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Autore: Jane P Noire    19/07/2020    1 recensioni
Rowan Monroe ha sempre fatto di tutto per passare inosservata. Non vuole fare nulla che possa attirare l'attenzione sulle persone che l'hanno cresciuta, i Vigilanti, angeli caduti dal Paradiso e costretti a restare sulla Terra per proteggere la razza umana, e soprattutto su se stessa. La sua vera identità deve restare un segreto perché il sangue che le scorre nelle vene la rende una creatura pericolosa e imprevedibile.
Liam Sterling è l'ultimo ragazzo per cui dovrebbe provare attrazione per una serie infinita di ragioni: perché è un umano, perché a scuola è popolare, perché l'ha sempre ignorata, e soprattutto perché suo fratello è appena stato ucciso in maniera misteriosa e orribile da un demone. Ma quando lui la implorare di aiutarla a scoprire la verità e dare giustizia al fratello, Rowan accetta anche se è consapevole che questa scelta potrebbe essere la fine di tutto ciò per cui ha lavorato negli ultimi diciotto anni della sua vita.
Genere: Horror, Mistero, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno
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Parte prima
ROSSO COME IL SANGUE
 
 
 
Come Egli creò e concesse agli uomini di pensare parole di sapienza, 
così creò anche me e mi concesse di rimproverare gli angeli vigilanti, figli del cielo.

(Libro di Enoch, XIV)
 
 
 
 
Prologo
 
 

Camminavo sul marciapiede bagnato di pioggia.
Era così buio che facevo fatica a distinguere i contorni degli edifici e dei negozi del centro della città, ma continuavo a camminare senza chiedermi perché quell’oscurità continuasse a seguirmi.
Il vento mi scompigliava i capelli e mi graffiava la faccia, mentre la pioggia mi appiccicava il pigiama alla pelle, ma non sentivo freddo. I miei piedi nudi toccavano l’asfalto bagnato e ruvido, ma non sentivo dolore o fastidio.
Poi il terreno cambiò da un passo all’altro e sentii i miei piedi che si bagnavano di un liquido diverso dall’acqua fredda e selvaggia della pioggia. Era denso e caldo. Più andavo avanti più il liquido si appicciava alla pianta dei piedi, ma continuavo a camminare verso il buio della notte.
Improvvisamente, trovai un intralcio che mi impedì di proseguire. Provai a scavalcarlo, ma per qualche ragione non ci riuscii.
Abbassai lo sguardo e vidi una gamba stesa in terra. Mi domandai cosa ci facesse una gamba nel centro di Portland in una notte piovosa come quella. Mi accorsi subito dopo che c’era un’altra gamba, a fianco della prima. E poi un braccio. E un busto coperto di un liquido denso e scuro che aveva un odore metallico. Una testa ricoperta da una zazzera di capelli scuri di pioggia e sangue.
E capii.
 
§

Mi svegliai con un grido che mi moriva in gola, il cuore che mi batteva furiosamente nel petto e un fischio nelle orecchie. A fatica, mi tirai a sedere e poggiai la schiena contro la testata del letto, con le lenzuola che frusciavano sul mio corpo e con un gemito sulla punta della lingua.
Il fracasso di un tuono che scoppiava dalle nuvole sopra il tetto della mia casa mi fece sobbalzare. Spostai subito gli occhi sul vetro della finestra, sul quale si abbattevano mille gocce di una pioggia forte.
In preda ad un’angoscia anche fin troppo familiare, mi tastai il petto e mi stupii di scoprire che la canottiera di cotone che indossavo per dormire era asciutta e calda del tepore del letto. Mi passai una mano fra i capelli annodati e scompigliati e mi accorsi che anche essi erano asciutti e mi solleticavano dolcemente la pelle del collo e delle clavicole.
Allora, rincuorata dalla sicurezza di non aver mai veramente messo piede fuori dalla mia stanza quella notte e che ciò che avevo visto fosse solamente frutto del mio subconscio, tornai a dormire.
 
 

.1.
 
