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Autore: Picci_picci    21/07/2020    1 recensioni
Marinette era entrata in quel loop due anni fa e proprio non riusciva ad uscirne. Così come non riusciva ad uscire dalla relazione malsana che aveva intrapreso con Chat Noir, ma doveva mettere un punto a questa storia. E un buon punto di inizio sarebbe stato allontanarsi dalle labbra del suo chaton.
Genere: Malinconico, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Adrien Agreste/Chat Noir, Marinette Dupain-Cheng/Ladybug, Plagg, Tikki
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Rivelazioni di vita'
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Erano passati quattro giorni da quell'incontro a casa Agreste.
Quattro giorni di silenzio stampa da parte di Marinette.
Quattro giorni di silenzio stampa da parte di Adrien.
E quattro giorni di silenzio stampa da parte di Gabriel. Adesso, Marinette si sentiva turbata, in ansia che Gabriel Agreste avesse deciso che un’altra ragazza meritasse il posto di stagista nella sua maison. 

“Marinette, rilassati, andrà tutto bene. Hai lasciato i tuoi bozzetti alla segreteria dell’università, no?”
“Sì”, rispose lei trascinando la vocale.
“Allora tra poco avrai sue notizie, non preoccuparti.”
Come se quella frase avesse invocato una divinità, alias Gabriel Agreste, il cellulare di Marinette si mise a squillare. La ragazza si scambiò una veloce occhiata con Tikki e poi corse verso la scrivania per afferrare il telefono. Nel frattempo, perse una botta al costato per non aver notato lo spigolo del mobile, ma quelli erano dettagli.
“Pronto?”
“La signorina Marinette Dupain-Chen?”
Solo una persona, a questo mondo, poteva chiamarla così, “Sì, Natalie, sono io. Buongiorno.”
Sentì, dall’altro capo del telefono, un ‘uhm-uhm’ che probabilmente era un saluto.
“La chiamo da parte del signor Agreste. Abbiamo parlato con la direttrice dell’università e trovato un accordo: parteciperà a tutte le sue lezioni nella mattina e nel pomeriggio, invece, sarà in compagnia del signor Agreste. Se ci fossero impegni della maison Agreste che intaccano con il suo programma mattutino, si è già deciso che lei resti con il signor Agreste. Nel caso dei compiti avrà una deroga di tempo rispetto agli altri suoi compagni. Le è tutto chiaro?”
“Penso di sì.”
Quell’impegno l’avrebbe praticamente occupata tutti i giorni e se si sommava all’università e a l’atra sua vita da eroina, il tempo per Marinette sarebbe stato praticamente nullo. 
Ma quella era l’occasione della sua vita e un traguardo importante per il suo futuro e la sua carriera.
“Va bene, quando incomincio?”
“Oggi pomeriggio ci sarà un servizio fotografico per la nuova campagna della maison. Le manderò un auto dell’azienda a casa sua alle quattro in punto che la porterà sul luogo del servizio. La prego di non fare ritardo.”
“Okay, grazie mille. Arri-”, ma nemmeno il tempo di salutarla che Natalie aveva già chiuso la chiamata. Quella donna doveva essere impegnata ventiquattr’ore su ventiquattro.
Fece un respiro profondo pensando che le conveniva studiare ora quel capitolo di storia della moda, visto che questo pomeriggio avrebbe iniziato a lavorare come stagista personale di Gabriel Agreste. Qualcuno avrebbe dovuto darle un pizzicotto perché non riusciva ancora a crederci. Un sorriso si formò sulle sue labbra, ma venne presto interrotto quando le cadde sul piede il telefono che aveva ancora in mano. Ecco il pizzicotto che voleva.
“Mamma! Potresti portarmi del ghiaccio?!”

