Libri > Harry Potter
Segui la storia  |       
Autore: Hiraedd    23/07/2020    3 recensioni
A volte capita che il Capitano Grifondoro si ritrovi tra le mani uno strano enigma chiamato Dorcas Meadowes, che in sei anni gli ha rivolto la parola tre volte al massimo, tutte nel giro dell’ultima settimana.
Può anche capitare che un Serpeverde solitario e innocuo inciampi in una maschera che non nasconde solo un volto, ma un mondo intero. Perchè Benjamin odia Caradoc Dearborn, sia chiaro, e quegli occhi dorati non gli fanno alcun effetto. Forse.
Oppure può succedere che il Caposcuola sia innamorato da anni della sorellina del proprio migliore amico, che ha perso la testa per un Auror di stanza in Polonia, e abbia una fottuta paura che Edgar lo scopra e lo torturi perché no, quelli che fa verso Amelia sono tutto fuorché casti pensieri d’amicizia.
Per fortuna, però, che c’è Hestia Jones, deputato diario segreto degli studenti del settimo anno, che tutto osserva nonostante, a conti fatti, non distolga nemmeno per un secondo lo sguardo dal suo adorato fidanzato, il Prefetto Sturgis Podmore.
*
Siamo ad Hogwarts, è l’autunno 1969 e la guerra è già più vicina di quanto non sembri.
*
Altri personaggi: Gideon Prewett, Kingsley Shacklebolt, Sturgis Podmore, Amelia e Edgar Bones.
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Benjy Fenwick, Caradoc Dearborn, Dorcas Meadowes, Fabian Prewett, Hestia Jones
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
Capitoli:
 <<  
- Questa storia fa parte della serie 'oltre il fuoco comincia l'amore'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
NOTE:
Ecco la seconda parte del capitolo. È più corta di quanto non pensassi, avevo scritto un’intera parte in più che ho però poi deciso di far slittare in qualche modo al prossimo capitolo, visto che nel risultato finale ci stava un po’ come i cavoli a merenda. Quindi, questa parte è un po’ più corta del previsto ma molto, molto densa. Tra l’altro, sono davvero soddisfatta di come questo capitolo tutto insieme sia alla fine uscito fuori, quindi spero piaccia anche a voi! Per il prossimo capitolo, però, ho sicuramente bisogno di due settimane almeno… sarà infatti un capitolo molto particolare con tanto di sorpresa allegata, se tutto va come dico io!
Volevo ringraziare di cuore tutte le persone che seguono in qualche modo questa storia e in particolare, mi sono resa conto che in questo momento le recensioni alla storia ammontano a novantanove. Quando ho iniziato a scrivere questa storia, annissimi fa, pensavo che non sarebbe stata letta da nessuno, meno che mai pensavo che qualcuno avrebbe perso un po’ del proprio tempo a recensirla… i personaggi trattati da questa storia sono appena dei nomi nella saga di Harry Potter e quindi ero sicurissima che nessuno avrebbe voluto perdere tempo con loro. Pensare che – nonostante gli anni di attesa – si sia quasi arrivati a cento recensioni, che lettori vecchi e nuovi continuano a leggere e a seguire e a mostrare il proprio supporto, quindi, è un po’ assurdo e un po’ meraviglioso insieme! Vi ringrazio tanto!
Quindi ci vediamo fra due settimane, nel frattempo vi auguro buona lettura!
 
 
 
 
 
CAPITOLO 26
Parte Seconda
 
 
 
 
 
 
 
 
 
<< Toglimi una curiosità >> aveva detto Fenwick con quel suo solito tono monocolore << Perché non ti piace? >>.
 
Non era semplice rispondere ad una domanda del genere.
 
Una vita passata a non farsi piacere la gente, quella di Cinthia Rosier. Lo sapeva benissimo, lei, di essere stata educata secondo canoni rigidissimi che la maggior parte della famiglie magiche, anche di quelle Purosangue, riteneva ormai sorpassati. E secondo quei canoni, gli altri erano semplicemente altri e non qualcosa da farsi piacere.
 
<< Perché dovrebbe piacermi? >> domandò lei in risposta.
 
Cinthia guardò Benjamin Fenwick osservarla silenziosamente per qualche momento. Attorno a loro il caos della partita imperversava, eppure lo sguardo di Fenwick bastava da solo – quando era fisso nel suo – a tirarla fuori da quell’atmosfera competitiva.
 