 
A Portland i temporali non erano una novità. Per questo motivo non mi stupii più di tanto quando quella mattina al suono della sveglia seguì quello fragoroso di un tuono.
Era solamente la fine di settembre, ma le temperature erano calate drasticamente negli ultimi giorni per colpa di quella maledetta pioggia. Il vento sempre più freddo muoveva le foglie ormai marroni e secche, le nuvole nere oscuravano il cielo.
Con un gemito insofferente, mi costrinsi ad alzarmi dal letto e andare nel mio bagno privato per una lunga doccia calda. Quando tornai in camera mia, con un senso di fastidio contro il meteo insopportabile di questa città perennemente nascosta da una coltre di nuvole nere e grigie, mi sforzai di trovare qualcosa di adatto da indossare per la giornata. Optai per un cardigan pesante color senape con dei grossi bottoni avorio, indossato sopra una leggera maglietta di cotone nero e un paio di jeans scuri.
Non mi truccavo mai e non persi tempo di provarci nemmeno quella mattina. Mi limitai a massaggiare la mia pelle anche fin troppo pallida con della crema idratante e passare un filo di burro di cacao sulle labbra a forma di cuore e screpolate per colpa del freddo. Poi mi pettinai i capelli. Erano di un biondo cenere striati da sfumature di un giallo e oro non ben definite, ed erano perennemente arruffati e indomabili; li tenevo sempre legati per impedire che le ciocche mi ricadessero sugli occhi o sul viso. Dal momento che la pioggia e il vento avrebbero vanificato qualsiasi tipo di coda di cavallo o altre acconciature, quella mattina li intrecciai strettamente in una lunga treccia laterale.
Prima di uscire, mi imposi di recuperare il cappello contro la pioggia che mi aveva regalato la mia amica Adeline, quello che mi faceva sembrare una specie di fungo e mi elettrizzava i capelli come se avessi preso la scossa, ma che svolgeva in modo efficace la sua funzione. E comunque, nessuno avrebbe fatto caso a cosa indossavo dal momento che a scuola ero una specie di reietto.
Da quando sette anni prima il mondo era quasi finito, le cose erano cambiate in modo radicale per l’intera umanità. Ma specialmente per me.
Nella mia mente idealista di bambina di dieci anni, credevo davvero che gli umani sarebbero stati felici di scoprire l’esistenza dei Vigilanti – angeli caduti dal Paradiso e che erano rimasti sulla Terra per proteggere la razza umana dalle forze del male. Invece, in un mondo ormai prevalentemente privo di fede, la loro presenza non era stata accolta con entusiasmo da tutti. E ora, quando la gente mi guardava, non vedeva altro che la casa in cui abitavo e gli angeli che mi avevano cresciuta. Ma mi ripetevo che non poteva essere un problema perché nessuno doveva sapere la verità sulla mia identità e sul motivo per cui ero stata adottata dal leader della legione di Portland.
Aprii la porta della mia stanza e cacciai un urletto isterico, quando inciampai nelle lunghe gambe di Seth.
Seth era la cosa più simile ad un fratello che io avessi mai avuto e anche la prima persona che si era mostrata gentile e disponibile nei miei confronti. Sin da quando ero una bambina rimasta orfana da soli pochi giorni, lui mi aveva trattata come la sorella minore che non aveva mai avuto: mi portava i biscotti al cioccolato quando ero triste, mi accompagnava a scuola quando pioveva troppo per avventurarmi sui mezzi pubblici, mi tormentava quando voleva che facessi qualcosa per lui. Seth mi faceva sentire come se appartenessi a questa casa, a questa famiglia. Sapevo bene che non era così, ma quando ero insieme a lui era facile fingere che ci fosse un posto per me nel mondo.
Nel momento in cui il resto della legione era venuto a conoscenza della mia vera identità, tutti avevano cambiato atteggiamento nei miei confronti: c’era chi mi guardava con disgusto, c’era chi mi temeva e c’era chi mi ignorava. Ma non importava, perché io avevo Seth.
