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Autore: destiel87    28/07/2020    4 recensioni
“Questo è stato davvero crudele da parte tua, John. Me la meritavo quella sigaretta.”
John stava per replicare qualcosa, quando il suo sguardo si bloccò su quell'anello dorato, che invece di stare nella sua scatola, era al dito del suo migliore amico.
“Non riesco a toglierlo.” Lo anticipò Sherlock.
“Oh… Beh capisco che dopo quello che è accaduto ieri notte, tra di noi, tu…”
“No no no John, non giungere a conclusioni affrettate. Non riesco sul serio a toglierlo, si è incastrato.”
“Incastrato?”
“Sai che non mi piace ripetere le cose, John.”
John rimase visibilmente confuso per qualche istante, solo per poi scoppiare a ridere.
“E adesso? Cosa facciamo?” Chiese chiudendo gli occhi, appoggiandosi al bordo della vasca.
Sherlock non rispose, e dopo un po’ si appoggiò vicino all’amico, rimpiangendo quella sigaretta fumata a metà.
Tornò con la memoria ai ricordi della notte prima, alcolici e confusi, caotici e disordinati, ma senza ombra di dubbio, decisamente eccitanti.
Doveva esserci qualcosa che gli era sfuggito, qualcosa che poteva dare un senso a tutto, una risposta alla domanda. Si, doveva solo tornare sulla scena del crimine, concluse, e analizzarla.
Genere: Commedia, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Mycroft Holmes, Sherlock Holmes
Note: Lime, Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Appartamento di Sherlock – 09:27


Sherlock era seduto sul pavimento del bagno, con  i capelli ancora bagnati, ed il completo del matrimonio indossato a metà.
Teneva la testa appoggiata al bordo della vasca, mentre soffiava via il fumo dalle narici.
Gli occhi socchiusi, che fissavano il vuoto, mentre con la mente tornava a tutto quello che era successo quella notte.
Si sentiva in colpa? La risposta fu automaticamente si.
Si vergognava? Si, anche quello.
La mente era ancora offuscata dall’alcool? La risposta era al al 99,7 si.
Era felice? Difficile misurare la felicità pensò, ridendo tra sé e sé, soprattutto quando non si è mai stati felici.
Non per le cose che normalmente rendono gli altri felici, per lo meno.
Risolvere un caso lo rendeva felice.
Trovare la risposta prima di tutti, si, anche quello lo rendeva felice.
Lo strano caso di un uomo sventrato in una stanza chiusa a chiave.
Si, ammise a se stesso, anche quello.
Ma quello che era successo con John…
Era un tipo di felicità diversa, qualcosa di insolitamente simile all’eccitazione.
E al terrore.
Si, c’era decisamente anche quello, dedusse dopo qualche tiro, nel caotico guazzabuglio che era il suo cervello in quel momento.
Non seppe spiegarsi in quale momento della serata, il suo piano perfetto per bere tutta la notte senza però ubriacarsi, era andato in malora.
Tra la 4 e la 6 birra, concluse incerto.
“Ma dopotutto, ha importanza?” Gli suggerì la voce di Mycroft nella sua testa.
“Adesso non incominciare.” Rispose Sherlock ,buttando indietro la testa. “Sono troppo stanco e ubriaco per darti retta.”
“Hai fatto un bel disastro questa volta, eh fratello?” Esclamo l’altro, appoggiato contro il lavandino.
“Che brillante deduzione!” Sbottò Sherlock, soffiandogli il fumo in faccia.
“Tra un’ora e trentatré minuti il tuo migliore amico si sposa.”
“Questo lo so benissimo, Mycrosf. Se hai intenzione di stare lì a ribadire l’ovvietà delle cose, puoi anche andartene.”
Il fratello sorrise, scuotendo leggermente la testa. “E Adesso? Cosa succede?”
Sherlock stette a guardarlo qualche minuto, fissando quell’anello incastrato nel suo dito.
“Beh, immagino che intanto dovrò togliermi questo…” Borbottò tra sé e sé, cercando, senza successo, di farlo scivolare via. “Maledizione!” Esclamò alla fine, appoggiando di nuovo la testa alla vasca.
“Eh si fratello, questa volta hai fatto proprio un bel disastro.” Rispose Mycroft, nella voce un misto di rimprovero e di compassione.
Quella fu l’ultima cosa che disse, prima di sparire dalla mente di Sherlock.
Riuscì ad avere altri undici minuti di moderata pace, prima che qualcun altro irrompesse nel suo bagno, questa volta fisicamente.
“Che stai facendo qui dentro?” Esclamò John, spalancando la porta. “E stai fumando! Sherlock, me l’avevi promesso.” Aggiunse, incrociando le braccia.
