Anime & Manga > Dragon Ball
Ricorda la storia  |      
Autore: Teo5Astor    24/07/2020    14 recensioni
Tora ki, l’energia della tigre.
La leggenda di una ragazza guerriera che agli albori della storia del mondo ottenne il potere di trasformarsi in una tigre per difendere i più deboli dal male, a patto di dover rinunciare a qualcosa di molto importante.
Questa è la storia di Diciotto, detta Tora, la tigre dagli occhi di ghiaccio che sognava di essere una tigre dagli occhi di giada. Ma è anche la storia di Lazuli, una ragazza come tante, in cerca del suo posto nel mondo.
Quanto è difficile convivere coi propri demoni?
Vincerà l’energia della tigre o avranno la meglio gli occhi di giada?
Un racconto che parte dalla notte dei tempi e sfocia nel presente.
Dal testo:
“Gridò quella notte il suo dolore alla mezza falce
con parole di miele dal sapore di sangue.”
Genere: Azione, Introspettivo, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: 18, Crilin | Coppie: 18/Crilin
Note: AU | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Tora ki
 
 
Lei era l’ultimo baluardo di un’era al tramonto.
C’era quando il mondo era giovane e l’uomo era solo polvere attorno.
Figlia di Gaia, nata dal soffio del vento,
che le dava forma all’ombra del cielo che respirava.
 
Nacque così, prima di ogni altro essere vivente e agli albori della storia, una ragazza alta e slanciata dai capelli biondi che le ricadevano sulle spalle e uno sguardo che era pura determinazione. Aveva gli occhi verdi come la giada e una missione da compiere, che era poi il motivo per cui sua madre, la dea primordiale Gaia, l’aveva messa al mondo sfruttando il freddo vento del nord che lei stessa aveva creato, Gelo. La sua missione era una e una sola: proteggere la terra che le aveva dato la vita e le persone che sarebbero nate dopo di lei. Gaia e la Madre Terra erano una cosa sola e lei, in quanto prima figlia e guerriera eletta, era stata generata per proteggerla insieme alle creature che lì avrebbero trovato la vita.
Era nata adulta ed era straordinariamente bella, fredda come il vento gelido che soffiava dentro di lei e che l’aveva plasmata e forte come la dea primigenia che l’aveva voluta con quelle caratteristiche e messa al mondo. Doveva essere l’ultimo baluardo a cui il mondo si sarebbe dovuto aggrappare nei momenti bui e durante i tramonti delle varie ere che si sarebbero susseguite nel corso della storia. Avrebbe dovuto affrontare e sconfiggere il male in ogni sua forma, che fosse di natura demoniaca o umana. Era questo il suo compito. Il suo destino era scritto.
Era sola e silenziosa, incantevole e irraggiungibile. Glaciale e malinconica, incapace di sorridere e focalizzata semplicemente sulla sua missione. Non aveva un nome, non le serviva. Sua madre le spiegò qual era la sua ragione di vita, suo padre le disse che era nata il diciottesimo giorno dalla creazione di tutto quello che vedeva intorno a sé. E fu così che lei decise per conto suo che si sarebbe chiamata Diciotto. E stabilì anche che nessuno sarebbe morto finché ci sarebbe stata lei a difenderlo.
 
Il sole sorse, la scorse,
colpito dalla sua bellezza le diede fierezza e magiche forze.
Zampe per correre, artigli per colpire
e zanne fatte per mordere, come per stringere appigli per uscire.
 
Il sole splendeva alto nel cielo e la guardava, illuminato a sua volta dalla sua algida ed eterea bellezza, oltre che dalla fierezza che emanava quella ragazza. Ritenne che il compito a cui andava incontro sarebbe stato tutt’altro che semplice e le diede in dono un potere: la possibilità di tramutarsi in una meravigliosa e possente tigre per poter combattere andando oltre i limiti che avrebbe dovuto affrontare un corpo umano come il suo. Il sole si era innamorato di lei e le fece quel dono perché non voleva vederla morire nel tentativo di salvare gli altri. Sapeva che prima o poi sarebbero arrivati demoni e mostri, come era a conoscenza che il male avrebbe fatto la sua comparsa in svariate forme non appena l’umanità si sarebbe diffusa sulla terra. Anche lui aveva il compito di vegliare su tutte le creature che avrebbero popolato il mondo, ma non poteva negare a sé stesso che col suo calore avrebbe voluto scaldare per sempre il gelido cuore di quella ragazza nata esclusivamente per combattere.
 