***

L’aveva saputo oggi a pranzo, quando, casualmente, Natalie, elencandoli tutti i suoi impegni della giornata, gli aveva annunciato che oggi al servizio fotografico ci sarebbe stata anche la nuova stagista di suo padre, Marinette Dupain-Chen.
Aveva mandato giù il boccone di insalata, evitando di commentare, ma era dal quel momento che la sua testa non smetteva di pensare a lei. E ora erano le quattro...aveva pensato a Marinette per tre ore consecutive, quanto poteva star male?
“Ragazzino, adesso basta. Vedo il fumo uscire dalla tua testolina bionda. Non è che se pensi troppo, poi mi vai in corto circuito?”
“Devi smetterla di vedere quei film, Plagg. Io non sono un robot.”
“Allora è Natalie.”
Adrien sorrise. Per quanto avvolte detestasse Plagg, sapeva sempre fargli tornare il sorriso sulle labbra.
Si trovava sul set, un parco completamente all’aperto appena fuori Parigi, e vedeva davanti a sé scattare avanti e indietro truccatori, parrucchieri e scenografi. Il suo amatissimo fotografo (suvvia, pensa agli spaghetti della mamma!) era fermo immobile a guardare che le luci e l’ambiente dove avrebbe lavorato fossero perfetti. 
Lui era l’unico a non preoccuparsi di niente. Sedeva su una delle sedie da regista, davanti a lui la postazione del trucco dove il parrucchiere aveva appena finito di sistemargli i capelli biondi e, nascosto dietro un bicchiere con i pennelli del trucco, si trovava Plagg che, pigramente, stava mangiando un’altra forma di camembert. 
“Hai sentito? A quanto pare quella è la nuova stagista di monsieur Agreste.”
“Vorrai dire la prima nuova stagista. Sai, non ne ha mai avuto una, infatti l’abbiamo trovato strano quando Natalie ci ha informato.”
“Deve avere talento per aver attirato l’attenzione di Gabriel Agreste.”
Avevano dannatamente ragione, pensò Adrien quando finì di ascoltare la conversazione delle due costumiste che erano appena passate.
Si girò alla ricerca del padre e, dopo che lo ebbe individuato, trovò accanto a lui Marinette. 
In effetti era un pò buffa, lei che era già bassina di suo, in mezzo a suo padre e Natalie. Loro così seri e distaccati e lei che sembrava una bambina davanti al suo gioco preferito.
“Smettila di guardarla così. Se ne accorgerà”, sentì dire da dietro i pennelli del trucco.
“Chi ti ha detto che non voglio che se ne accorga?”, chiese lui retorico.
“Gatto pervertito e in calore.”
Adrien non negò.