“Non ricordo di aver mai promesso nulla di simile.” Si limitò a dire, cercando di non guardarlo.
“Beh io si. E comunque, non mi sembra proprio il momento giusto, per rimettersi a fumare.”
Sherlock scoppiò in una risata isterica, sollevando la testa verso di lui.
“Onestamente John, non mi viene in mente momento migliore.” Disse mestamente, pentendosi subito di averlo guardato.
Il suo amico indossava il suo elegante completo nuziale, la camicia abbottonata solo a metà, e il cravattino che pendeva da un lato.
Aveva i capelli arruffati e il viso ancora rosso, gli occhi stanchi.
Era ancora più affascinante della sera prima, constatò rassegnato Sherlock.
John abbassò la testa, sospirando.
Fece qualche lento passo verso di lui, sedendosi al suo fianco, sopra il tappetino blu.
Quello che avevano comprato insieme, dopo che il precedente era andato a fuoco, in una sfortunata serie di eventi.
“Sento che questo è uno di quei momenti in cui dovrei dire qualcosa di intelligente.” Esclamò John dopo un po’, massaggiandosi le tempie. “Uno di quei momenti in cui dovrei fare un discorso profondo, sai, tipo nei film. Ma non mi viene in mente nulla da dire. Nulla che abbia un senso.”
“Non so a che genere di film tu ti riferisca, John, e penso di non voler conoscere la risposta. Ma ad ogni modo, forse non ti viene in mente nulla da dire, perché non c’è nulla che tu debba dire.”
L’altro lo guardò con un mezzo sorriso, aprendo e chiudendo la bocca, come faceva sempre quando era incerto se dire o no qualcosa. “Ci sarebbero davvero molte cose, invece, che dovrei dire. Davvero molte…”
Si lasciò andare ad un sospiro, mentre guardava uscire il fumo dalla bocca di Sherlock.
Fu allora che il suo istinto di medico ebbe la meglio, e in uno scatto riuscì ad afferrare la sigaretta, buttandola poi nel gabinetto.
“Questo è stato davvero crudele da parte tua, John. Me la meritavo quella sigaretta.”
“Te la meritavi, o ne avevi bisogno?”
“Entrambe le cose, immagino.”
John stava per replicare qualcosa, quando il suo sguardo si bloccò su quell’anello dorato, che invece di stare nella sua scatola, era al dito del suo migliore amico.
“Non riesco a toglierlo.” Lo anticipò Sherlock.
“Oh… Beh capisco che dopo quello che è accaduto ieri notte tra di noi tu…”
“No no no John, non giungere a conclusioni affrettate. Non riesco sul serio a toglierlo, si è incastrato.”
“Incastrato?”
“Sai che non mi piace ripetere le cose, John.”
John rimase visibilmente confuso per qualche istante, solo per poi scoppiare a ridere.
“Non c’è niente di divertente in questa situazione John, non capisco proprio come fai a prenderla così alla leggera! Si è incastrato capisci? Che dovrei fare io adesso?” Sherlock cercava di essere serio, o se non altro di sembrarlo, ma la risata di John quella mattina era particolarmente contagiosa, o forse era ancora sotto l’effetto dell’alcol, ma ogni modo, scoppio a ridere, mentre l’altro si appoggiava alla sua spalla.
Rimasero così qualche minuto, uno appoggiato all’altro, senza sapere cosa dire, o cosa fare.
“Sai John, stavo pensando…” Esclamò d’improvviso, unendo le mani come soleva sempre fare quando rifletteva. “Forse le cose non sono andate esattamente come pensiamo.”
“Che vuoi dire?”
“C’è un alta possibilità che ci abbiamo messo della droga nei bicchieri, il che spiegherebbe… Beh il… Il nostro...”
John lo guardò a lungo, trattenendo un sorriso, “Il nostro…?”
“Incontro notturno….” Sbottò alla fine Sherlock, visibilmente a disagio.
John scoppiò di nuovo a ridere.
“O magari non è proprio successo. Sai c’è una piccola ma significativa possibilità che ci abbiamo drogato con degli allucinogeni, e in quel caso si tratterebbe solo di un allucinazione collettiva.”
“Sherlock…”
“O ancora peggio, forse qualcuno ha voluto farci credere che… L’atto…” Disse a bassa voce. “Sia stato consumato. Non è improbabile che qualcuno sia entrato, spostando oggetti e vestiti intorno a noi, con il chiaro intento di manipolarci e…”
“Sherlock Holmes.” Esclamò John, tappandogli la bocca con una mano.
“Oh dio, non sai da quanto desideravo farlo!” Aggiunse, non riuscendo a trattenere l’eccitazione.
Sherlock inarcò un sopracciglio.