La notte, anche la luna la vide
e decise di darle in dono sia il bene che il male per uccidere,
l’intelligenza superiore per decidere,
ma anche un animo interiore oscuro e duro, con cui convivere,
fatto di scelte libere, ma
a patto di vivere per sempre nel verde e in assoluta cecità.
 
Quando il sole tramontò, la luna vide quella ragazza solitaria e decise anch’essa di farle un dono per renderla invincibile, ma, a differenza di quanto le aveva regalato il sole, lei avrebbe voluto qualcosa in cambio: i suoi occhi verdi, preziosi e splendenti come la giada. Avrebbe dovuto rinunciare alla vista per ottenere un’intelligenza e una capacità di giudizio che non avrebbero avuto pari, che le avrebbero consentito di sconfiggere il male in ogni sua forma e di difendere chiunque avesse avuto bisogno di lei. I suoi occhi divennero dello stesso colore del ghiaccio, i suoi sensi si acuirono e il suo cuore si indurì. Avrebbe dovuto vivere nell’oscurità, accettando e gestendo al contempo anche le tenebre dentro di sé. Quella ragazza capace di tramutarsi in tigre era nata per fare del bene, ma, combattendo e lottando fino alla morte, avrebbe conosciuto il male e ne sarebbe stata intaccata. Doveva diventare capace di accoglierlo in sé senza lasciarsi divorare da nessun tipo di brama o sete di vendetta. Doveva mantenere in sé la virtù dell’energia della tigre e utilizzarla con lucida serenità, non avrebbe mai dovuto lasciarsi vincere da nessun desiderio, né materiale, né frutto dell’istinto. Non era un compito facile, tutt’altro.
 
                
Lei accettò le responsabilità e prese la sua strada.
Ma già sognava degli occhi di giada.
 
 
Diciotto cominciò il suo viaggio per il mondo, mentre l’umanità cresceva e prosperava intorno a sé. Insieme al bene, intanto, si sviluppava anche il male in ogni sua forma. La ragazza dagli occhi di ghiaccio in grado di tramutarsi in tigre viveva nell’oscurità e cercava di seppellire dentro di sé il forte desiderio che ogni giorno diventava però sempre più forte e sempre più simile a un’esigenza. Voleva tornare a vedere, sognava di essere una tigre dagli occhi di giada. Ma, non per questo, veniva meno ai suoi doveri. Al compito per il quale era stata messa al mondo e che sentiva profondamente suo. Cercava di confinare la sua brama e riempire il cuore della serenità necessaria a combattere per sconfiggere il male. Riusciva distintamente a sentire fluire in sé l’energia della tigre.
 
 
Con l’animo pacifico
di chi diventa sorda quando il grido è del pericolo.
Protettrice delle creature di Madre Terra,
eletta dalla stessa a quel ruolo sull’orlo della guerra.
 
 
Il male cominciò ad albergare sempre di più nei cuori degli uomini, che combattevano tra loro per ogni cosa. Si uccidevano, facevano stragi per i motivi più futili, incapaci di trovare un accordo. I più forti volevano prevalere sui più deboli, non erano più solo le creature demoniache le minacce per le persone che Diciotto sentiva di dover proteggere. Alcune di loro cominciarono a chiamarla “Tora”, cioè tigre, dato che non sapevano il suo nome e lei non rivolgeva la parola praticamente a nessuno, limitandosi a svolgere il suo compito.
Il tempo passava e il male cresceva. Non solo intorno a sè, ma anche dentro di lei, andando di pari passo con il desiderio di poter tornare ad avere i suoi occhi di giada che era sempre più simile a un’ossessione.
 