***

“Hai capito, Marinette?”
La ragazza con una cartellina in una mano e una penna nell’altra, stava annotando tutto ciò che il signor Agreste le stava spiegando sui set fotografici.
“Cosa ne pensi?”
“Che queste cose non le insegnano all’università.”
Lui sorrise e scuotè il capo, “ti ringrazio di questo appunto, ma ti chiedevo che ne pensavi dei modelli”, disse indicando con il capo Adrien al centro del set.
Guardò il ragazzo che definiva l’amore della sua vita (amore silenzioso, Marinette, silenzioso!) e arrivò alla conclusione che la giacca in tessuto scozzese grigio li donava proprio.
“È favoloso”, sussurrò sognante.
“La giacca o il pantalone?”
Si riscosse alla domanda di Gabriel.
“Tutto!”, rispose troppo freneticamente, “cioè l’insieme, tutto è favoloso anche il modello. Cioè no! Non che il modello non sia favoloso, non mi fraintenda, è che il modello e i capi insieme sono favolosi, ecco”. Cosa aveva appena detto?
Sentì una risata dietro di lei e, ci avrebbe scommesso la sua macchina da cucire, apparteneva ad Adrien.
“La prego mi dica che mi ha capito, Gabriel.”
Lui sorrise, “sì, Marinette, ho capito il tuo punto di vista. Ma cosa abbiamo stabilito prima?”
“Che devo tenere sotto controllo la mia ansia e la mia goffaggine”, disse sconsolata versando accidentalmente il caffè sulla sua borsetta di pelle, “o almeno provarci”. Sbuffando cercò un fazzoletto nella sua borsa.
“Le conviene andare in bagno per tamponare la macchia con un po’ d’acqua o non verrà più via da quel tessuto.”
Marinette annuì e, seguendo il consiglio dello stilista, cercò uno dei bagni pubblici del parco.
Una volta trovato, entrò e si mise di buona lena a tamponare la macchia con un fazzolettino bagnato.
“Ma perché tutte a me?”, disse a voce alta tra sé e sé. 
“Se fossi meno sbadata, non succederebbe.”
Con la spalla appoggiata allo stipite della porta, le mani in tasca e le gambe incrociate, Adrien Agreste era identico a Chat Noir. 
Stupita di quel pensiero e della persona che si trovava davanti a lei, Marinette fece un salto per aria facendo scivolare la suola delle scarpe sul pavimento e cadendo in avanti contro il muro dove finì per batterci una testata.
“Cavolo, quanto sei maldestra”, disse lui prendendole la testa fra le mani, “ti sei fatta male?”, continuò sfiorandole i capelli.
“Sì”, sussurrò lei, “cioè no, non mi sono fatta male. Sto bene”, disse allontanandosi dalle sue mani, “è solo una botta, ormai ci sono abituata.”
Lui sorrise, “questo è uno dei motivi per cui non ti ho riconosciuto. Cavolo, quando indossi quella tutina-”
“Fammi indovinare”, lo interruppe lei, “sono dannatamente sexi?”
“Stavo per dire che non inciampi continuamente, che non ti imbarazzi e che sei...diversa.”
“Ah”, rispose lei con le guance arrossate.
“E poi”, disse lui con un ghigno sul volto, “sei sempre sexi, con o senza tutina. E con senza intendo proprio senza niente.”
“Okay, silenziati!”, esclamò con le mani al volto per coprire le guance in fiamme, “e comunque, anche per te vale lo stesso.”
“Ah, signora coccinella, non mi sarei mai aspettato una dichiarazione del genere così apertamente!”
“Cosa? No, ma che hai capito, gatto pervertito! Io mi riferivo al fatto che anche tu sei diverso con la maschera. O meglio è quello che credevo prima di scoprire la tua identità. Ora tu e Chat non mi sembrate così diversi.”
“La stessa cosa vale per te.”
Si guardarono negli occhi e per la prima volta si guardarono con la consepevolezza, non di essere Ladybug e Chat noir o Adrien e Marinette, ma che erano entrambi. Erano sempre loro due, erano sempre le stesse persone, non due entità diverse. 
Imbarazzata, Marinette voltò lo sguardo e si trovò a fissare la sua immagine nello specchio.
“Per l’amor del cielo, ma somiglio ad un peperone! O a quando Chloè utilizzò troppo autoabbronzante.”
All’ultima affermazione, Adrien scoppiò in una fragorosa risata.
“Cosa ridi tu! Se esco così, cosa potranno pensare?”
“Che hai utilizzato anche tu troppo autoabbronzante?”, lei lo colpì con la borsetta in pieno petto, “o che ti sei intrattenuta in giochetti passionali con un certo modello.”
Marinette arrossì così tanto che Adrien ebbe paura che morisse in quel momento.
“Adrien!”, urlò con la voce più alta di un’ottava, “va fuori di qui o non farò nessun miglioramento.”
“Sei sicura? No perché se vuoi-”
“No, sono sicura. Esci, gattaccio.”
“Come vuoi”, rispose lui con un sorriso e le mani alzate, “ma…”
“Odio i ‘ma’.”