“Ora ti dirò quanto segue, nel modo più chiaro possibile.” Disse John, facendo poi una breve pausa. “Noi due abbiamo fatto sesso.” Sentì i muscoli di Sherlock irrigidirsi, le labbra contrarsi. “E non è stato per la droga, per strane manipolazioni, e se vuoi saperlo nemmeno per l’alcool. L’abbiamo fatto perche volevamo farlo… Perché lo sentivamo dentro… Sai, qui.” Disse, indicandosi il petto, all’altezza del cuore.
Sherlock diventò paonazzo e riuscì a divincolarsi dalla presa, urlando: “Non essere ridicolo! Il cuore pompa solo il sangue nel corpo, le emozioni vengono dal cervello, da un’area precisa che regola gli stimoli, l’adrenalina, l’eccitazione sessuale e…”
“Sapevo che ti avrebbe fatto incazzare!” Esclamò John, scoppiando a ridere.
“Molto divertente, John, davvero.” Borbottò l’altro, risistemandosi a sedere.
Per qualche momento restarono in silenzio, ognuno immerso nei propri pensieri.
Poi lentamente, John avvicinò la mano a quella di Sherlock, intrecciando le dita alle sue.
L’amico rimase immobile, mentre con l’altra mano tamburellava nervosamente sulle piastrelle bianche del bagno. Poi improvvisamente si fermò, come se fosse arrivato ad una qualche conclusione fondamentale, e un dito dopo l’altro, si intrecciò alla mano di John.
“E adesso? Cosa facciamo?” Chiese John, chiudendo gli occhi, e appoggiandosi al bordo della vasca.
Sherlock non rispose, e dopo un po’ si appoggiò vicino all’amico, rimpiangendo quella sigaretta fumata a metà.
Tornò con la memoria ai ricordi della notte prima, alcolici e confusi, caotici e disordinati, ma senza ombra di dubbio, decisamente eccitanti.
Doveva esserci qualcosa che gli era sfuggito, qualcosa che poteva dare un senso a tutto, una risposta alla domanda. Si, doveva solo tornare sulla scena del crimine, concluse, e analizzarla.

 
Appartamento di Sherlock – 8 ore prima

 
Era successo sul divano, quello se lo ricordava.
Almeno la prima volta, ammise con un certo imbarazzo.
John aveva ancora quel bigliettino ridicolo incollato alla fronte, mentre il suo era scivolato via nella caduta, e nel conseguente  approccio con l’amico.
Anche se approccio non era il termine esatto. Per essere precisi, Sherlock gli era praticamente caduto addosso, dopo un breve ma intenso giramento di testa.
Erano rimasti così per qualche momento, guardandosi negli occhi, da una distanza decisamente troppo breve, rispetto al solito.
Sherlock stava ancora vagamente cercando di capire cosa c’era scritto nel suo biglietto, anche se onestamente non ricordava nemmeno quale nome avesse scelto lui,. Lo aveva pescato da una rivista a caso nel suo palazzo mentale.
John aveva le mani sui fianchi, e lo stringeva con una considerabile forza, il che, constatò sorpreso, non era affatto spiacevole.
E così Sherlock smise di pensare ai quei ridicoli bigliettini.
D’altronde, non si vergognò ad ammettere, non era facile concentrarsi in quella particolare posizione, con quella particolare persona, in quella particolare situazione.
Poi l’amico aveva assunto quell’espressione incerta e colpevole.
C’e l’aveva sempre, quando stava per fare qualcosa che non poteva, o non voleva, fare.
Col tempo Sherlock aveva imparato a riconoscere ogni piccola ruga sul suo volto, ogni sguardo, ogni movimento delle labbra, ogni tic delle mani.
A volte si rendeva conto di conoscere meglio lui che se stesso, ma del resto, John era un uomo molto più semplice da comprendere, almeno per lui. Era come un libro aperto, e a volte a Sherlock piaceva perdersi nelle pagine di quel libro, per trovare ogni frase nascosta, ogni spiegazzatura nelle pagine.
Si rese conto in quel preciso momento, sdraiato sopra di lui, che era senza dubbio il suo caso più interessante. Quello su cui non si stancava mai di lavorare.
Solo che adesso, quel libro sarebbe stato di qualcun altro.
Qualcun altro avrebbe letto nelle sue pagine, cercando frasi segrete.
E fu così che improvvisamente, violentemente, Sherlock assaggiò per la prima volta l’acerbo sapore della gelosia. Il dolore della perdita, che simile ad un coltello, ti scava nelle viscere.
E lo odiò per questo. Si odiò, per questo.
Quello che Sherlock non sapeva, era che anche John aveva imparato a leggerlo.
Con fatica, con infinita pazienza.
Osservandolo mentre meditava, mentre fingeva di leggere il giornale della domenica..
