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Autore: GiusyWriter    25/07/2020    0 recensioni
Un tempo lontano...
Una terribile guerra che logora due antichi alleati nella terra di Whad...
Due sorelle in lotta per salvare e tutelare il loro regno insidiato da un nemico indomabile, potente ed oscuro...
Un torto antico che ha risvegliato una tremenda sete di sangue e di vendetta difficile da placare...
Bene e male si fondono in un'unica entità...
Riuscirà la guerriera dal fiore rosso a vincere anche questa battaglia e a portare alla luce una verità sepolta sotto un manto di segreti ed inganni?
Questa è la prima storia che pubblico.
Mi piacerebbe conoscere le vostre opinioni nelle recensioni.
Vi ringrazio e vi auguro una buona lettura.
Genere: Avventura | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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UNO
 
La foresta era immersa in un silenzio penetrante.
La quiete pressoché assoluta era interrotta di tanto in tanto solo dal crepitare sulla neve solida e compatta dei pesanti passi dei soldati, intabarrati in calde divise e in mantelli dalla folta pelliccia, che proteggevano i loro corpi delicati dalle gelide temperature alle quali essi non erano di certo preparati. Una densa patina di ghiaccio, spessa un paio di centimetri, aveva attecchito sulle impugnature delle verdastre spade di oricalco.
Oricalco. La difesa per eccellenza contro l’oscura forza dei vampiri. Da quella lega di rame e zinco, che gli uomini avevano da pochi anni imparato a lavorare per forgiare armi sempre più sofisticate, sarebbe dipesa la salvezza di centinaia di migliaia di persone innocenti, che ad ogni nuova battaglia si rinchiudevano ancora più a fondo nella domestica quanto esile protezione delle loro case. Era tutto quello che era loro rimasto. I Dewuh non avevano pietà di niente e di nessuno. Imperversavano nella regione di Imska, divertendosi a scavalcare di continuo le alte mura che costeggiavano la grande foresta nera di Arquart- loro sede fissa da molti anni ormai- e che la tenevano separata dalla capitale, la splendente Fhen, città opulenta e rigogliosa nel cuore del Nord della terra di Whad. I vampiri non temevano né l’aurea luce del sole in pieno giorno, né tantomeno il riflesso argenteo della luna nel silenzio opaco della notte. Devastavano i raccolti – sacrifici di un’intera vita di persone oneste e gran lavoratrici-, davano alle fiamme abitazioni, pagliai, stalle, contaminavano i pozzi con erbe venefiche di loro conoscenza e padronanza e, cosa più repellente fra le altre, avevano ricominciato a nutrirsi di sangue umano. Non lo facevano sempre. Preferivano di gran lunga adagiarsi con spumeggiante compiacimento sui loro atti vandalici, ma periodicamente si buttavano sulle tracce di esseri umani. La caccia aveva inizio dalle prime ore dell’alba fino al tramonto della sera successiva e veniva condotta con feroce precisione e con l’esaltazione tipica di chi non fa altro che risvegliare un istinto addormentato sul fondo cupo della propria non-anima. Nessuno- uomo o donna- veniva risparmiato. Tutti morivano fra atroci tormenti, fino a quando anche l’ultima goccia di sangue, caldo elisir vitale di ogni essere vivente, non era stato avidamente rubato dai canini di quei cacciatori oscuri, maledettamente belli e potenti.
Eppure non era stato sempre così.
C’era stato un tempo, apparentemente così lontano e sfumato nella nebbia dei ricordi, in cui vampiri ed esseri umani erano vissuti insieme in armonia e concordia, in un’atmosfera di pace e libero scambio.
Poi tutto era svanito.
Un torto inflitto e subìto, un amore troncato nel sangue e nella morte, un giuramento ritirato dalla voce della vendetta e del sangue… oscure ragioni incomprensibili, che avevano dischiuso la strada della tortura, della barbarie e della morte.
Un ululato improvviso proruppe alto ed isterico dalla foresta contorta e spoglia.
I soldati, che si scaldavano intorno al falò consumando la loro gavetta di minestra grigia e acquosa, si volsero intimoriti verso il punto dal quale era partito quel suono agghiacciante. L’urlo si ripeté una seconda volta, più distinto del primo.
Due giovani soldati si alzarono dalla postazione che occupavano accanto al fuoco. Uno di essi si appoggiò alla catasta di legna da ardere posta a quattro passi da loro e iniziò a lucidare la sua spada. L’altro rimase in silenzio a guardarlo mentre svolgeva instancabilmente la sua mansione. Il giovane che lucidava l’arma aveva una divisa diversa dagli altri: verde militare, con una stelletta argentata appuntata sul berretto bianco che portava calcato sul capo. Alcune ciocche di capelli biondo cenere gli cadevano sugli occhi, incredibilmente azzurri, smerigliati come due diamanti.
«Ti stanno ricrescendo» osservò l’altro soldato, prima di chinarsi sulle ginocchia per stringere meglio le stringhe degli stivali di pelle nera che quel mattino aveva calzato con insolita fretta unita ad inquietudine.  
«Sì. Tre settimane fa non erano così lunghi» rispose il giovane, senza smettere di lustrare la spada, che mandava sinistri bagliori verdastri ad ogni passata di lucido.
«Attento, Jean. Rischi di farla diventare opaca. L’oricalco non va deterso così a lungo».
«Lo so, Ed. Ma la mia arma è ancora intrisa della sozzura che i Dewuh hanno al posto del sangue. Sto pulendo la spada da circa dieci giorni dopo l’ultimo scontro e non ho ancora avuto un risultato decente».