“Ma, stasera vieni con me.”
“Non ho capito.”
“Stasera, tu ed io, usciamo.”
“Usciamo fuori?”
“E dove sennò?”
“I-io…”, iniziò lei indecisa e pronta a riufitare la proposta.
“Marinette puoi girarci intorno quanto ti pare, ma non possiamo fare finta di nulla.”
Lei sospirò e guardò altrove.
“Non potremmo, che ne so, rimanere amici?”
Adrien non credeva alle sue parole, “Amici”, ripetè dubbioso, “tu vuoi che rimaniamo amici.”
“Migliori amici”, buttò lì Marinette, dandosi subito dopo dell’idiota.
“Bè, signorina, sappi che i migliori amici non si vogliono portare a letto a vicenda.”
“Plagg, ti prego non ora”, disse prendendo il kwami per la collottola.
Il kwami della sfortuna stava per riaprire bocca, ma vedendo lo sguardo serio del suo portatore (che, tra l'altro, non gli aveva mai visto) decise di essere magnanimo e di rimanere in silenzio. Avrebbe commentato tutto più tardi.
“Marinette vuoi veramente che rimaniamo amici?”
Perché continuava a ripeterlo? No, non voleva che restassero amici, ma dovevano. Le loro relazioni erano sempre finite male, ne uscivano distrutti e Marinette era stanca di soffrire. Aveva già sofferto per sei anni, si era autodistrutta per sei anni e sapeva che il modo migliore per non soffrire più era chiudere definitivamente con Adrien Agreste, ma non poteva farlo. Non poteva non vederlo più, non poteva non sentire più la sua voce, non poteva non sentirlo scherzare più con delle terribili battute. Era innamorata di Adrien Agreste e non avrebbe potuto vivere senza di lui. Per questo l’amicizia le era sembrato il modo migliore per continuare a vedersi senza soffrire. All’inizio sarebbe stato difficile, ma ce l’avrebbero fatta, ognuno avrebbe costruito la propria vita e avrebbe trovato qualcuno con cui condividerla senza dover soffrire.
“Sì, rimaniamo amici”, si convinse a dire.
Lui la scrutò a fondo e lei si sentì nuda per la prima volta davanti a lui.
“Non ti credo”, decretò infine, “non credo che tu voglia rimanere una mia amica”, disse l’ultima parola con veleno, “perché se volessi solo rimanere mia amica non balbetteresti in quel modo adorabile, non arrossiresti per ogni parola un po’ più sconcia che esce dalla mia bocca e non scapperesti in questo modo. Quindi, no, non ti credo e no, non rimaniamo amici.”
Marinette deglutì a vuoto perché ogni maledetta parola era vera.
“Adrien esci.”
“Ricordi? Esco solo se stasera usciamo”, disse serio.
“Va bene, esco io.”
“Come sempre”, disse con un sorriso amaro.
Però, Marinette, prima di uscire da quel bagno che era diventato un confessionale, si morse il labbro, “stasera alle dieci sulla Tour Eiffel.”
Uscì, pronta al fatto che avrebbe dovuto vedere per tutta la fine del giorno Adrien con quella meravigliosa giacca scozzese che li faceva delle spalle da dio. Anche i bicipiti, se per questo. E anche i pettorali. E se ci pensava bene, anche la vita era fasciata perfett-
“Marinette, la macchia è venuta?”
“Eh?”, disse posando gli occhi sul signor Agreste.
“La macchia”, ripeté lui indicando la borsa.
“Ah, sì. Diciamo.”
Lui annuì e la guardò sistemandosi gli occhiali, “e, se posso sapere, come mai ha questo aspetto...come posso dire...sconvolto?”
“Cosa? No no, non sono sconvolta è che sono...sono su di giri ecco, sono su di giri perché è la prima volta che sono su un set fotografico vero e proprio. Sì, certo è per questo, mica per altro”, continuò a ripetere Marinette annuendo, “vuole un caffè, Gabriel? Glielo vado a prendere. Corto e nero, come piace a lei.”
Detto questo, Marinette si volatilizzò e tornò solo dopo aver preso il caffè e qualche macarons dalla pasticceria di suo padre. Gabriel non menzionò il fatto che la pasticceria dei Dupain-Chen fosse a venti minuti di distanza dal set, nè fece notare lo sguardo avvilito del figlio. Stette semplicemente là, in silenzio, ad osservare la scena.
“Crede di aver preso una buona decisione, signore?”
“Sì, Natalie. A volte bisogna dare una spinta ai propri figli e mettere i loro bisogni davanti ai nostri. Perché pensi che Papillon sia uscito di scena?”
“Poteva ottenere i miraculous facilmente.”
“Mio figlio è più importante di alcuni gioielli. Emilie è morta, molto tempo fa, e devo accettarlo. Avrei dovuto accettarlo anni fa. Domani lasciami la mattinata libera, devo andare a parlare con qualcuno.”
“Chi?”, domandò Natalie, per la prima volta, con una punta di curiosità.
“Un vecchio massaggiatore cinese” e con un sorriso, Gabriel Agreste rimase in silenzio.