Impazzendo e imprecando il più delle volte, ripescandolo nei posti più impensabili.
Ridendo, in altri casi.
Da soli, sanguinanti, in qualche vicolo buio.
Correndo dietro uno psicopatico, per lo più.
E così, quella notte John aveva letto nel suo sguardo, molto più di quanto avrebbe dovuto.
“Sei nervoso per domani?” Chiese dolcemente, accarezzandogli il fianco.
“Nervoso? Certo che no. Sei tu che ti sposi, non io.” Esclamò l’altro, fingendo indifferenza e fastidio.
“Allora… Triste?”
“Perché mai dovrei essere triste? Sei tu che ti sei imbarcato in questa missione suicida. E’ la tua vita che cambierà, la mia resterà esattamente la stessa.”
“Davvero? Quindi vuoi farmi credere che non cambierà nulla domani?”
“Sposterò la tua poltrona, probabilmente.” Rispose Sherlock, osservandola distrattamente.
“La mia poltrona?” Chiese confusamente John.
“M’intralcia la vista della cucina.”
“Beh, l’appartamento sarà più ordinato, senza le mie cose sparse per casa.” Lo rimbeccò John.
“Un altro aspetto positivo della questione.” Rispose lui, cercando di sembrare sincero.
“Ce ne sono altri?” Esclamò John, punzecchiandogli appena la parte bassa del fianco.
“Nessuno controllerà più se fumo di nascosto.”
“Tranne la signora Hudson.”
“Tranne la signora Hudson, certo.” Esclamò Sherlock, facendo spallucce.
“E poi?” Disse John, accarezzandogli leggermente il fianco, risalendo poi sulla sua schiena.
Sherlock se ne accorse, ma finse il contrario. O almeno, era convinto che la sua finta fosse credibile.
“Nessuno occuperà più il bagno per due ore, ogni domenica. E nessuno mi interromperà più mentre sto meditando su un caso, per raccontarmi cose di nessuna importanza su una nuova ragazza. Nessuno mi costringerà più a mangiare se non ne ho voglia. O mi obbligherà ad andare a dormire se non ne ho bisogno.”
“Ti rendi conto che stai parlando come un bambino di due anni?” Lo rimbeccò John, pizzicandogli lievemente il fianco sinistro.
Sherlock mise il broncio, cercando di ignorare le dita di John che si muovevano sul suo corpo.
“Quindi insomma, sei felice che io vada via?”
“Lo sarei se fossi in grado di provare emozioni inutili come la felicità..” Esclamò Sherlock, gelido.
Ci fu un lungo silenzio, scandito dai pesanti  respiri dei due uomini, impazientiti e nervosi, per un gioco che stava andando avanti da troppo a lungo, come una partita di scacchi mai finita.
“Quindi… Non ti mancherò nemmeno un po’, Sherlock?” Gli sussurrò all’orecchio, con non troppa velata malizia.
Sherlock sentì un nodo alla gola, che diventava più pesante ad ogni parola che pronunciava. “No… Non mi mancherai.  Vivevo qui prima che arrivassi tu, ci vivrò anche dopo che te ne sarai andato. Non cambierà nulla, devo solo spostare la tua poltrona, e tutto tornerà come prima.”
John lo guardò a lungo, cercando di leggere in quelle pagine nascoste, quelle tenute lontane dalla luce.
Quelle che nascondeva perfino a se stesso.
Vi lesse vergogna, orgoglio, affetto.
“Sei un bugiardo, Sherlock Holmes. Puoi anche raccontarti questa storiella prima di andare a dormire, se ti fa piacere, ma io non ti credo.” Gli sussurrò, mostrando più rabbia di quanta avrebbe voluto.
A quel punto l’orgoglio di Sherlock ebbe la meglio. “Non credere alle cose, non le renderà meno reali. Chi è il bambino di due anni adesso?” Gli disse, con quell’aria da saputello che John trovava così eccitante, e così irritante il più delle volte. Come in quel particolare momento.
“D’accordo… Allora me ne vado.” Disse John, scostandosi bruscamente dal suo corpo. “Se per te non cambia niente se resto o no, allora tanto vale che me ne vada.”
“Bene, fai come ritieni più opportuno.” Rispose l’altro, più ad alta voce di quanto effettivamente ricordasse. Poi si spostò sul lato del divano,  per farlo alzare.
Era arrabbiato, ferito, John glielo leggeva negli occhi.
Non era la prima volta che vedeva quello sguardo, era così che guardava Moriarty.
Però, non aveva mai guardato lui, in quel modo.
Lui, che era sempre al suo fianco, che lo aveva seguito come un’ombra, lui che era sempre rimasto, anche quando tutti lo avevano abbandonato.