Ed ebbe un sussulto a quelle parole. Ricordava perfettamente l’ultimo sanguinosissimo scontro con i Dewuh, risalente a una quindicina di giorni prima, lungo le rive del fiume Sahm. I vampiri avevano teso loro un’imboscata, nonostante tutte le precauzioni che il Comandante aveva adottato. La loro controffensiva era stata disperata ma efficace. Avevano mancato per un soffio di catturare Edwig, il capo dei Dewuh. Alla fine i nemici si erano ritirati, come se avessero improvvisamente perso interesse per la battaglia. Il bilancio delle vittime era stato gravoso. Sul fronte umano su una retroguardia di seicentocinquanta unità le perdite erano ammontate a circa trecento soldati. Trenta erano coloro rimasti gravemente feriti o mutilati e in più c’erano altri venti soldati che si erano tolti la vita o avevano chiesto ai loro stessi compagni di ucciderli perché erano stati morsi e il loro destino, pertanto, era di trasformarsi anch’essi in fetidi vampiri. Il Comandante non avrebbe mai permesso ai propri soldati di togliersi vicendevolmente la vita, ma di fronte alle preghiere disperate di quei poveri disgraziati aveva dovuto acconsentire. La morte era un’alternativa migliore rispetto alla nera prospettiva di diventare un Dewuh. Gli uomini non tolleravano i vampiri, la loro politica nei confronti di questi ultimi era sempre stata improntata ad una lotta senza quartiere. Quelle creature erano oscure sanguisughe, orrende portatrici di morte, eppure in qualche battaglia avevano avuto la peggio di fronte alla crescente perizia degli umani. All’inizio sembrava che i vampiri fossero imbattibili, privi di punti deboli. Poi gli abitanti di Fhen avevano scoperto la lavorazione di un tipo particolare di ottone, l’oricalco, una lega di zinco e rame, che i vampiri non tolleravano. Esso provocava loro delle tremende piaghe desquamanti su tutta la pelle marmorea e apparentemente indistruttibile e, in qualche caso, anche delle vere e proprie eviscerazioni. Le prime spade in oricalco erano state temprate nella celebre battaglia di Okthar (una radura nei pressi della foresta nera di Arquart) ai tempi di Erbert Anxel. Quel giorno i vampiri erano stati decimati e quelli che erano rimasti feriti, impossibilitati a muoversi, erano stati distrutti interamente dal fuoco, perché arsi vivi. Oricalco e fuoco, era quella la combinazione letale per un Dewuh. Con il tempo i fabbri avevano incrementato la produzione di armi in oricalco e il Comandante stesso dell’esercito di Fhen si era fatto forgiare appositamente un arco in oricalco, con il quale scendeva in battaglia a seminare morte e scompiglio tra i vampiri. Nonostante i sempre più numerosi successi umani, i Dewuh avevano cambiato strategia: se possibile, evitavano gli scontri in campo aperto, dove potevano risentire di qualche difficoltà, e al contrario avevano incrementato il numero di imboscate e agguati ai danni degli abitanti di Fhen e delle retroguardie dell’esercito regolare, meno fornite di armi. La nebbia della foresta nera li proteggeva ed essi si rendevano praticamente invisibili, attaccando all’improvviso, balzando sui nemici disorientati e colpendoli a morte. Non miravano a ferire o a disarmare soltanto i soldati, ma li uccidevano sul colpo, nutrendosi del loro sangue. Questo faceva sì che le perdite sul fronte umano fossero sempre più alte e sostanziose. Ma con la nomina del nuovo Comandante, avvenuta una decina di anni prima, le cose stavano cambiando. L’esercito era stato addestrato appositamente per situazioni di attacchi ed imboscate a sorpresa, così, per quanto le battaglie fossero sempre sanguinose e cruente, il numero dei morti e dei feriti aveva raggiunto una soglia fissa, senza alzarsi né abbassarsi.
L’ululato si ripeté una terza volta, forte e distinto. Ed si riscosse dai propri pensieri.
«Sono troppo vicini» disse rabbrividendo e rivolgendosi a Jean. L’altro annuì.
«Tra poco li avremo addosso. Sono così eccitati e frenetici che non hanno nessun motivo di indugiare o ritardare la loro avanzata» osservò poi Jean in modo quasi imperturbabile.
«Pensi mai al fatto che una volta anche loro erano esseri umani come noi?»
«Tutte le volte. Questo pensiero mi ossessiona. E tu?»
«Sinceramente, Jean, a me riesce difficile anche solo immaginarlo» disse Ed, inesorabile. Jean lo fissò per qualche istante, sgomento. Ripose la spada nell’elsa.
«Ognuno appare all’altro un barbaro assetato di sangue» osservò poi.
«Questo sì, ma noi non beviamo il loro sangue, Jean. C’è differenza in quello che facciamo e in come lo facciamo. Noi non assaltiamo le abitazioni di persone innocenti, non le tiriamo giù dal letto in piena notte per fracassare il loro cranio sul selciato e assaporare il loro sangue goccia dopo goccia».
«Vuoi forse dirmi che noi uomini non abbiamo mai commesso contro di loro qualche crimine del quale non dovremmo vergognarci o provare rimorso? Andiamo, Ed. Lo sai anche tu. A cosa serve quella ridicola muraglia alla costruzione della quale hanno partecipato decine e decine di uomini forti e valenti di Fhen? E gli scambi che avevamo con i vampiri ai tempi di Arbec Anxel? Perché sono svaniti nel nulla? Credi forse che a quel tempo i nostri concittadini fossero ingenui al punto tale da scendere a patti con coloro che per noi sono soltanto mostri senz’anima!? Non l’avrebbero fatto se questi ultimi non fossero stati diversi. E cosa mi dici invece delle decine di migliaia di alberi della foresta di Arquart che abbiamo abbattuto senza motivo, quando ancora essi si nutrivano di linfa invece che di sangue? Non l’abbiamo fatto forse per affamarli e godere nel vederli indebolirsi lentamente? Perché taci a proposito delle trappole di oricalco che abbiamo disseminato per tutta la lunghezza della muraglia in tempi non sospetti, quando ancora la guerra non era sopra di noi? E i messaggeri che abbiamo arso sui roghi dopo averli torturati con le edhjèwhe?»