 
In quel turbine d’odio, Tora aiutava i più deboli.
La sola risorsa di chi non poteva difendersi.
Nell’ergersi con la sua mole,
il suo ruggito era la liberazione di mille parole d’amore.
Squarciava nubi con le zanne, sfatava il mito dei dubbi,
mandava in panne i colori più cupi.
 
 
La tigre dagli occhi di ghiaccio era una furia in battaglia. Invincibile, imbattuta. Passavano i secoli, ma nessuno poteva sconfiggerla. La lucidità con cui cercava di mantenere il cuore sereno durante la battaglia le permetteva di andare oltre l’atroce desiderio di avere indietro i suoi preziosi occhi di giada e sfruttare appieno i poteri che le avevano donato il sole e la luna.
Ma non era facile, non tutti i giorni erano uguali nel suo mondo fatto di oscurità. La virtù interiore, a volte, lasciava spazio alla brama materiale. Lei vacillava e ruggiva paurosamente verso il cielo per provare a scacciare il suo dolore e ritrovare un appiglio nell’energia della tigre che ancora fluiva in sé.
La giada e il ghiaccio avevano un valore incomparabile, come un mondo fatto di luci e colori e una vita fatta di oscurità talvolta soffocante.
Con questi sentimenti contrastanti nell’animo, un giorno Diciotto si spinse fino all’isola di Okinawa, dove si era manifestato il più forte e pericoloso demone che avesse mai incontrato. Si chiamava Cell, ed era nato dal male che ormai traboccava dal cuore di un sempre maggior numero di persone. Traeva forza direttamente dalla loro energia spirituale e diventava sempre più potente. Risucchiava la forza degli uomini e il loro odio, che per lui erano linfa vitale.
Ma Diciotto, Tora, la tigre dagli occhi di ghiaccio che sognava di essere una tigre dagli occhi di giada, non aveva paura di lui. Non lo vedeva, ma sapeva soltanto che avrebbe dovuto salvare tutti e distruggerlo. Lo voleva fortemente. Lo desiderava ardentemente. Quasi follemente.
 
 
Salvò tutti meno uno. La cecità
la costringeva alla percezione che non arrivava fino là.
Distrutta dal rimorso, contava il tempo e i suoi rintocchi,
e dentro bramava a più non posso quegli occhi.
 
 
Fu il primo fallimento della vita eterna di Diciotto, e non riusciva a darsi pace per questo. Era riuscita a salvare tutti, ma Cell, all’ultimo istante, prima di fuggire, aveva ucciso un bambino. La tigre dagli occhi di ghiaccio diede la colpa di tutto questo al fatto che era cieca. Si colpevolizzò, si illuse che con una percezione completa del mondo intorno a sé avrebbe potuto salvare quel bambino innocente. Cell approfittò del suo momento di shock e scappò, salvandosi da una fine altrimenti certa. Diciotto, invece, si isolò nella foresta, incapace persino di piangere per il dolore che provava e che la stava divorando da dentro. Sentiva battere il suo cuore, e quei rintocchi scandivano il passare del tempo che le fu necessario per rendersi conto che il rimorso le impediva di controllare la brama che provava da sempre.
Quando fu notte, le tenebre che la circondavano dentro e fuori dal suo corpo la fecero precipitare verso il punto di non ritorno. La fecero affogare in un mare di dolore. Non c’era il sole, e nemmeno un appiglio a cui aggrapparsi.
 
 
Il desiderio bruciante la rese vittima
nel momento in cui si arrese a ciò che le pareva importante.
Gridò quella notte il suo dolore alla mezza falce
con parole di miele dal sapore di sangue.
 
 
 
«Ti prego, luna, ridammi la vista. Restituiscimi i miei occhi di giada!» urlò la ragazza dallo sguardo glaciale rivolto verso l’alto, sulla cima di un promontorio che dava sul mare, mentre la brezza notturna le faceva ondeggiare i capelli dorati. «Io… io desidero solo questo! Avrei potuto salvare tutti! Devi ridarmi ciò che è mio per permettermi di fare giustizia!» aggiunse, stringendo i pugni così forte da farsi male.
 