Lui, che lo aveva sempre  messo al primo posto, per poi ritrovarsi all’ultimo, dietro una ventina di barboni o giù di lì.
“E’ quello che fai sempre tu, non è vero? Tu…” Fu in quel momento, che la rabbia di John ebbe la meglio.
Si alzò di scatto, e d’improvviso, le parole uscirono dalla sua bocca come un fiume in piena.
“Tu prendi e te ne vai, senza dirmi niente. Senza considerarmi nemmeno per un minuto, in tutti i tuoi calcoli mentali.” Disse, martellandosi la tempia con il dito. “Sei stato via per anni, senza preoccuparti di me. Senza pensare a me. Ti sei immaginato, almeno per una volta, com’era vuota casa questa senza di te? Com’ero vuoto io, senza di te? No, non è vero?” Alla fine anche le lacrime strariparono con violenza, come tutto il resto. “Perché per Sherlock Holmes, conta solo Sherlock Holmes. Io sono esattamente come quella poltrona, basta spostarmi per non vedermi più. E adesso che ho trovato qualcuno che mi ama veramente, qualcuno che mi mette al primo posto, tu sei riuscito comunque a mandare tutto a puttane, come fai sempre.”
Quando ebbe finito di parlare, o di urlare, come avrebbe riferito in seguito la signora Hudson, afferrò il cappotto nero e si voltò, facendo passi decisi verso la porta.
Era davvero troppo stanco, per lottare ancora, come Don Chisciotte contro i mulini al vento.
Fu a quel punto, che Sherlock si lasciò andare ad un vergognoso, penoso, e miserabile atto. O almeno, così gli era sembrato in quel momento.
Alla luce del giorno, seduto sul pavimento del bagno, con la testa di John sulla spalla, accettò infine di considerarlo per quello che realmente era: Un istintivo, emotivo, gesto da essere umano.
Perché dopotutto, anche lui era umano, esattamente, o quasi, uguale a tutti gli altri, per quanto detestasse ammetterlo.
Ma quella sera, quando rincorse John, quando lo strinse in un disperato abbraccio, quando gli avvolse il petto tra le braccia, con tutta la forza che aveva, si sentì come un bambino piccolo.
E di nuovo, si odiò un po’ per questo.
“Non te ne andare.” Disse, appoggiando il viso sulla sua spalla.
Senti l’amico sospirare, percepì il suo corpo rilassarsi.
“Avevi ragione. Sono un bugiardo.” Ammise, arrendendosi all’evidenza.
“Ma… Tu non sei come quella poltrona. Non sei mai stato questo per me.” Riuscì a dire, senza riuscire a mascherare l’emozione che tradiva la sua voce.
 John si voltò, prendendogli con forza il viso tra le mani.
“E allora cosa sono? Dimmelo Sherlock, perché io credevo di saperlo ma… Adesso non ne sono più così sicuro. Non sono sicuro di niente, in realtà. Cosa sono per te? Ho bisogno di saperlo…”
Non era una richiesta, non era un’affermazione, anzi a Sherlock, parse la preghiera di un uomo a pezzi, stanco, confuso, e… Innamorato.
“Si, è proprio quella la parola giusta, Fratello.” Disse Mycrosf, seduto sulla poltrona, mentre appoggiava sul tavolino la tazza di the.  Sherlock iniziava a pensare che fosse il suo grillo parlante, il che rendeva tutto ancora più irritante. “Come dicevo, hai fatto proprio un disastro. E adesso, cosa?”Chiese guardandolo negli occhi, con quella spietata sincerità che lo contraddistingueva. “Ti nasconderai sotto il letto, come quando rompesti quel vaso da bambino? Verrai a piangere da me, in cerca di aiuto? Sai bene, che non potrei dartelo, anche se volessi. Devi affrontare quello che hai fatto, prenderti la responsabilità, per il vaso che hai distrutto.” Nella sua voce, c’era sempre quella nota di rimprovero e superiorità che lo caratterizzava. Eppure, c’era anche la dolcezza e la comprensione di un fratello, e Sherlock non sapeva se amarlo o ad odiarlo per questo.
Stava per replicare qualcosa, anche se non sapeva ancora cosa, ma il fratello era già scomparso.
Era da solo adesso, davanti a quel vaso distrutto.
E all’iniziò, Sherlock provò imbarazzo, confusione, rabbia. Possibile che fosse capitato proprio ad un uomo come lui? Che una mente così fuori dal comune, dovesse trovarsi in quella situazione così comune? Che anche lui, nonostante tutta la sua intelligenza, non fosse riuscito a proteggersi da una simile trappola?
Gli venne quasi da ridere, pensando che neanche Moriarty era riuscito a batterlo in quel modo.
Non così tanta violenza, con così tanto dolore.