«Il Comandante conosce queste tue opinioni?» chiese allora Ed, irritato.
«Sì, soldato. Sono a conoscenza delle opinioni di Jean Dhorur. Alcuni suoi dubbi sono anche i miei, ma per il resto lui sa benissimo cosa penso al riguardo» tuonò allora alle spalle dei due uomini una voce femminile, limpida ma nello stesso tempo forte e distinta. Ed e Jean si voltarono all’unisono. Il primo chinò il capo in segno di deferenza e scattò sull’attenti, imitato in quest’ultimo gesto dall’altro, il quale tuttavia si limitò ad un cenno informale, mentre le sue labbra si dispiegavano in un ampio sorriso. La donna avanzò verso di loro con passo spedito e aria battagliera. 
«Riposo, soldati» disse in tono grave, poi, rivolgendosi a Ed, ordinò: «Prepara gli altri. Che i fanti avanzino in testa, protetti alle spalle e ai lati da una doppia fila di arcieri, ai quali mi unirò subito anche io. Dà ordine di tenersi pronti. Stanno arrivando».
Il soldato annuì e prontamente si recò presso i compagni.
«Dove eri finita? Gli uomini cominciavano a dare i numeri senza la tua guida» si rivolse Jean alla donna in tono scherzoso. I magnetici occhi verde mare di lei lo inchiodarono con uno sguardo a metà tra il divertito e il serio.
«Ero in ricognizione con Emeth, lo sai. Ci siamo spinti a nord, vicino alla zona delle gelide sorgenti e abbiamo avvistato un piccolo contingente di fetide sanguisughe. Dopo la battaglia di quindici giorni fa hanno smantellato il loro vecchio campo base e si sono inoltrate ancora di più nella foresta. Credo che il loro nuovo rifugio si trovi ancora più a nord delle sorgenti, ma non è possibile fare congetture più precise al riguardo. Noi non conosciamo bene la foresta come loro e, qualora mandassi delle sentinelle ad appostarsi lungo il sentiero, sono convinta che in meno di ventiquattro ore perirebbero tutte o tornerebbero come vampiri da noi a scongiurarci di dare loro la morte» rispose la donna. Mentre stava ancora parlando, si ravviò una ciocca dei lunghi capelli del colore del cioccolato a latte, appuntandola dietro l’orecchio.
«C’era anche Edwig in quel contingente che avete avvistato?» chiese allora Jean, dopo essersi perso un istante nella contemplazione dei meravigliosi occhi della fanciulla. Dopo che il soldato ebbe pronunciato quel nome, il corpo snello e longilineo di lei ebbe un sussulto di rabbia. La giovane strinse a pugno la mano sinistra e respirò profondamente.
«Credo di sì, ma non abbiamo potuto appurarlo. Dopo soli cinque minuti che ci eravamo appostati, dieci di quelle schifose creature hanno iniziato a fiutare le nostre tracce. Fossi stata da sola le avrei affrontate subito, ma non potevo rischiare la vita di Emeth. Ha una moglie e tre figli dai quali sarebbe meglio che tornasse» disse poi con determinazione.
«Non dovresti essere così avventata, Eileen. Tua sorella ha dato ordine di limitarci a tenere lontani i Dewuh dalle nostre terre. Non c’è bisogno che tu metta a repentaglio la tua stessa vita per scoprire i loro nuovi nascondigli. Cosa farebbero gli uomini se ti accadesse qualcosa? Sai anche tu che hanno bisogno di un capo forte e integerrimo come te».
«Uno dei tuoi compiti è prendere il mio posto se mai ce ne sarà bisogno, Jean».
«Per i soldati sei tu l’unico Comandante. Non seguirebbero me al pari di come seguono te. Tu hai dato loro una speranza quando nessuno credeva più che saremmo riusciti almeno a limitare le perdite negli scontri con i vampiri. E invece quindici giorni fa abbiamo vinto la nostra terza battaglia in soli quattro mesi di campagna militare».
«Abbiamo perso quasi trecentocinquanta uomini, Jean. I Dewuh hanno avuto soltanto trenta perdite».
«Dieci anni fa su una truppa di seicento uomini ne sarebbero morti cinquecento novantanove, Eileen. Non è colpa tua. Tu sei un Comandante straordinariamente dotato, il migliore che gli uomini di Fhen avrebbero mai potuto sperare di avere. Hai a cuore la vita dei tuoi uomini e dell’intero popolo di Imska. Ma non devi essere così avventata nei riguardi della tua incolumità. Sai che Edwig è particolarmente interessato a te e non si lascerebbe di certo sfuggire l’occasione di attaccarti e toglierti di mezzo. Soprattutto se ti sorprende a gironzolare attorno al suo avamposto».
«Quel mostro dovrebbe stare in guardia invece, Jean. Nonostante l’ordine di mia sorella sia di catturarlo, una mia freccia potrebbe sempre colpirlo» sibilò la donna. Jean stava per ribattere ancora, quando il suono grave di un corno riecheggiò a lungo nell’aria.