Cinthia Rosier era abituata ad essere guardata: dai suoi genitori – con quello sguardo in cui le ambizioni della propria famiglia pesavano sopra a qualsiasi pretesa di individualità –, dal resto degli studenti – con invidia o ammirazione –, da una gran parte dei ragazzi più grandi della scuola – con desiderio –.
 
Fenwick invece, fin dalla prima volta in cui l’aveva guardata con quello sguardo scuro e serio, sembrava soppesarla. Non come una Rosier che dovesse dimostrarsi all’altezza del nome che portava, né come una Purosangue, o una Serpeverde, o una ragazza.
 
L’aveva guardata, aveva capito Cinthia dopo aver passato tempo a rifletterci su, come si guarderebbe una persona senza etichette attaccate addosso, qualcuno da cui non si sa cosa aspettarsi e a cui si dà quindi la possibilità di, semplicemente, essere. E quello non era un modo in cui Cinthia Rosier si fosse mai sentita guardata, in vita propria.
 
E la cosa la atterriva.
 
Agli altri sguardi, in fondo, era abituata. Sotto quello sguardo, invece, si era spesso trovata impreparata. Non che potesse mai darlo a vedere: era una Rosier, in fondo, ed a mostrarsi impreparati i Rosier erano probabilmente incapaci a livello dinastico.
 
<< Questo è il genere di cose che dovresti dirmi tu. Non posso dirti io le ragioni per fartelo piacere >> mormorò Fenwick, alla fine di quella lunga occhiata, facendo spallucce e tornando a godersi la partita.
 
Per un po’ rimasero in silenzio. Nello stadio, il volume degli urli di vittoria e degli sbuffi di sconfitta si alternavano in ripetizioni più o meno ricorrenti. Guardarono Max McKinnon vedere il boccino, iniziare l’inseguimento e venir tallonato dalla controparte Grifondoro, una scricciolo di ragazzina che – probabilmente cercando di distrarre l’avversario – sembrava darsi un gran daffare nell’urlargli dietro. Un bolide di Prewett, improvviso, passò ad un soffio dal naso di McKinnon, costringendolo a bloccare il volo con una brusca frenata che impedì anche a Georgia Thorn di afferrare la piccola pallina dorata. Il boccino sparì, tra le urla costernate di entrambe le squadre, e i due Cercatori si misero nuovamente a sorvolare il campo aguzzando la vista.
 
<< Anche McKinnon ci delude, quindi. E si che, dall’abbandono di Dearborn, tutte le aspettative di chi vuole vedere i Grifondoro annegare sul fondo della classifica si erano riversate su di lui. Ma poi, perché stupirsi. Lui è il nuovo Capitano Corvonero, è lui che ha scelto quella rovina di Portiere che hanno deciso di trascinarsi dietro in partita! >>.
 
<< Siete molto diversi, tu e Dearborn >> intervenne nuovamente Cinthia, riaccendendo la conversazione e spostando di nuovo lo sguardo per fissarlo sul Serpeverde. Il ragazzo diede in un sorriso muto, quasi di cortesia.
 
Alecto aveva detto, quando lei le aveva rivelato di aver accettato un invito di Fenwick ad andare ad Hogsmeade insieme, che se lo era aspettato. Hai sempre degnato Fenwick di più attenzioni di quando non ne concedi a tanti altri, erano state le testuali parole della Carrow, ho sempre pensato che in fondo ti piacesse. Sai, come un ragazzo.
 
Ma Cinthia era una Rosier, e aveva sempre avuto ben chiaro in mente che le persone sono altri e, in quanto tale, non qualcosa da farsi piacere. Non importa se qualcuno ti piace, importa se ti può essere utile.  
 
Alecto l’aveva guardata arricciando le labbra. Parli come tua madre, le aveva detto, Fenwick è un figo, e un Purosangue. Certo, è un po’ strano.
 
E Benjamin Fenwick era bello davvero, quello Cinthia poteva ammetterlo. Aveva capelli e occhi scuri, naso dritto e labbra generose, che davano alla sua bocca un aspetto androgino. Per quanto riguardava l’essere strano, beh, Cinthia poteva capire: Fenwick si isolava, era pignolo nelle scelte e si portava dietro un’aura da intoccabile, quasi fosse al di sopra degli altri. Avevano molto in comune, lui e la Rosier.
 