Poi alla fine fece un lungo respiro, sgombrò la mente, e smise di lottare, contro se stesso, contro quello che provava, contro John.
Si accettò, semplicemente per quello che era, e accettò di essere un po’ più umano e po’ meno robot,  per lui.
Almeno ogni tanto, quando la situazione lo richiedeva. Considerò in seguito.
“Sei il caso più interessante su cui io abbia mai lavorato.” Disse tutto d’un fiato. “Sei.. Sei il libro che non mi stanco mai di leggere. Sei la sigaretta fumata davanti al camino, dopo una brutta giornata.  Sei il violino teso tra le mie mani, il legno sotto le mie dita, le sottili corde argentate che sfioro, la melodia finale, e tutti i tentavi sbagliati fatti per arrivarci. Tu sei… La stanza segreta, nel mio palazzo mentale.”
John ce la mise tutta, ce la mise davvero tutta, per non commuoversi.
Fallì miseramente, contro ogni tentativo.
Lo baciò, con tutta la passione, la dolcezza e il dolore che si era tenuto dentro in quegli anni.
Gli strinse forte il viso, accarezzando i suoi riccioli neri, mentre Sherlock si aggrappava alla sua schiena, ricambiando quel bacio.
E contro tutte le possibili previsioni di John, Sherlock sapeva bene come baciare.
Se lo era sempre immaginato come un timido e goffo scolaretto alle prese con il primo bacio, ma si ricredette quando sentì la sua lingua accarezzare la propria, quando gli diede dei  piccoli morsi sulle labbra.
Nessuno seppe dire in seguito, chi dei due spinse l’altro sul divano, o chi dei due iniziò a togliersi i vestiti per primo.
C’erano alcuni morsi sui fianchi di Sherlock, si accorse rassegnato mentre era sotto la doccia.
C’erano dei lividi rossastri sul collo di John, notò mentre si radeva. Quelli sarebbero stati difficili da spiegare.
I segni delle mattonelle del camino sulla schiena, di quelli Sherlock aveva un vivido e doloroso ricordo. E  quello che era successo dopo, contro la parete, che era stato sorprendentemente eccitante.
I graffi sul torace di John, quelli anche erano dei ricordi molto vividi. E si ricordava benissimo quando e come erano stati fatti.
Tuttavia per galanteria, disse di non ricordarne nulla.
Sherlock aveva dimenticato o rimosso molte cose di quella notte, quello che non aveva rimosso, quello che sarebbe stato impossibile rimuovere, era il corpo nudo di John Watson che si muoveva sopra il suo.
I suoi baci sul collo.
Le sue mani sui suoi fianchi.
La sua lingua nella sua bocca.
Il calore della sua pelle, l’odore del suo sudore.
Quella sensazione di piacere, così forte da stordirlo, così potente da farlo urlare, ancora e ancora, in quella lunga notte di passione.
Quei momenti di pace subito dopo, con la testa appoggiata al petto di John ed il suo braccio intorno alla schiena, che lo massaggiava dolcemente.
E poi ricominciare, incastrarsi di nuovo l’uno nell’altro, e ridere insieme, e parlare, parlare per ore senza mai fermarsi, nudi nel letto, senza smettere di cercarsi l’un l’altro.
Quando Sherlock  e John si ritrovarono in cucina, il giorno dopo, scoprirono parecchie cose interessanti.
Una delle quali era che si erano scambiati le mutande.
C’era una lampada rotta, nel salone.
C’era una sciarpa sul balcone della cucina.
Della panna montata nel lavello.
Sherlock esaminava tutto come avrebbe fatto in una scena del crimine, con scrupolo clinico.
John lo osservava mentre preparava del caffè, facendo spallucce in un lungo sospiro.
C’era un quadro caduto, svariate decine di fogli per terra, e una considerevole quantità di libri caduti.
E c’erano anche dei biscotti sul tavolino, ma non del the. Strano, concluse Sherlock.
Ma l’anello? Quello proprio non ricordava come fosse finito al suo dito.
Lo aveva completamente rimosso.
Continuava a guardarlo, senza darsi una spiegazione plausibile.
 “Sherlock. Tra un ora e dodici minuti dovrei essere in chiesa, a giurare amore eterno. Hai ancora qualche sigaretta nascosta?”
 

 Appartamento di Sherlock – Adesso

 
“No. Me le hai buttate via l’ultima volta.” Rispose Sherlock, risvegliandosi dai ricordi.
“E questa dove l’avevi nascosta?”
“Se te lo dico, poi non potrò più nasconderci niente.”
“Giusto.”
“Sherlock…” Sussurrò  stancamente John.
“Davvero John, non ne ho altre.” Rispose, alzando le mani.
“Non so cosa fare, Sherlock. Davvero…” Disse John, dopo qualche secondo di silenzio.