«Ci siamo» mormorò allora il Comandante. Dal fodero in pelle che portava alla schiena estrasse il suo arco verdastro e caricò la prima freccia, allontanandosi a grandi passi verso la sua truppa, seguita da Jean. Un piccolo tulipano rosso, appuntato sull’armatura di pelle da amazzone della donna, sembrava mandare sinistri bagliori di sangue.
 
L’aria intorno alle gelide sorgenti era ghiacciata e secca. L’acqua, incredibilmente fredda e pura, si incanalava nel percorso tortuoso di un piccolo ma impetuoso torrente che sarebbe sceso a valle. La valle di Fhen. Da sopra le alte betulle argentate si poteva scorgere in pieno la muraglia e le prime colorate abitazioni del grossolano mondo degli uomini.
Edwig inspirò a fondo, mandando giù per la gola quell’aria inutile per i suoi polmoni fermi da almeno settecento anni, proprio come il suo cuore. Dalla sommità della betulla sulla quale era salito senza il minimo sforzo, i suoi meravigliosi ma intimidatori occhi del colore dell’ametista dominavano l’intero panorama. Sollevò in alto un braccio, ammirando compiaciuto il bagliore quasi adamantino della sua pelle di porcellana dalla consistenza marmorea e lasciando fluire liberamente nei muscoli quella forza immane che aveva imparato a dominare e a lasciar imperversare a suo piacimento. Un leggero venticello andò a solleticare i suoi cortissimi capelli neri, leggermente sfumati sul collo. La brezza sollevò un odore inconfondibile di terra, acqua e menta dalla foresta. All’improvviso gli occhi del vampiro ebbero un guizzo di piacere, mentre le sue narici si dilatavano. Il suo acutissimo olfatto aveva captato un debole aroma in lontananza, che ora però era sempre più vicino. Edwig schiuse le labbra, scoprendo i denti bianchissimi, affilati strumenti di morte zeppi di veleno. Percepiva un vago sentore di sudore e polvere e poi il distinto rumore dei battiti di circa cinquecento cuori. Un sorriso gli si dipinse ai lati della delicata bocca. Gli umani stavano arrivando. Di nuovo. Era la quarta volta che venivano attaccati durante quei quattro mesi di campagna militare. All’improvviso si udì il suono distinto di un corno. Edwig percepì un fremito sotto di sé. I suoi compagni avevano fiutato lo stesso odore e già si udivano i rantoli ritmici che uscivano dai loro petti vuoti. Era il richiamo del sangue. Con una mossa repentina il vampiro spiccò un balzo e scese giù dalla betulla. Subito fu attorniato da una decina di altri vampiri, bellissime e potenti creature oscure come lui, che gli si accostarono con grande deferenza. Edwig sorrise loro e fece un cenno ad un vampiro maschio, alto e bruno, i cui occhi neri come la pece ardevano di impazienza.
«Amsku dhem (Sono qui)» disse quello in tono impaziente.
«Ay. Uh ehl oriahmthu (Sì. Non facciamoli aspettare)» osservò Edwig. La sua voce, sensuale e vellutata, fece voltare verso di lui gli altri Dewuh. All’improvviso una vampira alta e affusolata come un giglio, dai capelli scuri come la notte, si avvicinò a Edwig, si chinò a terra e tracciò una linea sul suolo polveroso, indicando dei cespugli poco lontani.
«Ohs Kevaroth haverat dhem, khatyn. Nerythomweh shay ekthù (Fiore Rosso è stata qui, signore. Abbiamo percepito il suo odore)» rivelò poi in tono grave. A quelle parole gli altri vampiri sibilarono. Edwig annuì lentamente, sorridendo di piacere.
«Sì, lo so. Era appostata non molto lontano da qui con un altro umano» disse poi.
«Fhertyan umerostem adh jhèn untoyo, khatyn. Uh naslatos ymithe (Ogni giorno che passa si fa sempre più vicina, signore. Non conosce riposo)» intervenne di nuovo il vampiro che aveva parlato prima. Edwig alzò una mano verso di lui.
«Hantu ostof methenoth eneri, Thrain. Mastu gherfiddoren ok mak schi ney omithu (Anche le donne sanno essere ostinate, Thrain. Devo confessare di essere compiaciuto del fatto di poter avere a che fare finalmente con un umano che vale qualcosa)».
«Potrebbe ucciderti, Edwig. Sai bene che lo farebbe molto volentieri e che ne sarebbe perfettamente in grado. Il coraggio non le manca, tutti noi lo ammettiamo» disse Thrain.
«Lei vorrebbe, Thrain. Ma sua sorella ha dato ordini precisi e l’amore fraterno incide molto sulle decisioni del nostro Comandante. Anche se ritengo che l’impulsività sia forse la sua migliore dote».
«Credi davvero che la regina di Fhen sia interessata ad avere un colloquio con te?»
«Ma certo. Sua Maestà adora la diplomazia e cercherà di venire a patti con noi, come cercò maldestramente di fare Erbert Anxel a suo tempo, rivelandosi tuttavia per quello che realmente era. Un bastardo rinnegato, al pari di suo fratello».       
«Le figlie potrebbero rivelarsi diverse dal padre, signore. Meredith Anxel darebbe tutto quello che possiede in cambio della salvezza del suo stolto popolo».
«Ak Ohs Kevaroth fentir nus. El cravareb oktyh muy ohk ot awartorem ad shay nakturiòh (Ma Fiore Rosso ci disprezza. Farebbe di tutto pur di scacciarci da questa terra in difesa del suo popolo)» intervenne un vampiro, che se ne stava appoggiato ad una betulla lì accanto. Gli occhi di Edwig luccicarono di piacere a quelle parole. Alzò un dito in aria.
