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Autore: _happy_04    15/07/2020    0 recensioni
[ BartKon | angst; hurt&comfort | 2069 parole ]
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Il vuoto di crescere fuori dal tempo, può essere mai riempito?
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I don’t know where you’re going,
But do you got room for one more troubled soul?
Genere: Hurt/Comfort, Introspettivo, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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I don’t know where you’re going,
But do you got room for one more troubled soul?
I don’t know where I’m going,
But I don’t think I’m coming home.
And I said, I’ll check in tomorrow if I don’t wake up dead;
This is the road to ruin and we’re starting at the end.

 

Pensi che l’immobilità non sia poi così male.
Sei abituato, tu, a correre; avanti e indietro nello spazio e del tempo, come ridendo in faccia a quella normalità, a quel fluire dell’ordine naturale che sbeffeggi perché irraggiungibile. Conosci bene l’irritazione di vedere tutto il mondo girare così lentamente intorno a te, tanto bene da aver addossato la colpa della tua maledizione ad una benedizione riservata a te.
Sei stato un povero illuso, Bart Allen.
Ti sei detto che avresti bisogno di aiuto, ma in fondo non c’è nessuno, là fuori, che possa darti ciò di cui hai bisogno.
Ma di che hai bisogno, poi?
Non lo sai neanche tu, ed è una sensazione travolgente. Un diluvio che ti scroscia sulla testa, strappandoti il respiro, come ritrovarti in un labirinto senza uscita.
I supereroi normali vengono stesi da tremendi nemici, sanguinose battaglie, epiche crisi intergalattiche. Tanti tuoi amici hanno rischiato di cadere, per quelle epocali guerre e scontri. Tu perdi conoscenza per via dei tuoi stessi pensieri.
Hai solo bisogno di tempo per imparare a governarti e conoscerti, potrebbe dirti un qualunque adulto. Ma di tempo non ne hai avuto in abbondanza? O forse ne hai avuto troppo poco?
Sai cosa sia il tempo, a proposito?
Quella roccia contro cui si schianta d’improvviso il treno in corsa dei tuoi pensieri ti chiude la gola, e già senti il cuore stringersi in una morsa di panico.
Cerchi di respirare.
Inspira. Espira. Inspira. Espira. Via, così, finché non riesci a dirigere la tua mente da qualche altra parte. Sperando che non torni alla velocità della luce in quel posto buio.
«Bart? Tutto ok, di là?»
La voce di Conner ti aiuta a riportarti alla realtà. Ti vuole bene, lui; non è mi stato un tipo molto affettuoso, ma sa capire quando qualcuno intorno a lui sta male. Capisce quando tu stai male. E col cavolo, che lascia che tu sia solo con te stesso. Lui lo sa, quanto sia per te dannoso essere lasciato in balia dei tuoi pensieri.
Come andresti a finire, senza di lui?
Lui, e questo cielo, ovviamente.
È placida, la notte. A guardarle così, quasi ti dimentichi di averle viste da vicino, quelle stelle – brillanti chiari che galleggiano in uno stagno scuro, movimenti tanto quieti che riesci a malapena a coglierli, creando trame dall’aria magica, un tipo di magia che non credi di aver mai visto. Intangibile, eterea, lontana. Un tipo di magia che non potresti raggiungere neanche leggendo in una giornata tutti i libri sulla magia del mondo. Le invidi quasi.
«Sarà possibile unirsi a loro?» Non ti sei neanche accorto della tua bocca che si è mossa prima ancora che i tuoi pensieri potessero materializzarsi. «Le stelle, dico.»
Non lo guardi in faccia, ma sai che ha alzato un sopracciglio. Sa essere intelligente e sensibile, ma non sempre troppo sveglio. «In che senso?»
Ridacchi, e pensi che in fondo sia quasi tenero, come un bambino che ha bisogno che gli si spieghi tutto. Quanti anni ha, del resto? «Giusto, dimenticavo di star parlando con Peter Pan.»