Vedendo che il ragazzo non pareva avere intenzione di rispondere, continuò.
 
<< Fra tutti gli studenti di questa scuola, con tutti avrei detto potessi stringere amicizia fuorché, forse, proprio con lui >>.
 
Quello dovette toccare un qualche tasto in Benjamin, inconsapevolmente, perché il solito sguardo imperscrutabile si accese di un interesse malcelato.
 
<< Devi conoscerlo bene, per poter dire una cosa del genere >>.
 
Cinthia si accorse che per la prima volta dall’inizio di quella conversazione era riuscita a catturare la completa attenzione del ragazzo.
 
<< Dearborn è una delle persone più rumorose della scuola. Non lo conoscono forse tutti? >> domandò lei.
 
E in quel momento, con quelle parole, si rese conto di aver perso quel fuggevole momento di interesse. In quella frase, si accorse Cinthia, doveva esserci stato qualcosa di sbagliato, forse, perché lo sguardo di Benjamin Fenwick tornò scuro e serio e il ragazzo ricominciò a prestare attenzione alla partita.
 
<< Forse >> sussurrò alla fine il ragazzo, il tono nuovamente incolore << Eppure, a tutti piace. E da qui, ritorna la mia domanda iniziale. Perché a te lui non piace? >>
 
<< Prewett in possesso di pluffa, passa a Howard, che passa di nuovo a Prewett e… bolide di Podmore! La pluffa torna ai Corvonero, Reynolds vola verso gli anelli, trova Kirke e… Shacklebolt para! Siamo ancora settanta a zero per i Grifondoro, che hanno purtroppo un Portiere vero al contrario di quella mandragora impagliata di Corvonero >>.
 
Cinthia guardò Fenwick mordersi un labbro seguendo la partita. Avrebbe quasi potuto definirlo nervoso, forse, ma la cosa non aveva il minimo senso. Perché dovrebbe interessargli una vittoria di Corvonero al punto di prenderla tanto a cuore?
 
<< Potresti dirmi perché piace a te >> commentò con attenzione, cercando di riconquistare quel guizzo di interesse che aveva scorto prima nello sguardo del ragazzo.
 
In parte ci riuscì, si rese subito conto, perché Fenwick si irrigidì. Poi, però, il ragazzo non distolse lo sguardo dal campo e rispose con una voce glaciale.
 
<< Oppure potremmo stare in silenzio >>.
 
Mordendosi la lingua per la curiosità di un comportamento tanto strano, Cinthia dovette prendere atto del fatto che la conversazione fosse terminata.
 
 
*
 
 
<< Non riesco a capire cosa sta facendo Sturgis >> mormorò Amelia guardando la partita con aria spaesata.
 
Al momento, il Prefetto Corvonero era impegnato a soppesare la mazza da Battitore che aveva tra le mani, il volto – generalmente inguaribilmente ottimista – segnato da una smorfia scontenta.
 
<< Di tutto per perdere la partita, sembrerebbe >> rispose Edgar con lo stesso spaesamento della sorella nello sguardo << Come il resto dei Corvonero, d’altronde. Eccetto per le tre Cacciatrici, gli altri sembrano non provarci neanche! >>.
 
Amelia sghignazzò.
 
<< Non vorrei essere Dorcas e Hestia in questo momento >> disse.
 
Entrambi si voltarono, praticamente insieme, verso gli spalti occupati dai Corvonero: a differenza degli spalti mezzi vuoti di Tassorosso – che non giocava e quindi non aveva attirato l’attenzione di un nutrito gruppo di studenti – quelli di Corvonero erano pieni di gente dalla faccia scontenta e, di tanto in tanto, dalle prime file – occupate dai seguaci più accaniti – si levavano cori di urla scontente. In prima fila, da una parte Dorcas e dall’altra Hestia, Caradoc Dearborn sedeva al suo posto con i palmi delle mani saldamente premuti sugli occhi.
 
<< Mi sembra di poter sentire il tono di voce lamentoso fino da qui >> disse affettuosamente Amelia.
 
<< Ci toccherà sentirlo per tutto il viaggio in treno, domani >> sbuffò Edgar in risposta.
 
<< Beh, magari Corvonero fa ancora in tempo a vincere la partita! >>.
 