«E noi sfrutteremo proprio l’ardente amore che ella prova per la sua terra. Atteniamoci al nostro piano. Oggi io mi farò catturare. Come ordinato da Sua Maestà, Fiore Rosso mi condurrà come prigioniero a Fhen. Finalmente potrò entrare in quella tana maledetta» sibilò poi, pieno di odio. Thrain gli si accostò nuovamente.
«Useranno l’oricalco contro di te, signore. Avranno preparato sicuramente le edhjèwhe. Ti colpiranno, Edwig. Lo faranno per tenerti buono. Soffrirai immensamente prima di poter giungere a Fhen».
«L’attesa del piacere è l’unica cosa che mi distoglie dal pensiero del dolore, Thrain. Per anni abbiamo sofferto, siamo stati vessati e torturati. Molti di noi sono morti per questo. Ora abbiamo la nostra possibilità di vendetta e sarà proprio Eileen Anxel ad offrircela» sibilò Edwig, sollevando la pallida mano e disegnando invisibili cerchi a mezz’aria, lentamente e con dolcezza, come se volesse assaporare il suono delle sue stesse parole. I Dewuh si raccolsero intorno a lui. L’aria era sempre più satura dell’aroma di sangue umano. Gli uomini di Fhen erano vicini. Il corno risuonò ancora una volta, distinto e minaccioso. Edwig spalancò le possenti braccia. Il mantello nero che lo avviluppava si allargò in tutta la sua vistosa imponenza. Gli occhi viola brillavano intensamente.
«Harvesotom. Und heylihà omàk. Pti shay fal gartosom (Andiamo. Ognuno di voi sia inarrestabile. La voce del sangue ci chiama)» disse poi in tono spietato. Ad un suo cenno la massa compatta e marmorea di Dewuh cominciò ad avanzare.
 
Il battaglione di Fhen avanzava a fatica, mano a mano che si addentrava nella nebbia sempre più fitta della foresta di Arquart. Il gelo impregnava le foglie aghiformi di abeti e pini neri e le betulle argentate sembravano immerse in un torpore quasi mortale. Il tempo sembrava essersi fermato. Non si udiva altro rumore se non lo scricchiolio della neve sotto i pesanti scarponi dei soldati. Sulla foresta non soffiava nemmeno un alito di vento. Il silenzio era opprimente. Nei pressi della radura di Anduh, Eileen diede ordine ai suoi uomini di arrestarsi. Ad un suo gesto, gli arcieri si disposero attorno ai fanti, a formare un cordone di sicurezza. Tenendo sempre la freccia incoccata sull’arco, il Comandante si abbassò fino a toccare con le ginocchia il suolo gelato. Raccolse da terra una manciata di terra innevata e la sfregò tra le dita, annusandola in modo esperto. Poi si rialzò da terra, muovendo un altro passo deciso verso l’imbocco dell’ala più tetra e profonda della foresta. Si appoggiò al tronco di un albero contorto e stese una mano verso la corteccia, toccando e annusando poi anche questa. Alcune gocce di linfa fuoriuscivano da una profonda lacerazione che andava dal tronco fino alle radici dell’albero. Eileen annuì.
«Trovato qualcosa, Comandante?» le chiese Jean, avvicinandosi e distaccando gli altri.
«Ci stanno aspettando, Jean. Hanno sventrato questa pianta, per darci un segnale della loro presenza. Torna nei ranghi, stanno arrivando» rispose lei, gravemente.
A quelle parole, come se fosse stato davvero un segnale, dalle profondità del bosco emerse una massa compatta e disciplinata di Dewuh. Camminavano lentamente, con il passo cadenzato e cauto di belve in caccia. Gli occhi dei vampiri, neri di sete, luccicarono di piacere alla vista di tante gole da cui attingere l’agognato elisir umano di piacere ed oblio. I neri mantelli che avviluppavano i corpi statuari svolazzavano al loro passaggio delicato e quasi etereo, rivelando la loro vera natura affascinante ma oscura, temibile e letale. I vampiri arrestarono la loro avanzata a circa centocinquanta metri di distanza dagli uomini di Fhen. Jean, che era rimasto al centro della scena, fece cenno ad Eileen di rimanere nascosta ancora per qualche istante dietro l’albero sventrato dai Dewuh. I soldati alle sue spalle portarono automaticamente le mani sulle else delle spade, tesi e pronti al combattimento. Tra i vampiri non serpeggiava alcuna emozione: né collera, né un moto di impulsività o di bramosia al richiamo del sangue. Poi, la massa si compattò disciplinatamente e dal fondo di essa emerse Edwig. Alla vista di tale personaggio i soldati ebbero un fremito di paura. Jean si irrigidì visibilmente. Il vampiro abbassò il cappuccio che portava sul capo e fissò la truppa di umani di fronte ai suoi simili. Un sorrisino provocatore gli si dipinse agli angoli della bocca. Poi il suo sguardo si posò su Jean Dhorur. Alzò una mano verso il giovane in un chiaro e beffardo segno di saluto e mosse due passi decisi nella sua direzione, muovendosi con la sua consueta grazia e la sua inesauribile agilità di movimento. Sembrava quasi stesse danzando.
«Che meravigliosa coincidenza trovare qui il giovane Dhorur, con il suo eroico esercito di umani. Tuttavia, mio caro, posso avere l’ardire di chiederti cosa mai ci fate in un brutto posto come questo? Ho sempre pensato che i cuccioli indifesi abbiano il dovere di restarsene tranquilli e comodi al sicuro, per evitare senz’altro spiacevoli incontri in una foresta che non conoscono. Ma, del resto, non siamo tutti uguali» si rivolse poi Edwig al ragazzo con la sua raffinata scioltezza d’eloquio e la sua limpida voce, altera e affascinante nello stesso tempo, in grado quasi di stregare gli animi.