 
Dimenticò la promessa e la sua stessa natura.
Ce la portò la paura e Madre Natura la pianse.
La mandarono in trance quelle pupille,
il suo cervello era sveglio, ma il corpo voleva mille battaglie.
 
 
Diciotto si ritrovò illuminata da un bagliore candido e da quel momento tornò a vedere il mondo intorno a sé. Lo trovò cambiato dall’ultima volta, ma si rese presto conto che era lei stessa quella che era cambiata di più. Aveva infranto la promessa, non riusciva più a gestire il male che dentro di lei prendeva il sopravvento. Il buio le consentiva di mantenere alta e costante la concentrazione per ignorare il desiderio e gestire il suo immenso  e letale potere, il ghiaccio che aveva negli occhi le consentiva di anestetizzare il dolore e pensare solo alla giustizia che doveva garantire nel mondo.
Ma ora era tutto diverso. La sua mente era ottenebrata, il suo corpo voleva la guerra. Si trasformò in tigre senza nemmeno rendersene conto e ruggì alla luna, fiutando voracemente l’odore del sangue che voleva vedere scorrere al più presto.
Era diventata la tigre dagli occhi di giada che aveva sempre sognato di essere fin dalla notte dei tempi, ma non aveva più il controllo di sé stessa.
 
 
Si ritrovò ad uccidere chi prima proteggeva.
Come poteva reprimere ciò che non voleva?
Si narra che uccise, derise, perseguitò,
dilaniò, però lo fece mentre piangeva.
 
 
Trovò subito Cell, lo guardò in faccia e lo uccise con spaventosa brutalità, lasciandolo in un lago di sangue. Ma la sua sete di battaglia era inestinguibile, non esisteva più un confine tra bene e male in lei. Sterminò chiunque trovò sul suo cammino in quella folle notte, li vide morire tra atroci sofferenze, dilaniati dalle sue fauci. Osservò la morte e la paura dai loro occhi e rimpianse di non essere più cieca. Piangeva, Diciotto, mentre massacrava un innocente dopo l’altro, perché era consapevole di quello che stava facendo, ma non era più padrona del suo corpo per poter porre fine a quella carneficina. Il suo potere era troppo grande per essere gestito da chi, come lei, non aveva più nel cuore la serenità necessaria per combattere dalla parte del bene e aiutare i più deboli. Non c’era più traccia in lei dell’energia della tigre che l’aveva sempre accompagnata e protetta.
Mentre atterrava con una zampata la sua ennesima vittima ruggì di dolore e pentimento, rimpiangendo quegli occhi di ghiaccio che per secoli e secoli avevano salvato il mondo e lei stessa. L’energia della tigre era racchiusa in quegli occhi di ghiaccio, non certo in quegli occhi di giada che simboleggiavano semplicemente la brama.
Se ne rese conto, tutto le fu chiaro all’improvviso. Ma era troppo tardi.
Andò avanti fino all’alba, in trance e  col manto imbrattato di sangue, senza sentire la fatica, ma solo percependo un atroce dolore e un senso di colpa che quasi le impedivano di respirare.
 
 
 
Il sole dall’alto la guardò,
inviò i suoi raggi più forti degl’altri e la pietrificò.
Ciò che si verificò fu la fine di Tora la pura
che da quel giorno è statua di monito nella fortezza di Shura.
 
 
Il sole vide Diciotto e ripensò ai secoli e secoli passati ad ammirarla senza che lei potesse più vederlo. Si domandò se lei avesse pensato a lui almeno una minima parte di quanto lui aveva pensato a lei. Perché lui l’amava, e avrebbe voluto scappare e lasciare spazio alla pioggia per sempre pur di non vederla fare quello che stava facendo. Ma non poteva, era stato lui a darle per primo i poteri ed era sua responsabilità a quel punto proteggere il mondo.
E proteggere la tigre, visto che non sfuggì al sole che stava piangendo quando alzò la testa verso di lui e lo fissò. Diciotto vide il sole per la prima volta da quando la luna l’aveva resa cieca e si sentì meglio. Riuscì a bloccare il suo corpo bramoso di sangue per un istante, mentre implorava il sole senza parlare di porre fine alla sue sofferenze e a quelle di tutti.
Il sole non poté fare altrimenti, e con un disperato gesto d’amore la investì di una calda luce scarlatta che la pietrificò.
Diciotto venne tramutata in una statua che raffigurava una tigre, ma i suoi occhi erano ancora due preziose gemme di giada incastonate nella pietra.
In seguito venne portata in un tempio all’interno del castello di Shura, dove per secoli e millenni venne tramandata la sua storia a chiunque passasse di lì.
 