***

Erano le dieci in punto e di Ladybug non si vedeva nemmeno l’ombra. Chat Noir si era accomodato su una delle travi più alte della Tour Eiffel così da poter ammirare la città di Parigi. Sospirò e mosse le orecchie quando la sentì avvicinarsi.
“Sono qua”, disse lei appena atterrò accanto al partner. 
“Mettiti qua con me, guardiamo per un po’ Parigi.”
Lei fece come le era stato chiesto e si accomodò accanto a Chat con lo sguardo rivolto verso la città.
“Cosa stiamo facendo?”, chiese Marinette, più rivolta a se stessa che a Adrien.
“Ci godiamo la reciproca compagnia?”
“Lo sai a cosa mi sto riferendo, Chat.”
Rimasero per un altro po’ in silenzio ad ascoltare i rumori della città che piano piano erano sempre di meno.
“Oggi mio padre, dopo il servizio fotografico, ha voluto cenare con me. Sai, è la terza volta di fila questa settimana”, disse con un sorriso mesto, “è da qualche settimana che sta provando a fare seriamente il padre.”
Prese un sospiro profondo e poi la guardò negli occhi, “io non voglio perderti.”
“Non mi perderai”, rispose lei in maniera automatica. 
“Ho paura che succederà, dopo che ti avrò detto questo.”
Anche se una voce dentro di lei le diceva di non lasciarsi andare, di non commettere di nuovo quell’errore, Marinette decise che Adrien era più importante di lei, del suo dolore e di qualsiasi altra cosa.
“Mon minou”, disse prendendogli la mano.
“Papillon”, disse lui solamente.
“Papillon, cosa?”
“È mio padre. Mio padre è Papillon. Voleva i nostri miraculous per riportare indietro la mamma”, spiegò lui con gli occhi lucidi, “voleva solo sua moglie, la donna che ama. E anche se dovrei essere arrabbiato con lui, da una parte lo capisco, perché se succedesse a te non so se reagirei come lui.”
Marinette inghiottì il boccone amaro e accarezzò il viso di Chat. Lei aveva scoperto che il suo idolo e datore di lavoro, era il nemico che terrorizzava Parigi, Adrien aveva scoperto che suo padre era l’uomo con il quale aveva combattuto tutti questi anni.
“Te lo ha detto lui?”
“Sì, stasera. Ha detto che domani andrà a parlare con il maestro Fu e che si assumerà tutte le conseguenze delle sue azioni. Ha deciso che vuole essere un buon padre e di voler superare la morte di mia madre e che, se vogliamo e lo riteniamo giusto, possiamo consegnarlo alla giustizia.”
Marinette annuì e, solo dopo qualche secondo, realizzò una cosa, “tuo padre sa le nostre identità?”
“L’ha capito qualche settimana fa e, anche se voleva approfittarsi di ciò e rubarci i miraculous, ha riflettuto e ha capito che se avesse continuato ad agire così avrebbe forse ottenuto indietro sua moglie, ma avrebbe perso suo figlio. E ora io perderò lui.”
“Non per forza”, disse Marinette prendendogli il viso tra le mani, “tuo padre si è già pentito dei suoi sbagli e con il tempo migliorerà. Non dobbiamo consegnarlo alla giustizia, né dire al mondo la verità.”
“Sai qual’è la cosa più assurda di tutto ciò?”, chiese il gatto nero alzandosi in piedi, “il fatto che di tutto questo me ne interessi solo in parte.”
Marinette si alzò a sua volta, guardandolo curiosa.
“Perché farei qualsiasi cosa, affronterei qualsiasi cosa, ma solo con te al mio fianco. E la probabilità che tu non ci possa essere, mi terrorizza più di scoprire che mio padre è Papillion.”
Erano occhi negli occhi e lei, che a forza di indietreggiare, si era trovata con le spalle contro la trave della torre con lui davanti che invadeva il suo spazio personale, le stringeva la vita così forte, quasi da farle male, per paura che lei scappasse via di nuovo.
“Mi terrorizza, Marinette. Mi terrorizza completamente fino a togliermi il fiato.”
“Adrien”, esclamò lei sfiorandoli il capo biondo.
Si guardarono e Marinette si arrese. Fanculo a tutti suoi principi.
Si baciarono come se fosse la prima volta, le mani avvinghiate ai corpi, le bocche fameliche. Si baciarono quasi a farsi male con Marinette premuta tra la trave e il corpo di Chat, non si riusciva a capire dove iniziasse uno e dove finisse l’altro.
Quando si staccarono con le labbra gonfie e ansanti, Marinette si domandò come aveva potuto sopravvivere in quei giorni senza lui così vicino. Gli accarezzò il capo biondo mentre Adrien sfiorava con leggeri baci il collo di lei.
“Andiamo a casa tua?”
“Mi sembra un deja-vù, my lady”, le rispose con un ghigno e le diede un veloce bacio a stampo, “le cose cambieranno?”
Lei gli sorrise, “sai, in momenti come questi non bisogna parlare. Stasera saremo solo io, te e il tuo letto.”
“Se qua ci fosse Plagg, farebbe notare che sono presenti anche due innocenti kwami”, disse posando le mani sulla vita della sua lady.
“Perché dobbiamo tirare in ballo Plagg anche quando non c’è?”
Adrien sorrise e scosse il capo, “forza dell’abitudine.”
“Stiamo ancora continuando a parlare, mon minou, e l’unica cosa che vorrei fare è togliermi questa tuta.”
“Ho già detto che amo questa tua determinazione quando sei nei panni di Ladybug? No, perché sennò rimedio subito: amo la tua determinazione. E amo scoprire cosa c’è sotto questa tutina sexy.”
“Chaton?”
“Sì?”
“La curiosità uccise il gatto”, sussurrò al suo orecchio.
“Questa è la mia eroina.”


Angolo Autrice
Ebbene sì, siamo arrivati all'ultimo capitolo di quella che era iniziata come un semplice shot. Visto che voglio dare un vero e proprio finale a questi due meravigliosi personaggi, ho deciso di scrivere un'epilogo. Visto che è già in fase di scrittura spero di pubblicarlo entro la fine della settimana così da concludere degnamente e definitivamente questa storia. 
Grazie a tutte le persone che sono arrivate fin qui,
Cassie.
   
 
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