«Io non vedo cuccioli indifesi da queste parti, Edwig. Vedo un esercito di umani armati di tutto punto e pronti a combattere. Cosa della quale dovreste senz’altro preoccuparvi» ripose Jean in modo asciutto, ma con lo stesso tono sardonico dell’altro. Edwig sorrise di piacere alle parole del giovane e mosse un altro passo verso di lui.
«All’oricalco noi possiamo anche resistere, giovane Dhorur. Lo stesso non si può dire di voi. Di fronte al nostro bacio nessuno di voi trova scampo» disse poi in tono tagliente, ma sempre affabile in modo beffardo. A quelle parole Eileen strinse i pugni ed uscì finalmente allo scoperto, tenendo l’arco puntato sul vampiro. Alla sua vista i Dewuh sibilarono di sorpresa mista a fastidio e timore. Edwig si fermò, senza avanzare ancora e inchiodò con i suoi penetranti occhi viola l’intera figura del Capitano. Eileen, continuando a tenere sempre l’arco fisso sul proprio obiettivo raggiunse rapidamente Jean, mettendosi al suo fianco. L’amico la guardò per un istante, come sollevato. Edwig non si lasciò sfuggire quello sguardo d’intesa tra i due. Dischiuse la bocca in un sorriso garbato.
«Avresti il coraggio di colpire qualcuno che desidera solamente parlare, capitano Anxel?» apostrofò poi la giovane donna, facendo una buffa riverenza verso di lei.
«A noi tutti è dato di riconoscere e distinguere le provocazioni e gli inganni dalle parole di pace» sibilò lei in tono risentito. L’altro non si scompose e sorrise di nuovo.
«Certo che voi umani siete ben strani, a volte. Siete capaci di risentirvi e amareggiarvi per le idiozie più inutili, mentre passate volentieri sopra alle più esecrabili e turpi azioni che mai una mente possa concepire. Questo è curioso. Curioso ma affascinante, lo ammetto» disse, continuando a guardare la ragazza dritto negli occhi. Eileen non si lasciò intimidire.
«Credo che lo stesso si possa dire di voi. Con l’unica eccezione che voi siete sanguisughe senz’anima, di certo non umani. Questo non è altrettanto affascinante» esclamò in tono glaciale il Capitano dell’esercito di Fhen. Alle sue parole un Dewuh delle prime file dischiuse le labbra in un tremendo ringhio di avvertimento, facendo un passo in avanti e accucciandosi in posizione di caccia. Di fronte a quella reazione Eileen gettò l’arco a terra ed estrasse dalle fodere che teneva fissate alla vita due lunghi pugnali affilati. In una frazione di secondo piegò il ginocchio e portò la spada destra in avanti, a coprire il volto, mentre tenne quella sinistra aderente al fianco corrispondente. Jean si portò subito alla sua sinistra, sguainando subito anch’egli la sua spada. L’esercito di uomini alle loro spalle si dispose in assetto da combattimento. Gli arcieri caricarono le frecce. I Dewuh non si scomposero, rimasero in ordine, disciplinati e compatti come erano arrivati poco prima. Edwig alzò una mano e subito il vampiro che era uscito dai ranghi poco prima si rilassò e tornò alla propria postazione iniziale, come se nulla fosse successo. Eileen non abbandonò la posizione di difesa. Edwig scorse il suo sguardo battagliero. Alzò un sopracciglio, sorpreso ma nello stesso tempo anche compiaciuto per tutto quell’ardore e quella disciplina.
«Mi dispiacerebbe proprio ucciderti oggi, Capitano» mormorò poi in tono sincero.
«I tuoi denti dovranno essere veloci come le mie spade, Dewuh» disse Eileen in tono gelido. Gli occhi di Edwig ebbero un fugace guizzo di sorpresa, ma solo per un istante.
«Vedremo allora» replicò il vampiro, sogghignando di piacere. Dopo aver pronunciato quelle parole, Eileen e Jean fecero ritorno dal loro reparto. Edwig alzò una mano stretta a pugno a mezz’aria per vari secondi e i vampiri si accostarono tutti a lui, imitandolo. Eileen scosse la testa, inquieta. In ogni combattimento i vampiri si comportavano sempre così all’inizio. Sembrava mettessero in pratica una sorta di rituale. Distolse lo sguardo e si concentrò sulla sua truppa. Con voce imperiosa dispose di nuovo tutti gli arcieri in prima fila, con i fanti in seconda. Jean si schierò in battaglia appena dietro di lei, che stava in testa a tutti. Gli uomini sapevano molto bene che di lì a pochi istanti i vampiri li avrebbero attaccati seguendo sempre lo stesso schema. Alcuni si sarebbero direttamente lanciati su di loro a folle velocità, mentre altri sarebbero piombati sullo schieramento dagli alberi, sui quali sarebbero saliti rapidamente, perché protetti e nascosti dalla nebbia.