 
Tora-ki, tigre dagli occhi di giada.
Tora-ki, unica regina di Okinawa.
 
Un monaco aveva appena finito di raccontare la leggenda della tigre dagli occhi di giada per l’ennesima volta nella sua giornata a un gruppo di turisti, che passarono oltre e si diressero in un’altra stanza della fortezza di Shura per proseguire la loro visita guidata, abbandonando il tempio.
Solo un ragazzo di bassa statura, dal fisico atletico e dalla testa rasata rimase a fissare la statua.
Piangeva, mentre osservava la pietra e quelle gemme verde chiaro che sembravano rifulgere di luce propria.
Piangeva, perché immaginava il dolore che aveva dovuto provare quella ragazza in grado di trasformarsi in tigre.
Piangeva, perché si domandava se avesse sofferto durante il processo di pietrificazione e se avesse continuato a soffrire anche dopo.
Pensò a tutto il bene che aveva fatto, e al male che l’aveva travolta nell’unica occasione in cui non era riuscita a salvare tutti. Pensò alla missione che aveva dovuto sopportare da sola per tanto tempo, ai suoi poteri e al patto che aveva dovuto stipulare per poterne fare uso.
Si domandò che aspetto avesse quella ragazza. Il suono della sua voce. Il suo profumo.
Vedendolo piangere, il sole che filtrava dalla finestra, illuminando sia lui che la statua di Diciotto, provò pena. Nessuno aveva mai pianto nel sentire quella storia. Nessuno si era mai messo nei panni di colei che era diventata famosa col nome di Tora grazie alle sue prodezze.
Il sole non aveva mai smesso di amare quella ragazza, e non aveva mai smesso di soffrire. Nei periodi in cui pioveva più spesso del solito in quella terra, i monaci più anziani erano abituati a dire che era dovuto al fatto che il sole stesse pensando più intensamente del solito alla sua Tora e a quello che aveva dovuto fare per fermarla.
Il sole pensò che fosse passato abbastanza tempo. Che il mondo fosse cambiato. E che anche Diciotto avrebbe potuto cambiare.
Che sarebbe potuta essere felice. Che meritava di non avere più una missione da compiere.
Aumentò l’intensità dei suoi raggi così tanto da abbagliare il ragazzo, che smise di piangere e si dovette riparare gli occhi con un braccio. Il calore investì la statua e la travolse con un’energia nuova, un ki anche maggiore di quello che Diciotto era solita sentire sprigionarsi dentro di sé quando si trasformava.
La tigre si sbriciolò fino a diventare una cumulo di sabbia grigiastra in cui giacevano semisepolte due gemme di giada.
Quando la luce tornò alla normalità e il ragazzo poté riaprire gli occhi si trovò davanti uno spettacolo che gli tolse il fiato: c’era una ragazza innanzi a lui, vestita solo con un leggero e corto vestito bianco, che lo fissava con sguardo freddo e impenetrabile. Alta, fisico perfettamente definito, sandali dorati ai piedi. Così bella da incutere timore.
Distolse lo sguardo da lui per guardare prima le proprie mani e poi intorno a sé. Forse era incredula, ma non sembrava volerlo dare a vedere. Osservò il cumulo di cenere sul piedistallo dove prima c’era la statua e poi si volse di nuovo verso il ragazzo.
«Di che colore sono i miei occhi?» gli chiese a bruciapelo, mentre si sistemava una ciocca di capelli biondi dietro l’orecchio.
«E-eh?! I-Io?! A… a me?!»domandò a sua volta il giovane, intimorito e ammaliato allo stesso tempo, facendo un passo indietro.
«Ti ho chiesto di che colore sono i miei occhi, sei sordo?!» ripeté lei, alzando il tono della voce.
Se il suo atteggiamento era intimidatorio, il suo sguardo lo era anche di più.
«S-sono… sono azzurri! Anzi, color ghiaccio!» balbettò il ragazzo, prendendo gradualmente fiducia.
Lei accennò un sorriso e si volse verso le gemme di giada semisepolte nella pietra sbriciolata, dopodiché alzò gli occhi al cielo, verso il sole.
Aveva gli occhi di ghiaccio, ma ci vedeva. Sentiva dentro di sé l’energia della tigre, ma non poteva più trasformarsi. Non era necessario, non serviva. Nel suo cuore albergava una solida serenità. Non c’era più traccia del male.
 