Amelia non aveva nemmeno finito di parlare quando l’ennesimo urlo scontento si sollevò dagli spalti Corvonero. Hestia e Dorcas avevano adesso uno sguardo che verteva quasi sul ridere mentre Caradoc aveva alzato le mani al cielo aprendo gli occhi ed era scattato in piedi per aggrapparsi al parapetto, gli occhi enormi ora spalancati dallo sconforto.
 
<< E Grifondoro segna il suo tredicesimo punto! Congratulazioni ancora una volta, Corvonero, per aver scelto di portare in partita il Portiere più inetto della storia! >>.
 
Da lì in poi era stata una tragedia unica. Certo, non che fino a quel punto fosse andata così bene.
 
 
*
 
 
Sturgis sapeva che avrebbero perso dall’ultimo allenamento che avevano fatto durante quella settimana, prima della partita.
 
Caradoc era entrato in squadra insieme a lui, al loro secondo anno in quella scuola, e ne era diventato il Capitano al quinto: il Capitano più giovane della squadra in settantatré anni. E se c’era una cosa su cui Caradoc aveva sempre insistito, fin da quando aveva ricevuto quella lettera all’inizio di due anni prima che diceva che a lui sarebbe stato affidato il destino di quella squadra, era che una squadra prima ancora di giocare insieme, doveva pensare, insieme.
 
Pensa a una ragnatela, Stur aveva iniziato a dire l’amico ogni volta che se ne presentava l’occasione, non si può strappare un filo senza che tutta la struttura ne risenta. Ecco, noi dobbiamo essere come quella ragnatela.
 
Che poi chissà cosa ne sapeva uno come Caradoc Dearborn di ragni, lui che era sempre il primo ad urlare terrorizzato quando ne vedeva uno.
 
Comunque sia, Sturgis doveva ammettere che quella cazzata della ragnatela stava, più o meno, in piedi, se ci si pensava. Era logico che un gioco dinamico potesse essere soltanto il risultato di una squadra unita, una squadra i cui componenti combaciassero nel gruppo senza perdere le proprie individualità.
 
E quello che era stato chiaro a Sturgis, durante l’ultimo allenamento, era che la loro ragnatela si era rotta: quando Caradoc aveva lasciato la squadra, tutta la struttura ne aveva risentito e no, non bastava prendere un ragazzino a caso che in allenamento parava quattro pluffe su cinque e sperare che tutto andasse bene.
 
Un’altra cosa che Caradoc gli aveva insegnato come Capitano, e non come amico, era a conoscere l’avversario: il primo mese seguente la sua nomina a Capitano, Dearborn aveva mandato tutta la squadra in ricognizione, vagamente in incognito, a spiare non solo le strategie negli allenamenti delle altre squadre, ma anche a vedere come i singoli componenti si comportavano gli uni con gli altri nei normali giorni scolastici.
 
Conosci il tuo nemico, Sturgis gli aveva replicato con piglio battagliero quando lui aveva osato lamentarsi e chiedere spiegazioni.
 
E quindi non c’era davvero da stupirsi del fatto che avessero perso. E benchè se lo aspettasse, pensandoci razionalmente, quando posò il primo piede a terra per scendere dalla scopa al centro del campo – vedendo i Grifondoro festeggiare – Sturgis Podmore ebbe come l’impressione di aver perso molto più che una stupida partita di Quidditch.
 
<< Ci rifaremo la prossima volta >> stava dicendo con tranquillità Max al resto della squadra. Penelope Kirke e Odette Reynolds, da parte loro, cercavano di calmare un piangente Barry Stewart – il ragazzino del terzo anno che aveva preso il posto di Caradoc in porta – che, per tutta la durata della partita, era stato praticamente bullizzato dalla cronista.
 
Sturgis non aveva voglia di sentire frasi fatte di quel genere: tutto quello che voleva era farsi una doccia e rimettersi a letto. Aveva talmente poca voglia di scambiare qualsivoglia frase di circostanza con altre persone che, invece che dirigersi verso gli spogliatoi come alla fine di ogni partita, imbracciò la scopa dalla quale era appena sceso e si diresse a lunghi passi in direzione del castello. I dormitori, per ovvie ragioni, al momento erano vuoti ed erano probabilmente il modo migliore di evitare qualunque distrazione.
 
Quando arrivò alla torre di Corvonero, infatti, un vuoto tranquillo lo accolse e, in solitudine, ebbe il tempo di fare una doccia calda molto veloce. La soddisfazione di avere qualche minuto per sé – che all’interno di una scuola come la loro era merce decisamente rara – svanì tuttavia nel momento in cui rientrò dal bagno al dormitorio per trovare Caradoc seduto sul proprio letto.
 