«Qualunque cosa accada, non fatevi sorprendere! Questa è la loro tattica!» gridò il capitano ai suoi uomini. Fu un attimo. Mentre Eileen stava ancora pronunciando quelle parole, dalla nebbia emersero dritti davanti a loro sei vampiri oscuri, i quali strapparono dalla cerchia sette o otto uomini, trascinandoli verso la foresta nera. Le urla dei malcapitati, dapprima alte e orrende, finirono per affievolirsi fino a scomparire del tutto, perdendosi nei rantoli ritmici e nel gorgoglio raccapricciante di chi annega nel proprio sangue, il cui aroma inconfondibile adesso saturava l’aria. Due secondi di pausa. Un nuovo attacco, più feroce del primo. Altri Dewuh piombarono sullo schieramento umano, rapendo altri arcieri e fanti. Eileen socchiuse gli occhi. Di Edwig nessuna traccia. Forse era in agguato su uno degli abeti lì accanto. I suoi pensieri furono interrotti dalle urla di un soldato vicino, il quale era stato ghermito alle gambe da una di quelle sanguisughe, la quale, con forza sovrumana stava trascinando la vittima verso il bosco. Questa volta Eileen fu più veloce. Incoccò una freccia sul suo arco e la puntò sul nemico. Non conobbe esitazione. La freccia raggiunse il bersaglio con precisione millimetrica. Il soldato di Fhen, improvvisamente libero, rimase a guardare come istupidito per vari secondi il Dewuh che si contorceva dal dolore, inchiodato al suolo da una freccia conficcata nel torace. A fatica il vampiro riuscì ad estrarla e a rimettersi in piedi. I suoi occhi, non più viola ma di un nero tetro e minaccioso, cercarono Eileen, roteando dalla foga e dalla collera. Il capitano non si fece attendere e sguainò di nuovo i pugnali, correndo verso di lui. Solo quando se lo vide davanti lo riconobbe. Era il vampiro che aveva già cercato di colpirla prima, quando l’aveva sfidata apertamente, uscendo dai suoi ranghi.
«Le tue mani sono veloci, capitano, ma oggi morirai» le sibilò quello con odio.
«Fatti avanti, sozzura» lo sfidò allora la guerriera. L’altro attaccò a sorpresa, con un balzo, cercando di afferrare la donna alla gola. Il capitano schivò il colpo, eludendo la presa dell’altro, poi scivolò agilmente al di sotto del braccio del vampiro e, con il pugnale sinistro, mirò un affondo al fianco scoperto dell’avversario, ritraendosi subito in posizione di difesa, piegando il ginocchio a terra e tenendo le spade sollevate a mezz’aria. Il Dewuh incassò malamente il colpo doloroso, piegando le gambe. A quel punto Eileen ne approfittò. La coraggiosa guerriera si avventò contro di lui lacerandogli con la spada il mantello e la spalla destra. L’altro reagì colpendola a mani nude al petto. Pur rimanendo per vari istanti senza respiro, la principessa reagì afferrando il braccio del vampiro prima che questo potesse ritirarlo e glielo portò dietro la schiena, facendogli perdere leggermente l’equilibrio assestandogli poi un calcio al ginocchio destro. La creatura immortale, nonostante fosse sorpresa per la forza della rivale e per il dolore delle ferite che le erano state inferte, riuscì a liberarsi dalla presa della guerriera e con uno spintone la gettò a terra. Eileen rotolò sul terreno gelato. I pugnali caddero lontani. Il Dewuh ora torreggiava sopra di lei, baldanzoso e sicuro di vincere. Le si accostò ammiccando come un gatto.
«Sarebbe un gran peccato uccidere una bella donna come te, con un visino tanto pregiato. Forse ci hai ripensato Ohs Kevaroth e vuoi unirti a noi?» sogghignò con aria sardonica.
«Mai! Preferirei la morte a questo!» gridò Eileen incollerita. Il vampiro l’afferrò con violenza, strappando i legacci di pelle che le tenevano ferma l’armatura in pelle sul petto. La bianca e candida pelle della donna rimase leggermente scoperta proprio all’altezza della clavicola. Gli occhi del vampiro rotearono di piacere, alla vista di quel collo immacolato che gli offriva spontaneamente qualcosa che agognava come una droga. Tuttavia quella sua esitazione fu sufficiente. Il Comandante si piegò leggermente sulle ginocchia ed estrasse dallo stivale un pugnale in oricalco. Senza pensarci due volte lo affondò con tutta la sua forza nella gola del mostro. Il dolore che seguì fu talmente acuto che il vampiro lasciò andare la donna con uno spintone, facendola ruzzolare di nuovo sulla neve, mentre lui si accasciava a terra in preda a violenti spasmi di sofferenza. Lesta, Eileen recuperò il suo arco e, dopo avere incoccato una freccia, mirò alla testa dell’avversario. Il colpo fu netto. Il mostro continuava a scalciare per il dolore, ma ormai era inoffensivo. Fu allora che, alzando gli occhi, Eileen scorse davanti a sé Edwig. Mentre la battaglia infuriava, la donna e il vampiro rimasero a squadrarsi per vari istanti.
«Hai ingegno, Comandante. Riesci sempre a cavartela» disse lui in tono ambiguo.
«Si fa quel che si può» ribatté Eileen gelidamente. Il vampiro mosse un passo verso di lei, la quale reagì prontamente schierandosi in posizione difensiva.