Stavolta ti giri appena, e scopri che i suoi occhi sono spalancati per la sorpresa. «Aspetta- intendi quella volta? Te ne ricordi ancora
«Beh, direi di sì. In fondo, sono passati solo…» Ti muore la voce in gola. Non di nuovo. Ti rendi conto di non saperlo più. Ti sfiora il pensiero che ti basterebbe calcolare l’età di Tim, che grazie a Dio (o forse è ancora peggio, creando altra distanza?) cresce in modo normale, ma è certo che il tempo sia passato per tutti allo stesso modo, in angoli completamente diversi dello spazio e del tempo?
Molto improbabile.
«Ma è davvero così importante?»
Ora sono i tuoi occhi, che si spalancano. Lo fissi, mentre continua ad osservare il cielo. Ti guarda solo per un istante, quel tanto che basta perché la luce dei suoi grandi occhi azzurri come il cielo limpido della mattina attraversi l’ambra delle tue iridi, illuminando quelle nuvole che oscuravano la tua mente.
«Voglio dire…» Si sistema le spalle ampie sull’erba, forse raccogliendo i propri pensieri. «Magari è stato l’altro ieri, forse un anno fa, dieci anni fa, e? La cosa importante non è il fatto stesso che tu le abbia vissute, quelle esperienze? Sono una parte di te.»
Sta stringendo le labbra, Conner. Sta aspettando una risposta da parte tua, forse, una reazione; sta cercando di capire se le sue parole hanno sortito qualche effetto sulla tua anima tormentata – forse, un po’ come è tormentata anche la sua, del resto.
E glielo chiedi, perché ormai non c’è più alcun bisogno di contenere alcun pensiero, con lui. «Sei filosofico, stasera. Parli anche di te, in fondo.»
Nel venir sgamato, gli angoli della sua bocca si sollevano appena, le scintille del fuoco che vi riscalda che si riflettono nelle sue iridi. «Hai bisogno di una persona che possa capirti almeno un po’, Bart. E, come hai detto anche tu… in questo momento credo di essere io. E voglio fare tutto quel che posso.»
Per la prima volta in tanto, tantissimo tempo, ti ritrovi in silenzio. Occhi sbarrati, bocca socchiusa, pronta a far uscire parole che non escono, persino la tua mente supersonica non è in grado di trovare una risposta da dargli. È semplicemente riuscito a lanciarti una corda che mai avevi immaginato di poter volere – Dio, a malapena ne avevi immaginato l’esistenza. E no, i tuoi problemi non sono risolti – non la hanno, una soluzione – ma non avevi mai pensato il carico potesse essere così leggero, portato in due.
Pur rimanendo steso, si stringe nelle spalle con una smorfia contrariata. «Cavolo, Bart, per inseguire te non ho proprio pensato a portarci qualcosa da mangiare. O anche solo da bere.»
Ridi, riconoscendo il Conner della prima Young Justice, del tempo in cui i pensieri cupi che ti stendono adesso neanche ti raggiungevano. «Mi hanno sempre detto che sono bravo a combinare pasticci. E a confondere le persone.» Ti distendi un po’ più vicino a lui, godendoti per qualche istante quel silenzio che vi circonda.
Lo senti grugnire, e ti volti appena in tempo per notare la coccinella che si stava divertendo a percorrere la linea definita della sua mascella. Linea che, realizzi solo ora, non avevi mai osservato per bene finora. Conner la scosta e l’insettino vola via in un attimo, forse intimidita dalla grande mano del bruno, ma i tuoi occhi non si distolgono dal punto si cui si era posata la piccolina. Una parte del tuo cervello, che diventa poi tutto il tuo cervello, si chiede se sia davvero così piacevole al tatto.