 
Ora che gli occhi di giada guardano gli occhi di giada,
io lascio gli occhi di giada per l’energia della tigre.
Ora, senza gli occhi di giada, guardo chi ha gli occhi di giada
e dentro quegli occhi di giada non c’è energia della tigre.
 
 
Si sentiva distaccata da un mondo in cui mancava da troppo tempo, ma era anche e soprattutto felice.
«Dimmi una cosa: quando siamo?» chiese ancora al giovane, che la ammirava, incapace di staccarle gli occhi di dosso. Non aveva mai visto una ragazza più incantevole di lei.
«I-in che senso?»
«Non so come contiate gli anni, ma… in che anno siamo?»
«Ah! Nel 2020! Siamo nel 2020!»
«2020 rispetto a cosa? Beh, non è molto importante… suppongo che sia passato tanto tempo. Troppo tempo» accennò di nuovo un sorriso la ragazza, posando i suoi meravigliosi occhi di ghiaccio su quelli neri del ragazzo che aveva davanti. «Ne avevo una vaga percezione, così come avevo una pallida sensazione di quello che accadeva intorno a me».
«Tu… t-tu eri quella tigre di pietra?! Cioè, tu sei Diciotto, quella della leggenda?!» esclamò lui, sorridendo. Era felicemente sconvolto.
«Diciotto… Tora… ho avuto diversi nomi, ma mai nessuno che sentissi davvero mio» alzò le spalle lei, come se la cosa non la riguardasse nemmeno. «Non ha molta importanza pensare chi ero».
Incrociò le braccia sotto il seno e distolse lo sguardo da quello di lui.
«Beh, ma tutti hanno un nome! E… e Diciotto è un bel nome per… ecco… per te!» rise il ragazzo, grattandosi la nuca. «E comunque conta quello che sei adesso e che sarai da adesso in poi, no?»
La ragazza dagli occhi di ghiaccio si voltò di scatto, fulminandolo con un’occhiata apparentemente truce.
«E-ecco… c-cioè, io… non è che volessi farmi gli affari tuoi, ma…».
«Tu che nome mi daresti?» lo interruppe lei, seria e indecifrabile.
«I-io?!» balbettò il giovane, indicandosi col dito, perplesso e teso. Stava sudando.
Il silenzio che sapeva di assenso da parte di quella ragazza enigmatica e ammaliante gli fece capire di muoversi a trovare una risposta. Ma sapeva benissimo che non poteva dare una risposta qualunque. Perché quella che aveva davanti non era, appunto, una ragazza qualunque.
Si sentì stupido, ma mentre lei lo fissava con quel suo sguardo glaciale, quel ragazzo si ritrovò a pensare che sarebbe stato bello amarla. Sentirsi amato da lei, più che altro, perché lui in cuor suo sentiva già di essersi innamorato di lei.
Pensò che sarebbe stato bello proteggerla, vivere con lei. Ridere con lei. Vederla sorridere, vederla vivere.
Pensava a tutto questo e anche a un’idea, mentre si sforzava di non perdersi in quello sguardo talmente intenso che sembrava stesse cercando di scavargli dentro, per capirlo a fondo.
Già, il suo sguardo…
Il giovane sorrise, perché la risposta era sempre stata lì. E, in parte, in quel mucchietto di sabbia pietrificata dove fino a poco prima c’era una statua.
«Lazuli» disse lui dolcemente. «Ti chiamerei Lazuli» aggiunse, mentre lei sollevava in maniera quasi impercettibile un sopracciglio e una scintilla accendeva il suo sguardo, rendendolo meno freddo. «Sai, i tuoi occhi mi ricordano dei lapislazzuli… e poi… beh, sì, tutta quella storia degli occhi di giada… c-cioè, mi piacciono di più due occhi di lapislazzuli, ecco!»
La ragazza arrossì leggermente e distolse lo sguardo da lui, guardando il sole attraverso la finestra del tempio. Era gentile, e lei non era abituata alla gentilezza. Nessuno era mai stato gentile con lei.
«Lazuli…» ripeté con un filo di voce. «Suona bene».
«Ah, beh, ecco… è un nome stupendo secondo me!» ridacchiò il ragazzo, a disagio e allo stesso tempo sollevato. «E poi… e poi, insomma, sono felice che tu sia qui! Che tu sia tornata, intendo! È giusto così!»
Lazuli si voltò di nuovo e lo guardò. I tratti del suo viso erano più dolci rispetto a prima. Gli occhi lucidi, anche se il giovane ebbe l’impressione che fosse solo un effetto del riflesso del sole.
«Sai, nessuno aveva mai pianto per me da quando sono qui» sospirò la ragazza, che sembrava improvvisamente indifesa e vulnerabile. «Credo che sia stato tu a liberarmi dalla mia maledizione. Grazie».
«Non devi ringraziarmi! Io non ho fatto niente! Ecco… in realtà penso che tu sia straordinaria, tutto qui!» ammise il ragazzo, e Lazuli sentì il suo cuore battere un po’ più forte.