Con i suoi riflessi pronti e rapidi, lui circondò i miei fianchi con le mani e mi sorresse un secondo prima che gli cadessi addosso. Mi aiutò a tornare in posizione verticale e, quando sollevai la testa per poterlo guardare in viso, mi accorsi che si stava trattenendo per non scoppiare a ridermi in faccia.
Gli lanciai un’occhiataccia. «Non è divertente, Seth. Mi stavi facendo cadere.»
«Scusami, Roe», disse, mentre l’angolo destro delle sue labbra continuava a tremare e sollevarsi in un sorriso sghembo. «Non volevo quasi ucciderti con la mia stazza incredibilmente forte e muscolosa.»
Sbuffai, irritata come ogni volta che si atteggiava in quel modo arrogante. Anche se dovevo ammettere almeno a me stessa che aveva più di un motivo per andare fiero e vantarsi del suo corpo: i tanti anni di allenamento gli avevano scolpito il petto ampio e spazioso, le spalle larghe e le braccia muscolose e forti. Inoltre, con quei boccoli biondissimi che gli sfioravano la mascella squadrata, i suoi occhi dorati capaci di trapassarti da parte a parte come la lama di un coltello, le sopracciglia folte e i lineamenti del viso dolci e morbidi, aveva lo stesso identico aspetto degli angeli che venivano raffigurati nei dipinti nelle chiese.
Eppure, incrociai le braccia al petto e lo fulminai ancora una volta con gli occhi.
Lui scoppiò a ridere.
Evidentemente non apparivo così minacciosa come avrei voluto, ma la cosa non mi sorprese: nel mio aspetto non c’era niente di intimidatorio. Ero bassa almeno trenta centimetri in meno rispetto a lui e infinitamente più esile. Poi, con i miei occhi verdi così sproporzionatamente grandi per il mio viso, sembravo una specie di bambola.
«Perché accidenti eri appostato fuori dalla mia stanza come un maniaco?»
«Un maniaco, davvero?»
Non risposi alla sua provocazione. Mi limitai a fissarlo, con le palpebre assottigliate sugli occhi.
Lui ricambiò il mio sguardo, ma a differenza mia lo fece con un sorriso storto stampato sulla faccia. Poi le sue sopracciglia si aggrottarono verso il centro della fronte e i suoi lineamenti si irrigidirono appena, mentre le sue mani mi massaggiavano le braccia sopra la stoffa pesante del cardigan. «Stai bene? Hai un aspetto orribile…»
«Oh, ti ringrazio, Seth. Era solo questo che volevi dirmi, o c’era dell’altro?»
Lui si schiarì la gola e si passò una mano fra i capelli. «Scusa, non intendevo in quel senso, lo sai.» Mi penetrò con i suoi intensi occhi dorati. «Hai avuto un incubo?»
Esitai prima di dare una risposta.
L’ultima volta che avevo avuto degli incubi vividi e spaventosi come quello che mi aveva svegliato quella notte, il mondo era sull’orlo dell’Apocalisse. E Seth lo sapeva, perché era proprio lui che correva nella mia camera ogni notte per strapparmi dall’orrore dei sogni di fiamme eterne e sangue, di oscurità profonde e urla incessanti.
Abbassai lo sguardo sulla punta dei miei anfibi neri. «Non era niente», dissi con un filo di voce.
«Cosa non era niente?»
Mi costrinsi a sollevare il viso per poterlo guardare in faccia e per rendere le mie parole più credibili possibili. «A tutti può capitare di avere un incubo, una volta ogni tanto.»
«Certo.» Seth mi sorrise in modo rassicurante, scostandomi dietro l’orecchio una ciocca che mi era sfuggita dalla treccia. Indugiò a lungo con le nocche delle dita fresche contro la guancia bollente. «Ma tu non sei come tutti gli altri.»
Mi morsi il labbro inferiore per non urlare. «Come se non lo sapessi.»
«Tu sei speciale, Rowan», proseguì come se non avessi mai aperto bocca.
Senza riuscire ad impedirmi di farlo, pensai a quella data di scadenza che continuava ad avvicinarsi sempre di più e che segnava la fine della mia vita come la conoscevo. «Super speciale.»
«Roe…» Seth sospirò con forza, gonfiando e sgonfiando subito dopo il petto come un palloncino bucato. La sua mano scivolò sulla mia nuca e con una leggera pressione mi costrinse a tenere gli occhi fissi nei suoi. «Io la intendevo come una cosa buona.»
