata speranzosa. -il tuo nome?-

Gracchia la voce, ma il nome gli giunge alle orecchie cristallino come se fosse stato ad un millimetro dalle sue labbra. -Mi chiamo Levi, ed ora sto passeggiando per le vie di New York nella speranza di rincontrare quel ragazzo, perché non è trascorso neanche un singolo giorno senza che pensassi alla sua assoluta testardaggine.-

-Deve aver fatto davvero colpo su di te, allora.- ironizza Armin, il quale, nel frattempo, guarda il suo amico disorientato più che mai nel corso della conversazione. Non ha idea di quanto stia accadendo, o meglio, l'ha potuto dedurre dalle reazioni di Eren e dal racconto di Levi, però approfitta di quella situazione per sfoggiare le sue qualità di conduttore radiofonico.

Un risolino si diffonde nello studio insonorizzato, a cui fa seguito un -Qualcosa del genere, però facciamo che sarà il nostro segreto, mh?-

-Va bene, va bene, te lo promettiamo. E quindi stasera vagherai per la città nella speranza di incontrarlo? Non dovresti sapere dove abita?-

-Oh, certo che lo so.- si ode il ticchettio della pioggia in sottofondo, e poi una cantilena lieve di una giostra. -Ma se lo conosco abbastanza bene, non rinuncerà ad un corndog.-

Gli sembra un sogno, o quantomeno la storia di qualcun altro, perché non può star accadendo davvero a lui. Tutto ciò che si sta verificando rasenta l'assurdo, però poi guarda Armin, che gli mima un "Vai", e poi ancora Erwin, Connie, e gli altri colleghi presenti oltre la vetrata. Li guarda, cerca conferma sui loro volti dello sbigottimento di quanto stia succedendo, e persino Erwin gli fa cenno col capo di andare, così, su due piedi.

E allora si alza, esce silenziosamente dalla camera insonorizzata e afferra il giaccone sull'appendiabiti, per poi guadagnarsi un -Da questa puntata si stabilirà il tuo futuro, Eren. Valuterò l'indice degli ascolti più tardi.- dall'addetto alla regia, che gli sorride orgoglioso. Ma c'è troppa confusione nella sua testa persino per far spazio a quella notizia, che forse è prodromo di un contratto a lungo termine; sì, lo spera, ma c'è un'altra priorità al momento.

Qualcosa che porta con sé l'odore dell'asfalto bagnato, dell'acqua piovana ed il boato dei temporali. Qualcosa che è nato a New York, ha messo radici a Central Park, sotto un arco di pietra che lo rimanderà per sempre al Giappone. 
Si tratta di una promessa, l'unica che Levi gli abbia mai fatto. Una promessa concreta, che allora diventa un dato di fatto reale: il ritorno.

Non ci sono più foglie rosse pendenti dai rami rinsecchiti di quell'acero di fuoco, però la panchina è ancora lì, anche se nessuno la occupa. Più avanti, una persona è stretta in un giubbotto nero, i capelli di carbone e le gambe snelle, un pugno di tempera scura che ben si abbina col cielo rabbuiato.

-E dicci, Levi, che cosa ti ha insegnato questa esperienza?domanda Armin, e Levi, col telefono stretto nella mano fredda e screpolata, sospira appena nella cornetta. -Che cosa mi ha insegnato, dici? Be', di sicuro credo che non bisogna andare dall'altra parte del mondo per trovare la felicità. Però per me...- scricchiolano delle pietruzze, sotto delle suole alle sue spalle. Si volta e, in ultima battuta, dice -per me è stato esattamente così.-

 

   
 
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