Non ricordava di averlo mai sentito palpitare così, non era neanche mai stata certa di averlo, un cuore.
Osservò la luce riflessa sulla testa rasata di quel giovane e in qualche modo ci rivide il sole. Sorrise anche per questo, perché il sole l’aveva sempre rassicurata e scaldata anche quando lei non era più stata in grado di vederlo. Le aveva dato i poteri e l’aveva fermata quando lei aveva perso il controllo, salvandola.
«Come ti chiami?»
La sua voce era calda e sensuale per i sensi di quel ragazzo solo in apparenza minuto, ma in realtà molto muscoloso.
«I-io?! Ah, già, Crilin!» quasi urlò lui, arrossendo.
«Bene, Crilin» disse Lazuli, sorridendo e camminando lentamente verso di lui.
Quando gli fu accanto si abbassò col busto e lo guardò per un istante attraverso i suoi occhi di ghiaccio che sembravano brillare in quel momento, come se fossero appena stati attraversati da un bagliore impercettibile. Il cuore di Crilin batteva a mille, il profumo di quella ragazza e la sua vicinanza lo stavano confondendo fino a stordirlo.
«Ci vediamo» aggiunse, dandogli un lieve e allo stesso tempo tumultuoso bacio sulla guancia.
Crilin la seguì con lo sguardo, tremante e con le ginocchia che gli cedevano, mentre lei andava oltre e usciva dal tempio senza voltarsi.
I suoi sensi erano sconvolti. Portati all’eccesso. Tramortiti e rianimati nel volgere di un istante che profumava di infinito.
La sua bellezza era così dirompente da essere quasi violenta.
Ma gli aveva detto “ci vediamo”. Due semplici parole che però racchiudevano un mondo.
Una speranza, un sogno che poteva essere concretizzato nonostante le loro differenze.
Crilin sorrise, mentre Lazuli spariva dalla sua vista al di fuori del tempio, leggera come una piuma.
“Lazuli”.
Già, suonava proprio bene quel nome.
“Lazuli”.
A Crilin appariva un po’ meno irraggiungibile. E un po’ più sua.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Note: sarà almeno due anni che avevo in testa questa storia, ma non trovavo mai l’ispirazione giusta per buttarla giù come volevo. Alla fine è venuta fuori così e spero vi sia piaciuta.
Ci tengo subito a ringraziarvi se siete arrivati fin qui e mi auguro abbiate apprezzato questo mix tra le parti originali della canzone di Raige che ha ispirato questo racconto (cioè quelle scritte in corsivo) e la narrazione.
La canzone si intitola appunto “Tora ki”, e dà il nome anche al primo album di Raige che risale ormai a 15 anni fa. Se siete curiosi e non conoscete questa canzone potete cercarla su Youtube oppure su Spotify e simili, so che durante il lockdown Raige ha messo online una nuova versione di quel suo primo album perché prima era molto difficile da reperire, essendo un’autoproduzione. Ai tempi, infatti, non faceva ancora il cantante di professione. Le copie fisiche dell’album, in compenso, sono quasi introvabili ormai, nonostante si tratti a tutti gli effetti di una pietra miliare del rap italiano e faccia un po’ effetto sentirlo oggi, dato che Raige ha cambiato decisamente sonorità e in parte anche timbro vocale, crescendo.
Credo che questa leggenda l’abbia inventata lui di fatto, e a me aveva colpito tantissimo fin dal mio primo ascolto diversi anni fa. Ho voluto farne una storia con C18 protagonista, sia perché lei è la mia preferita, sia perché la trovo perfetta per questo ruolo e questa vicenda. Ma ho voluto aggiungere un finale che sapesse di lieto fine, di speranza e di amore grazie all’arrivo di Crilin. Spero abbiate apprezzato questa aggiunta! E, per i fan di Rad, stavolta ho deciso di restare sul canon. ;-)
La fortezza di Shura esiste realmente sull’isola di Okinawa, anche se in realtà si chiama Castello di Shuri, per essere precisi. Si tratta di un tipico castello giapponese medievale, il cui corpo principale è stato purtroppo vittima di un incendio che l’ha distrutto l’anno scorso.
Altra piccola precisazione: la traduzione corretta di “energia della tigre” sarebbe “tora no ki”. Probabilmente Raige si è concesso la licenza poetica di elidere la particella “no” per motivi di musicalità, o magari non lo sapeva. Ringrazio Moriko per aver notato questa cosa ancora prima che pubblicassi questa one shot.
 