Questa volta, quando mi morsi il labbro lo feci con troppa forza e mi tagliai. Succhiai via il sangue e finsi che le lacrime che mi stavano salendo agli occhi fossero a causa del dolore che mi ero provocata.
«Che cosa hai sognato?» mi domandò Seth dopo eterni istanti di esitazione da parte di entrambi.
Sospirai. «Era buio e pioveva fortissimo, non riuscivo a vedere bene, ma sapevo di star camminando nel centro della città quando…»
«Quando?»
«Quando ho visto il corpo di un ragazzo.» Feci un sospiro tremulo e sostenni lo sguardo dei suoi occhi, che era diventato improvvisamente più profondo e scuro. Il battito frenetico del mio cuore mi rimbombava nelle orecchie e la paura mi ingoiava gli organi interni in una voragine. «Ma era solo un sogno, vero? Solamente un incubo…»
«No, Rowan.»
«No?»
Lui inspirò bruscamente e poi, senza prendere una pausa tra una parola e l’altra, disse: «Daniel Sterling è stato trovato morto la notte scorsa.»
Sentii che tutta l’aria che avevo nei polmoni sparì di colpo e fui sconquassata da un terribile senso di nausea. Se non mi fossi aggrappata al braccio che Seth aveva allungato verso di me, probabilmente le mie gambe non avrebbe più sostenuto il peso del mio corpo e io avrei finito con lo svenire sul pavimento del corridoio.
Nel mio incubo non avevo visto il volto del ragazzo perché mi ero svegliata prima. Ma quello era il corpo di Daniel Sterling. Ne ero certa. Quella zazzera di capelli castani era davvero inconfondibile.
Io e Daniel non eravamo amici. Infatti, nonostante frequentassimo lo stesso liceo sin dal primo anno, non ci eravamo mai rivolti la parola. E le uniche volte in cui avevamo interagito l’una con l’altro era stato perché Daniel, come molte altre persone in città, mi insultava o si prendeva gioco di me. Una volta lo avevo sentito riferire a voce anche fin troppo alta uno dei suoi amici un commento non molto gentile – o forse troppo gentile – sul mio fondoschiena e c’era mancato davvero poco che non gli spaccassi il naso con un pugno ben assestato.
Potevo dire in tutta tranquillità di aver detestato Daniel Sterling. Ma questo non significava che meritasse di morire.
Pensando a tutte le volte che avrei voluto ucciderlo con le mie stesse mani, mi sentii mancare la terra sotto i piedi.
«C-come è morto?» balbettai. La mia gola era più arida del deserto. «Era giovane e giocava nella squadra di football della scuola. Cosa può essergli capitato?»
«Lui…» Seth si passò nuovamente la mano fra i capelli e deglutì a fatica. «Rowan… lui…»
Mi allarmai e mi appiattii contro la porta chiusa della mia camera, perché Seth non balbettava mai. Anche quando era in imbarazzo o in difficoltà, parlava con voce ferma e decisa. Era una delle tante cose che ammiravo di lui.
Deglutii a fatica il nodo che mi stringeva la gola. «Lui?»
«È stato ucciso.»
«U-ucciso?» Il senso di nausea e di colpa che aveva stretto il mio stomaco poco prima mi fece tremare con violenza, tanto che cominciai a sentire il bisogno di sedermi o avrei perso i sensi.
Morto.
Ucciso.
Sì, Daniel era un ragazzo superficiale e arrogante ed ero sicura di non essere l’unica che non lo sopportava. Ma certamente non meritava in alcun modo di venir assassinato.
«Come? Chi? Perché?» Le domande avevano cominciato a sgorgarmi via dalle labbra come acqua che perde da un rubinetto guasto.
«Rowan, ascoltami, è una situazione brutta.» Seth mi strinse le spalle tra le dita con così tanta forza che sentii dolore dove i suoi polpastrelli affondavano nella mia carne. «Secondo mio padre non dovrei dirti niente di questa storia, ma tu conoscevi il ragazzo e dovresti conoscere la verità.»
Senza riuscire a mettere bene a fuoco il suo viso, gli piantai gli occhi in faccia. «Brutta quanto?»