Sturgis si guardò attorno, cercando di capire chi avesse accompagnato Caradoc a cercarlo: d’altronde, era da quando avevano discusso che Dearborn sembrava trovare qualsiasi scusa per non spendere troppo tempo da solo con lui. L’amico, tuttavia, scrollò il capo. Per un po’ rimasero in silenzio, poi Caradoc sospirò.
 
<< Mi dispiace >> mormorò, la voce sconfitta e gli occhi bassi.
 
Sturgis non rispose nulla, perché d’altronde non c’erano molte cose che potesse dirgli che non gli aveva già urlato contro.
 
Caradoc si stava guardando le mani.
 
<< Hai ragione nel dire che il Quidditch è l’unico futuro in cui mi riconosco. E hai ragione anche a dire che è stato mio padre a volere questo, per me. Che lasciassi, intendo. Però non ce la faccio, adesso, ad oppormi >>.
 
Sturgis annuì, sedendosi sul proprio letto, di fronte al suo, e guardando l’amico con uno sguardo a metà tra l’attesa e lo sconforto.
 
<< Vedere perdere la partita è stato terribile >> mormorò dopo un po’ Caradoc. Sembrava tentarle, le frasi, mettendole una dopo l’altra senza un apparente filo logico.
 
<< Non tanto terribile quanto giocarla, credimi >> rispose Sturgis, tentando di fare ironia ma finendo con una piega amara delle labbra. Ci pensò un attimo su, poi chiese: << E lo sai quale è stata la cosa peggiore? >>.
 
Caradoc, da parte sua, sorrise.
 
<< Poter elencare punto per punto dove avete sbagliato e come avreste potuto fare meglio? >> chiese.
 
Sturgis annuì.
 
Caradoc annuì.
 
Rimasero in silenzio ancora per un po’, senza spezzare quell’immobile equilibrio in cui si trovavano dopo quasi due mesi di tensione. Incredibile, entrambi avevano quasi perso le speranze di poterlo ritrovare, quell’equilibrio. Ritrovarcisi immersi, Sturgis pensò, era inaspettato. Sapeva che avrebbero perso la partita, Sturgis Podmore, e aveva pensato che quello potesse essere il colpo di grazia alla sua amicizia con Caradoc nel periodo critico che stavano attraversando: non aver saputo mantenere integra la struttura della ragnatela.
 
Dopo un po’ Caradoc parlò di nuovo.
 
<< Come è che dice Hestia di solito? Che io e te condividiamo la mente… >>.
 
<< Il cervello >> lo corresse Sturgis, ridendo << Dice che condividiamo il cervello. Non è un complimento, di solito. Dice che non si sa mai chi dei due ce l’abbia al momento >>.
 
Caradoc sorrise.
 
<< Non posso dire che abbia torto >> mormorò il ragazzo.
 
Sturgis scosse il capo, pensieroso. Rendendosi conto che raramente insieme al suo migliore amico aveva avuto discussioni così profonde, si sentì per un attimo timoroso.
 
<< Penso che abbia ragione, sai? Non nel senso dispregiativo del termine ma… >> domandò ad un certo punto, lanciandosi un po’ nel vuoto e cercando le parole esatte. Ripensò alla fine della partita, e aggiunse a mo’ di spiegazione: << Quando sono sceso a terra, prima, ho pensato che tu saresti stato l’unico in grado di capire come mi sentivo >>.
 
Il sorriso di Caradoc era stato immediato.
 
<< Lo capisco ancora. Anche se non sono più il tuo Capitano, sono ancora il tuo migliore amico. Il Quidditch è ancora una cosa nostra >>.
 
Per la prima volta da settimane, Sturgis sentì come un grande peso sollevarglisi dalle spalle. Aveva recriminato a Caradoc il suo non essere più il Capitano, ma forse la mancanza che aveva sentito di più era stata proprio quella dell’amico. Sapere di non averlo perso davvero, pensò Sturgis guardandolo, leniva addirittura un po’ del dispiacere causato dall’aver subito una sconfitta a Quidditch.
 
Forse, quello era il punto da cui iniziare a costruire di nuovo.
 
 
 
   
 
Leggi le 3 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Harry Potter / Vai alla pagina dell'autore: Hiraedd