Non resisti all’impulso – naturalmente – di allungare un dito verso di lui, tracciando delicatamente i tratti duri del suo mento. Il velo di barba che ancora non ha tolto ti fa il solletico sotto il polpastrello, l’osso rigido coperto dalla pelle liscia come quella di un bambino. Non porta più l’orecchino d’oro, noti, e un po’ ti dispiace, perché gli donava davvero. Saprai persuaderlo a rimetterlo.
 Sembra che questa percezione tattile ti stia ipnotizzando; rallenta i tuoi movimenti, persino il battito del tuo cuore. Ti fa bene.
La coccinella aveva le sue ragioni.
Il suo viso si muove sotto le tue dita, mentre aggrotta le sopracciglia, confuso. Forse si era disabituato ai tuoi gesti improvvisi. O forse c’è qualcos’altro, qualcosa che ha a che fare con quello che stai sentendo anche tu. «Bart?»
Pensi che ti piace, sentirlo pronunciare il tuo nome. Non che non lo faccia spesso, ma adesso il suo tono ha un che di soffice, di sommesso. Morbido, come la pelle delle sue guance leggermente incavate.
Gli mostri una linguaccia, per qualche frazione di secondo. «Sto solo facendo quello che stava facendo la coccinella.»
«Ma l’ho scacciata, quella coccinella.»
«Solo che non scaccerai anche me.»
Deve darti ragione. Non lo hai mai divertito, darti ragione, il che diverte invece te.
Procedi con la tua certosina analisi del suo volto, salendo fino agli zigomi, che in realtà sono meno alti di quanto credessi. Indugi accanto al suo occhio, che adesso sta continuando ad osservarti, nel disperato tentativo fallimentare di decifrare i tuoi movimenti. Ammiri le macchie traballanti di arancione che si riflettono nelle profonde iridi celesti, così perfette e cristalline da parere acqua. Osservi i riflessi del fuoco del falò disegnare tratteggi indistinti, insieme ai puntini luminosi delle stelle trasferitisi nelle sue pupille.
Scendi lungo il naso, perfettamente dritto, come quello di un imperatore Romano – e in effetti, ci sono volte in cui trovi sia davvero bello come un principe.
Arrivi alle sue labbra, che si muovono nuovamente nell’articolare il tuo nome. Non che la cosa ti convinca ad allontanare il dito – anzi. Si chiudono e si riaprono, sottili, vagamente screpolate.
Non sai il perché, non sei sicuro dei come la tua mente abbia raggiunto quella fantasia, ma senti il desiderio di posarvi le tue – e lo assecondi. Sono morbide, ancora più che sotto il tuo polpastrello, forse; socchiuse come sono, sembrano fatte apposta per incastrarsi con le tue. Ti ritrovi a fare una leggera pressione, come se sperassi di fargli sentire il tuo cuore che batte all’impazzata, più veloce di quanto credevi fosse possibile – e tu la sai lunga, non è vero? – che pulsa fin nelle tue orecchie. Il tuo stomaco a digiuno non sembra più così vuoto, animato da miriadi di farfalle che neanche assorbono piccole parti della sensazione che fluisce attraverso la tua bocca.
Senti Conner prenderti le spalle, e per un breve momento temi voglia spostarti, come la coccinella; invece, ti stringe a sé, facendo sì che il tuo petto sfiori il suo, tenendoti più in basso ma in qualche modo facendoti volare ancora più alto. Anche lui si aggrappa alle tue labbra, in un contatto che ti chiedi se avessi mai sognato, anche inavvertitamente, forse per un tempo così breve che neanche lo avevi mai notato, ma che non vorresti finisse per nulla al mondo.