Continuava a guardare il cellulare, c’erano almeno dieci chiamate perse di Mary.
Sherlock lo studiò a lungo, prima di rispondere. Era preoccupato, glielo leggeva dalle rughe del viso.
“Mary ti ama.”
“Si, è così.”
“E ti rende felice.”
“Si… Molto.”
“E tu la ami.”
John notò che non era una domanda, nessuna in realtà lo era. Sapeva che era così, lo sapeva e basta, come sapeva tutto il resto.
“Si.”
Sherlock abbassò la testa, sospirando.
“Allora dovresti fare quello che ti rende felice, a prescindere dalle conseguenze.”
“Lo pensi davvero?”
“Certo che lo penso davvero. Sei un brav’uomo John, meriti di essere felice.”
John gli strinse di più la mano, accarezzandogli il pollice.
“Sono felice. Qui, adesso.” Disse, sorridendo malinconicamente.
“Seduto sul pavimento, con i postumi di una sbornia?” Chiese Sherlock, ironico.
“Seduto sul pavimento, con i postumi di una sbornia, accanto a te.” Esclamò l’altro, con lo sguardo sereno.
“E questo ti basta per essere felice? Insomma io… Io sono…” Sherlock iniziò a borbottare.
“Un disastro?”
“Un genio!” Esclamò con orgoglio, voltandosi di scatto verso di lui. “Ma quello che voglio dire è che… Io non posso darti la vita che può darti Mary. Tutte quelle cose che avete progettato di fare insieme, le vacanze, le gite al lago, i corsi di tango, gli anniversari al ristorante, i regali di compleanno dei bambini, i fiori per scusarsi e il natale sulla neve. Non potrai mai avere tutte queste con me. Sono la persona meno adatta per crescere dei bambini, il peggior partner immaginabile. Sono la persona più irresponsabile, egoista, ed emotivamente disabile che avrai mai la sfortuna di incontrare.”
 John sorrise, allungando la mano verso di lui, fino ad accarezzargli la guancia.
“Eppure, anche se mi fai diventare più pazzo ogni giorno che passa, io ringrazio qualsiasi cosa ci sia lassù, per averti messo sulla mia strada. Perché non so davvero immaginare la mia vita senza di te… Ci ho provato, ed è stato orribile. Ti ho già perso una volta, e adesso che ti ho ritrovato, che ti ho veramente ritrovato, non voglio perderti mai più. E se questo vorrà dire cercarti tra i barboni, inseguirti per mezza città, o farmi svegliare nel cuore della notte perché tu hai avuto un’intuizione, ben venga. Perché io ti amo, anche se sei il peggior partner immaginabile.”
Sherlock sorrise, guardandolo con quello sguardo a metà tra la confusione  e sfida.
John accettò la sfida, avvicinando le labbra alle sue, e facendole proprie.
Ancora, e ancora, e ancora, finché la signora Hudson spalancò la porta con una pentola in mano, spaventata dalle strane urla che provenivano dal piano di sopra.
 

Appartamento di Sherlock – 2 settimane dopo

 
“Allora, hai già scelto il prossimo caso?” Chiese John, abbassando lievemente il giornale, seduto comodamente sulla sua poltrona.
Sherlock era in piedi sopra il divano, mentre controllava una gigantesca mappa, segnando qua e la delle cose. Si voltò appena verso John, mettendo per un  momento in pausa i suoi processi mentali.
“Forse, stavo giusto facendo un delicato processo di eliminazione, prima che tu m’interrompessi.” Disse, inarcando il sopracciglio.
“Oh chiedo scusa allora.” Rispose l’altro, con non poca ironia.
“Figurati, non potevi saperlo.” Esclamò, voltandosi di nuovo verso la sua mappa.
Stava giusto per scrivere un altro appunto, quando si fermò ad osservare quell’anello dorato, che era ancora “incastrato” al suo dito.
“John, dovrei chiederti una cosa, prima che me ne dimentichi di nuovo.”
“Sicuro che non interrompo il tuo delicato processo mentale?” Rispose con un mezzo sorriso, abbassando di nuovo il giornale della domenica.
“Come potresti interrompermi, se sono io che ti sto interpellando?” Esclamo saltando giù dal divano.
“Per una volta che il tuo parere poteva essere decisivo per risolvere un caso…” Constatò a bassa voce.
Non abbastanza, per l’infallibile udito di John.
“Lieto di essere utile, di tanto in tanto.” Rispose John, bevendo un sorso di the. “Allora, di che caso si tratta?”
“Dell’anello incastrato al mio dito.” Disse Sherlock, sollevando teatralmente la mano.