Questa canzone aveva un significato profondo inserito nel filo conduttore di quell’album, che di fatto è un lungo sfogo, canzone dopo canzone, di un ventenne che si ritrova dall’oggi al domani con un padre in galera, una mamma sconvolta e due fratelli più piccoli. L’energia della tigre che si contrappone agli occhi di giada può voler dire tante cose, credo che ognuno di noi possa vederci dentro quello che vuole a seconda delle circostanze. Io penso che a volte la sete di ricchezza e di beni materiali (i preziosi occhi di giada) ci facciano perdere di vista le cose veramente importanti della vita, le piccole cose che in realtà danno un senso a tutto e ci fanno vivere bene, felici, da soli o con chi amiamo. Credo che dentro di noi sia questa l’energia della tigre, ed è una virtù che ci spinge sempre a dare qualcosa in più in quello che ci rende felici e ci fa stare bene.
Io, sfruttando le caratteristiche fisiche di C18, ho aggiunto gli occhi di ghiaccio per aumentare la contrapposizione (anche a livello di pietre preziose) con gli occhi di giada… anche perché a volte basta cambiare punto di vista sulle cose per rendersi conto di quanto siamo sempre stati ciechi quando invece ci bastava osservare meglio: gli occhi di ghiaccio non saranno di giada, ma possono essere benissimo di lapislazzuli. E possono essere pieni di energia della tigre.
 
Grazie ancora per essere arrivati fin qui, fatemi sapere cosa ne pensate di questa storia un po’ particolare e della contrapposizione tra l’energia della tigre e gli occhi di giada!
Mi farebbe molto piacere, alla fine io ho esposto solo le mie idee “filosofiche”, ma non è detto che siano corrette… voi cosa mi dite allora? Mi piacerebbe confrontarmi con voi. Vi è piaciuta Lazuli? E Crilin? ;-)
 
Ci vediamo mercoledì col capitolo 21 de “Le Sette (sfere) e una notte”, a presto!
 
Teo
 
 
   
 
Leggi le 14 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Dragon Ball / Vai alla pagina dell'autore: Teo5Astor