Anche quando vi separate per riprendere fiato, disteso a pancia in giù, posi il mento sulle braccia, riprendendo a contemplarlo – e sembra che anche lui stai contemplando te – come prima. Ti sembra di fluttuare, come le stelle sopra di voi; di star per svenire, ancora, e stavolta per l’estasi, invece che per lo sconforto. Se fino a pochi istanti fa ti pareva di vivere fuori dalla realtà, ora sei più che certo ti trovarti in un sogno, solo che non credi affatto valga la pena di svegliarsi. Un flebile «Wow.» viene emesso dalle tue corde vocali, come cercando qualcosa per sentirti di nuovo materiale. Un angolo della bocca di Conner si alza appena. «Già, wow.»
I tuoi dubbi non si prendono mai una tregua. «Aspetta, intendi- “wow”, come, positivo, oppure più un… negativo?»
Lui si gira su un fianco, tra l’incuriosito e il divertito. Sul suo volto, quell’espressione sta da dio. «“Wow” negativo? Come dovrebbe essere?»
«Beh, sai, tipo… “wow”.»
«“Wow”?»
«“Wow.”»
«“Wow.”»
E lo ripetete, cercando di mimare un tono sempre più negativo e deluso, fino ad accompagnare l’esclamazione con smorfie e bronci, come i bambini che siete, che sarete, o forse che siete stati. È il tempo, qualcosa che hai tanto in comune con Conner, un tempo che è relativo, unico, fin troppo ingombrante o forse inesistente. Quando sei con lui sembra non importare, o forse è solo il conforto di avere qualcuno che ti capisce. Ringrazi il cielo per la sua esistenza. Ti ritrovi a ringraziare persino Lex Luthor per averlo voluto creare.
Ringrazi per averlo con te.
Le risate soffocano le vostre ripetizioni, e Conner annuisce. «Comunque, sì, Bart, era un “wow” positivo. Un “lo-rifarei-altre-mille-volte wow”, sai, no.»
Quelle poche parole bastano per accendere qualcosa nella tua cassa toracica, e quasi scoppi a ridere per la gioia. Getti la testa sulla sua spalla, muscolosa sotto la tuta, lasciata libera dalla giacca di pelle che adesso sta adagiata su una roccia. Il suo braccio forte ti circonda il busto, raggomitolato contro il suo, e il battito del suo cuore tiene un ritmo tanto dolce quanto regolare e sereno. Imperturbabile, resistente, come lui è sempre stato, al contrario della tua irrefrenabilità.
Sembra quasi accompagnarti nel sonno, quel momento di pausa che tanto apprezzi, ancora di più ora che sei stretto a lui, alla sua pelle tiepida, con il suo naso tra i tuoi capelli. È la sua voce, l’ultima cosa che senti prima di scivolare nel pacato buio, e fermare il tempo dopo una giornata di corsa.
Buonanotte, Bart.

 
Say, yeah!
Let’s be alone together,
We can stay young forever!


 
angolino dell'autrice ||
Heyo!
Watch me sparire per mesi e riapparire dal nulla!!
Sì, ok- nel caso non si fosse capito, gli ultimi due mesi li ho trascorsi a leggere fumetti della DC, e non ho neanche raggiunto ancora un traguardo vero e proprio, heh. Ma ho raggiunto il Young Justice del 2019, e, lasciate che vi dica due cose: uno, Bart è da proteggere nonché uno dei personaggi più particolari e il mio preferito insieme a Damian; due, Conner è infinitamente più shippabile con lui che con Tim. Lasciatemi in pace Tim e Steph, aaaa!!
Che questa breve fic sia ispirata al sedicesimo capitolo di Young Justice è fin troppo ovvio, credo. Ma volevo dirlo, insomma. E la canzone è Alone Together, dei Fall Out Boy, che manco a dirlo trovo li rappresenti meglio che benissimo.
Chiudo qui? Chiudo qui, lasciandovi come ultimo messaggio che dobbiamo salvare Damian aiuto abbiamo bisogno di Dick @DC sbrigati a finire l'arco della The Joker War e ridacci il suo fratellone spero di pubblicare presto qualcos'altro qui in giro!
Baci,
_choco
   
 
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