John tossì il suo the. “Ok, punto primo non è incastrato, te lo sei semplicemente tenuto.” Disse quando riuscì a smettere di tossire. “E secondo, davvero non te lo ricordi?”
Sherlock sbuffò, incrociando le braccia. “Perché mi fai una domanda se conosci già la risposta?”
John annuì e sorrise, piegando delicatamente il giornale, appoggiandolo al tavolino al suo fianco.
Poi afferrò Sherlock per il bordo della camicia, trascinandolo sulla poltrona con lui.
Sulle sue gambe, per la precisione.
“Allora dovrò raccontarti una storia…” Sussurrò maliziosamente John.
“E’ una storia lunga? Perché sono ancora al 78% del mio processo di…”
John gli tappò la bocca, questa volta non con la mano, ma con un bacio.
Sapeva di the, constatò Sherlock, il che era un aspetto decisamente piacevole.
“Temo che dovrai mettere in pausa per un po’, quella bellissima mente che hai, se vuoi risolvere questo particolare caso.”
“Bellissima mente? Oh… Questo è il complimento più soddisfacente che tu mi abbia mai fatto, John Watson.” Rispose Sherlock, con un sorriso sincero.
L’altro sorrise a sua volta, stampandogli un leggero bacio sul collo, proprio sotto l’orecchio, e uno più scherzoso sulla spalla.
“Allora…” Iniziò a dire, accarezzandogli il petto. “ Eravamo a letto, non ricordo l’ora, ma eravamo nudi e doloranti, quindi credo sia stato dopo l’acrobazia accanto al camino.”
“Definirla acrobazia mi sembra alquanto esagerato.”
“Per te forse, ma credimi, lo è stata per me. Sai essere davvero selvaggio in certe situazioni…”
Sherlock avvampò. “Ti pregherei di sorvolare su certi dettagli di natura… Intima.”
“Ma sono i miei preferiti…” Rispose malizioso, giocherellando con i bottoni della sua camicia.
“John Watson!” Esclamò Sherlock, visibilmente contrariato.
“E va bene… Comunque, durante uno di quei… Momenti, ho sbattuto contro il comodino, facendo cadere la scatola con gli anelli. Ci siamo messi a cercarli ovunque, a carponi sotto il letto… Finché non ho trovato il mio, e allora per non perderlo più me lo sono messo al dito. A quel punto ti ho chiesto di mettere al sicuro quello di Mary, e tu… Beh te lo sei messo al dito, sostenendo che in quel modo non avresti potuto perderlo in alcun modo. Mi era sembrata una spiegazione logica, così… Abbiamo ripreso da dove ci eravamo interrotti.”
“Capisco…”  Rispose pensieroso Sherlock, guardandolo con gli occhi socchiusi.
“In effetti stavo pensando… Che ti meriteresti un anello tutto tuo…” Sussurrò John, accarezzandogli le dita, con un sorriso divertito.
Poi vide il viso di Sherlock assumere un colore bianco cadavere, mentre balbettava confusamente qualcosa di incomprensibile.
“Non per forza quel tipo di anello.” Si affrettò a dire. “Però ecco, non puoi certo tenerti quello di Mary per sempre…. Mi piacerebbe regalartene uno che sia completamente tuo. Sai così magari, quando starai per fare qualcosa di incredibilmente stupido, guardandolo penserai a me, e riacquisterai un po’ di buon senso.”
Sherlock riprese lentamente un po’ di colore, e finalmente riuscì a comporre frasi con un senso compiuto.
“Avevo previsto questa conversazione.”
“Mi stupirebbe il contrario.”
Sherlock estrasse il telefono dalla tasca della giacca, sfogliando velocemente tra le foto nella sua galleria, con lo sguardo concentrato.
“Voglio questo.” Esclamò alla fine, mostrando lo schermo a John, con espressione sicura.
L’altro rimase qualche secondo a sbattere le palpebre, fissando quell’anello dal prezzo inverosimile. D’oro, con pietre di ossidiana nere incastonate sui bordi.   
“Si…. Mmh… Ok certo, si in qualche modo… Vedrò di comprartelo.” Disse, ignorando la sincope al cuore che gli stava venendo, pensando al prezzo scritto in fondo all’immagine.
“Bene. Ma niente scatola.” Esclamò nervosamente Sherlock. “E assolutamente niente fiori. E me lo darai in piedi.”
“Già che ci sei, vuoi anche scegliere il giorno e l’ora?”
“Sarebbe perfetto in effetti, grazie John.” Esclamò, stampandogli un bacio sulle labbra.
“Sei davvero impossibile, Sherlock Holmes.” Rispose John, strappandogli la camicia, per poi spingerlo sul pavimento del salotto, in quel piccolo appartamento, al secondo piano del 221B di Baker street.
 
 
 
 
 

 
  
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