«Chiunque lo abbia ucciso…» Seth serrò la mascella e deglutì, come se pronunciare quella parola lo facesse star male fisicamente. Era diventato più bianco del muro alle sue spalle. «Secondo il medico legale non c’era una goccia di sangue nel suo corpo.»
«Oddio.»
Sentii chiaramente il sangue defluire dal mio viso e, anche se non avevo uno specchio, sapevo di essere sbiancata. Il mondo intorno a me cominciò ad ondeggiare pericolosamente e le mie ginocchia cedettero sotto il peso del mio corpo.
Seth mi circondò la vita con le braccia e mi sollevò da terra prima che potessi cadere sul pavimento. Con un calcio aprì la porta chiusa della mia camera da letto e, una volta dentro, mi adagiò con delicatezza sul materasso dalle lenzuola ancora sfatte. Lui prese posto al mio fianco e mise una mano alla base della mia schiena.
Avvicinò il viso al mio orecchio. «Respira.»
Mi presi la testa fra le mani, nascondendo il volto fra le ginocchia. Cominciai a respirare profondamente e lentamente nel tentativo di placare la nausea e il mal di testa. Ma non c’era niente che io potessi fare per poter soffocare il panico che mi serrava il cuore e lo stomaco in una morsa dolorosa.
Mi strinsi le gambe al petto e issai il mento sulle ginocchia. Sentivo le lacrime salirmi agli occhi, perché anche se odiavo Daniel Sterling mi spezzava il cuore pensare che qualcuno potesse avergli fatto una cosa del genere.
«Il sangue serve per…» Ingoiai le lacrime, con molta fatica. «Un rituale di sangue, vero?»
«Così sembrerebbe.» Lui mi strinse subito le mani, che avevano cominciato a tremare. «Ma non devi preoccuparti di questo adesso. Ce ne stiamo occupando noi con la polizia.»
«Seth», pronunciai il suo nome con voce lamentosa e flebile, «ma io l’ho sognato. Sai cosa significa…»
«Significa», mi rivolse un sorriso tirato che non contagiò i suoi occhi, «che noi scopriremo chi è stato e lo manderemo da dove è venuto – come abbiamo sempre fatto e come faremo fino alla fine dei giorni.»
Voltai la testa verso di lui, adagiando la guancia alle ginocchia. Le lacrime mi avevano appiccicato le ciglia le une alle altre. «Pensi che sia stato un demone?»
«Chi altro?»
«Ma perché? Daniel era un semplice umano – uno stronzo, sì, ma non tanto da meritare una cosa del genere.»
«E che ne so. Capire cosa passa per la testa dei demoni non è mai stata la mia priorità.»
«Ma il sangue, Seth…» mi interruppi di colpo, incapace di parlare ancora.
Anche lui rimase in silenzio per eterni istanti, con gli occhi fissi sul parquet della mia camera. «Hai ragione. Il sangue ha molto potere, anche quello di un comune mortale.»
Chiusi gli occhi. «Se io l’ho sognato…»
«Non lo sappiamo ancora», mi interruppe. Mi accarezzò la schiena con delicatezza e indugiò con le dita sulla mia nuca. «Se questo fosse il principio di un’Apocalisse, Roe, ti giuro che la fermeremo di nuovo.»
«Quella è stata un’eccezione. Non puoi fermare la fine del mondo, Seth. Nessuno può», gli ricordai con tono molto più accondiscendente di quanto avrei voluto.
«Posso provarci, maledizione!»
Scivolai verso il suo petto e abbandonai la testa nell’incavo del suo collo, mentre le lacrime tornavano con forza sui miei occhi. «Ti detesto quando fai così.»
Scoppiò a ridere e io sentii il suo petto tremare contro il mio. «Perché divento troppo irresistibile persino per te?»
«Perché mi fai credere che ogni cosa sia possibile.»
Seth sospirò profondamente e si lasciò cadere con la schiena sul materasso, trascinandomi verso il basso con il suo petto che mi faceva da cuscino. Le sue dita si immersero nei miei capelli e strinsero a pungo una ciocca sulla mia nuca. Le sue labbra si posarono sulla mia tempia. Quando parlò il suo alito mi solleticò la pelle. «Siamo angeli, Roe. Ogni cosa è possibile.»
«Non per me.» Nascosi il naso nella piega della sua felpa e soffocai il pianto. «Come questo mondo, anche io ho una data di scadenza e non c’è niente che tu possa fare per impedirlo.»

 

   
 
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