«Adoro la tua tenacia. Ma ora ti misurerai con qualcuno che è infinitamente superiore a te, mio bel Comandante» la provocò lui con tono di sfida. A quelle parole l’indole impulsiva di Eileen prevalse. Si gettò avanti in attacco e mirò un fendente alla gamba di Edwig. Il vampiro parò il colpo, spostandosi di lato con sorprendente agilità. Eileen si voltò a guardarlo esterrefatta da una tale fluidità e rapidità di movimento. Il Dewuh approfittò della momentanea confusione dell’avversaria e passò al contrattacco. Si avventò sulla donna e le assestò un colpo al braccio destro, facendo sbalzare sul terreno gelato il pugnale che quella teneva in mano. Un guizzo di sorpresa baluginò sul volto della donna, ma fu solo per un istante. Puntò le braccia sul petto del vampiro e, facendo leva su di esse, lo spintonò all’indietro, concedendosi un istante di tregua. Si gettò all’indietro, pronta a recuperare il pugnale, ma Edwig, intuendo la mossa della donna, l’afferrò prontamente alla vita, sollevandola da terra. Eileen gli assestò una potente gomitata al fianco destro. L’altro, più incuriosito per la reazione di lei che per il dolore, lasciò andare la presa e la donna ne approfittò per scaraventargli un pugno in faccia, centrandolo in pieno volto. Il vampiro, suo malgrado, si portò una mano al viso. Eileen si girò immediatamente e raccolse da terra il pugnale, roteandolo subito verso l’avversario. A quel punto Edwig finse di scivolare a terra, chinandosi in avanti. Il capitano, impetuosamente, gli si avventò contro e fu allora che Edwig si rialzò in tutta la sua maestosità e la sopraffece. Eileen cadde distesa sul suolo gelato, il pugnale sempre stretto in mano. Edwig torreggiava sopra di lei. Vedendo che la donna cercava di fare forza sulle dita per maneggiare meglio il pugnale, non esitò un solo istante e le schiacciò inesorabilmente la mano con il piede. Eileen serrò gli occhi per il dolore, ma orgogliosamente non proferì parola.
«Si direbbe che tu sia a corto di idee, Eileen» la provocò lui, chiamandola per nome.
Un lampo di determinazione solcò lo sguardo della donna. Allungò disperatamente la mano sinistra verso il suo stivale e faticosamente riuscì ad estrarre un secondo pugnale che vi aveva celato. Edwig non sembrava essersi accorto della manovra. Fu allora che Eileen scattò e furiosamente si sporse verso il vampiro, ferendolo alla gamba destra con il pugnale. Il Dewuh retrocesse per il dolore e allora Eileen si rialzò da terra e gli assestò un calcio alle caviglie, facendogli perdere l’equilibrio e gettandolo a terra riverso. Fu allora che apparve Jean, tenendo alta sopra la testa l’edhjèwhe. Con un grido la passò, facendola roteare, al suo Capitano, che la avviluppò attorno al corpo del Dewuh. Il dolore investì Edwig come una morsa di ferro ghiacciato, ma il vampiro resistette coraggiosamente, senza gridare. Alla vista del loro capo prigioniero, i Dewuh si bloccarono tutti, come se fossero un solo arto di un unico corpo. Thrain contemplò con ammirazione l’audacia del suo capo. Sapeva quanto stesse soffrendo a causa dell’oricalco. Precipitosamente alzò una mano stretta a pugno in aria e, come se quello fosse stato un segnale, tutti i vampiri si dileguarono, correndo talmente in fretta che passarono inosservati come tanti spettri. Di fronte a quel gesto, gli uomini di Fhen esultarono, abbracciandosi reciprocamente, esausti ma felici, perché i Dewuh erano fuggiti dal campo di battaglia per la prima volta in quattro mesi e il loro capo era stato preso prigioniero da Eileen Anxel.
Eileen si sporse orgogliosamente verso la foresta, all’interno della quale i vampiri si erano rifugiati. Fu allora che scorse Thrain, appostato come un animale in caccia su una betulla argentata, lo sguardo fisso su Edwig, che giaceva a terra, dolorante e sofferente, ma sfrontato come al solito. Non appena si accorse di essere osservato, Thrain si dette alla fuga rapidissimamente. Eileen si voltò verso Edwig, che la osservava da terra in modo spavaldo e ambiguo. C’era qualcosa che non la convinceva in tutto questo. 
«Dobbiamo provare ad inseguirli?» le si rivolse Jean, riscuotendola dai suoi pensieri. Eileen rabbrividì per un istante, irrigidendosi visibilmente.
«No. Che nessuno provi ad inseguire i Dewuh» disse poi però in tono netto.
«Ma sono così vicini! Dovremmo sfruttare l’elemento sorpresa, Capitano!» provò a replicare un soldato lì accanto, in tono baldanzoso. Eileen lo fulminò con lo sguardo.
«Non discutere i miei ordini, né quelli della tua regina, soldato. Sottovalutare il proprio nemico è il primo passo verso la morte» ribatté seccamente. Si voltò verso Jean.
«Diamo sepoltura ai nostri morti e torniamo a Fhen» gli disse in modo assorto. L’amico osservò l’espressione corrucciata sul suo volto, ma chinò il capo in segno di obbedienza.
«Si direbbe che tu abbia vinto, Capitano» giunse allora alle spalle di Eileen la voce sarcastica e impudente di Edwig. La donna si voltò verso di lui e gli rivolse uno sguardo carico di disprezzo. Il vampiro, dal canto suo, le sorrise in modo incantevole.
«Caricate questa sozzura sul carro, lontano da me» ordinò Eileen con rabbia, prima di procedere in direzione dell’accampamento. Lo sguardo di Jean si spostò da Eileen ad Edwig e poi di nuovo ad Eileen, prima di seguire il suo Capitano. Al vampiro non sfuggì questa mossa, ma subito distolse lo sguardo. Gli altri soldati lo spintonarono brutalmente, lasciando che schegge di oricalco gli si conficcassero più a fondo nella pelle. Ignorando il dolore, il Dewuh si lasciò condurre sul carro dei prigionieri, senza opporre resistenza.
 
I suoi occhi color ametista scintillarono di piacere nel buio della sua cella.
Tutto stava andando come previsto. 
 
   
 
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